domenica 31 gennaio 2010

Confessioni 2.0: un altro episodio di letteratura rinfacciabile

Spesso m'è stato chiesto come, e attraverso quale serie di passi, divenni un titillatore di iPhone. Fu gradualmente, per tentativi, con diffidenza, così come una persona, sera dopo sera vedendo la giornalista del TG3 della notte smuovere quegli immensi vetri digitali che non funzionano mai, si chiede se al suo posto, della giornalista, avrebbe saputo fare di meglio? O, seconda ipotesi, fu per pura ignoranza di tali pericoli e indotto in errore da commesso venale, in quanto spesso il fascino di queste meraviglie tecnologiche è direttamente proporzionale alla fragilità delle stesse, benché pubblicamente se ne decanti la natura indistruttibile e, sotto cangianti colori e travestimenti (diconsi Cover), si riconosca il carattere di necessarietà di tali oggetti, non di rado accade che la catena dell'abbietta schiavitù viene scoperta solo quando abbiamo già rotto due iPod nano e un touch screen della Samsung? (Continua...)

Un peluche di E.T. in regalo a chi indovina l'opera originale

sabato 30 gennaio 2010

Pensieri in apnea: una rubrica di giochi, mostri marini e colonne sonore

quarta puntata

Questa settimana sfaterò il mito della piscina come luogo noioso, puramente atletico e un po' autistico. Come in ogni cosa basta un poco di fantasia ed è fatta. Ieri, ad esempio, ero in corsia con una ragazza armata di tavoletta che spruzzava come una cascata, un tizio con le pinne, maschera e boccaglio (non sto scherzando) e altre due signorine incerte sul da farsi. Allora mi sono immaginato in un buon vecchio arcade, tipo Pac-man, un'astronave, o la macchinina rossa da formula uno dei primi videogiochi che deve raggiungere il traguardo, schivare gli ostacoli (la fontana ambulante di Trevi), evitare le altre compagne di sventura e non farsi raggiungere dal mostro (non alzava mai la testa, giuro, avrà fatto un centinaio di vasche contando le piastrelle).
Anche in Sardegna amici mi raccontavano di aver avvistato un mostro simile: respira con branchie ascellari pelose, ha due boccagli al posto delle orecchie, pinne al posto delle mani e dei piedi e una spiccata predisposizione a importunare le donzelle in top-less. Lo chiamano Sciscindor, ma questa forse è un'altra storia...
Sei anni fa, quando avevo fatto un timido tentativo per tornare a fare un po' di moto, ricordo che anch'io, come il pinnuto mascherato, guardavo sempre fisso le piastrelle, poi però mi ero immaginato che il fondale si rompeva, crepato come da una scossa di terremoto, e che sotto c'era dell'altra acqua, tantissima, un'oceano sotto la piscina, e da quest'acqua fuoriusciva uno squalo gigante che cominciava a inseguirmi. Un'allucinazione coi fiocchi, no? Una vera spinta motivazionale.
A proposito di nuotare più forte, ho "scoperto" che, durante il crawl, si va più veloci spingendo il braccio in avanti con tutto il busto. Ti sembra quasi di ballare e ti senti scivolare sul filo dell'acqua ma i tuoi addominali, che siccome non li vedi bene pensi di non averli, invece cominciano subito a ululare e allora cambi stile e li lasci riprendere un pochino dallo shock. E poi per la Danza del Crawl (ormai l'ho ribattezzata così) ci vuole la musica adatta e non so voi ma in questi posti, non si sa il perché, non azzeccano mai due brani di fila. Ti può capitare di saettare tutto felice con "Start Me Up" dei Rolling Stones per poi arenarti a bordo vasca mentre "Smooth Operator" dei Sade ti catapulta negli anni '80 delle tue scuole elementari. Solitamente è elettronicuccia triste e smorta, house senz'anima né coraggio ma con quel minimo di ritmo che ti aiuta a impostare le bracciate, anche se in questo invidio i corridori, con la musica giusta ti senti di poter andare avanti per ore. Anche se a volte il caso riserva sorprese incredibili, che innescano dinamiche sociali da gag: l'altro giorno negli spogliatoi è partita "You're So Vain" di Carly Simon e subito in quattro o cinque ci siam messi a fischiettare come un coro. Nina dice che cose così non capitano tra le donne, credo che forse è per questo che siete voi a mandare avanti la specie...
Personalmente ho una richiesta da fare per migliorare l'atmosfera sonora delle piscine: fatevi consigliare da Perry Farrell.
Una volta sono anche stato con la sorella marchigiana di Perry Farrell, ma anche questa è un'altra storia...
Di nuovo, fatevi consigliare da Perry Farrell. Perry Farrell, coi Jane's Addiction, ha scritto "Ocean Size", l'inno di ogni vero amante dell'acqua, e coi Porno For Pyros ha descritto il sogno di ogni nuotatore solitario:
I don't know if I'll make it home tonight, but I know
I can swim under the Tahitian moon
One last time under the Tahitian moon
Under the Tahitian moon, under the Tahitian moon.

giovedì 28 gennaio 2010

Scomparire

Era la metà degli anni novanta, ascoltavamo musica pesa e leggevamo Jack Frusciante. No. Tutti leggevano Jack Frusciante, io Il giovane Holden. Ero un tipo strano, timido, confuso, spesso in disparte. Quando gli altri volevano vivere velocemente e morire giovani, io avevo qualche problema ad attraversare la strada. Ogni volta che arrivavo alla fine di un isolato e scendevo da quel maledetto marciapiede, avevo la sensazione che non sarei mai arrivato dall'altra parte. Mi pareva di continuare ad andare giù, giù, giù, e nessuno mi avrebbe più rivisto.

Ero fatto così, gli altri navigavano alla grande nei primi eccessi serali e io volevo solo evitare di scomparire. Facevo finta di parlare con un fratello immaginario, lo pregavo di farmi arrivare dall'altra parte, ero fatto così. Non farmi scomparire, gli dicevo, non farmi scomparire, non farmi scomparire, fratello, non farmi scomparire. E poi, quando raggiungevo l'altro marciapiede senza essere scomparso, gli dicevo grazie.

Il giovane Holden è l'unico libro che abbia regalato a mia madre, una madre che vive in una casa dove non ci sono libri sugli scaffali, una madre che a quel tempo, era la metà degli anni novanta, diceva di non capirci un granché di quello che mi girava per la testa. Allora le regalai Il giovane Holden con una dedica che era più o meno Mamma, ecco, se vuoi capire un po' quello che mi gira per la testa, leggi questo libro, è anche molto bello.

J. D. Salinger è morto, a novant'anni, per cause naturali. J. D. Salinger è morto, a novant'anni suonati, ed è giusto così: quando muore un vecchio il senso di perdita ha qualcosa di pacifico, naturale, è quasi ovvio. Oggi, più grande, in un modo o nell'altro, forse quella strada sono riuscito ad attraversarla senza scomparire. Forse facevo finta di parlare con un fratello immaginario. Non farmi scomparire, gli ho detto, non farmi scomparire, non farmi scomparire, J.D., non farmi scomparire. E ora, che ho raggiunto l'altro marciapiede senza scomparire, gli dico grazie.

Cover

Gregory Samson, svegliandosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nella sua branda, in un piccolo vietnamita immondo. Riposava sulla schiena, magra e dolorante, e sollevando un poco il capo vedeva il suo ventre smunto, giallognolo e diviso da costole ricurve, in cima a cui la coperta della branda, vicina a scivolar giù tutta, si manteneva a fatica. Le gambe, nodose e sottili da far pietà, rispetto alla sua corporatura ben tornita, tremolavano senza tregua in un confuso luccichio dinanzi ai suoi occhi. (continua...)

