martedì 31 agosto 2010
Biografie essenziali (85bis)
Francesco Petrarca invece, considerando l'aspetto smunto, le occhiaie e l'infinita rincorsa verso Laura trascritta nel Canzoniere, doveva vederselo benissimo...
Biografie essenziali (85)
Giovanni Boccaccio, dai ritratti che ci sono pervenuti, sembra uno di quelli che non riusciva a vederselo oltre la soglia della panza.
lunedì 30 agosto 2010
Cronache di una sorte annunciata: minuetto
E continuo sulla stessa via, sempre ubriaca di malinconia,
ora ammetto che la colpa forse è solo mia,
avrei dovuto perderti, invece ti ho cercato.
(Mia Martini)
Seguendo alla lettera la regola squonkiana, vi informiamo che rimangono appena dieci giorni, fino al 9 settembre, per affastellare idee, racconti, saggi, fotografie e disegni sulla sfortuna e recapitarli a marcomncrd chiocciola gmail punto com.
Cronache di una sorte annunciata, l'ebook, verrà pubblicato sul web, neanche a farlo apposta, venerdì 17 settembre in occasione del gran galà d'apertura del festival filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo, e verrà letto pubblicamente (da qualche parte, in qualche modo) sabato 18 settembre durante la notte bianca.
Volendo essere sinceri con voi, o nostri appassionati e cari lettori, dovremmo dirvi che la prima cosa, la pubblicazione sul web, è certa. La seconda, la lettura pubblica, ecco... un po' meno. Ci si è messa un po' di sfiga in mezzo. Ci saremmo rimasti male, d'altra parte, se così non fosse stato.
Comunque, quanto prima, vi informeremo dettagliatamente sugli sviluppi futuri del progetto. Intanto rispettate la deadline per la consegna. Da bravi. Su. Accettate la sfiga.
domenica 29 agosto 2010
Vite dei filologi: Joseph Bédier
Charles Marie Joseph Bédier (28 gennaio 1864 - 29 agosto 1938) nasce a Parigi, ma vive fino ai diciassette sull’Isola di Reunion, nel bel mezzo dell’Oceano Indiano. Così, beato lui, legge la sua prima Chanson de Roland a mille miglia dalle fredde pinete di Carlo Magno, all’ombra di un mango.
Tornato in città eccolo col suo maestro Gaston Paris e un manipolo di altri filologi francesi partecipare alla campagna più patriottica e bellicosa che uno nato con il fisico da filologo potesse affrontare. Trincerati in biblioteca, armati di pennino, i nostri eroi sfidano il primato teutonico in materia di edizioni critiche e di studi medievali. Panzer-kritik-ausgaben-divisionen. Possibile che i vicini mangia patate si prendessero tutto il merito di far conoscere tesori della letteratura come il Tristan di Béroul (pubblicato dal teutonicissimo Friedrich Heinrich von der Hagen già nel 1823)?
Bédier fa la sua parte e issa la bandiera blubiancaerossa proprio sul cucuzzolo della leggenda di Tristano e Isotta, dove Herr Wagner l’aveva piazzata prima di lui. Il best-seller Roman de Tristan e Iseut (1900), una traduzione-riscrittura dei tanti frammenti della leggenda, non solo farà decollare la sua carriera accademica – alla faccia di Paul Meyer, ‘l’infallibile’, che di lui aveva detto: ‘è un buon diavolo, ma è davvero troppo poco filologo’ –, ma contribuirà a far appassionare alla storia dei due innamorati di Cornovaglia il pubblico francese, che su Wagner non doveva pensarla diversamente da Woody Allen. Pazienza che ci sia più invenzione che filologia. Lo stesso Bédier, segno dei tempi, nel 1891 si era sposato nella più disneyana delle chiese di Parigi, quella Sainte-Clotilde – settimo arondissement – che è la prima chiesa neo-gotica della città, classe milleottocentocinquanta.
Del Bédier professore al prestigioso Collège de France si dice che come oratore fosse una schiappa. Un ex allievo, malevolo, ricorda come un giorno il maestro avesse parlato degli asperges di un violinista virtuoso, ripetendosi tre o quattro volte prima di raddrizzare gli ‘asparagi’ in arpèges ‘arpeggi’. Quello che conta per un filologo, comunque, sono le idee e di queste Bédier ne ha parecchie, una più controversa dell’altra.
Così per prima cosa si dedica a riscrivere le origini dell’epica, con i quattro volumi delle Légendes épiques (1908-1913), che possono vantare uno degli incipit più belli di sempre, Au commencement était la route (‘In principio era la strada’, apertura del quarto volume) e sono zeppi di immagini poetiche come questa: Le vieilles pierres n’auraient pas d’histoire, si les clercs n’y prenaient peine (‘Le vecchie pietre non avrebbero avuto una storia, se i chierici non se ne fossero presi la briga’). Geniale opera vacanziera, nata sul retro delle cartoline che Bédier spedisce agli amici, durante i suoi viaggi sulle tracce degli antichi eroi, e che per prima mette in relazione le chansons de geste con il fenomeno dei pellegrinaggi.
Continua.
si parla di:
Joseph Bédier,
vita morte e miracoli,
Vite dei filologi
sabato 28 agosto 2010
5 settembre INDIDEE: Only for fans
Questi sono solo alcuni esempi dei mille e mille autografi che domenica prossima, 5 settembre 2010, dalle 15 fino a notte inoltrata, potrete richiedere al banchetto che Barabba si appresta ad allestire scarnamente al Festival INDIDEE promosso e organizzato da varie e superne entità dell'editoria indipendente (che ovviamente ringraziamo per averci accolto all'ultimo minuto) presso lo spazio ZOOVEN della Festa del PD (...) di Modena (a Ponte Alto).
La giornata prevede interviste, interazioni, interventi, interpolazioni, internettamenti e interiezioni varie.
Infine, ai primi venti (20! poi basta) che si presentano al nostro banchetto, oltre agli autografi (a nostra insindacabile scelta) regalaremo in anteprima la copertina del nuovo ebook CRONACHE DI UNA SORTE ANNUNCIATA, che presenteremo in quella data con laica ostensione urbi et orbi.
Poi uno dice che la pubblicità è l'anima del commercio... e poi ci dicono anche di fare fingers crossed (cioè tenere le dita incrociate).
Una questione Spinoza
(Quella che segue è una recensione, duemila battute, doveva uscire sul Mucchio di Luglio/Agosto e invece niente. Poi mi han detto che sarebbe uscita sul Mucchio di Settembre e invece niente. Allora la metto qui, anche se, in fondo, son cose che sapete già. Faccio come il Manzoni, dunque, e vi dico: saltate pure a piè pari codesto post, ch'è noioso, didascalico e inutile ai fini della trama.)
