lunedì 29 aprile 2013

Sabato che viene

Lo scrivo anche qui perché è una cosa importante.
Se per caso sabato che viene, il 4 maggio, siete dalle parti di Cambiano, in provincia di Torino, alla Fornace Carena, che mi dicono essere un posto molto suggestivo, c'è la Festa della Solidarietà, dove si raccoglieranno due lire per le cause terremotate del mio natìo borgo selvaggio, Novi di Modena.
Ci sarà la Fanfara di Montenero, ci sarà la festa, e ci sarà anche del gran gnocco fritto, quello con l’articolo determinativo maschile singolare.
Nel pomeriggio, io e la mia signora, probabilmente accompagnati da una tromba della Fanfara, leggeremo delle cose, in un discorso che s'intitolerà Tutta palestra e che forse, ma non è ancora detto, inizierà così:
Buongiorno.
Io mi chiamo Marco Manicardi, di mestiere faccio l’ingegnere, sono nato a Carpi nel 1979, nello stesso ospedale dove una nostra conoscente, la mattina del 29 maggio del 2012, ha iniziato a partorire in sala operatoria e, nel primissimo pomeriggio del 29 maggio del 2012, ha partorito un bambino bellissimo nel parco fuori dal pronto soccorso. Comunque, io mi chiamo Marco Manicardi, sono nato a Carpi e ho vissuto a Novi di Modena i primi 26 anni della mia vita, poi sono andato a stare in centro storico a Carpi con quella ragazza lì che si chiama Caterina Imbeni, che è nata a Carpi nel 1980, lavora all’anagrafe e adesso vive con me.
Il centro storico di Carpi, dove abitiamo noi, è stato zona rossa per qualche settimana, a fine maggio, inizio giugno del 2012, ma io e lei, che siamo giovani e un po’ sprezzanti del pericolo, e poi casa nostra era miracolosamente rimasta intatta, siamo tornati a dormirci dopo neanche due settimane dal 29 maggio 2012. Siamo stati praticamente i primi.
Qui c'è il volantino.
Se venite, ci fa piacere.

venerdì 26 aprile 2013

mercoledì 24 aprile 2013

Natale non è Natale senza Schegge di Liberazione

Domani, che è il 25 aprile, oltre che San Marco, forse qualcuno ve ne ha già parlato, dalle 19:30 nel Cortile D'Onore di Palazzo Pio a Carpi, ci sono le Schegge di Liberazione con il Coro della Mondine di Novi di Modena.
E delle altre cose.

Qui il programma completo degli eventi che partiranno dall'Ex Campo di Concentramento di Fossoli, passeranno per il castello e finiranno al Mattatoio.

Fossi in voi, verrei.

martedì 23 aprile 2013

Scene da un autotrasporto: le perle

Lavorare in un magazzino di stoccaggio a contatto con i camionisti e con i carrellisti tutto il giorno implica una dose di pazienza fuori dal normale ma regala momenti di irresistibile ilarità, dovuti prevalentemente a un uso della lingua italiana incredibilmente elastico. Non sta bene ridere dell’ignoranza altrui, in fondo ognuno di noi è ignorante fino a quando non entra in contatto con la conoscenza e la assorbe. L’asticella viene dunque sempre spostata un po' più in là, e così diventiamo persone migliori.
Non bisogna nemmeno dimenticare che queste persone, che magari non mettono in fila due verbi all’indicativo, sono magari in grado di smontare e rimontare un carburatore bendati, mentre il sottoscritto una volta che ha dovuto cambiare una gomma si è trovato in notevolissime difficoltà.
Insomma, ognuno di noi è ignorante a modo suo. O per dirla come diceva un camionista che commentava alcune frasi razziste scritte sul banco firme del nostro ufficio, “Ma cosa ci vuoi fare… è tutta questione di ignorantità”.

