martedì 29 ottobre 2013

Uomini e topi: una storia cruenta di eterna lotta con la natura nella bassa modenese

Ambientazione: i miei abitano a Novi di Modena, al limitare del paese. Davanti sono tutte case e strade, sul retro è aperta campagna fino al canale “Fossa raso”, confine naturale tra Novi e Rolo. La casa è tutta a piano terra, più un mezzo primo piano dove stanno le camere da letto. Dopo il terremoto dell’anno scorso, i miei nonni sono andati a vivere lì con i miei. Popolazione, quindi: 5 persone: mia mamma (59), mio padre (60), mia sorella (26), mio nonno (88), mia nonna (82).
In autunno, quando le case cominciano a scaldarsi e le campagne a raffreddarsi, i topi sono soliti spostarsi spontaneamente verso i caseggiati che delimitano il paese, in cerca di cibo e calore. E c’è da affrontare la situazione. Niente di tragico, normale routine.

(continua sul frenfì… finché esisterà il frenfì.)

lunedì 21 ottobre 2013

Barabba Elettrolibri: Well NYC really has it all

Quando devo partire per un viaggio, guardo sempre sul blog di Buoni Presagi se per caso lui è già stato là dove ho in programma di andare: nell’economia spicciola della mia vita internettiana, i suoi report di viaggio sono un punto di riferimento, e mi sono sempre ripromesso di visitare il mondo un po’ alla volta con gli scritti di Buoni Presagi sotto mano, sperando di riuscire a vedere e raccontare le cose come le vede e le racconta lui [...]
La prossima settimana, se tutto va bene, vado a New York. [...] Quindi, qualche giorno fa, appena finito con le prenotazioni, sono andato sul blog di Buoni Presagi e ho saccheggiato i suoi post newyorkesi del 2011 per metterli sul kindle e affiancarli alla Routard. Poi mi sono ricordato di aver fondato una collana inesistente che non pubblica niente dal nome Barabba Elettrolibri, allora ho contattato il buon signor Presagi e gli ho chiesto se, a questo punto, non fosse il caso raccogliere i suoi post di viaggio, metterci anche le foto e farne un ebook per tutti. Lui mi ha detto che ero un matto, ma che comunque la cosa si poteva fare.
Well NYC really has it all è nato così.

Preso da una smania ridicola da editore inesistente che mi viene sempre quando faccio questo genere di cose, poco prima di mandare questo libro “alle stampe” mi è venuto in mente che nel mare magnum della blogsfera, e forse da quando la blogsfera esiste così com’è, c’è un altro blogger che gira il mondo in lungo e in largo, soprattutto per lavoro, e ne parla spesso in un modo del tutto invidiabile. SirSquonk, quando va in un posto, ha un sistema tutto suo per vedere le cose, un sistema che ha poco a che fare coi cinque sensi, ma che è piuttosto un “sentire” le cose che gli stanno intorno.
Così, alla fine, Well NYC really has it all è diventato un racconto di viaggio di Buoni Presagi, e in fondo ci ho aggiunto un’appendice dal titolo Greetings From New York con i post che ho preso in prestito dal blog di SirSquonk.

(un estratto dalla prefazione a Well NYC really has it all che ho scritto al volo ieri sera)
Ho deciso di non pubblicare Well NYC really has it all in pdf, perché, se siete di quelli che gli ebook li leggono in pdf, potete andare direttamente sul blog Buoni Presagi a questo indirizzo, o scartabellare nell’archivio storico del blog di SirSquonk, e semplicemente copincollarne i contenuti dentro a un documento qualsiasi.
Per quelli di voi, invece, che in viaggio si portano dietro i giabanini elettronici che servono per leggere, Well NYC really has it all è un libro elettrico che si scarica gratuitamente in epub e mobi.

Buona lettura.
E, nel caso, come nel mio, buon viaggio.

mercoledì 16 ottobre 2013

Scene da un autotrasporto: le perle (3)

«Non avere fretta perchè oggi la fretta porta una brutta bestia.»

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Le altre perle sono qui. E qui c'è lo spiegone.

sabato 12 ottobre 2013

Nel mio mondo perfetto (19)

Nel mio mondo perfetto, quando faccio un giro per Bologna, che anche se non ci studio più a Bologna è sempre bella Bologna, e capita che leggo un cartellone gigante dove c'è scritto: CLAUDIO BAGLIONI in concerto 12 OTTOBRE Arena JOE STRUMMER, allora, nel mio mondo perfetto, avviene una magia e i due nomi propri di persona si scambiano.

giovedì 10 ottobre 2013

Se potessi avere mille vecchie lire

Oh, è già la sesta volta che inizio il pezzo che mi hai detto di scrivere su Giuseppe Verdi e non ci riesco mica, a dire tutte le cose che volevo dire.