a cura di Stefano Andreoli e Alessandro Bonino
SPINOZA
Alberti, pp. 240, euro 12
La storia di Spinoza viene da lontano: da un blog di Alessandro Bonino creato per affrontare con ironia argomenti di attualità che non potevano essere sviscerati nel suo blog personale. Poi Bonino viene raggiunto da Stefano Andreoli e Spinoza diventa un blog serissimo e abbastanza seguito, ma qualcosa manca. Così, i due coinvolgono altra gente e allestiscono un laboratorio di satira permanente, un forum che si allarga sempre più, nuovi utenti ogni giorno e battute macinate con voracità in costante ascesa. Le migliori vengono pubblicate con cadenza irregolare, poi rebloggate – come si dice in gergo – e commentate un po' dappertutto. Eccolo lì: il successo. Spinoza fa incetta di premi agli ambitissimi Macchianera Blog Awards del 2009: miglior blog, migliore community, miglior blog collettivo e secondo blog rivelazione dell'anno. Gli avversari sono temibili, gente del calibro di Marco Travaglio, Beppe Grillo e Alessandro Gilioli, ma alla fine sono sconfitti e di una buona misura. Poi fioccano gli inviti sui giornali – ricordiamo la copertina del primo numero del Fatto Quotidiano – e alla tv, dove Stefano Andreoli incendia le folle telespettatrici di La7 facendo incazzare alla grande un Belpietro impreparato alla satira che viene dal basso. La metà del 2010 è l'ultima tappa, fin qui, della spinoziade: un libro, anzi, un libro serissimo. Una raccolta di battute, molte delle quali mai pubblicate sul blog, selezionate con arguzia diabolica, gelosamente custodite nel silenzio per mesi, sistemate cronologicamente una dopo l'altra per raccontare il passato prossimo. Spinoza, il libro, è un bignamino umoristico di storia patria e non. Lo si può leggere come un libro di storia o come un romanzo, funziona. Lo si può anche leggere come l'I-Ching, aprirlo a caso ogni tanto durante la giornata. Esempio: “Dell'Utri: «fango su di me». Volentieri.” Appena smettiamo di ridere possiamo rifarlo. Esempio: “Braccio di ferro tra Fini e Berlusconi. Ed è il più credibile dei tre.” E così via.
(Ovviamente, come per il Manzoni, il risultato ottenuto è la lettura integrale. Che diavolo, quel milanese.)
giovedì 26 agosto 2010
Bene
Ogni tanto guardo fuori dalla finestra, la sera, e vedo un sacco di gente che sta bene, che si veste bene, che mangia bene, che beve bene, che si diverte bene, che fa bene l'aperitivo, a volte raggruppata in massa, anche di cinquecento anime o più, d'estate, soprattutto, quando fuori si sta bene.
Ogni tanto guardo fuori dalla finestra, la sera, dove si vede bene il bar più fighino della città, con la gente che passa delle serate intere e chiacchiera fino a notte inoltrata e si sente bene, loro, la gente bene, si sentono bene, anche io li sento bene, perché son proprio sotto la mia finestra, fino alle due o alle tre del mattino, quasi tutti o giorni, ma cosa ci posso fare?, stanno bene, li lascio star bene.
Ogni tanto guardo fuori dalla finestra, la sera, e vedo questa gente che si veste bene, che mangia bene, che beve bene, che si diverte bene, che fa bene l'aperitivo, che sta bene, la guardo e mi spavento, la guardo e chiudo la finestra, la sbatto, per non guardare più questa gente bene, ché osservarla sempre, continuamente, penso, non sta bene.
Ogni tanto guardo fuori dalla finestra, la sera, e la richiudo, la sbatto, mi rintano, fuggo, penso che certa gente, la maggioranza, in Italia, oggi, forse, i nativi, o molti di loro, non dico tutti, ma tanti, sta così bene che sarebbe disposta a qualsiasi cosa, ogni crudeltà, penso, ogni bassezza, ogni egoismo, ogni bruttura per mantenere lo status quo e quello degli altri, penso, e penso che forse, e ho paura a dirlo, questo è il fascismo, e al pensiero che questo sia il fascismo, o l'inizio del fascismo, o un'idea di fascismo, io, non so voi, ma almeno io, non sto mica tanto bene.
Ogni tanto guardo fuori dalla finestra, la sera, dove si vede bene il bar più fighino della città, con la gente che passa delle serate intere e chiacchiera fino a notte inoltrata e si sente bene, loro, la gente bene, si sentono bene, anche io li sento bene, perché son proprio sotto la mia finestra, fino alle due o alle tre del mattino, quasi tutti o giorni, ma cosa ci posso fare?, stanno bene, li lascio star bene.
Ogni tanto guardo fuori dalla finestra, la sera, e vedo questa gente che si veste bene, che mangia bene, che beve bene, che si diverte bene, che fa bene l'aperitivo, che sta bene, la guardo e mi spavento, la guardo e chiudo la finestra, la sbatto, per non guardare più questa gente bene, ché osservarla sempre, continuamente, penso, non sta bene.
Ogni tanto guardo fuori dalla finestra, la sera, e la richiudo, la sbatto, mi rintano, fuggo, penso che certa gente, la maggioranza, in Italia, oggi, forse, i nativi, o molti di loro, non dico tutti, ma tanti, sta così bene che sarebbe disposta a qualsiasi cosa, ogni crudeltà, penso, ogni bassezza, ogni egoismo, ogni bruttura per mantenere lo status quo e quello degli altri, penso, e penso che forse, e ho paura a dirlo, questo è il fascismo, e al pensiero che questo sia il fascismo, o l'inizio del fascismo, o un'idea di fascismo, io, non so voi, ma almeno io, non sto mica tanto bene.
martedì 24 agosto 2010
Siamo una società orribile (5)
Mio padre, lo ricordo benissimo, dava grande importanza alla seduta mattutina in gabinetto, diceva che in quei minuti bisognava non pensare ad altro, concentrarsi bene, farla tutta, e non capiva perché noialtri ragazzi avessimo sempre bisogno di portarci dietro il giornalino.Per me è vero il contrario, però rispetto le idee e il ricordo di mio padre, alto e magro, con il suo pigiama rosa-grigio, quando entrava ciabattando al gabinetto, e ad andarci dopo di lui sentivi un odore forte e virile, commisto di tabacco, un odore di babbo, che ti accoglieva come un'ombra, come una nuvola protettrice. Io invidiavo a mio padre quest'odore, perché capivo appunto che soltanto un uomo fatto, con moglie e figlioli, può odorare così.E perciò ora dovrei essere contento, anche orgoglioso, quando m'avvedo dell'odore forte, commisto di tabacco, d'essere diventato io un uomo fatto, un babbo con moglie e figlioli. Invece no. Invece anzi mi sgomento, perché la mia non è un'ombra, una nuvola grande e protettrice. No, io del babbo ho soltanto questo, il puzzo.(Luciano Bianciardi, La vita agra - Bompiani 2002, pagg. 176-177)
Vorrei che non vi sentiste in dovere di usare lo sciacquone a metà strada, in cessi pubblici, nei bar, in azienda o quando avete ospiti in casa, perché volete che nessuno dei vostri rumori e dei vostri odori arrivino al prossimo, lì, sulla porta o poco distante. Maledetto quel popolo che spreca dieci litri d'acqua in più, ogni volta, sulla tazza, vergognandosi di un 'plof'.
lunedì 23 agosto 2010
Biografie essenziali (83)
Dino Campana, invece, prima di dare della roba a Giovanni Papini e Ardengo Soffici (dai, con dei nomi così!), avrebbe dovuto farsi un back up...
si parla di:
biografie essenziali,
Dino Campana,
vita morte e miracoli
Biografie essenziali (82)
Thomas De Quincey sosteneva che ogni grand'uomo dovesse almeno una volta rischiare di essere ucciso dai casi della vita, per dimostrare la sua grandezza.
Il suo assassino, scelto personalmente giorno dopo giorno, lavorò sulla lunga durata.
Il suo assassino, scelto personalmente giorno dopo giorno, lavorò sulla lunga durata.
sabato 21 agosto 2010
Serendipità. Se vi capitasse, come a me è capitato, di ricevere in dono i due volumi dello IUPI (Incipitario Unificato della Poesia Italiana, 1988), fra i tanti possibili impieghi dello strumento, potreste anche divertirvi a comporre delle poesie aleatorie. La ricetta è semplice e ben nota: aprire a caso i volumi, annotare di seguito gli incipit che per primi saltano all’occhio e il gioco è fatto.