Un grande intellettuale come Pier Paolo Pasolini si trovava spesso a glorificare questi ceti di cultura bassa della popolazione.
Però, ecco, come dire, quando poi ci sei a contatto tutti i giorni non è che riesci a non ridere tutte le volte e anche Pasolini vacilla. Perché anche mentre scrivevo queste righe uno ha detto una massima di grande saggezza: “C’è gente che mangia per lavorare. Io lavoro per mangiare.”
Cos’avrà voluto dire?

Di seguito, una piccola selezione di perle.
  • Quattro orecchie e quattro occhi sentono meglio degli altri.
  • Ma guarda, c’hai ragione. Oramai adesso non corro più. Sai no, come si dice? “Che sto qui sto a Roma, che sto a Roma sto in Francia”.
  • Lunedi devo andare a mettere dei timbri al passaporto. Il tempo che vado là, me lo vitamizzano e poi vengo a lavorare.
  • A occhio visivo quante palette sono?
  • Si ok. Ti mettiamo a posto il carico ma non è che lo facciamo sempre, è una cosa spudorata.
  • (Uno sbadiglio enorme e poi) YAWN! Coma profonda.
  • Ognuno deve guardare in faccia alle sue opportunità.
  • Non puoi andare a vedere il telefonino di uno, c’è la PRAISIN, ci vuole il mandato.
  • La Bosnia Herzigova.
Forse questa diventerà una rubrica.

venerdì 19 aprile 2013

Solo i politici e una vecchia gloria, ovvero: Barabba on TV

Manca poco al 25 Aprile, lo sapete, lo sappiamo, ma ve lo ricordiamo, perché Natale è Natale.

Ma per spiegarvi ben bene tutto quello che succederà in quel giorno meraviglioso a Carpi (Mo), che si comincia al mattino e si va avanti fino a sera, e si sta in centro e poi si si va all'ex-campo di Fossoli, poi si torna in Castello poi si va al Mattatoio, che è il posto dov'è nato Schegge di Liberazione, c'hanno dato l'opportunità di spiegarlo meglio anche in Tv. Su TRC. Che per noi modenesi e limitrofi, è la tv che ti dice cosa succede dove sei te, lì, dove vivi te, e pensi sempre Ma va che roba? ma te lo sapevi?
Tanto per farvi un esempio, qui c'è un video con delle signorine che dovreste conoscere anche voi: le Mondine di Novi.

È andata più o meno così.
Ci siam ritrovati un lunedì pomeriggio di inizio aprile, poco fuori Modena, in una zona piena di antennoni e ripetitori.
Eravamo io, Stefania dell'Anpi Carpi, Silvia della Fondazione Fossoli, Mister Alessandro Flisi per il settore cultura del comune di Carpi, Mirco per l'Arci di Carpi, che ci ha convinti, noi titubanti spettatori, ad andare dall'altra parte dello schermo.

La puntata, trattandosi di tv, era ovviamente registrata e potete seguirla oggi, mi raccomando, solo oggi,  in live streaming, alle  12:45 e alle 18:15 (seguite entrambe le puntate perché sono una l'approfondimento dell'altra e diremo cose diverse). Per vedere lo streaming c'è un riquadro a destra, più o meno a metà della homepage, con sopra scritto TRC Live Streaming cliccate e ci vedete.

La trasmissione che ci ospita si chiama A Ghè Barbi Show, che, mi rendo conto, per chi non è delle nostre zone, può sembrare uno show di poco conto, una roba d'intrattenimento, invece è uno show seguitissimo che vuole far conoscere a tutti quelli che lo seguono le belle storie, iniziative, esperienze sparse nelle nostre terre.