Volevo dire che la prima volta che ho visto Giuseppe Verdi è stata la prima volta che mia mamma mi ha dato mille lire.
Volevo dire che la prima volta che ho sentito la musica di Giuseppe Verdi è stato con uno sceneggiato della Rai che mia madre voleva assolutamente vedere e che vidi anch'io puntata per puntata e mi appassionai un casino.
Volevo dire che sono proprio orgoglioso che sia emiliano e che anche se c’è una grande disputa sul dove fosse esattamente Roncole di Busseto, direi che allora sono orgoglioso che sia della pianura padana e che sia un peccato che la parola “padano” abbia preso quella piega lì.
Volevo dire che è stato anche un parlamentare e poi quando si è reso conto che non era il suo mestiere è venuto via, che è mica da tutti.
Volevo dire che uno che, nel 1848, quando il tuo paroliere ti sollecita per delle scadenze e scrive “che musica avete composto maestro?” risponde “L’unica musica che voglio sentire è quella del cannone” ha tutto il mio rispetto.
Volevo dire che da piccolo il prete lo buttò fuori dalla chiesa e lui gli disse “C’at vegna un fulmen” e poi un fulmine colpì il prete di Busseto per davvero, lasciandolo secco.
Volevo dire che uno che per tutta la vita cerca un’opera buffa e poi ci chiude la carriera secondo me è un grande.
Volevo dire che quando lo chiamavano “Maestro” e lo definivano “compositore” o “musicista” lui rispondeva che era un “Uomo di teatro” e infatti a parte opere drammaturgiche non è che abbia composto molto, però poi quando ha scritto la Messa da Requiem provalo tu a fare un “Dies Irae” così.
Volevo dire che quando si scriveva con i suoi librettisti diceva che bisogna dare “un occhio all’arte e uno alla cassetta” e oggi invece lo vediamo come uno che ci parla da una vetta irraggiungibile e che secondo me è un poco come quando Tom Petty diceva “Mai capito a cosa servisse fare dischi che non piacciono a nessuno”.
Volevo dire che in neanche 3 anni ha buttato fuori dal cilindro “Rigoletto”, “Il trovatore” e “La traviata”, scritti e orchestrati.
Volevo dire che “Rigoletto” doveva essere censuratissimo e lui ad un certo punto disse una cosa che fa molto ridere ma se la dico poi rovino il finale a chi non ha mai visto quell’opera lì, che in assoluto (volevo dire anche questo) è la mia preferita.
Volevo dire che in generale la censura e i vari finanziatori delle opere di Verdi gli hanno sempre rotto le balle un sacco facendogli fare aggiustamenti qui e aggiustamenti là e spostandogli delle trame intere, roba che a confronto quando oggi una compagnia discografica dice che vuole “un missaggio diverso” per un disco di musica rock, la band di turno dovrebbe dire “Si, va bene” e basta.
Volevo dire che a Verdi gli hanno fatto due funerali.
Volevo dire che Verdi disse a Boito “Poche parole, ma significanti” perché voleva sfrondare dai libretti il più possibile.
Volevo dire che mentre Tchaikovsky (o come si scrive) nel primo movimento della Sinfonia Nr. 6 “patetica” ha il suo bel tema discendente che torna a farsi sentire cento volte perché doveva essere un bel filone e aveva capito che più volte lo faceva sentire e più volte i russi si pisciavano addosso dalla commozione, Verdi si permette di tenere “Amami Alfredo” e il suo motivetto appena in otto battute, sedici se contiamo l’ouverture, e che nell’Aida, nell’Otello e nel Falstaff inizia una scrittura dove c’è un flusso narrativo continuo e dove ci sono temi che altri avrebbero ripetuto cento volte e lui invece pum, una botta e via e chi c’era c’era, che è un bel lusso.
Volevo dire che quel lusso lui ha cominciato a pensarlo già ne “I vespri siciliani” e da lì in avanti perfeziona sempre quella ricerca lì.
Volevo anche dire che è vero che la sua seconda opera, “Un giorno di regno”, è una roba da poco paragonata al resto, ma provateci voi a scrivere un’opera buffa mentre vi muoiono la moglie e un figlio e poi vediamo come vi viene.
Volevo anche dire che alla fine gli “anni di galera” non è che poi siano stati così di galera, nel senso che lui ha usato quest’espressione soltanto una volta e che quando è andato a curarsi alle terme dicevano che non stava mai fermo, che era un vulcano e che aveva voglia di lavorare.
Volevo dire che “Nabucco” non è tutto questo lavoro rispetto al resto, però poi quando parte il “Va’ pensiero” uno non è che poi possa star lì tanto a parlare, dopo.
Volevo anche dire che, a parte la Strepponi, ci sono delle lettere dove dice “Salutami chi sai tu” in una maniera che secondo me la Strepponi quando passava dalle porte un poco si doveva chinare, ma magari mi sbaglio.
Volevo dire che non doveva mica esser facile vivere con una donna facendoci le cose che fanno uomo e donna senza sposarsi, nella seconda metà degli anni ‘50. Soprattutto nella seconda metà degli anni ’50 del secolo diciannovesimo.
Volevo dire che al mio funerale mi piacerebbe molto che qualcuno cantasse “Arrigo parli a un core” da “I vespri siciliani”, però ci vorrebbe anche un pianoforte e quindi mandata da un disco va benissimo e a questo punto mi piacerebbe che la voce dentro al disco fosse quella di Katia Ricciarelli.