(è l'inizio di una roba che ho scritto per la seconda parte del concorso sulla letteratura rinnovabile. Vi tengo informati. Se vinco la bici pittata giuro che vi vengo a trovare, voi che mi avete dato una mano)

mercoledì 27 gennaio 2010

La spada, il fucile

Anni fa, ma davvero tanti anni fa, Carlo, in qualità di presidente della Polisportiva Spada nel quartiere Spada, andò dal prete per discutere la disponibilità del campo da calcio, voleva portarci i ragazzi della Polisportiva. La Polisportiva Spada aveva già un campo in cui giocare, ma ne serviva un altro, visto che l’utilizzo era condiviso anche da altre società sportive.

Al consiglio direttivo c’erano molti personaggi di chiesa, catuboni, come si diceva da quelle parti, gente che non voleva proprio dare il campo ai bambini perché nella Polisportiva Spada era pieno di comunisti, la Polisportiva Spada, dicevano, era una polisportiva comunista, piena di comunisti, tra cui Carlo.

Il prete, invece, quel prete che diceva sempre Quando andate al policlinico di Modena se passate dietro alla navata ci son dei cassonetti dai quali si sente piangere: sono i bambini, ce li buttano dentro visto che fanno gli aborti; quel prete lì, invece, in realtà era una persona ragionevole, e finì per dare la concessione per il campo anche contro il volere dei suoi parrocchiani catuboni, quelli che arricciavano il naso per via di tutti quei comunisti nella Polisportiva comunista Spada.

Durante la riunione, infatti, dopo l’intervento di qualche parrocchiano catubone del tipo Quelli no perché son comunisti e piuttosto il campo resta chiuso, e infatti il campo del prete era sempre vuoto per colpa dei parrocchiani catuboni, durante la riunione, dicevamo, dopo qualche intervento catubone Carlo si alzò in piedi e disse Fate come volete voi, ma ricordatevi che noi non abbiamo mai chiesto la tessera a nessuno, e stiam parlando anche dei vostri figli, visto che ci sono dentro anche i vostri figli nella Polisportiva Spada; e poi da noi, alla Polisportiva Spada, aggiunse Carlo, noi non si fa mai proselitismo e non si parla mica di politica, si gioca a calcio, noi, nella Polisportiva Spada. Così disse Carlo, col dito un po’ alzato come in un comizio.

E così dicendo si rivolse ai parrocchiani catuboni che sapeva avevano i figli che giocavano nella Polisportiva e disse Voi ditemi se quello che ho appena detto è vero oppure no. I parrocchiani catuboni dovettero annuire facendo sìssì con la testa, col naso sempre arricciato, e così il prete interruppe la riunione e disse a tutti che Carlo aveva ragione, disse La decisione e la responsabilità me le prendo io, mentre lei, Carlo, mi dica cosa devo fare e io il campo glielo apro, in cambio non voglio niente, solo che il campo sia curato e tenuto bene.

Usciti dalla riunione ci furono un sacco di mugugni e arricciamenti di nasi catuboni. E in particolare la Vladimira, la perpetua, che iniziò a gridare I comunisti son dei bastardi e cose così. Carlo, meravigliato da tutto quel livore, le domandò come mai lei pensasse che tutti i comunisti eran dei bastardi e cose così. La Vladimira lo guardò fisso negli occhi e rispose Perché mio marito è morto in Russia durante la ritirata, me l’hanno ammazzato i Russi, me l’hanno ammazzato i comunisti, perché son degli assassini, i comunisti, son dei bastardi e cose così.

Carlo le si avvicinò e disse pian piano Vladimira, mi scusi, posso farle una domanda un po’ indiscreta? Lei annuì. Carlo Fiorveluti allora, sempre pian piano, le domandò Ma non è che per caso suo marito è andato là col fucile in spalla?
La Vladimira si bloccò, non sapeva cosa rispondere. Carlo raddrizzo la schiena e fece un mezzo sorriso sornione. Poi, ancora pian piano, le disse No, perché sa, tante volte…

(trasposizione a memoria di un racconto orale di Tiziano Fiorveluti)

Incipit

Questa sera c'è una bellissima luna.
Non la vedevo da trent'anni, così oggi sono particolarmente felice. Comincio a capire che in questi trent'anni son vissuto nel buio; ma ora devo stare in guardia. Altrimenti, perché il cane della famiglia Chao mi avrebbe guardato due volte?
E ho ragione di avere paura.
Lu Xun, Diario di un pazzo, Editori Riuniti, 1993, pg. 10.

lunedì 25 gennaio 2010

Inarrivabili didascalie di fine novecento

(foto 3)
Lo sviluppo del centro con l'aumento enorme dei soci ha imposto la necessità della sostituzione del banco-bar.

(foto 16)
Le pitture a muro delle quali se ne intravvede l'angolo, sono state eseguite dal sig. Nando Morselli.

(foto 27)
Gite turistiche, pranzi sociali: un promiscuo di ricreazione, conoscenze e allegria

(foto 33)
La periodica misurazione della pressione arteriosa (ogni 15 giorni) è intesa a prevenire grossi guai possibili all'anziano. Senza alcuna pretesa di scongiurare il tutto, già fin da ora ha dimostrato la sua utilità. Anche l'infermiere Bonaretti così intento nel suo lavoro, è prestatore di opera volontaria. Vada tutta la nostra riconoscenza.

domenica 24 gennaio 2010

In orbita

Eravamo sicuri e strasicuri che il fratello calciatore del nostro amico Alessandro riusciva a mandare il pallone in orbita. Ce l’aveva detto Alessandro in persona, una persona piccola, durante la ricreazione, che non eravamo nemmeno tutti in classe insieme, ma avevamo i nonni nella stessa via e al pomeriggio, dopo la scuola, eravamo sempre fuori a fare qualcosa di strambo. Come quella volta che Federico ha preso un pesce gatto nella fossaraso e l’ha messo in una mastella che usava sua madre per raccogliere i panni. Noi siamo stati una settimana con le canne in giardino a cercare di pescarlo direttamente dalla mastella. Poi è morto, il pesce gatto, e non siamo mai più riusciti a pescarne un altro. O come quella volta che abbiamo fatto scoppiare una rana sulla riva del canale, e poi tutti a raccogliere i pezzi, volevamo ricostruirla con il nastro adesivo e non avevamo messo in conto i rimorsi negli anni a venire per una cosa che la sera stessa scopri che nessuno ride quando la racconti. Ma mandare il pallone in orbita, noi, una cosa così non l’avevamo mai vista. Era una roba da Holly e Benji, una roba da stare eccitati tutta la mattina per andare a vedere il fratello di Alessandro, al pomeriggio, che mandava il pallone in orbita. Non che sapessimo dove fosse esattamente, in orbita, ma ci sembrava una cosa molto, molto in alto, tipo nello spazio, vicino alla luna.