Forse non si tratterà di versi rivelatori, come quelli che Petrarca lesse sulla cima del Monte Ventoso il ventisei aprile del milletrecentoquarantasei, aprendo a caso le Confessioni di Sant’Agostino: ‘E gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti e gli enormi flutti del mare e le vaste correnti dei fiumi e l’immensità dell’oceano e la rotazione degli astri, e trascurano se stessi’.
A voi, comunque, il compito di valutare l’utilità e la sensatezza dell’esercizio. Ecco la poesia di Cosimo, composta in perfetta serendipità. Comincia con l’elogio funebre di un eroe a quattro zampe, un martire della Francia, un novello cavaliere, morente sulla riva di un ruscelletto. Poi prende la parola il poeta stesso, un certo Gherardo (coincidenza: lo stesso nome del fratello di Petrarca!) che si lamenta perché la sua musa, Venere, lo fa lavorare anche di lunedì. Lei risponde, un po’ piccata (lo chiama ‘uccell spennato’), esortando il suo protetto a farsi una bella bevuta, finché lui, ringalluzzito dal vino, non ritrova l’ispirazione e attacca con una nuova canzone d’amore.
«'Gaudete, o juvenes venustiores,
Del grande eroe cui tanto è Ciel secondo:
Desponese lo cane a lo morire,
Presso d’un ruscelletto.
Tu sembri il Lancillotto ed il Tristano!
Che Francia vinca che ridonda a te
Lassù nell’alto Regno!'
Oggi è lunedì, come tu sai,
Qui Vener bella la mia cetra appendo»
Ond’ella mi rispose:
«Uccell spennato che prender me vuoi,
Nel vin la verità pose il profeta».
Mentre Gherardo, al suon di dolce lira:
«'Se baciarmi non volete…'»
Forse non si tratterà di versi rivelatori, come quelli che Petrarca lesse sulla cima del Monte Ventoso il ventisei aprile del milletrecentoquarantasei, aprendo a caso le Confessioni di Sant’Agostino: ‘E gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti e gli enormi flutti del mare e le vaste correnti dei fiumi e l’immensità dell’oceano e la rotazione degli astri, e trascurano se stessi’.
A voi, comunque, il compito di valutare l’utilità e la sensatezza dell’esercizio. Ecco la poesia di Cosimo, composta in perfetta serendipità. Comincia con l’elogio funebre di un eroe a quattro zampe, un martire della Francia, un novello cavaliere, morente sulla riva di un ruscelletto. Poi prende la parola il poeta stesso, un certo Gherardo (coincidenza: lo stesso nome del fratello di Petrarca!) che si lamenta perché la sua musa, Venere, lo fa lavorare anche di lunedì. Lei risponde, un po’ piccata (lo chiama ‘uccell spennato’), esortando il suo protetto a farsi una bella bevuta, finché lui, ringalluzzito dal vino, non ritrova l’ispirazione e attacca con una nuova canzone d’amore.
«'Gaudete, o juvenes venustiores,
Del grande eroe cui tanto è Ciel secondo:
Desponese lo cane a lo morire,
Presso d’un ruscelletto.
Tu sembri il Lancillotto ed il Tristano!
Che Francia vinca che ridonda a te
Lassù nell’alto Regno!'
Oggi è lunedì, come tu sai,
Qui Vener bella la mia cetra appendo»
Ond’ella mi rispose:
«Uccell spennato che prender me vuoi,
Nel vin la verità pose il profeta».
Mentre Gherardo, al suon di dolce lira:
«'Se baciarmi non volete…'»
si parla di:
Francesco Petrarca,
IUPI,
poesia
venerdì 20 agosto 2010
Pensieri in apnea: Facce
In piscina, prima che mi tagliassi i capelli, mi hanno soprannominato così.
Altri invece dicono che io sono questo qui, e ammetto una somiglianza vertiginosa...
Altri invece dicono che io sono questo qui, e ammetto una somiglianza vertiginosa...
si parla di:
feuilleton,
pensieri in apnea
giovedì 19 agosto 2010
Cronache di una sorte annunciata: Il momento più favorevole
Glenn [Gould] è morto, pensai, nel momento per lui più favorevole, mentre Wertheimer non si è tolto la vita nel momento per lui più favorevole, chi si toglie la vita non se la toglie mai nel momento per lui più favorevole, mentre la cosiddetta morte naturale arriva sempre nel momento più favorevole. [...] Un suicidio lungamente premeditato, pensai, non un atto repentino di disperazione.(Thomas Bernhard, Il soccombente, Adelphi 1999, pagg. 60-61)
C'è tempo fino al 9 settembre per elucubrare, pittare o immortalare la sfortuna e inviare il tutto a marcomncrd chiocciola gmail punto com. Premeditate. Accettate la sfiga.
mercoledì 18 agosto 2010
martedì 17 agosto 2010
Biografie essenziali (81)
Nel millenovecento e ottantasette El Camarón scopre di avere il cancro ai polmoni. Lo stesso anno è a Parigi e canta davanti a un pubblico estasiato e ignaro: Bajo la sombra de un árbol, al compás de mi guitarra, canto alegre este huapango, porque la vida se acaba y no quiero morir soñando como mueren las cigarras (All’ombra di un albero, al ritmo della mia chitarra, canto allegro questo huapango, perché la vita è al termine e io non voglio morire sognando come muoiono le cicale).
lunedì 16 agosto 2010
Biografie essenziali (80)
François-Marie Arouet, in punto di morte, respinse un prete che lo invitava a confessarsi. Non era d'accordo con quello che diceva.
Biografie essenziali (78)
William Shakespeare durante gli "anni perduti" (1585-1592), lui sì, era il quinto beatles, altroché...
domenica 15 agosto 2010
Cronache di una sorte annunciata: Crescendo rossiniano
Partire con annunci casuali quattro mesi prima; una breve campagna teaser nel mese precedente l'inizio delle operazioni; invito a sorpresa in un qualsiasi giorno di [due mesi prima della pubblicazione], poco prima dell'ora di pranzo; crescendo rossiniano; creazione di un tormentone; minuetto; happy end. regola squonkiana per la costruzione di un ebook)
(
Abbiamo già ricevuto una quindicina di contributi, tra racconti, piccoli saggi e disegni sulla sfortuna, e altrettante promesse di consegna. Avevamo dei dubbi, all'inizio, con l'estate nel mezzo e tutto quanto, ma Cronache di una sorte annunciata, l'ebook, ormai è deciso, si fa.
Inizia ora, ufficialmente, il crescendo rossiniano. Ricordiamo che avete tempo fino al 9 settembre, punto di non ritorno, deadline definitiva, per inviare le vostre cose sfigate a marcomncrd chiocciola gmail punto com. Fatelo. Accettate la sfiga.