Lo show (trasposizione letterale dal dialetto, C'è Barbi Show) è incarnato nella figura di Andrea Barbi, aitante essere mitologico dei tubi catodici provinciali e regionali. Andrea, armato di un microfono infilato in un coccodrillo di gomma, ha cominciato anni fa a fare una trasmissione geniale, chiamata Mo pensa te, in cui si avventurava per le vie di Modena e provincia a chiedere alla gente per strada i significati degli strani modi di dire e dei proverbi delle nostre parti. Poi, alla fine della puntata, uno studioso, un linguista, un filologo, davano la corretta interpretazione, ma è bellissimo ascoltare gli sragionamenti della gente messa davanti a queste domande. Quasi un'accademia della semola perenne e popolare.
Andrea ormai è talmente famoso che quando qualche anno fa abbiamo cenato insieme alla festa dell'Unità di Modena (era l'ultimo anno con quel glorioso nome), mentre mi raccontava i segreti del mondo della comunicazione televisiva, era interrotto e salutato da mucchi di persone che, ogni due per tre, a ogni piè sospinto, lo salutavano, lo baciavano, buttavano lì una frase, una pacca, un sorriso. E Andrea, in gambissima, salutava, scherzava e sorrideva altrettanto. Tutto il tempo. Ogni cinque secondi qualcuno con gli occhi pieni di simpatia e di ammirazione, lo avvicinava. E dentro di me, a lui non gliel'ho detto, mi son detto: questo qui è meglio del papa, ma anche del dalai lama, altroché!

Appena seduti sul set, Andrea, per metterci a nostro agio, prima di andare in onda, c'ha spiegato una cosa fondamentale per non farci perdere il filo: Quando parlate, parlate con me, guardate me. Ci pensano le telecamere a inquadrarvi, non guardate in camera, guardate me.
Che in effetti ti viene anche spontaneo e naturale.
A sentir lui, gli unici che avesse mai intervistato in grado di parlare direttamente in camera, sono i politici di professione e Bettega.
Alla fine è andato tutto bene, tra poco lo vedrete.
Se mi vedete un po' confuso, non è solo perché ero emozionato, ma anche perché non mi ricordavo chi era 'sto Bettega.

E poi, alla fin fine, quando mai mi ricapita di poter spiegare, con imbarazzati giri di parole, cos'è un reading in modo che anche i nonni che seguono la trasmissione capiscano cosa andiamo a fare in giro per l'Italia?
Sembra incredibile ma è tutto vero: Barabba on Tv.

giovedì 18 aprile 2013

Biografie essenziali (151)

Il 27 gennaio 2010, il nostro buon simone rossi scrisse un pezzo che finiva così:
Alice Herz-Sommer ha 106 anni, vive a Praga ed è l’ultima persona vivente ad aver conosciuto personalmente Franz Kafka. Ogni giorno suona il pianoforte per tre ore.
Il 15 aprile 2012 inserimmo quel pezzo nel nostro libro elettrico E far l'amore anche se il mondo muore, e modificammo la frase così:
Alice Herz-Sommer ha 108 anni, vive a Praga ed è l’ultima persona vivente ad aver conosciuto personalmente Franz Kafka. Ogni giorno suona il pianoforte per tre ore.
Stasera lo leggeremo dal vivo, e lo leggeremo così:
Alice Herz-Sommer ha 109 anni, vive a Praga ed è l’ultima persona vivente ad aver conosciuto personalmente Franz Kafka. Ogni giorno suona il pianoforte per tre ore.

martedì 16 aprile 2013

E far l'amore - Come se fosse la prima volta - anche se il mondo muore

Un titolo lunghissimo. E intenso.
Proprio così.
Con questo titolo lunghissimo e intenso che fonde e unisce due titoli, uno nell'altro, senza cedere o perdere niente ma anzi potenziandosi a vicenda, nasce l'ultimo appuntamento che ci vede ospiti ancora una volta in quel di Soliera (Mo). Ultimo per questa rassegna, in futuro si vedrà.
Ci trovate questo giovedì 18 Aprile (che il prossimo per noi è Natale) alla Biblioteca Campori di Soliera (Mo) dalle 21.
Update: in previsione della grande affluenza ci spostano al Cinema Teatro Italia, vicinissimo, ma ovviamente molto più capiente. Sempre a ingresso gratuito.