Alle tre del pomeriggio siamo nel cortile di Alessandro, col fiatone e l’eccitazione e Federico che era andato a cercare in orbita sul dizionario. Diceva che se un oggetto va in orbita poi comincia a girare intorno alla terra ma pian piano viene giù, è inevitabile, diceva, prima o poi stai sicuro che vien giù. Quando è arrivato il fratello di Alessandro – e Alessandro aveva un sorriso come se solo lui potesse averlo un fratello così – quando è arrivato, il fratello di Alessandro ha preso il pallone e senza dir niente gli ha dato un calcio della madonna. Il pallone andava sempre più in alto. Sempre più in alto fino a diventare un pallino e poi ancora in più alto, fino a scomparire sopra il tetto del palazzo di fianco. Noi davvero avevamo delle facce che facevano O senza rumore. Federico l’ho dovuto squassare un po’ perché sembrava paralizzato. Il fratello calciatore di Alessandro è tornato in casa ancora senza dir niente. E Alessandro, con un sorriso come se solo lui potesse averlo un fratello così, Alessandro ci ha detto Visto?

Poi il giorno dopo ci ha detto che il pallone era ritornato giù. Era un po’ più sgonfio ma era tornato giù. L’aveva trovato proprio Alessandro in persona, una persona piccola, lì in mezzo al cortile mentre andava a scuola. Federico, che voleva fare lo scienziato, ci ha detto che allora il pallone era andato in orbita davvero, perché se un oggetto va in orbita poi comincia a girare intorno alla terra ma pian piano viene giù, è inevitabile, diceva, prima o poi stai sicuro che vien giù.

sabato 23 gennaio 2010

Pensieri in apnea: settimanale di scienza, stile e viscere

Terza Puntata

Questa settimana, per un motivo o per l'altro, son sempre andato in piscina da solo. Allora, invece di tediarvi con patemi generazionali e sentimentalismi esistenziali, ho pensato di disgustarvi con un po' di cose strane, che però son più vicine tra loro di quanto sembra. Tanto per cominciare all'inizio della settimana ho sentito l'odore di una scoreggia nell'acqua. Finalmente, cominciavo a preoccuparmi. Mi dicevo, ma questa gente come fa? Non si sforza un po'? Io sono ancora un dilettante, l'aria per ora mi esce solo dalla bocca. Lo so, è uno strano modo di fare le bolle, credo che Nina non lo approverebbe. Ma torniamo al peto sottomarino, ero in 3a corsia e in quel momento avrei tanto voluto essere uno scienziato da laboratorio, di quelli tosti, da telefilm, per calcolare la direzione e la velocità di propagazione del gas nel liquido per scoprirne l'origine, ma di più avrei voluto essere un chimico per capire in che modo l'azoto e il cloro potessero combinarsi in quell'odore di zolfo. La mia indagine sul plausibile colpevole era alquanto viziata (come l'acqua) e mi sono rapidamente convinto che la puzza proveniva dalla 4a corsia, il flipper degli ubermenshen. Infatti stavano tutti nuotando a rana e siccome io, pivello, a rana rutto, mi era facile immaginare che di là vi fosse un deretano colpevole tutelato e protetto dal branco. Oltre a produrre spiacevoli effetti collaterali, credo però che ogni stile di nuoto dia una connotazione comportamentale in chi lo pratica. Riadattando la Teoria Umorale di Ippocrate sostengo che:
- chi preferisce il dorso, a causa del viso sempre rivolto verso il cielo e conseguente maggiore densità di sangue nel cervelletto e nell'ippocampo, sia un soggetto lontano dalla realtà, distratto, sognatore.
- chi predilige la rana, col suo ritmico e cadenzato affiorare e immergersi nell'acqua, sia una persona determinata e alla ricerca di un equilibrio, fisico e mentale.
- chi si abbandona al crawl, testa china, braccia a forma di artiglio come a carpire una preda virtuale, sia un elemento molto impulsivo, viscerale, con aggressività compressa da sfogare.
- chi si butta nel delfino e nel movimento parossistico (e un po' comico) che lo contraddistingue, credo rischi di confondere sopra e sotto, acqua e aria, divenendo schizofrenico o quantomeno bipolare.
Ovviamente è solo una teoria, che salta davanti alle eccezioni, come la pingue signora quarantenne con cui ho diviso la corsia per un po' l'altro ieri. Dovevate vederla, il modo in cui scivolava sul filo dell'acqua, nonostante la circonferenza, le braccia e le cosce, era ipnotico, mi sentivo quasi dentro ai documentari del national geographic. Senza cattiveria, anzi, con sincera ammirazione l'ho ribattezzata l'Orca.
Stamattina, sì stamattina, da vero clorodipendente ci sono andato stamattina perché ieri gli impegni improvvisi me l'hanno impedito, stufo delle corsie piene di matricole e amatori, ho infranto l'ennesimo tabù e mi sono introdotto furtivamente nella 4a corsia. Tranquilli, il branco non c'era, c'erano solo strani esseri con pinnette di plastica infilate sopra le mani e la strega cattiva delle nuotate infantili di due miei amici. Uno scambio fulmineo di sguardi e ho rivisto in lei l'istruttrice tedesca sadica, probabile transfuga DDR, che vent'anni fa con il sorriso sulle labbra e una teutonica risata prendeva Caterina e Filippo per gettarli nell'acqua alta come cuccioli. Ma un odore già sentito mi distrae dal flashback, mi volto, e finalmente capisco, tutto torna. Oltre la quarta corsia c'è una mega corsia riservata alle ragazze che fanno stepping, running e tutta una serie di innaturali coreografie subacquee. Obbligate dalle sovrastanti e tarantolate Trainers a muoversi senza sosta, le signorine, in preda a questo faticoso moto perpetuo, credo che siano incapaci di trattenersi dall'emettere qualche tipo di trombetta dantesca. Almeno questa è la mia teoria. E ne ho un'altra, ma sono un po' indeciso su quale sia la soluzione migliore: Ogni volta che esco dalla vasca e sono sotto la doccia, piscio (naturalmente nello scarico), perché? per l'acqua che ho bevuto o per un'avvenuta osmosi tra la piscina e il mio corpo?
Tutto questo e molto altro ancora nella prossima puntata

giovedì 21 gennaio 2010

Le meraviglie della tecnica

Non sono un patito della macchine e roba varia ma ammetto che il mio pandino mi piace parecchio. Solo una cosa non son riuscito a capire della mia automobile autarchica made in poland, in realtà due, la seconda è perché ho un accendisigari se non ho un posacenere, ma su questa ci passo sopra, anzi, mi ha pure aiutato a smettere di fumare, credo, ma la prima è: il ripiano portaoggetti sopra l'airbag del lato passeggero. Ecco, purtroppo non ho trovato un'immagine decente che potesse illustrare al meglio di cosa sto parlando, quindi vi dovrete accontentare della mia descrizione. Tale ripiano è concavo, trapezoidale, liscio e irregolare. Sembra l'impronta di una goccia d'acqua lunga trenta centimetri, larga quindici e profonda dai dodici ai tre centimetri, giusto per farvi un'idea, ma sono convinto che certo opere si debbano vedere dal vivo. A questo aspetto piuttosto singolare che non favorisce la comprensibilità circa la destinazione d'uso (cosa ci metti nell'orma di una lacrima di tirannosaurus rex?) si aggiunge una particolarità legata al posizionamento, diciamo così: mentre la parte rotonda della goccia si appoggia verso il plasticone centrale che contiene la radio e tutta la pulsanteria scintillante di modernità, con tanto di bottoncini vuoti perchè son prolet e precario, ma anche se sei prolet e precario i bottoncini, che non funzionano, che son muti, grigi e che non si muovono nemmeno se li pigi, te li pigli, giusto come promemoria che sei prolet e precario... dicevamo la goccia, la coda (senza chiudersi, stilisticamente molto post-moderno, l'ho apprezzato, l'ammetto) si dirige a lato verso la fine del cruscotto. Morale: grazie a questa forma e a questo andamento con qualsiasi curva a sinistra mentre superi i 23 km/h, Pem! centri il finestrino (ho fatto le prove, 23, vi giuro), e qui che siam nella regione delle rotonde potete immaginare i bestemmioni per la roba che vola e sbatte. Allora, siccome ho fatto i test, mi son chiesto se anche alla Fiat li avevano fatti, e penso che sì, devono averli fatti, e devono aver ghignato come matti, felici di aver trovato una cosa così: qualcosa che non riesce a contenere niente, o se lo fa lo lascia subito volare via verso il cielo, la negazione della funzione in una creazione preposta ad essa, altro che Duchamp e fontanelle/orinatoi, qui siamo oltre, siamo all'unione mistica, feroce e aggraziata di in-utile e in-estetico, una sorta di cannibalismo materno di neonati. Se non fosse prodotto in massa lo sradicherei dall'auto e lo metterei sotto teca. Eh sì, proprio soldi ben spesi.