Inizia ora, ufficialmente, il crescendo rossiniano. Ricordiamo che avete tempo fino al 9 settembre, punto di non ritorno, deadline definitiva, per inviare le vostre cose sfigate a marcomncrd chiocciola gmail punto com. Fatelo. Accettate la sfiga.
venerdì 13 agosto 2010
Un re minore
Se non fossi andato a lavorare, oggi, un venerdì tredici con l’Italia ferma sulle autostrade, gli uffici vuoti, l’industria paralizzata e il terziario inceppato, non avrei scoperto, alla radio, che Frédéric Chopin concluse i suoi Preludi (Op. 28) con un allegro appassionato in re minore, e non mi sarei accorto, così, d’improvviso, guidando al ritorno della pausa pranzo, verso l’ufficio, quasi inchiodando su una strada deserta, sotto il temporale estivo, folgorato, che il re minore ha il suono della catastrofe.
giovedì 12 agosto 2010
Cronache di una sorte annunciata: Le mariage Rutebeuf
Sfighe d’altri tempi. Si avvicina l’appuntamento di Barabba con la sfiga: ricordo a tutti gli aspiranti iettatori che la scadenza per la consegna dei testi è fissata al nove settembre. Nel frattempo Cosimo ha pensato di dedicarvi la traduzione di un poemetto antico francese dal titolo Le mariage Rutebeuf. L’originale lo trovate qui.
Rutebeuf (qui tradotto liberamente ‘Pio bove’) è il soprannome di un poeta francese vissuto nel tredicesimo secolo a cui si devono, tra gli altri, i cosiddetti Poèmes de l’infortune, vere e proprie ‘Poesie della sfiga’ che raccontano, in tono pseudo-autobiografico, le disgrazie di un povero poeta di Parigi. Qui Rutebeuf racconta del suo matrimonio.
Il matrimonio del ‘Pio Bove’
Era l’anno
Mille e duecento
E sessanta,
Otto giorni dal Natale,
Nemmeno una foglia,
Un uccello nel viale.
Proprio un giorno nero
Per chi mi ama
Per davvero.
Datemi del matto,
Ma lasciatemi filare
E vedrete:
Anche il cuore più duro,
Alla disgrazia
Qui narrata,
Chiederà grazia,
Grazia
Per il poeta.
Trovarsi al fronte,
Credete,
Non è niente,
Mi viene da tremare,
Ma come si suol dire
‘Chi è pazzo e non fa pazzia
Il suo tempo butta via’
L’ho fatta grossa?
Ho contentato
Quelli che tanto
Mi hanno odiato.
Non ho casa
E non ho un tetto
E c’è di peggio:
Con che donna
Vado a letto?
Era povera in canna
E ora, magia delle nozze,
Siamo in due con le pezze.
Fosse una ragazza!
Cinquant’anni ha sulla groppa
Ed è secca
Come una ramazza.
La cosa buona è questa:
Non avrò due corna in testa!
Un matrimonio così
Ce n’è uno al millennio,
Ma io non mi arrendo:
Il ‘Pio bove’,
Poeta rozzo,
Ha ancora le sue braghe
Indosso
E a tutti i compagni scrive
Divertitevi a più non posso.
Non fate caso
A quello che si dice.
Io non ho paura,
Anche se, in cielo,
C’è una congiura:
Sono tra incudine e martello
Ed è quello
Il matrimonio del ‘Pio Bove’
Era l’anno
Mille e duecento
E sessanta,
Otto giorni dal Natale,
Nemmeno una foglia,
Un uccello nel viale.
Proprio un giorno nero
Per chi mi ama
Per davvero.
Datemi del matto,
Ma lasciatemi filare
E vedrete:
Anche il cuore più duro,
Alla disgrazia
Qui narrata,
Chiederà grazia,
Grazia
Per il poeta.
Trovarsi al fronte,
Credete,
Non è niente,
Mi viene da tremare,
Ma come si suol dire
‘Chi è pazzo e non fa pazzia
Il suo tempo butta via’
L’ho fatta grossa?
Ho contentato
Quelli che tanto
Mi hanno odiato.
Non ho casa
E non ho un tetto
E c’è di peggio:
Con che donna
Vado a letto?
Era povera in canna
E ora, magia delle nozze,
Siamo in due con le pezze.
Fosse una ragazza!
Cinquant’anni ha sulla groppa
Ed è secca
Come una ramazza.
La cosa buona è questa:
Non avrò due corna in testa!
Un matrimonio così
Ce n’è uno al millennio,
Ma io non mi arrendo:
Il ‘Pio bove’,
Poeta rozzo,
Ha ancora le sue braghe
Indosso
E a tutti i compagni scrive
Divertitevi a più non posso.
Non fate caso
A quello che si dice.
Io non ho paura,
Anche se, in cielo,
C’è una congiura:
Sono tra incudine e martello
Ed è quello
Che ha voluto il Signore.
Cari nemici, poveri amici,
Ridete pure,
È giusto,
Ché Dio, a punirmi,
Ci ha preso gusto.
Non ho nemmeno
Una camicia
Da farmi rubare,
Né un ceppo di quercia
Da poter attizzare:
E col faggio che ci faccio?
Tremolo.
Non è abbastanza?
La mia coppa
Ha i buchi:
Sono finiti i tempi lieti
Della sbronza.
Cado a pezzi
Come Troia
E non basterà,
Temo,
L’Ave Maria.
Mia moglie crede
Di salvarsi l’anima,
E ogni quaresima
Mangia il pesce
E prende l'ostia.
Che digiuni
Per la Madonna
E si addormenti
Con la gallina!
La verità è una,
Qui non scenderà la manna.
Che si riempia di pentimento:
Non ci è rimasto altro.
Povera lei,
Povero io,
Per Dio!
Dovrei cercarmi un lavoro,
Un lavoro vero?
Dove vivo
La porta è sempre chiusa:
Tanto è desolata
La casa,
Un tugurio
Cadente,
Senza pane
E senza pasta.
Non mi rimproverate
Se non mi affretto
A rincasare:
Non sono il benvenuto
E a mani vuote, che strazio,
Non mi azzardo a bussare.
Così è la mia vita:
Il giorno migliore
Deve ancora venire.
Potrei fare il prete,
Tante sono le teste
Che ho fatto rinsavire,
Non scherzo:
Più io di un predicatore.
I miei libri sono letti
Dappertutto,
Persino alle veglie:
Che meraviglie,
Libri senza pari,
Ma intanto io resto
Senza denari.
Nessuno è più martire di me:
L’arrostito, il lapidato, l’affettato
Almeno hanno smesso di soffrire.
Io qui sto,
Con la mia pena,
E me la debbo sobbarcare
Finché ‘morte non ci separi’.
O buon Dio,
Se tanto ti piace
Che per te si soffra e ci si ammali,
Perché non facciamo la pace,
Tu e io?
Cari nemici, poveri amici,
Ridete pure,
È giusto,
Ché Dio, a punirmi,
Ci ha preso gusto.
Non ho nemmeno
Una camicia
Da farmi rubare,
Né un ceppo di quercia
Da poter attizzare:
E col faggio che ci faccio?
Tremolo.
Non è abbastanza?
La mia coppa
Ha i buchi:
Sono finiti i tempi lieti
Della sbronza.
Cado a pezzi
Come Troia
E non basterà,
Temo,
L’Ave Maria.
Mia moglie crede
Di salvarsi l’anima,
E ogni quaresima
Mangia il pesce
E prende l'ostia.
Che digiuni
Per la Madonna
E si addormenti
Con la gallina!
La verità è una,
Qui non scenderà la manna.
Che si riempia di pentimento:
Non ci è rimasto altro.
Povera lei,
Povero io,
Per Dio!
Dovrei cercarmi un lavoro,
Un lavoro vero?
Dove vivo
La porta è sempre chiusa:
Tanto è desolata
La casa,
Un tugurio
Cadente,
Senza pane
E senza pasta.
Non mi rimproverate
Se non mi affretto
A rincasare:
Non sono il benvenuto
E a mani vuote, che strazio,
Non mi azzardo a bussare.
Così è la mia vita:
Il giorno migliore
Deve ancora venire.