E far l'amore anche se il mondo muore è il nostro ebook nato l'anno scorso dalla collaborazione con la Fondazione Ex-campo di Fossoli e presentato al Museo Monumento al Deportato di Carpi in data 15 Aprile 2012.
Come se fosse la prima volta è il meraviglioso e toccante documentario di Federico Baracchi e Roberto Zampa che ci fa vedere i campi di Aushwitz e Birkenau e ci fa sentire le voci, le considerazioni e i pensieri degli oltre seicento studenti (seicento studenti in 30 minuti, praticamente dei maghi) che l'anno scorso, in gennaio, tra gelo, orrore e comprensione, hanno affrontato il duro e vitale Viaggio della memoria sul treno da Fossòli a Cracovia. In quell'occasione, su quel treno, eravamo presenti anche Many e il sottoscritto e in qualche modo abbiamo cercato di raccontervelo.

Prima di cominciare a scrivere questo piccolo reminder stavo cercando un paio di riflessioni sulla Memoria, e in particolare vena iconoclasta, mi sono detto che, anche se Theodor Adorno nel 1949 sosteneva che " Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie", noi vorremmo provare a farvi sentire cosa devono aver passato quelle vite, anche se in minima parte, con tutto il divario presente tra le nostre scarse capacità e l'immane tragedia.
Poi ho controllato meglio e ho scoperto che nel 1966 Adorno si era rettificato da solo e giustamente scriveva"La sofferenza incessante ha tanto il diritto di esprimersi quanto il martirizzato di urlare; perciò sarà stato un errore la frase che dopo Auschwitz non si possono più scrivere poesie".

Tralasciando l'uso della forma impersonale per segnalare un proprio errore, la riflessione di Adorno è ancora oggi corretta, umana, valida per tutti casi in cui la memoria ci permette di non dimenticare stragi, massacri, guerre che hanno segnato le nostre società come cicatrici.
Non è forse un caso che in un paese così immerso nel Lete dell'oblio, tutti ci ricordiamo il divieto maledicente e però passivizzante dell'Adorno del 1949 e non il giusto grido del martire, attivo, perforante, che inchioda il mondo, e tutti noi con esso, alle nostre responsabilità.

Giovedì, se siam bravi, sentirete di nuovo quel grido.

giovedì 11 aprile 2013

Aprile dolce resistere

Ed eccoci qui, come tradizione, a festeggiare il nostro Natale.

Cominciamo il 18 aprile, alla Biblioteca Campori di Soliera (MO), dove dalle 21:00 circa facciamo una cosa dal titolo: E far l'amore (come se fosse la prima volta) anche se il mondo muore.
Leggeremo un po' dell'ebook dell'anno scorso dal titolo E far l'amore anche se il mondo muore, quello fatto e pensato per il Museo Monumento al Deportato, ci metteremo a guardare il documentario Come se fosse la prima volta, di Federico Baracchi e Roberto Zampa, che racconta del viaggio degli studenti sul Treno per Auschwitz del 2012, accompagnandolo col nostro reportage, che racconta del viaggio di due barabbisti sul Treno per Auschwitz del 2012. Ma ve lo diciamo meglio la prossima settimana, intanto segnatelo sui vostri calendari.

E poi c'è il 25 aprile, e noi torniamo a fare le Schegge di Liberazione con il Coro delle Mondine di Novi di Modena, alle 19:30 nel Cortile D'Onore del Palazzo dei Pio di Carpi (MO). Prima siamo tutti all'Ex Campo di Concentramento di Fossoli, a leggere e a suonare; dopo siamo tutti al Mattatoio, dove nacquero le Schegge nel 2010, a leggere e a ballare. Qui c'è scritto quello che dovete sapere per non perdervi nemmeno un minuto dei festeggiamenti.