martedì 19 gennaio 2010

Carpi, Illinois

Comunicazione di servizio pubblico e civile

Stamane la mia adorata donzella doveva prendere il treno per Bologna ed era lievemente in ritardo. Così, come si fa in questi casi quando c'è la possibilità, invece di andare dentro la stazione, attendere in una fila chilometrica che chi deve andare a Vladivostock o a Coccomaro riesca a comprendere l'astruso linguaggio che proviene al di là del plexiglas dai mastri-bigliettai, rifletta se è proprio necessario andare a trovare la suocera ammalata o il cugino latitante e si decida, invece di darsi a questo supplizio, quindi, la mia signorina opta per l'edicolante-tabaccaio, posto accanto alla stazione e come tale certamente non carente di clienti, soprattutto da quando, da qualche anno, è divenuto rivenditore autorizzato di biglietti a fascia chilometrica.
La calca in questi orari mattutini è grande ma l'edicola è talmente prurigginosa e, mi si conceda, da pipparoli che a volte non poteva mancare l'erotomane mattiniero che slumava le copertine di rivistine hard che circondano come un'icona russa l'edicolante.
Vorrei a questo punto specificare un particolare; l'edicola è gestita da tre soggetti: un anziano molto burbero e barbuto che se non fosse per l'assenza della proverbiale pipa da piccolo mi sembrava quello del tonno nostromo, e i suoi due figli trenta-quarantenni, uno molto riservato e con una ragguardevole collezione di foulard, da uomo beninteso, e l'altro pelato (pelato et rasato), bassino, con l'occhio lungo e la lingua ancora di più.
Quest'ultimo, stamane appunto, nella calca che può avere un'edicola-tabaccheria al mattino, che ha la benedizione di una biglietteria FFSS con personale che parla linguaggi da guerre stellari e una clientela di pendolari lavoratori e studenti sicuramente ben fornita, questo baldo edicolante, che apostrofa i passanti e sopratutto le passanti con appellativi informali da ggiovane simpaticone, mentre la mia signorina era in fila ha avuto il coraggio di dire, al ragazzo nero davanti alla mia signorina:
"Te ti faccio per ultimo perchè il colore della tua pelle è brutto!"
Naturalmente, nonostante lo shock, nessuno ha oltrepassato il turno del ragazzo, che molto civilmente, forse troppo, ha chiesto una ricarica e poi se n'è andato. Gli altri avventori erano ancora visibilmente sorpresi mentre la mia signorina era talmente furiosa da chiamarmi sul cellulare.
Ma credo che l'edicolante avesse ragione, è ora di fare una selezione, i beceri rincoglioniti da una parte e gli uomini dall'altra e stai pur sicuro, caro edicolante, che non sei nella seconda categoria...

p.s. Siete ovviamente tutti invitati al boicottaggio di codesto figuro

La bionda e il nemico

Mia bisnonna si chiamava Galavotti Angiolina, prima il cognome e poi il nome, come d’uso tra la gente nata povera e mezzadra, specie nel 1905, anno di nascita, appunto, di Galavotti Angiolina detta Bionda. Bionda forse per il colore dei capelli, non so, io li ho sempre visti in bianco e nero, quei capelli, sulle foto e sulla sua testa. Per me e per la mia famiglia rimane ancora un mistero.

Ci ricordiamo, invece, dell’altro soprannome: Scelba. E la Bionda, Scelba, non era, come avrete capito, una personcina alla mano. Era spietata, una matriarca, una matrona, una severa padrona di casa come in un romanzo ottocentesco; ma a me mi amava talmente tanto che penso di essere la persona che da lei, in vita sua, ha ricevuto più sorrisi di tutti. Con mia sorella non era così. Con lei mai un sorriso, solo convenzioni e convenevoli, magari soldi, ma mai sorrisi. Per me, il maschio primogenito, sorrisi e buffetti. Sorrisi, buffetti e minestrone: lei faceva sempre il minestrone.

Con la Bionda ci passavo le giornate, perché i miei genitori lavoravano in fabbrica ed erano talmente giovani che lavoravano in fabbrica anche i miei nonni, non erano ancora in pensione. In casa con lei, la Bionda, Scelba, guardavo i cartoni animati mentre lei mescolava il minestrone e ogni tanto, sempre senza smettere di mescolare, la Bionda si girava di scatto e mi sorrideva. Una cosa che mi viene il magone solo a ripensarci. Una cosa che quando lo raccontavo a mia mamma, la sera, quando tornavo a casa, quando le raccontavo che la Bionda mi sorrideva, mia mamma diceva mavalà.

Quando non c’erano i cartoni ogni tanto leggevo, perché mi piaceva leggere, e a lei piaceva farmi leggere e sorrideva mentre mescolava il minestrone. Leggevo per modo di dire, ma leggevo. Leggevo Topolino, leggevo l’Unità, che in casa della Bionda, di Scelba, non mancava mai, leggevo la Gazzetta di Modena e TV Sorrisi&Canzoni. Lì, un giorno, su TV Sorrisi&Canzoni, mentre la Bionda era sempre a mescolare il minestrone, mi soffermo sulla foto di un manifesto elettorale, che per me era una foto bellissima, e manifesto elettorale, a quell’età lì, non sapevo nemmeno cosa fosse. La foto era bianca, a tutta pagina, con un garofano rosso che faceva da pavimento a un signore pelato con gli occhiali, distinto ma un po’ buffo, che ci camminava sopra. Allora avrò fatto un risolino, così tra me e me, e la Bionda si è girata per guardarmi, mescolando il minestrone, col suo solito sorriso a ricambiare il mio.

Nonna, chi è questo qui con gli occhiali? le ho chiesto, sempre col risolino, tirando su la pagina per fargliela vedere. La Bionda, Scelba, ha allungato il collo e subito è diventata seria. Ma seria tipo serissima, una faccia che non avevo mai visto, peggio di quella della mamma quando si arrabbiava, peggio, molto peggio, seria serissima come le zie cattive dei cartoni per ragazze. Smette di mescolare e si siede di fianco a me, seria serissima, io con l’ansia e quasi il fiatone, lei seria serissima. Marco, mi dice… Marco, guardalo bene, guardalo bene perché lui, questo qui, lui è il nemico. E io lo guardavo bene, il nemico. Lo guardavo bene sperando che la Bionda, Scelba, smettesse di guardare me seria serissima.

Oggi, che la Bionda non c’è più, tutte le volte che vedo quella faccia buffa e con gli occhiali in televisione o sento quel nome, buffo anche lui, perché vogliono metterlo su qualche strada, su una targa, o ribadire chi era e chi non era, insomma io vedo mia bisnonna, la Bionda, Scelba, Galavotti Angiolina, cognome e nome, che molla il minestrone e diventa seria serissima come le zie cattive dei cartoni per ragazze. Poi comincia l’ansia. E il fiatone. E se sto facendo un risolino, ecco, non sorrido più.