Potrei fare il prete,
Tante sono le teste
Che ho fatto rinsavire,
Non scherzo:
Più io di un predicatore.
I miei libri sono letti
Dappertutto,
Persino alle veglie:
Che meraviglie,
Libri senza pari,
Ma intanto io resto
Senza denari.
Nessuno è più martire di me:
L’arrostito, il lapidato, l’affettato
Almeno hanno smesso di soffrire.
Io qui sto,
Con la mia pena,
E me la debbo sobbarcare
Finché ‘morte non ci separi’.
O buon Dio,
Se tanto ti piace
Che per te si soffra e ci si ammali,
Perché non facciamo la pace,
Tu e io?
si parla di:
cronache di una sorte annunciata,
Rutebeuf,
sfortuna
Cronache di una sorte annunciata: Pedala, Marco, pedala!
Ma dove vuoi che vada? Sono un gregario, a diciassette anni, categoria Juniores nell’IMAL Pedale Modenese. Sono un gregario di quelli gracilini, qualche piccola e inutile dote da velocista, pessimo passista, scalatore disastroso. Sono un gregario di quelli da sacrificare nei primi cinquanta chilometri di gara: entrare in tutte le fughe, scattare, controscattare, coprire i buchi, esaurire le energie nella prima parte della corsa e preparare il terreno per quelli che verranno dopo, quelli che devono fare il treno in pianura o tirare il capitano in salita. Che importa se non finisci, Marco? Devi dare tutto per la squadra fino a metà gara, nei primi cinquanta chilometri, se poi ti ritiri fa lo stesso, è onorevole, hai fatto il tuo lavoro.
E allora pedala, Marco, pedala!
Ma quella volta, nell’estate del 1996, ero lì davanti, in fuga. Non sapevamo perché il gruppo ci avesse lasciati andare. Lassismo, forse, o pochi accordi tra le squadre, vai a capire. Fatto sta che noi eravamo lì, in tanti, in fuga dal ventesimo chilometro e ne avevamo già fatti una trentina. Eravamo tutti di squadre diverse, nessuno che avesse interesse a non collaborare, nessun bastardo che non tira, anzi, l’adrenalina in corpo e la voglia di arrivare alla fine, tutti, insieme.
Pedala, Marco, pedala!
Ormai anche l’allenatore ci credeva, mi incitava, era la prima volta.
Pedala, Marco, pedala, che arrivi tra i primi dieci!
Non m’ero mai piazzato, quell’anno, il primo anno da Juniores, quando il ciclismo diventa improvvisamente una cosa seria, uno sport di squadra. Prima era facile usare quelle poche doti da velocista, ogni tanto. Da Juniores, invece, era tutta un’altra musica, una musica dal ritornello inequivocabile: lavorare per il capitano, lavorare per vincere, lavorare per la squadra. Mai un piazzamento fino al giorno della fuga, quel giorno d'estate in un circuito lungo e pianeggiante dove il gruppo non ci vedeva, dove facevamo una media dei cinquanta all’ora senza problemi.
Pedala, Marco, pedala!
Al settantesimo chilometro avevamo l’ambulanza alle spalle, segno che il distacco era talmente grande che i soccorsi, in caso di caduta, non sarebbero arrivati in tempo da dietro al gruppo.
Dai, pedala, Marco, pedala, che questa è la volta buona!
Il nonno gridava di gioia con mia sorella piccola sulla groppa, mio padre stava zitto e serio ma lo capivo che era contento, mia madre filmava ogni passaggio del circuito con la telecamerina portatile e non stava più nella pelle, si vedeva. Oh, dai, stavolta portiamo a casa una coppa da far vedere agli amici, pensavo, così la smettono di sfottere, ché il ciclismo ti dà anche delle soddisfazioni, e magari capiscono perché non esco mai al sabato sera.
Pedala, vaccaboia, Marco, pedala!
All’ottantesimo chilometro ci credevamo tutti, noi fuggiaschi. C’era un buon accordo, un vantaggio crescente, si tirava un po’ per uno e la media saliva, c’era caldo e si passava la borraccia a chi non aveva acqua, da buoni compagni di fuga. Mancava poco, quaranta chilometri scarsi e stavolta, fosse cascato il mondo, un posto nei primi dieci non me lo toglieva nessuno. Chissenefrega se la lingua è torrida, se le gambe fanno male, se l’acido lattico inizia a farsi sentire, se il vento tira da una parte e si soffre ogni pedalata di un rapporto lungo e difficile, no, stavolta ci siamo, stavolta vi faccio vedere io.
Pedala, Marco, pedala!
A venti chilometri dall’arrivo il distacco era ormai incolmabile, l'arrivo una certezza.
Pedala, Marco, dacci dentro e pedala!
A dieci chilometri dall’arrivo noi fuggiaschi cominciavamo a guardarci negli occhi. Qualche scatto tamponato, contropiede fulmineo, ognuno provava a spiccare, a vincere. Pensa te, una fuga di gregari, di quelli da sacrificare all’inizio, che alla fine si gioca la vittoria, l’onore della squadra, ma anche solo un piazzamento nei primi dieci era una soddisfazione, per degli operai come noi.
Pedala, Marco, pedala!
L’allenatore era sicuro, mi incitava a tutto spiano.
Pedala, Marco, pedala, che stavolta ci riesci!
All’ultimo chilometro eravamo ai sessanta all’ora, già praticamente iniziata la volata. Le gomitate. La testa bassa. Settanta all’ora, settantacinque. Cinquantadue-diciotto nel rapporto, culo alzato dalla sella, lo striscione rosso dell’arrivo laggiù in fondo alla strada. Tensione, gambe che scoppiano e scattano, respiro profondo, ultimi trecento metri, apnea.
Pedala, Marco, pedala!
…
Eravamo in undici, in fuga. Secondo voi com’è andata a finire?
E allora pedala, Marco, pedala!
Ma quella volta, nell’estate del 1996, ero lì davanti, in fuga. Non sapevamo perché il gruppo ci avesse lasciati andare. Lassismo, forse, o pochi accordi tra le squadre, vai a capire. Fatto sta che noi eravamo lì, in tanti, in fuga dal ventesimo chilometro e ne avevamo già fatti una trentina. Eravamo tutti di squadre diverse, nessuno che avesse interesse a non collaborare, nessun bastardo che non tira, anzi, l’adrenalina in corpo e la voglia di arrivare alla fine, tutti, insieme.
Pedala, Marco, pedala!
Ormai anche l’allenatore ci credeva, mi incitava, era la prima volta.
Pedala, Marco, pedala, che arrivi tra i primi dieci!
Non m’ero mai piazzato, quell’anno, il primo anno da Juniores, quando il ciclismo diventa improvvisamente una cosa seria, uno sport di squadra. Prima era facile usare quelle poche doti da velocista, ogni tanto. Da Juniores, invece, era tutta un’altra musica, una musica dal ritornello inequivocabile: lavorare per il capitano, lavorare per vincere, lavorare per la squadra. Mai un piazzamento fino al giorno della fuga, quel giorno d'estate in un circuito lungo e pianeggiante dove il gruppo non ci vedeva, dove facevamo una media dei cinquanta all’ora senza problemi.
Pedala, Marco, pedala!
Al settantesimo chilometro avevamo l’ambulanza alle spalle, segno che il distacco era talmente grande che i soccorsi, in caso di caduta, non sarebbero arrivati in tempo da dietro al gruppo.
Dai, pedala, Marco, pedala, che questa è la volta buona!