E tutto è gratis. E tutto è molto bello. E Buon Natale.

mercoledì 10 aprile 2013

Il mio Tamagotchi si droga

di Cristiano Micucci "Mix"

Lo acquistai nel 1997, appena uscito, quando non ero già più un ragazzino. L'idea di una creatura virtuale, sebbene si trattasse nient'altro che di un giocattolo, mi affascinava troppo. Al di là dell'oggetto fisico in sé, era un cucciolo di software, una forma minimale di vita digitale. Come resistere?
Le sembianze ovoidali erano azzeccatissime. Ad Akihiro Yokoi e Aki Maita, gli Adamo ed Eva dei Tamagotchi, dev'essere esploso il cervello quando compresero che quella foggia non solo era concettualmente perfetta – non è forse l'uovo la base della vita? – ma era pure comoda da portare in tasca. In più, quei colori sgargianti avevano un impatto visivo perfettamente all'altezza delle altre pubblicità della fascia pomeridiana di Italia1.
Andai a comprarlo presentandomi con quell'aria svagata e un po' impaurita di chi non acquista per sé, ma per certi lontani cugini di fuori che non vede quasi mai, o per i figli di qualche amico più grande. Il prezzo non me lo ricordo; di certo fu ridicolo, per essere quello di una vita.
Lo portai a casa, aprii la confezione e feci schiudere l'uovo (le batterie erano incluse). Così divenni genitore.
Iniziai ad aver cura di questo cucciolo digitale. Per cominciare gli diedi un nome; anzi, un nome e un cognome, come si addice a qualsiasi creatura, biologica o artificiale che sia: lo chiamai Drago Mastelloni. Delle motivazioni che mi portarono a dargli un nome del genere non ho più memoria, per fortuna. Col senno di poi posso dire che forse sarebbe stato più musicale Draco, con la c, ma parliamo di sfumature. Spesso ce lo chiamavo, comunque, con la c, per scherzo.
Essendo padre e madre allo stesso tempo, oppure ragazzo-padre, se amate il dramma socio-sentimentale, mi feci ovviamente carico di tutte le attenzioni che un neonato sintetico richiede: il cibo, il sonno, il gioco, l'igiene, la salute fisica (quella mentale era un problema tutto mio, in caso), la disciplina. Avevo a disposizione un'interfaccia con tre tasti e una montagna di zelo.
Mi rivelai un genitore perfetto. Drago Mastelloni cresceva sano e robusto, diligente e sveglio. Esagerai appena un po' col cibo, all'inizio, forse per entusiasmo, forse per riflesso, ma la cosa in breve rientrò nella norma. Avevo sentito di genitori incapaci e degeneri, spesso troppo giovani e impreparati, che avevano portato il proprio cucciolo alla morte, convinti che il Tamagotchi fosse un semplice passatempo.
Non era certo il mio caso: dopo due settimane Drago non solo era vivo e vegeto, ma il suo livello di maturità era sbalorditivo. Nel volgere di un'altra settimana divenne quasi completamente autonomo per molte delle necessità di base: mangiava e dormiva regolarmente, era pulito e diligente. Poco dopo si limitò a chiedere le normali attenzioni sociali: compagnia, gioco, discussioni calcistiche. Ero diventato amico di mio figlio! A un mese dalla sua nascita, ero un genitore felice.
Poi, la tragedia. Traslocai.
Ancora oggi non ho bene in mente come andarono le cose, e tutto resta avvolto in una nebbia di trambusto e disattenzione. Gli scatoloni, le utenze da disdire di qua e da avviare di là, i viaggi avanti e indietro, le caparre da riavere e da dare, la nuova sistemazione del mobilio: mille pensieri lo allontanarono dalle mie cure, dalla mia vista. Disperato, ma sommerso da questioni che andavano affrontate con immediatezza, potei solo sperare che, maturo com'era, riuscisse a badare a se stesso.