Il senso di Carlo per la nebbia

L'altra sera, tornando da Mirandola, c'era tanta nebbia che quando son salito su un piccolo cavalcavia mi sono accorto che l'avevo sceso solo davanti a un incrocio.

Ieri pomeriggio, cielo grigio su, asfalto grigio giù, mi sentivo in una bolla di vetro, immobile nel mio moto, e pensavo un po' anche ai Dik Dik...

Oggi a pranzo mia nonna ha detto che c'è una nebbia piccante e io le ho chiesto: "in che senso?" e lei: "che pizzica, sulla pelle..." Allora io avrei voluto chiederle se pizzicava come un peperoncino o un'ortica ma dovevo andare via. Così l'ho scoperto da solo. La nebbia, col cielo sereno e il sole, sembra un ghiacciolo al limone, un po' sciolto, che ti passa sulla pelle, e ti da quel bruciore lì.

Stasera tornando a casa da Modena ho acceso il riscaldamento per sbrinare i vetri e ho subito sentito un odore molto buono. Ho pensato ai fuochi che in questo periodo i potatori fanno con gli sfalci della vite, perché era un odore dolce e bruciato. Ripensandoci meglio era l'odore di frutti di bosco abrustoliti. Cosa ci faceva lì in quel pezzo di campagna tra Modena e Soliera, non lo so.

Stanotte ho rifatto il piccolo cavalcavia tornando da Mirandola e stavolta mi sono accorto di essere sceso ma poi la strada dopo m'è sembrata in salita, breve ma costante, per quasi un chilometro e comincio a chiedermi se devo tenere d'occhio la pendenza delle strade o del mio cervello. La nebbia era ancora lì, questa volta non era molto compatta, anzi. Bianchiccia, viscida, lattiginosa, una nebbia da film horror. Tornato a casa ho acceso la TV e ho visto Bettino Craxi. Volevo uscire di nuovo.

sabato 16 gennaio 2010

Pensieri In Apnea: il primo romanzo d'appendicite acquatica

seconda puntata

In questa settimana Carlo ha cominciato ad acclimatarsi.
Ancora è all'oscuro di alcuni rituali tribali tipici dell'habitat come l'alzarsi e andare a sgambettare in una piscina per bambini poco distante ma, ormai, alla fine della seconda settimana, viene salutato negli spogliatoi come se si fosse tra colleghi di turno o di reparto.
L'unico che si ostina a non salutarlo, quando ci riesce, è suo zio C.M. Lo zio infatti è talmente timido e riservato da risultare antipatico, ma Carlo lo sa che non è sgarberia, è solo un modo estremista per tutelare la sua privacy. Un uomo molto colto lo zio, nel suo studiolo Carlo a dodici anni ha sleggiucchiato Tropico del Cancro e Tropico del Capricorno, e forse potete immaginare le orecchie rosse e il batticuore di Carlo a leggere quelle pagine in incerta solitudine mentre la cuginetta stava al telefono con le amiche. Ovviamente Carlo capiva ben poco di quel che leggeva ma quel poco che riusciva a comprendere gli piaceva moltissimo.
Ma torniamo allo zio, frequentatore abituale e veterano della quarta corsia, quella degli Eroi della vasca, quella che quando partono in branco sembrano paracadutisti e che a guardarli tutti insieme, attaccati uno dietro l'altro, il braccio di uno subito dopo la gamba dell'altro, ti fanno venire in mente la dentellatura di una motosega elettrica. Carlo si chiede cosa succederebbe se per scherzo si parasse davanti al primo della fila. Maxi-tamponamento ed espulsione a vita dal mondo dell'acqua clorata. Ma forse è invidia, Carlo è ancora solo, senza compagnia e comprende benissimo che, in questa solitudine, la concorrenza e l'inseguimento diventino facilmente l'unico momento di riconoscimento dell'altro.
Il giorno dopo, ecco che che compare, come manna dal cielo, Nina Stiparic,amica e collega di alcune disgrazie lavorative di Carlo e insomma, tutto cambia. Il piccolo cervello rettile della competizione torna ad essere quello di un mammifero senziente, Carlo comincia a parlare a bordo vasca ed è entusiasta di questa apparizione. Nina adora fare le bolle in apnea, dice che è un ottimo modo per scaricare la tensione e che glielo insegnerà. Anche Nina non pratica sport da un po' ma è certamente più in forma, ha un'eleganza innata nello stile rana che Carlo può solo ammirare. Ed è una ribelle nata, dopo poche vasche comincia a muoversi tra le corsie-caste (quarta esclusa) e con Carlo comincia a cercare la corsia più libera. Carlo esce finalmente dal ghetto della prima corsia.
Due giorni dopo, per motivi onirici e lavorativi (o meglio non lavorativi) sia Nina che Carlo sono un po' alterati e girati male. Scoprono subito che nuotare arrabbiati è difficilissimo, l'acqua non si lascia maltrattare, anzi ti fa bere. La frustrazione inceppa i gesti e la complessità dell'insieme. Carlo si rinchiude a ragionare per compartimenti stagni e quando si concentra sulle braccia perde ritmo sulle gambe, quando recupera le gambe gli sembra di essere un frullatore a manovella che s'infossa di testa nell'acqua e quindi perde la respirazione. Calmandosi e scherzando con Nina arrivano a due conclusioni, una semplice, l'altra forse mistica:
a) Lo stile nel nuoto non è una successione lineare di movimenti complicati bensì un'armonia di gesti complessi e simultanei
b) il segreto nel nuoto è riuscire a "tenere l'infinito nel palmo della mano e l'eternità in un'ora" (W. Blake)
Il giorno successivo Carlo conclude la settimana in terza corsia.

venerdì 15 gennaio 2010

Su-per, Grechi e gli accenti in disuso

In questi giorni sto ripensando ai miei errori grammaticali, che sono stati tanti, chi mi conosce dalle medie o dalle elementari potrà sicuramente ricordarne alcuni veramente drastici e irripetibili, strafalcioni veramente lunari, la mia lotta per avere una parvenza di lingua con cui comunicare con tutti voi è stata lunga e ricomincia ogni giorno, ma quello che mi ha reso più incredulo è stato ricordare un'analisi logica di una frase che non ricordo se non nel punto dell'errore "super" che per me, in un eccesso di zelo e taglieggiamento logico e fonetico era diventato "preposizione composta o complessa di su + per". Confesso che ancora oggi mi chiedo fino a dove sarei arrivato a furia di sminuzzare e tritare le sillabe e le lettere.

Un'altro ricordo, doloroso, su cosa voleva dire sbagliare, non l'ho vissuto in prima persona ma mi ha terrorizzato per tutte le elementari (quando non dormivo sui banchi o tiravo gli elastici, industriali larghi 2 cm): il Maestro P. della sezione C accanto (un giorno, se volete, vi riassumerò la divisione in caste della scuola elementari Manfredo Fanti negli anni in cui la frequentai, oppure ricordatemelo voi...) un giorno spalanca la porta, interrompendo tutto e tutti, è ghignoso e malvagiamente felice (se l'avessi saputo all'epoca l'avrei soprannominato Il Grinch), tra pollice e indice ha un trofeo, il trofeo è F.S. una bambina di 11 anni in lacrime e tremiti, tenuta per l'orecchio e umiliata davanti a tutta la scuola, classe per classe, trascinata e costretta a confessare tra i singhiozzi di aver scritto "Grechi" al posto di "Greci". Anni dopo Bush figlio una cosa così l'avrebbe affiancata al waterboarding come tecnica di tortura lecita.