Il nonno gridava di gioia con mia sorella piccola sulla groppa, mio padre stava zitto e serio ma lo capivo che era contento, mia madre filmava ogni passaggio del circuito con la telecamerina portatile e non stava più nella pelle, si vedeva. Oh, dai, stavolta portiamo a casa una coppa da far vedere agli amici, pensavo, così la smettono di sfottere, ché il ciclismo ti dà anche delle soddisfazioni, e magari capiscono perché non esco mai al sabato sera.
Pedala, vaccaboia, Marco, pedala!
All’ottantesimo chilometro ci credevamo tutti, noi fuggiaschi. C’era un buon accordo, un vantaggio crescente, si tirava un po’ per uno e la media saliva, c’era caldo e si passava la borraccia a chi non aveva acqua, da buoni compagni di fuga. Mancava poco, quaranta chilometri scarsi e stavolta, fosse cascato il mondo, un posto nei primi dieci non me lo toglieva nessuno. Chissenefrega se la lingua è torrida, se le gambe fanno male, se l’acido lattico inizia a farsi sentire, se il vento tira da una parte e si soffre ogni pedalata di un rapporto lungo e difficile, no, stavolta ci siamo, stavolta vi faccio vedere io.
Pedala, Marco, pedala!
A venti chilometri dall’arrivo il distacco era ormai incolmabile, l'arrivo una certezza.
Pedala, Marco, dacci dentro e pedala!
A dieci chilometri dall’arrivo noi fuggiaschi cominciavamo a guardarci negli occhi. Qualche scatto tamponato, contropiede fulmineo, ognuno provava a spiccare, a vincere. Pensa te, una fuga di gregari, di quelli da sacrificare all’inizio, che alla fine si gioca la vittoria, l’onore della squadra, ma anche solo un piazzamento nei primi dieci era una soddisfazione, per degli operai come noi.
Pedala, Marco, pedala!
L’allenatore era sicuro, mi incitava a tutto spiano.
Pedala, Marco, pedala, che stavolta ci riesci!
All’ultimo chilometro eravamo ai sessanta all’ora, già praticamente iniziata la volata. Le gomitate. La testa bassa. Settanta all’ora, settantacinque. Cinquantadue-diciotto nel rapporto, culo alzato dalla sella, lo striscione rosso dell’arrivo laggiù in fondo alla strada. Tensione, gambe che scoppiano e scattano, respiro profondo, ultimi trecento metri, apnea.
Pedala, Marco, pedala!
…
Eravamo in undici, in fuga. Secondo voi com’è andata a finire?
mercoledì 11 agosto 2010
Caffelatte
C'è un bel libro, nel quale i protagonisti, che a loro modo sono degli eroi, bevono soprattutto caffelatte, dove vanno ordinano caffelatte, non whiskey o tequila, neppure birra o vino, ma caffelatte.
Quando lessi quel libro, mi misi in testa di andare anch'io a caffelatte, e questo chiedevo quando entravo in un bar.
Ecco, tutte le volte che al bar ordinavo un caffelatte, il barista, qualsiasi barista, mi rispondeva sempre: "Un latte macchiato?"
Quando lessi quel libro, mi misi in testa di andare anch'io a caffelatte, e questo chiedevo quando entravo in un bar.
Ecco, tutte le volte che al bar ordinavo un caffelatte, il barista, qualsiasi barista, mi rispondeva sempre: "Un latte macchiato?"
si parla di:
c'è un bel libro,
caffelatte,
letteratura e vita
martedì 10 agosto 2010
Campagna acquisti
È con piacere smodato che diamo il benvenuto tra le fila dei barabbisti all'enigmatico signor Ranchero Caborca, chiunque egli sia. Di seguito la sua biografia essenziale:
Ranchero Caborca vive oggi tra Napoli e Caravaggio. Non si capisce esattamente cosa faccia nella vita. Dice che ha girato il mondo, e che è un poeta. Nessuno ha mai letto sue poesie.
Ora diciamo tutti insieme: "ciao Ranchero Caborca".
Ranchero Caborca vive oggi tra Napoli e Caravaggio. Non si capisce esattamente cosa faccia nella vita. Dice che ha girato il mondo, e che è un poeta. Nessuno ha mai letto sue poesie.
Ora diciamo tutti insieme: "ciao Ranchero Caborca".
lunedì 9 agosto 2010
Biografie essenziali (77)
A Gabriele D'Annunzio dobbiamo parole immortali come tramezzino, velivolo, folla oceanica, Arzente, La Rinascente e Saiwa.
Scoprì l'uso dell'olio di ricino come strumento di tortura.
Fu presidente onorario della SIAE dal 1920 al 1938.
Il giusto riconoscimento per l'invenzione precedente.
Scoprì l'uso dell'olio di ricino come strumento di tortura.
Fu presidente onorario della SIAE dal 1920 al 1938.
Il giusto riconoscimento per l'invenzione precedente.
Biografie essenziali (76)
Millenovecento e trentanove, urgi fino al midollo i diàspori, scriveva Montale.
Millenovecento e ottanta, urgi fino al midollo i diòsperi, si correggeva Montale.
Più di quarant’anni di crisi d’identità per i kaki.
Millenovecento e ottanta, urgi fino al midollo i diòsperi, si correggeva Montale.
Più di quarant’anni di crisi d’identità per i kaki.
si parla di:
biografie essenziali,
Eugenio Montale,
vita morte e miracoli
Biografie essenziali (75)
Henry Miller riscrisse interamente "Tropico del Cancro" dopo aver letto "Viaggio al termine della notte" di Louis Ferdinand Céline.
Fiiiuuu...per un pelo...
Fiiiuuu...per un pelo...
Biografie essenziali (42bis)
Fino al 1986 ci sono stati, ogni anno, due premi Nobel per la letteratura. Uno era quello assegnato dall'Accademia Svedese e consegnato all'"autore dell'opera letteraria più considerevole d'ispirazione idealista". L'altro era quello che non veniva consegnato a Borges.
domenica 8 agosto 2010
Pensieri in apnea: Aforisma estivo
"L'acqua ti culla e il resto lo porta via"
(cit.)
si parla di:
feuilleton,
pensieri in apnea
sabato 7 agosto 2010
Risotto alla milanese
L'approntamento di un buon risotto alla milanese domanda riso di qualità, come il tipo Vialone, dal chicco grosso e relativamente più tozzo del chicco tipo Caterina, che ha forma allungata, quasi di fuso. Un riso non interamente «sbramato», cioè non interamente spogliato del pericarpo, incontra il favore degli intendenti piemontesi e lombardi, dei coltivatori diretti, per la loro privata cucina. Il chicco, a guardarlo bene, si palesa qua e là coperto dai residui sbrani d’una pellicola, il pericarpo, come da una lacera veste color noce o color cuoio, ma esilissima: cucinato a regola, dà luogo a risotti eccellenti, nutrienti, ricchi di quelle vitamine che rendono insigni i frumenti teneri, i semi, e le loro bucce velari. Il risotto alla paesana riesce da detti risi particolarmente squisito, ma anche il risotto alla milanese: un po' più scuro, è vero, dopo l'aurato battesimo dello zafferano.
Recipiente classico per la cottura del risotto alla milanese è la casseruola rotonda, ma anche ovale, di rame stagnato, con manico di ferro: la vecchia e pesante casseruola di cui da un certo momento in poi non si sono più avute notizie: prezioso arredo della vecchia, della vasta cucina: faceva parte come numero essenziale del «rame» o dei «rami» di cucina, se un vecchio poeta, il Bussano, non ha trascurato di noverarla nei suoi poetici «interni», ove i lucidi rami più d'una volta figurano sull'ammattonato, a captare e a rimandare un raggio del sole che, digerito il pranzo, decade. Rapitoci il vecchio rame, non rimane che aver fede nel sostituto: l'alluminio.