Qualche giorno fa, mentre ero in cantina a fare un po' di spazio per archiviare la cyclette, mi sono imbattuto in uno scatoloncino di quell'era ormai lontana, nascosto in un angolo sempre snobbato dalla luce. Su un fianco portava scritto, a pennarello, "Robe da controllare". Lì per lì ho avuto la tentazione di aggiungere "fra circa vent'anni". Stavo per buttare via tutto in blocco, senza controllare – se era pieno di cose utili, di certo nel frattempo le avevo ricomprate, da buon occidentale consumista –, ma alla fine la curiosità ha prevalso. L'ho aperto e ho iniziato a tirar fuori del gran ciarpame, comprese molte musicassette di gruppi Brit-pop mai giunti al secondo album, nonché un cappello di gommapiuma della Guinness, probabile residuo bellico di un remoto San Patrick's Day. Scavando ancora, sotto una lattina vuota di Moretti su cui qualcuno – io non ricordo di averlo mai fatto – aveva scritto "Giuro che questa è l'ultima", ho visto, abbandonato sul fondo, un oggettino dai colori sgargianti. Era lui, Drago Mastelloni. Spento e silenzioso come solo alla nascita l'avevo visto, l'ho preso in mano nostalgico. Chissà com'era finito là dentro (magari era stato un incidente: stava giocando sul bordo dello scatolone ed era scivolato: chi può dirlo?). A parte una piccola macchia sul display, per il resto sembrava intatto. L'ho tenuto un po' fra le dita, studiandolo con la stessa cautela che avrà l'archeologo del quinto millennio che lo riscoprirà. Poi, vittima forse di un riflesso incondizionato, ho spinto un tasto. E ho visto il Tamagotchi riaccendersi, rivivere. Dopo tanti anni la batteria conservava ancora un minimo di carica (i Giapponesi con le batterie c'hanno sempre saputo fare). Quel poco di energia sufficiente per un ultimo sguardo, per un commiato. Drago, o come mi divertivo a chiamarlo per scherzo, Draco, ormai adolescente, traviato e sfatto, con un mozzicone di sigaretta in bocca, mi ha fissato con lo sguardo vuoto, immemore, e m'ha chiesto: "Che c'hai mille lire?". E poi si è spento.

lunedì 8 aprile 2013

In Russia c'è da morir dal ridere (9)

Questa è la stanzetta della casa di Mosca in cui il conte Leone Tolstoj scrisse Resurrezione, La morte di Ivan Il’ič e Sonata a Kreutzer. Tremano un po' le gambe, quando si è lì. (Non per il timore. La foto l'ho fatta di sgamo dalla babushka che controllava la stanza, ma ormai erano quasi due settimane che giravamo per la Russia e avevo imparato a muovermi tra i divieti abbastanza agevolmente.)
La casa di Mosca della famiglia Tolstoj, ci dice una guida cartacea plastificata (quando entri, oltre a farti mettere le pattine, in ogni stanza ti danno un foglietto plastificato con la spiegazione della stanza in tante lingue, tra cui manca comunque l'italiano), è un rarissimo esempio sopravvissuto al tempo di casa in legno della nobiltà moscovita. Intorno c'è anche un bel giardino grande, dove poter passeggiare con le mani raccolte dietro la schiena, in silenzio, ascoltando gli uccelli, guardando i gatti passare, annusando i fiori e andando a sistemarsi sulla panchina posta in cima a una collinetta verde in fondo al parco, dove uno si siede e si sente subito intelligentissimo.

Ci sono tre cose della casa di Tolstoj a Mosca che vale la pena di riportare, e vado ora a elencarle:

La prima cosa sbalorditiva la si trova nel salone principale, quello per i ricevimenti, al piano di sopra, dove c'è un pianoforte. Sotto al pianoforte si vede bella distesa e a bocca spalancata una morbidissima pelle d'orso, di quegli orsi grossi e cattivi come ce ne sono solo in Russia e nelle fiabe. Beh, quell'orso lì, sul cui morbido manto spesso si adagiava Sòf'ja Andrèevna Bers, detta Sonja, coniugata Tolstàja, l'aveva ucciso proprio Lev Tolstoj durante una battuta di caccia, dopo che lo stesso orso dal morbido manto aveva quasi ucciso Lev Tolstoj.
Che a uno gli vien subito da pensare a che cosa ne sarebbe stato del mondo, se quell'orso dal manto morbido avesse ucciso Tolstoj. La guida della stanzetta non diceva altro, allora ho provato a cercare un po' su internet, ma non ho trovato niente, e avevo anche chiesto a Paolo Nori ma anche lui non lo sapeva, però mi piacerebbe scoprire a che età, indicativamente, l'orso dal pelo morbido e bruno rischiò di uccidere Tolstoj, e cosa avesse già scritto Tolstoj, e cosa invece doveva ancora scrivere. Che cosa ci saremmo persi, insomma. Sarebbe davvero un mondo diverso e inimmaginabile, che solo a pensarci mi scoppia la testa. (Se qualcuno ne sa qualcosa in più, e mi manda una mail, io quando lo incontro gli offro da bere.)

Le altre due cose degne di nota della casa di Tolstoj a Mosca si trovano nell'anticamera della stanzetta in cui Tolstoj scrisse Resurrezione, La morte di Ivan Il’ič e Sonata a Kreutzer. E la prima è che ci sono molte scarpe e attrezzi per fare le scarpe, e si scopre (o almeno, noi non lo sapevamo) che il conte Tolstoj aveva quest'hobby, anche un po' invasato, di fare le scarpe e gli stivali per i suoi amici. E dicono che fosse davvero un bravo scarpolino.
L'altra cosa strabiliante è che in un angolo dell'anticamera si vede una bicicletta. Gliel'avevano regalata che lui aveva già sessant'anni e più. E gliel'avevano regalata, penso, come a dire: guardi che bella trovata tecnologica, Conte, vuole provarla? Così lui ci è montato sopra, aveva già la barba lunga, ha fatto due o tre pedalate, poi piano piano ha imparato a usarla e, oh, si vede che gli piaceva davvero tanto, che sulla guida c'è scritto che a Lev Nikolàevič Tolstòj, scrittore dei più grandi dell'umanità, mezzo santone, conte nella Russia zarista, autore di svariati scritti come per esempio Guerra e Pace e Anna Karenina, fondatore di una specie di religione, filosofo dal pensiero finissimo, eccetera, gli piaceva da matti, al pomeriggio, girare in tondo per il cortile della sua casa di Mosca con la sua bellissima bicicletta che gli avevano regalato.

Appena l'ho saputo, e finita la visita, mi sono incamminato un po' per il giardino della casa, con le mani dietro la schiena, in silenzio, e ascoltavo gli uccelli, guardavo i gatti passare, annusavo i fiori, e sono andato a sistemarmi sulla panchina posta in cima alla collinetta verde in fondo al parco, mi sono seduto, sorridente, e, non lo so, come dirlo, ma mi sentivo a casa mia.

venerdì 5 aprile 2013

Salutare

Sono andato a correre in pausa pranzo. Hanno messo pioggia per stasera e visto che nei prossimi giorni non ho tanto tempo sono andato a farmi i miei classici 10 km e mezzo che faccio almeno due volte alla settimana per strada su percorso praticamente fisso, in una lunga pista ciclabile che attraversa un paio di paesi e che dura cinque chilometri e qualcosa (e poi torno indietro). Ho iniziato da un annetto circa a correre, le prime volte facevo un chilometro ed ero morto. Ora faccio 10 km e mezzo fissi due volte alla settimana e la terza volta ne faccio di più, tra i 15 e i 20 km. A dire la verità a 20 non ci sono mai arrivato, una volta ne ho fatti 19 e mezzo e poi ero arrivato a casa e quindi non è che ho continuato, anche perché ero stanco morto. In genere corro sui 10,8 km all'ora di velocità, non un fenomeno ma comunque uno che corre. Lo so perché pian piano sono entrato nel tunnel del podismo e ora corro con il gps al braccio e quelle diavolerie che si comprano e ti dicono che velocità fai, dove sei, cosa hai mangiato e che film ti piacciono. Mica che li usi sempre, solo ogni tanto.