L'ultima cosa però non è un ricordo, è un'immagine che come tante mi si è scavata dentro con gli anni, qualcuno le chiama fantasticazioni, e condensa in pochissimo tutto il periodo delle elementari. Durante tutti quei 5 interminabili anni, tutte le persone preposte al controllo della lingua ci hanno sempre corretto quei segnetti aerei ed aureolati che stanno sopra le vocali, scivolando in avanti o indietro, a volte mettendosi sospese tra una consonante e una vocale o addirittura piegandosi come corone sulla vocale più nobile. Per noi pargoli questi accenti erano alette, deltaplani, ali di polistirolo nere in grado di farci volare e piroettare nella magia delle parole con più slancio e forza del solito: "mè, tè, c'elodà, non fà, cià, massé, il fiume pò, stà quà, zì, zazzà, si sà, un bel blù ecc. ecc." E siccome ogni volta ci tarpavano il volo il mio ricordo falso e automatico sulle elementari è: noi bambini tutti chini sui libri o fissi sulla maestra (orribile) mentre tutte le tristi alette nere di polistirolo prendono polvere e ragnatele negli angoli dell'aula. Fin

mercoledì 13 gennaio 2010

La meraviglia dei nomi 2

Lunedì.
Pomeriggio freddo ma piacevolmente secco e soleggiato.
Famigliola in gita sulla pista ciclabile.
Di colpo il ragazzino scatta in avanti.
Il papà, con voce brusca ma incerta: - Primo! piano...

ready-made


(via questo e quello)

martedì 12 gennaio 2010

in caso di bisogno

(Davvero)
davvero, parlo per esperienza, secondo me chi proclama la morte della stampa non ha in previsione due o tre cose, tipo avere un cane, scendere in bici dal Pordoi o ripitturare casa.

(Poi)
poi ho cercato dei quotidiani scrausi dal mio edicolante, qualcosa che non avesse reso, che mi potesse allungare sottoprezzo per farci cagare il cane. Libero o il Giornale van bene, gli ho detto, Libero, il Giornale, ma anche il Foglio, dài. Lui, sotto i folti baffi e lo sguardo da edicolante, mi ha detto che il Foglio non ne val la pena, perché la pipì del cane passa subito nella carta e finisce sul pavimento. Poi mi ha detto che a Libero e il Giornale i cani non si avvicinano, stanno lontani, perché ci sono scritte delle cose che fan puzza, che magari tutti gli uomini, tutti tutti, non se ne accorgono, ma i cani sì, loro annusano. Allora l'ho guardato negli occhi da edicolante e gli ho detto ok, dammi il manifesto, come sempre, che almeno lo leggo.

(E insomma)
e insomma, non ho intenzione di tornare a scendere il Pordoi in bici, ché non c'ho più l'età. Non ho nemmeno una gran voglia di ripitturare casa, anche se quella macchia di filtrato d'ancellotta sul muro andrebbe tirata via, prima o poi. Però devo far cagare il cane, quello sì. Lui, il cane, mi ha fatto capire che se metto un pdf sul pavimento, allora me la vado a cercare.

lunedì 11 gennaio 2010

Come si scrive un best-seller

Berlusconi mi raggiunse dentro la chiesa semidistrutta [dell'Aquila], abilmente puntellata dai vigili del fuoco. Si avvicinò a quel che restava di un antico confessionale e mi chiese:
- mi confessa? -
- Ci vorrebbe troppo tempo, Presidente - risposi.

B. Vespa, Donne di Cuori, Mondadori, pag. 491

sabato 9 gennaio 2010

Scarpe rotte

(Oggi)
oggi, sessant'anni fa, alle fonderie di Modena vengono ammazzati cinque operai, feriti altri duecento, dalla polizia. Oggi, sessant'anni fa, mio nonno Corrado mi racconta che l'han saputo quasi subito anche a Novi, a trenta e passa chilometri di distanza.

(Domani)
domani, sessant'anni fa, mio nonno Corrado si mette in marcia con un gruppetto di novesi, scioperano, metton su le scarpe nuove e s'incamminano fino a Modena. A Fossoli tirano su altri gruppetti come loro, e via andare; a Carpi fanno altrettanto, e via ancora, andare; lo stesso a Soliera, a Ganaceto, a Lesignana e a Ponte Alto, sempre lo stesso passo, senza rallentare, mi racconta mio nonno Corrado, senza rallentare fino alle fonderie, via andare. Sempre lo stesso passo, perché trenta e passa chilometri non sono uno scherzo per chi esce dal paese solo per le feste, magari col carretto e le scarpe nuove in spalla per andare a ballare alla festa de l'Unità di Carpi, che dicono sia la più bella e così grande.

(Oggi)
oggi, sessant'anni dopo, mio nonno Corrado delle scarpe non gli frega più granché. Si ricorda di quella volta ch'è andato fino a Modena a piedi, per lo sciopero generale, per l'eccidio alle fonderie. Ma quando si deve andare, mi racconta, c'è poi da ritornare, e le scarpe si son rotte. E allora a lui, oggi, sessant'anni dopo, delle scarpe non gli frega più granché. Ci voleva uno stipendio intero per comprare le scarpe nuove. Le scarpe nuove servono una volta sola l'anno, quando devi andare alla festa de l'Unità di Carpi a ballare.

(Domani)
domani, sessant'anni dopo, mi toccherà raccontare a mio nonno Corrado che poi le fonderie son diventate ex-fonderie, una discoteca, e io una volta, anni fa, ci ho ballato. Gli racconto di quella volta che sono andato fino a Modena, a trenta e passa chilometri di distanza, per ballare. Secondo me quella sera, anzi quasi sicuramente, almeno così mi ricordo, secondo me quella sera avevo le scarpe nuove. Le scarpe nuove per ballare.

Pensieri in apnea: le avventure acquatiche di Carlo Dulinizo

prima puntata

Hai trent'anni Carlo, da poco ma ce li hai.
Da sei non pratichi attività motoria, tranne le corsette per balzare sui treni e il sesso, che a sentire l'esperto, non conta.
I trenta li hai compiuti da poco e per ridimensionare il tuo senso di colpa provocato da bulimia culturale, hai deciso di non comprare più libri fino a che i non letti calano sotto la decina.
I Demoni, Paradiso Perduto, Don Chisciotte, Il Dottor Zivago, Sotto il Vulcano, Rayuela, Fratelli d'Italia, Guerra e Pace, L'uomo senza qualità... diciamo che hai provviste, per i prossimi tre inverni.
Inoltre con l'anno nuovo hai pensato bene di smettere di fumare, bravo, peccato per il set di pipa e tabacco che i tuoi amici ti han regalato qualche settimana fa. Hai provato, grazie ai loro consigli, ed è vero, è molto più rilassante e meditativo delle volgari sigarette... gli sbuffi azzurrini, il fuoco dei cerini e l'odore di tabacco buono bruciato, la quiete solitaria intorno a te, ma l'unica frase che ti lievitava nel cervello era: D'accordo, è piacevole ma perché lo sto facendo?
E sempre con l'anno nuovo hai scelto di andare a nuotare.
Hai atteso con ansia che riaprissero la piscina e il sette gennaio ti sei fiondato dentro.
Mentre ti spogli, irradiato dalle luci da obitorio degli spogliatoi, ti vedi bene, sei molto più bianco e flaccido di come ti sembrava solo ieri nella tua doccia.
Passi davanti a una vetrata e vedi la neve sulla piscina esterna - Fantastico - ti scappa a mezza voce.
Entri nella piscina coperta, la prima corsia è vuota, ti ci butti subito, titubante ma felice e cominci a nuotare, un po' a casaccio.
Dopo cinque minuti, in gergo tecnico, ti si rompe il fiato.
Dopo venti minuti, senza tecnicismi, ti senti morire.
Dopo trenta cominci a prenderci gusto.
Ti senti scoordinato e lo sei, la prima corsia, l'hai capito, è riservata ai più inetti, ai mega principianti, ma ti godi tutta quell'acqua solo per te.
Quando esci, dopo più di un'ora e mezza, la forza di gravità è un macigno, camminare è una cosa incerta, quasi strana, hai dell'uva passa al posto dei polpastrelli e le vene nella testa pulsano ma tu sorridi.
Hai lo stesso sorriso degli scalatori sulla cima dell'Everest.