Volevo dire che volevo dire un altro casino di cose, ma non riesco mica a dirle, facciamo che pubblichi questo coso qui e anche se è fatto male e scritto peggio poi uno se lo legge se vuole e sempre se vuole si incuriosisce e ci pensa poi da solo ad avvicinarsi a Verdi, che in fondo Verdi è POPOLARE nel miglior senso del termine.

mercoledì 9 ottobre 2013

Le interviste alla rovescia: Emanuele Vannini

Un mese fa – forse anche meno – è uscito Il Tensore di Torperterra, primo libro, o esordio letterario, come si dice, di Emanuele Vannini. Dato che l'ho letto in una settimana e ne sono rimasto estasiato, dato che non pubblicavamo da un po' di tempo delle interviste alla rovescia, dove è lo scrittore a fare le domande al lettore perché viceversa gli autori dicono sempre le stesse cose, e dato infine che Vannini lo conosco bene, mi è capitato di berci insieme, e ha partecipato alle nostre Schegge di Liberazione con un pezzo dal titolo Va là tugnino che leggiamo spesso e volentieri dal vivo; date tutte queste cose, gli ho chiesto se aveva voglia di farmi delle domande su Il Tensore di Torperterra. Lui me le ha fatte, io ho risposto, dopo è arrivato osvaldo e ha risposto anche lei. E quella che segue è la quarta intervista alla rovescia di Barabba.

Emanuele Vannini – Ciao Barabbi, grazie mille di aver letto il mio libro e di avermi interpellato. Grazie mille anche perché, senza l’esperienza degli Schegge di Liberazione, il mio libro non sarebbe mai stato scritto. Mi piace parecchio l’idea di questa intervista rovesciata, quindi iniziamo subito senza tanti giri, dài. Io ho scritto Il Tensore di Torperterra visto che Blonk.it, nella personciona di Lele, ha avuto la bontà di chiedermi di farlo e la pazienza di leggerlo e migliorarlo. Di cosa parla?
Many – Ciao Vannini, vedo che abbiamo preso subito la piega dell’interrogazione. Molto bene. Penso che Il Tensore di Torperterra parli della Romagna e dei romagnoli. Della Romagna e dei romagnoli costieri, soprattutto. Anche se dentro ci sono la matematica, la guerra, la psicanalisi e un cane, quello che viene fuori dal Tensore è la vita di un paese costiero, un paese come un altro, coi suoi abitanti, la sua storia. Poco dopo aver iniziato il libro, mi è capitato di andare a Divertimentificio (come viene chiamata Rimini nel libro) e quando sono tornato a casa ho deciso di fare un po’ di litoranea, per quella sfilza che non finisce mai di paesini uno attaccato all’altro che c’è su tutta la Riviera romagnola, e mentre li attraversavo, che ormai non hanno più l'ombra di una periferia, li divide solo un cartello, e a destra avevo il mare, a sinistra gli alberghi e le case che a fine settembre cominciavano a svuotarsi, mi dicevo: diobò, qui è tutto Torperterra.
osvaldo – Vede, Vannini, il Many si impressiona dell’Adriatico, della costa, del mare. Io e lei invece sappiamo che questo suo Tensore parla di casa, di intima casa. E che la Romagna qui è solo un pretesto. Il miglior pretesto da suo punto di vista, logicamente, per parlare di uno spazio intimo come la casa. C’entra qualcosa il moscone? Ah no, scusi, il Many mi ha detto che non posso far domande.