A correre c'è il costume di salutarsi, tra podisti. Mica sempre, solo ogni tanto. In genere ho notato che quelli che vanno un po' più forte di te non ti salutano. C'è questa cosa che mi sembra di aver notato, che ci si saluta solo tra parigrado o tra persone molto gentili. Io non è che saluti sempre, perché sono un po' orso in queste cose. Però ammetto che ogni tanto non ho salutato qualcuno cascando nella trappola del "Va più piano di me", come se non si meritasse il mio saluto, manco fossi Abebe Bikila.

Oggi sono lì che vado, con il berrettone e lo scaldacollo che non voglio prendermi laringiti o robe del genere. Un tipo mi viene incontro dall'altra parte. Va decisamente più forte di me. Mi incrocia, mi guarda e mi sorride raggiante, e poi alza la mano per salutarmi. Ricambio.

D'ora in poi ho deciso che saluto sempre.
Tutti.
Giuro.

(Cose che capitano, quando incroci il campione olimpico di Maratona 2004.)

giovedì 4 aprile 2013

Trucchi della borghesia (83)

L'ora legale.
Tutta questa luce dopo le sei del pomeriggio ci fa credere che è presto e possiamo rimanere ancora in ufficio. Secondo me l'hanno inventata i padroni.

(di Divara)

martedì 2 aprile 2013

Due chiacchiere con Ugo Cornia e il film Formato Ridotto

Ugo Cornia, che per chi non lo conoscesse, è uno scrittore di Modena nato a Carpi, che noi di Barabba fin dalla prima ora inseguiamo alle presentazioni quando fa uscire cose nuove (e da domani 3 aprile avrà in uscita un nuovo libro intitolato Scritti di impegno incivile), giovedì questo, giovedì 4 appunto, viene a Soliera. Prima in Biblioteca Campori, dentro il castello, alle 19:15, dove parlerà con me e Many, e forse leggerà qualche cosa.
Di cosa poi lo dobbiamo ancora decidere, anche se un po' di cose da chiedergliele, noi che siam furbi, a Ugo, ce le abbiamo, anche magari un po' piccanti e osé. Ma forse.

Poi alle 20 ci sarà il buffet offerto presso il vicinissimo Bar Eorté, che la volta scorsa, giovedì scorso, col Noir, eravamo proprio contenti, che dopo aver letto e parlato di Noir, mangi le olive all'ascolana come fossero pop-corn.

Dopo, alle 21:15, presso il Nuovo Cinema Teatro Italia sempre di Soliera (un'altra cosa bella di queste belle serate è che tutte queste belle cose avvengono nello spazio di duecento metri) proiettano un film che si chiama Formato Ridotto, che è partito dalle storie di cinque scrittori (Ermanno Cavazzoni, Enrico Brizzi, Wu Ming 2, Emidio Clementi e Ugo appunto) e che è stato realizzato riutilizzando i filmini delle vacanze o delle gite che i nostri nonni o genitori hanno fatto negli anni predigitalistici. Esiste infatti una lodevolissima associazione con sede a Rimini, che si chiama Home Movies e che cataloga e riversa tutti i filmini che le nostre famiglie si sono girate in digitale (poi ti restituisce una copia digitale del materiale che gli hai dato) per far sì che tutta questa memoria, collettiva, amatoriale e sentimentale, non vada dispersa.
Al termine del filmato il regista Claudio Giapponesi e Ugo ci racconteranno com'è venuta questa idea e com'è stato immaginare una storia e rimaneggiare filmati di sconosciuti per dare voce ai protagonisti delle loro storie.

Come la volta scorsa, tutto gratis, buffet compreso.

Secondo noi sarà un altro bellissimo giovedì.