venerdì 8 gennaio 2010

la meraviglia nelle piccole cose, tipo i nomi

(Prima)
prima di tutto vorrei ringraziare la sidgi, della quale ignoro il nome di battesimo, per aver dedicato un post a Raskolnikov, che voi potete chiamare Rasko. E vorrei consigliarvi di leggerla spesso, la sidgi: secondo me fa anche bene alla salute.

(Adesso)
adesso ho un cane, pensa te. Mi è capitato in casa così all'improvviso. E quando hai un cane gli devi dare un nome, e noi abbiamo scelto Raskolnikov, ma voi potete chiamarlo Rasko. In casa c'era già una gatta rossa, Grushenka, che potete chiamare Grush, e ci sembrava giusto, visto che per forza gli devi dare un nome, quando hai un cane, ci sembrava giusto chiamarlo Raskolnikov, anche se voi dite pure Rasko che non c'è problema. Quando hai un cane, poi, lo devi portare dal veterinario per fare tutti quei controlli dove lui, il veterinario Cucchi, gli guarda le zampe, i denti, il cuore e il bucio, e dove a un certo punto lui, sempre il veterinario Cucchi, gli fa un libretto dove stanno tutti i dati sulle zampe, i denti, il cuore e il bucio. A quel punto lì, al momento della compilazione del libretto, lui, il veterinario Cucchi, ci fa Com'è che vi chiamate voi? Lei, la mia Lei, Caterina, che eravamo dal veterinario Cucchi insieme perché è una cosa importante da fare insieme la prima volta, Lei, Caterina, dice subito Manicardi!, che è il mio nome, e non siamo nemmeno sposati, io e Lei, Caterina, viviamo insieme da quasi cinque anni ma non siamo mica sposati, e poi la casa è sua. E insomma, io lì per lì mi son commosso. Mi son commosso dal veterinario Cucchi.

(Poi)
poi oggi c'era l'esame delle feci. Ecco, per la prima volta nella mia vita m'è capitato di fare due chilometri in macchina con una merda in tasca.

Idee chiare: un anticipazione sul feuilleton di Barabba

Spogliatoio maschile della piscina comunale.
Orario pausa pranzo.
Un giovane istruttore di nuoto e due bambini di sette/otto anni.
Quello senza lucchetto chiede all'altro se può mettere la sua roba nell'armadietto dell'altro. Che risponde: - No! Io non lavoro in una biblioteca, in una libreria, o in una posteria ... io da grande voglio fare il pilota aeronautico!

giovedì 7 gennaio 2010

Le Dimensioni di Carpi

Stamattina, come tutti noi mortali, tra i giri che avevo da fare, sono andato a fare una ricarica per il cellulare. Sono andato in una tabaccheria del centro perchè era vicino alle poste e così, con la stessa strada facevo due cose in una, comodo no? Sono entrato nella tabaccheria e, saranno state le 12 e qualcosa, i terminali non funzionavano ma io ero andato lì proprio per quello, perchè in quel posto m'avevan già dato un paio di ricevute della ricarica e ogni volta il tipo dietro il bancone m'aveva detto - conservalo, così la prossima volta me lo ridai e ti rifaccio la ricarica al volo - giusto, bella idea, così la prossima volta non devo star lì a sillabare con tono marziale il numero del mio cellulare perchè tanto poi lui non ci sente dietro il plexiglass mentre intorno gli altri prendono appunti. E gli altri, gli altri avventori, quelli che non scheggiano via subito dopo aver preso sigarette o ricariche non è che sian proprio gente che vorresti aver vicino sul tram (che a Carpi non c'è)... diciamo per spiegarci che la tabaccheria è anche un punto snai, o forse snarck, dove si scomette sui cavalli, al lotto, sui cani e per giunta sui canguri, a giudicare dagli sguardi da Mr Croccodile Dundee che fioccano nella sala quando una spaurita segretaria in tacchi e rossetto entra a chiedere le sue sigarettine sottili sottili e bianche, e quindi non è esattamente un posto dove ti vien voglia di offrire da bere per le belle facce intorno, a meno che non hai un macete nella tasca dietro. Ma torniamo a noi, il foglietto ce l'avevo, piegato in due e seppellito tra gli altri nel portafoglio, ma ce l'avevo. Era da 15€ e tiro subito fuori un pezzo da 20€ così ho pure il resto che devo dar dei soldi a un amico che me li ha anticipati per un regalo. Ero piuttosto di fretta ma da gran signore quale sono, sopratutto nella terra dei canguri, attendo che la signora a fianco giochi il suo lotto (dacci oggi il nostro lotto quotidiano). - Non c'è linea! ma guarda te... è tutta mattina che fà così! - chi parla è una signora bionda sui quaranta, capelli e unghie lunghe, rossetto rosato tenue e sorriso macchiato di caffeina, che non ho mai visto dietro la traparenza della plastica. La signora accantona la lobottizzata e prova a scansionare il codice sul mio foglietto, niente da fare. Dobbiamo aspettare. Allora, siccome che sono di fretta, tiro fuori dalla mia borsa il maledetto cellulare e comincio a scrivere un messaggio per giustificare il ritardo , perchè non riesco a chiamare, ho pochi soldi e ho fretta, se non si è capito. Il mio cellulare, che è carino per carità, e ce l'ho da poco, è maledetto perchè ha una sgradevolissima impostazione che ancora non son riuscito a cambiare: quando gli schiacci i tasti suona come lo xilofono, e per ogni tasto c'è la sua nota. Quindi adesso provate a immaginare un tizio di statura media, con un bel montgomery grigio, la borsa di cuoio nera, quella della laurea, quella che sembri più un cardiochirurgo che un letterato senza futuro, le scarpe di cuoio nere, il cellulino quasi nuovo che fà tutti quei rumorini esotici attorniato da quaranta-cinquantenni coi denti gialli, le mani dure e ruvide, l'espressione e le frasi da semi-invalido ma con lo sguardo da faina, ora ditemi se non m'avreste riconosciuto a occhi chiusi, come un tucano tra i pinguini dell'antartide, e forse m'avreste soccorso, chiesto se m'ero perso, se ero forestiero o cosa? ma non c'è nulla da temere, la barba e i capelli lunghi informano gli autoctoni della cruda verità, anch'io sono un disperato, di altra specie ma pur sempre disperato. Siam fatti così, ci riconosciamo a naso...
Finalmente il terminale resuscita e tra il giubilo e gaudio collettivo esco coi foglietti mentre la vegliarda lottista si accanisce nella cabala numerologica - 7, 54, routa de napule, route de Torin, ecc. ecc.
Fuori mi volto a sinistra, sempre col telefunken in mano, e percorro cento metri circa, volto a sinistra di nuovo e prendo per Via Cesare Battisti (non quello vivo, purtroppo, fosse per me... altro che Craxi). Finisco di scrivere il messaggio, m'arriva la conferma di avvenuta ricarica, avanzo altri novanta metri, cambio lato strada e finisco sotto al portico dell'ufficio delle poste che visto bene mi è sempre sembrato un gelato gigante da spiaggia col biscotto sopra e sotto, solo che al posto del biscotto c'è il cemento armato e al posto del ripieno c'è del vetro. M'infilo davanti al primo bancomat, ma tanto è il deserto, son tutti dentro agli sportelli a sacramentare e pistolare coi pacchi di natale ritardatari.
Prelevo, apro il portafoglio e m'accorgo solo lì di avere ben 2 foglietti promemoria ricarica telefonica ma nessun resto in pecunia.
Guardo l'ora e l'orario d'arrivo del messaggio della ricarica, son passati meno di 3 minuti.
Torno indietro, a passo sostenuto, scavalco il lato della strada, cammino contromano, giro radente l'angolo a destra per tornare nella via della tabaccheria. Ci arrivo davanti. Tempo impiegato: 1 minuto e 30 secondi.
10 secondi d'indecisione, quelli che ti fanno vedere tutti gli scenari possibili fino a che gli scenari stessi, incuriositi, non ti dicono - E entra!.
Dentro non c'è quasi più nessuno, niente canguri, pochi koala e qualche dingo. Dietro al plexiglass è comparso anche il vero tabaccaio mentre la mia signora blondie finge di avere cose in sospeso da qualche parte da sistemare. La richiamo educatamente, foglietto alla mano: - Scusi, mi scusi, guardi, si ricorda? ho appena fatto la ricarica e avevo un pezzo da 20 in mano ma mi sono appena accorto che non mi ha dato il resto, o forse l'ha appoggiato e io non l'ho preso uscendo, si ricorda?
La signora mi guarda in faccia ma solo in un lampo e poi subito dopo i suoi occhi cominciano a zigzagare nell'ambiente come un ray charles redivivo e sbiancato.
E comincia a balbettare: - eeh, ma saran stati 15-20 minuti fa, e poi con tutta la gente che c'è...
Ecco quanto è grande e popolosa Carpi al giorno d'oggi.
E Fil, quelli erano i soldi per il regalo di F.