E.V. – Il mio romanzo viaggia su livelli temporali diversi: i capitoli “dispari” sono ambientati in un presente non troppo specificato, mente i capitoli “pari” sono ambientati tra la primavera e l’estate del 1944. Il Tensore vuole essere un libro divertente; scrivendolo, mi sono trovato a far quasi fatica a infilare cose serie nei capitoli dispari e cose che muovessero al sorriso nei capitoli pari. C’è troppo “salto”, tra le atmosfere e i temi dei capitoli?
M. – Te forse non ti rendi mica conto di come sia semplice per il lettore, e quasi naturale, mi vien da dire, saltare dal tragico al comico, che in fondo sono la stessa cosa, o comunque vanno volentieri in giro insieme. Come dice il grande filosofo contemporaneo Learco Pignagnoli: «Se non c'è niente da ridere vuol dire che non c'è niente di tragico, e se non c'è niente di tragico, che valore vuoi che abbia.» Toh mo.
o. – Generazioni cresciute con Ritorno al futuro capiranno perfettamente. Anche quelle che non ci sono cresciute, tanto lo hanno visto praticamente tutti quel film: stia sereno.

E.V. – Il libro è un’opera prima (probabilmente anche un’opera ultima, ché è stata una fatica bestia e poi mica ci avrei scommesso neanche un caffè, che arrivavo in fondo): voi che siete gente che i libri li consuma come l’olio quando si fa la bruschetta, avete ravvisato ingenuità o mancanze dovute alla mia mancanza di esperienza, di abitudine a scrivere cose lunghe?
M. – Le cose che fanno un po’ venire il nervoso del Tensore di Torperterra sono essenzialmente legate all’editing (qualche refuso, gli interlinea troppo grandi dopo i paragrafi, cose così), ma da quelle sei discolpato. Forse ci sono delle ingenuità in certi punti della prosa (molto pochi, in verità; due o tre, diciamo), tipo alcune metafore un po’ troppo spinte, ma non lo so, tutto sommato sono belle lo stesso. Ecco, una cosa che mi è piaciuta molto, e che secondo me hai cercato ma non più di tanto, e forse t’è venuta così bene più che altro per ingenuità o disabitudine, è il montaggio di alcune scene in maniera cinematografica, anzi, proprio da serie TV. Non c’è traccia di manierismo, ti è venuta così spontanea che leggerla è un piacere.
o. – Ho pensato, in diversi punti, di volere leggere ancora qualcosa e che quel che avevo letto fosse troppo poco. Per come la vedo io, quando si legge di un personaggio in un libro, si può avere il desiderio di portarselo in giro oppure no. Quando capita la prima cosa, è un peccato se poi quel personaggio non può uscire e ha da fare altrove.

E.V. – La scrittura, per come son capace di usarla io, è un mezzo per sfogarsi, una valvola di sfogo emotiva e di vissuti. Nel Tensore ho scelto di scrivere cose che vorrei i miei figli leggessero tra vent’anni (anche prima, magari). Ci sono come dei flash, in giro per il libro, di cose che volevo dire. Lo so che la domanda è confusa, ma la faccio lo stesso: c’è qualche passaggio o qualche frase quasi “di sfogo” che vi è rimasta attaccata addosso?
M. – Sarà anche per via delle Schegge di Liberazione, ma forse le parti ambientate nel 1944, con i relativi sfoghi, sono quelle che mi si sono appiccicate di più. Penso che tu abbia fatto un gran servizio ai tuoi figli. E anche ai miei (per adesso non ne ho, ma chissà, tra vent’anni).
o. – Come il Many, tranne per la questione dei figli.