La casseruola, tenuta al fuoco pel manico o per una presa di feltro con la sinistra mano, riceva degli spicchi o dei minimi pezzi di cipolla tenera, e un quarto di ramaiolo di brodo, preferibilmente di manzo: e burro lodigiano di classe.
Burro, quantum prodest, udito il numero de' commensali. Al primo soffriggere di codesto modico apporto, butirroso-cipollino, per piccoli reiterati versamenti, sarà buttato il riso: a poco a poco, fino a raggiungere un totale di due tre pugni a persona, secondo l'appetito prevedibile degli attavolati: né il poco brodo vorrà dare inizio per sé solo a un processo di bollitura del riso: il mestolo (di legno, ora) ci avrà che fare tuttavia: gira e rigira. I chicchi dovranno pertanto rosolarsi e a momenti indurarsi contro il fondo stagnato, ardente, in codesta fase del rituale, mantenendo ognuno la propria «personalità»: non impastarsi e neppure aggrumarsi.
Burro, quantum sufficit, non più, ve ne prego; non deve far bagna, o intingolo sozzo: deve untare ogni chicco, non annegarlo. Il riso ha da indurarsi, ho detto, sul fondo stagnato. Poi a poco a poco si rigonfia, e cuoce, per l'aggiungervi a mano a mano del brodo, in che vorrete esser cauti, e solerti: aggiungete un po' per volta del brodo, a principiare da due mezze ramaiolate di quello attinto da una scodella «marginale», che avrete in pronto. In essa sarà stato disciolto lo zafferano in polvere, vivace, incomparabile stimolante del gastrico, venutoci dai pistilli disseccati e poi debitamente macinati del fiore. Per otto persone due cucchiaini da caffè. Il brodo zafferanato dovrà aver attinto un color giallo mandarino: talché il risotto, a cottura perfetta, venti-ventidue minuti, abbia a risultare giallo-arancio: per gli stomaci timorati basterà un po' meno, due cucchiaini rasi, e non colmi: e ne verrà fuori un giallo chiaro canarino. Quel che più importa è adibire al rito un animo timorato degli dei è reverente del reverendo Esculapio o per dir meglio Asclepio, e immettere nel sacro «risotto alla milanese» ingredienti di prima (qualità): il suddetto Vialone con la suddetta veste lacera, il suddetto Lodi (Laus Pompeia), le suddette cipolline; per il brodo, un lesso di manzo con carote-sedani, venuti tutti e tre dalla pianura padana, non un toro pensionato, di animo e di corna balcaniche: per lo zafferano consiglio Carlo Erba Milano in boccette sigillate: si tratterà di dieci dodici, al massimo quindici, lire a persona: mezza sigaretta. Non ingannare gli dei, non obliare Asclepio, non tradire i familiari, né gli ospiti che Giove Xenio protegge, per contendere alla Carlo Erba il suo ragionevole guadagno. No! Per il burro, in mancanza di Lodi potranno sovvenire Melegnano, Casalbuttano, Soresina, Melzo, Casalpusterlengo, tutta la bassa milanese al disotto della zona delle risorgive, dal Ticino all'Adda e insino a Crema e Cremona. Alla margarina dico no! E al burro che ha il sapore delle saponette: no!
Tra le aggiunte pensabili, anzi consigliate o richieste dagli iperintendenti e ipertecnici, figurano le midolle di osso (di bue) previamente accantonate e delicatamente serbate a tanto impiego in altra marginale scodella. Si sogliono deporre sul riso dopo metà cottura all'incirca: una almeno per ogni commensale: e verranno rimestate e travolte dal mestolo (di legno, ora) con cui si adempia all'ultimo ufficio risottiero. Le midolle conferiscono al risotto, non più che il misuratissimo burro, una sobria untuosità: e assecondano, pare, la funzione ematopoietica delle nostre proprie midolle. Due o più cucchiai di vin rosso e corposo (Piemonte) non discendono da prescrizione obbligativa, ma, chi gli piace, conferiranno alla vivanda quel gusto aromatico che ne accelera e ne favorisce la digestione.
Il risotto alla milanese non deve essere scotto, ohibò, no! solo un po' più che al dente sul piatto: il chicco intriso ed enfiato de' suddetti succhi, ma chicco individuo, non appiccicato ai compagni, non ammollato in una melma, in una bagna che riuscirebbe schifenza. Del parmigiano grattuggiato è appena ammesso, dai buoni risottai; è una banalizzazione della sobrietà e dell'eleganza milanesi. Alle prime acquate di settembre, funghi freschi nella casseruola; o, dopo S. Martino, scaglie asciutte di tartufo dallo speciale arnese affetto-trifole potranno decedere sul piatto, cioè sul risotto servito, a opera di premuroso tavolante, debitamente remunerato a cose fatte, a festa consunta. Né la soluzione funghi, né la soluzione tartufo, arrivano a pervertire il profondo, il vitale, nobile significato del risotto alla milanese.
(Racconto di Carlo Emilio Gadda. Tratto dalla rivista aziendale “Il gatto selvatico”, ottobre 1959)
Recipiente classico per la cottura del risotto alla milanese è la casseruola rotonda, ma anche ovale, di rame stagnato, con manico di ferro: la vecchia e pesante casseruola di cui da un certo momento in poi non si sono più avute notizie: prezioso arredo della vecchia, della vasta cucina: faceva parte come numero essenziale del «rame» o dei «rami» di cucina, se un vecchio poeta, il Bussano, non ha trascurato di noverarla nei suoi poetici «interni», ove i lucidi rami più d'una volta figurano sull'ammattonato, a captare e a rimandare un raggio del sole che, digerito il pranzo, decade. Rapitoci il vecchio rame, non rimane che aver fede nel sostituto: l'alluminio.
La casseruola, tenuta al fuoco pel manico o per una presa di feltro con la sinistra mano, riceva degli spicchi o dei minimi pezzi di cipolla tenera, e un quarto di ramaiolo di brodo, preferibilmente di manzo: e burro lodigiano di classe.
Burro, quantum prodest, udito il numero de' commensali. Al primo soffriggere di codesto modico apporto, butirroso-cipollino, per piccoli reiterati versamenti, sarà buttato il riso: a poco a poco, fino a raggiungere un totale di due tre pugni a persona, secondo l'appetito prevedibile degli attavolati: né il poco brodo vorrà dare inizio per sé solo a un processo di bollitura del riso: il mestolo (di legno, ora) ci avrà che fare tuttavia: gira e rigira. I chicchi dovranno pertanto rosolarsi e a momenti indurarsi contro il fondo stagnato, ardente, in codesta fase del rituale, mantenendo ognuno la propria «personalità»: non impastarsi e neppure aggrumarsi.