Per rintuzzare il tedio post-festività

Essendo solo uno dei tanti umanisti disoccupati (binomio ormai più diffuso di fragole + panna o leptospirosi + bambino scalzo), vi propongo anch'io qualcosa con cui ricacciare il desiderio di un'attività, solitamente inutile, che vi coinvolga per ore e ore, che vi faccia maledire le corse, le attese, gli scazzi, gli impegni accavallati, i fax, le attese, il briefing, il caffè delle macchinette, il fegato, la fiducia nell'umanità e che vi strappi dalle vostre dolci animelle caramellate:
  • Qui per i temerari, con energie (ingiustamente) represse, desiderosi di scioglere l'annoso nodo gordiano tra pd e sinistra extraparlamentare (tutta tutta, eh? nessuno escluso). Sezione disoccupati.
  • Qui invece per i veri amanti dell'ozio, delle voluttà e della saccenza. Sezione umanisti.

mercoledì 6 gennaio 2010

che Dio la manda

in qualità di massimo ingegnere umanista nella redazione di Barabba, visto e considerato il prolificare inarrestabile della parola neve nei socialcosi suppergiù tra la rete, non posso fare a meno di regalarvi due simpatici passatempo per allietare le vostre umide serate al calor del termosifone mentre fuori il mondo sbianca.

Passatempo n.1* (per ingegneri): lettura attenta del terzo capitolo di "Dante e le figure del vero: la fabbrica della Commedia" del grandissimo - che Dio l'abbia in gloria nei secoli dei secoli - Emilio Pasquini.

Passatempo n.2** (per umanisti): un giochino che tanto non capirete mai.

si ringraziano *
la Cate e **disabledAlpha per le segnalazioni.

martedì 5 gennaio 2010

Il Prigioniero di Emma: 2° episodio di Letteratura Rinfacciabile

Anch'io, come Mr Many, ero a quell'incontro surreal-letterario, gentilmente ospitato dallo stesso amico, al quale và il nostro plauso per averci fatto passare una giornata incredibile, e se sei a Milano fai fatica a crederci, e invece...
Comunque, c'ero anch'io, ero nel gruppo Avventura, capitanato da Maurizio Matrone, l'ispiratore di questo tipo di letteratura sostenibile, un originale, lo si è visto subito,un uomo che a quaranta e passa anni non si vergogna per le fette di camicia sopra i pantaloni sotto il pullover con lo scollo a V, cos'altro è? e ci siam ritrovati a dover riadattare questo passo di Madame Bovary:
La giornata seguente trascorse in una dolcezza nuova. Si fecero dei giuramenti. Lei gli raccontò le sue tristezze. Rodolphe la interrompeva con i suoi baci e lei gli chiedeva, contemplandolo dalla fessura delle palpebre, di chiamarla ancora per nome e di ripetere che l'amava. Erano nell foresta, come il giorno prima, in una capanna di zoccolai. I muri erano di paglia e il tetto era così spiovente che dovevano tenere la schiena curva. Se ne stavano seduti spalla contro spalla, su un letto di foglie morte.
Da quel giorno presero scriversi regolarmente tutte le sere. Emma andava a infilare la sua lettera in un interstizio del terrazzo, in fondo al giardino, dal lato del bar. Rodolphe veniva a prenderla e a metterci la sua, di cui lei lamentava sempre la brevità.
Un mattino che Charles era uscito prima dell'alba, fu presa dal capriccio di vedere Rodolphe, e subito. Non era difficile raggiungere la Huchette, rimanervi un'ora e rientrare a Yonville mentre tutti dormivano ancora.
mentre questa è la mia versione spy-anni '60
La giornata seguente trascorso con un brivido nuovo, per una segretaria. Si fecero giuramenti reciproci. Lei gli confidò di tutti quei file secretati. Numero 6 la interrompeva con i suoi interrogativi e lei gli sussurrava, sbiriciando dalla fessura delle palpebre, di non chiamarla ancora per nome e di ripetere che non l'avrebbe tradita. Erano nella hall, come il giorno prima, in un motel per camionisti. I muri erano di cartongesso e il soffitto era così marcio che istinitvamente tenevano la testa china per paura dei calcinacci. Se ne stavano seduti, schiena contro schiena, su due potrone di spugna dura.
Da quel giorno presero a scambiarsi informazioni regolarmente tutti i giorni. Emma andava a infilare il suo dossier trafugato in un infisso della finestra, in fondo al bar, dal lato dei bagni. Un'ora dopo Numero 6 veniva a prenderlo e a metterci il suo, di cui lei gli lamentava sempre la scarsità di valore.
Un giorno che Numero 1 era uscito di fretta e accompagnato dai suoi luogotenenti, fu presa dall'ansia di vedere Numero 6, e subito. Non era facile raggiungere il motel, attendere l'ora d'arrivo di Numero 6, avvertirlo e rientrare al Quartier Generale mentre tutti lo cercavano ancora. Ma sapeva che doveva farlo.
Mi sono divertito quel giorno, a tal punto che andrò avanti e, sempre se nessuno è contrario, vi proporremo i prossimi ibridi...