E.V. – Secondo me, scrivere è uno spazio di libertà: puoi fare succedere tutto quello che ti pare, come nei sogni. E, come nei sogni, chi scrive crea personaggi – a volte partendo dalla vita reale – e li fa agire e vivere. Così come nei sogni, quindi, tu sei tutti quelli che sogni (poiché inconsciamente ci metti del tuo), nei romanzi – se sei l’autore – sei tutti i personaggi. Però, quando il libro esce, questi personaggi smettono di essere “tuoi”: parlano, vengono immaginati e si raccontano al lettore, che li fa propri. Non è più roba tutta mia, è roba vostra. Se qualche volta ne parliamo, è roba nostra. Nel mio libro, c’è qualche personaggio che vi risuona di più, che avete “fatto vostro” maggiormente?
M. – Per me è il barbiere. Lui e il suo negozio sono talmente fondamentali che il libro potrebbe anche chiamarsi Il TONSORE di Torperterra. Ce ne sarebbe un altro, di personaggi, che mi ricorda molto un mio parente che adesso è morto, ma se lo dico spoilero delle cose e non mi va. L’ultima volta che ci siamo visti ero arrivato a metà libro. Era un bel po’ che non ci incontravamo – un anno? La blogfest 2012? Boh... – e sono contento che ci siamo incontrati perché dopo averti sentito parlare nella seconda metà del libro i dialoghi avevano tutto un altro accento.
o. – Il barbiere anche io, perché ne conosco uno, al mio paese, che gli assomiglia molto e una volta gli ho domandato di tagliarmi i capelli. E lui mi ha guardato e ha detto: “Sei una signorina, vai dalla parrucchiera.” Credo sia stata la prima volta in cui ho pensato alla questione del genere in vita mia. Solo che avevo 8 anni.

E.V.Il Tensore di Torperterra è stato scritto di notte, tra l’una e le tre – tre e mezza. Avevo tempo anche prima e durante il giorno, ma io sono un po’ pipistrello, e le cose importanti le ho sempre fatte di notte. Quando stavo in cucina da solo e rileggevo, data l’ora, ero in piena esposizione emotiva da “Di notte sembra tutto più grande”, così delle volte ridevo e delle volte piangevo da solo, come un patacca, a causa di cose che avevo scritto poco prima. Era mia speranza che – per qualche strana forma di magia fatta di segnetti che ballano su un foglio - questa attivazione emotiva si riuscisse a “respirare”, a farla propria, leggendo il libro. E’ così?
M. – Non lo so. Secondo me fai delle domante troppo lunghe. Comunque, quando ho iniziato a leggerlo stavo mangiano un’insalata con i pomodori, il tonno e i fagioli in un bar dove vado sempre in pausa pranzo. A un certo punto ho dovuto controllarmi perché stavo ridendo con le ganasce spalancate e a momenti mi affogavo con un fagiolo. La gente del bar mi guardava come si guardano i matti. Il giorno dopo, in pausa pranzo, ho letto il primo dei capitoli sulla guerra e lì invece ho dovuto buttar giù un magone o due. Meno male che stavo mangiando un panino con la cotoletta, che è più gestibile in questi casi.
o. – Non ho capito la domanda. Ho capito solo patacca.

E.V. – È un bel libro?
M. – Sì. È un bel libro. Mi sbilancio un po’ di più: per quanto rispecchia la terra di cui parla, la sua gente, la sua storia, la sua lingua; per i personaggi che sono tutti e soli quelli che servono per raccontare la storia e sono perfettamente delineati e indispensabili l'un l'altro; per la vita che c’è tra le pagine, la comicità, la tragedia; per queste e molte altre cose, secondo me, è un'opinione personale, prendila così, come viene, ma secondo me Il Tensore di Torperterra ha tutte le caratteristiche per essere – adesso magari esagero, dico una cosa grossa – un classico.
o. – Che logorroici che siete! Sì.

E.V. – Bòn. C’ha ragione “o.”, per cui la faccio corta. Vi ringrazio di avermi chiesto di farvi delle domande e di aver pure risposto. Ciao Barabbi, state bene.
M. – Saluti a te, Vannini. Ci vediamo presto.
o. – Ciao.

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Il Tensore di Torperterra è stato pubblicato il 16 settembre 2013 dell'editore Blonk, che fa solo libri elettronici (se questo per voi è un problema, è un problema vostro). Si trova in tutte le librerie online d'Italia: Amazon, Bookrepublic, Simplicissimus, eccetera. Io, fossi in voi, lo comprerei e ne godrei come si deve. Poi fate come vi pare.

venerdì 4 ottobre 2013

Son fatto così (21)

Son fatto che, per esempio, quest'estate, alla Festa del PD di Carpi, ho incontrato un ragazzo di quella che una volta si chiamava sinistra giovanile, e che adesso forse si chiama gioventù democratica, non sono sicuro, ma comunque, aveva una maglietta con su scritto:
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.
(Bertolt Brecht)
Gli ho picchiettato sulla spalla.
«Ciao,» gli ho detto.
«Ciao,» mi ha risposto.
«Quella frase lì.»
«Bella, vero?»
«Non è di Brecht.»

Si è messo a sorseggiare una birra nel bicchiere di plastica che aveva in mano. Anche io.
Poi siamo andati via. Lui di là, io di qua. Son fatto così.