Burro, quantum sufficit, non più, ve ne prego; non deve far bagna, o intingolo sozzo: deve untare ogni chicco, non annegarlo. Il riso ha da indurarsi, ho detto, sul fondo stagnato. Poi a poco a poco si rigonfia, e cuoce, per l'aggiungervi a mano a mano del brodo, in che vorrete esser cauti, e solerti: aggiungete un po' per volta del brodo, a principiare da due mezze ramaiolate di quello attinto da una scodella «marginale», che avrete in pronto. In essa sarà stato disciolto lo zafferano in polvere, vivace, incomparabile stimolante del gastrico, venutoci dai pistilli disseccati e poi debitamente macinati del fiore. Per otto persone due cucchiaini da caffè. Il brodo zafferanato dovrà aver attinto un color giallo mandarino: talché il risotto, a cottura perfetta, venti-ventidue minuti, abbia a risultare giallo-arancio: per gli stomaci timorati basterà un po' meno, due cucchiaini rasi, e non colmi: e ne verrà fuori un giallo chiaro canarino. Quel che più importa è adibire al rito un animo timorato degli dei è reverente del reverendo Esculapio o per dir meglio Asclepio, e immettere nel sacro «risotto alla milanese» ingredienti di prima (qualità): il suddetto Vialone con la suddetta veste lacera, il suddetto Lodi (Laus Pompeia), le suddette cipolline; per il brodo, un lesso di manzo con carote-sedani, venuti tutti e tre dalla pianura padana, non un toro pensionato, di animo e di corna balcaniche: per lo zafferano consiglio Carlo Erba Milano in boccette sigillate: si tratterà di dieci dodici, al massimo quindici, lire a persona: mezza sigaretta. Non ingannare gli dei, non obliare Asclepio, non tradire i familiari, né gli ospiti che Giove Xenio protegge, per contendere alla Carlo Erba il suo ragionevole guadagno. No! Per il burro, in mancanza di Lodi potranno sovvenire Melegnano, Casalbuttano, Soresina, Melzo, Casalpusterlengo, tutta la bassa milanese al disotto della zona delle risorgive, dal Ticino all'Adda e insino a Crema e Cremona. Alla margarina dico no! E al burro che ha il sapore delle saponette: no!
Tra le aggiunte pensabili, anzi consigliate o richieste dagli iperintendenti e ipertecnici, figurano le midolle di osso (di bue) previamente accantonate e delicatamente serbate a tanto impiego in altra marginale scodella. Si sogliono deporre sul riso dopo metà cottura all'incirca: una almeno per ogni commensale: e verranno rimestate e travolte dal mestolo (di legno, ora) con cui si adempia all'ultimo ufficio risottiero. Le midolle conferiscono al risotto, non più che il misuratissimo burro, una sobria untuosità: e assecondano, pare, la funzione ematopoietica delle nostre proprie midolle. Due o più cucchiai di vin rosso e corposo (Piemonte) non discendono da prescrizione obbligativa, ma, chi gli piace, conferiranno alla vivanda quel gusto aromatico che ne accelera e ne favorisce la digestione.
Il risotto alla milanese non deve essere scotto, ohibò, no! solo un po' più che al dente sul piatto: il chicco intriso ed enfiato de' suddetti succhi, ma chicco individuo, non appiccicato ai compagni, non ammollato in una melma, in una bagna che riuscirebbe schifenza. Del parmigiano grattuggiato è appena ammesso, dai buoni risottai; è una banalizzazione della sobrietà e dell'eleganza milanesi. Alle prime acquate di settembre, funghi freschi nella casseruola; o, dopo S. Martino, scaglie asciutte di tartufo dallo speciale arnese affetto-trifole potranno decedere sul piatto, cioè sul risotto servito, a opera di premuroso tavolante, debitamente remunerato a cose fatte, a festa consunta. Né la soluzione funghi, né la soluzione tartufo, arrivano a pervertire il profondo, il vitale, nobile significato del risotto alla milanese.
(Racconto di Carlo Emilio Gadda. Tratto dalla rivista aziendale “Il gatto selvatico”, ottobre 1959)
giovedì 5 agosto 2010
Das Rindfleischetikettierungsüberwachungsaufgabenübertragungsgeset
Significa più o meno "l'osservanza del sistema delle leggi che regolano l'etichettatura della carne di manzo".
I tedeschi hanno la meraviglia di unire le parole per farne una sola.
Con i modali si mettono tutti i verbi alla fine, all'infinito. Se rispondi dicendo perché, allora, dopo tutti i verbi all'infinito alla fine della frase, ci va il verbo coniugato. E quindi tu ascolti uno parlare per due minuti SENZA VERBI e ti chiedi "Che cazzo vorrà dire?" e dopo un elenco fotonico di sostantivi, aggettivi e cazzi vari ti spara tre o quattro verbi uno in fila all'altro e devi giocare a "ricomponi la frase" in un secondo.
E poi ci sono i casi grammaticali. Nominativo, dativo, accusativo, genitivo. In base al caso grammaticale si cambia l'articolo. Del tipo che al DATIVO l'articolo determinativo FEMMINILE diventa uguale al nominativo MASCHILE. Un po' come se LA, se tu dici ALLA, si dicesse IL.
Continuo a pensare che abbiano iniziato le guerre mondiali senza farlo apposta. Semplicemente avevamo capito male.
I tedeschi hanno la meraviglia di unire le parole per farne una sola.
Con i modali si mettono tutti i verbi alla fine, all'infinito. Se rispondi dicendo perché, allora, dopo tutti i verbi all'infinito alla fine della frase, ci va il verbo coniugato. E quindi tu ascolti uno parlare per due minuti SENZA VERBI e ti chiedi "Che cazzo vorrà dire?" e dopo un elenco fotonico di sostantivi, aggettivi e cazzi vari ti spara tre o quattro verbi uno in fila all'altro e devi giocare a "ricomponi la frase" in un secondo.
E poi ci sono i casi grammaticali. Nominativo, dativo, accusativo, genitivo. In base al caso grammaticale si cambia l'articolo. Del tipo che al DATIVO l'articolo determinativo FEMMINILE diventa uguale al nominativo MASCHILE. Un po' come se LA, se tu dici ALLA, si dicesse IL.
Continuo a pensare che abbiano iniziato le guerre mondiali senza farlo apposta. Semplicemente avevamo capito male.
si parla di:
il paese reale di Tiziano Fiorveluti,
tanto per dire qualcosa
mercoledì 4 agosto 2010
Cronache di una sorte annunciata: SettePerUno
"La lancia del soldato si spezza nel primo giorno della campagna."
(proverbio arabo, da Le mille e una notte)
Abbiamo trovato un partner, si chiama SettePerUno ed è un posto bellissimo che dovreste scolpire tra i preferiti. Mentre ne scartabellate le pagine godendo a pupille dilatate, vi ricordiamo che avete tempo fino al 9 Settembre per spedire le vostre opere sfortunate a marcomncrd chiocciola gmail punto com. Siete quasi tutti in ferie, non avete scuse. Accettate la sfiga.
lunedì 2 agosto 2010
Ritardi
La puntualità non è una dote innata. C’entra coi comportamenti abituali, con quelle cose che inizi a fare in un certo modo e che poi rimangono così. O sei sempre stato puntuale o non lo sei mai stato. Ma dipende, son cose che hanno un inizio, non sono innate. Io non sono puntuale e neanche i miei genitori sono mai stati puntuali.
Mia madre l’indomani voleva prendere il treno, s’era fissata con questa idea, diceva a mio padre dai Imbeni, domani ci svegliamo presto e prendiamo quello delle nove, che ci vuole. Poi però si sono svegliati tardi, mia madre ci metteva un sacco di tempo a prepararsi, è una che ci ha sempre messo molto tempo. Mio padre si prepara una moka di caffè mentre mia madre sbuffa in bagno e le dice vabbè dai, ci andiamo in macchina pian pianino. Dice sempre pian pianino, mio padre, non è mai stato un tipo puntuale. A Bologna dovevano trovare un libro, un testo universitario. Mia madre si era riscritta all’università di Modena ma si vede che a Modena quel libro non l’aveva trovato. Mi ha ripetuto spesso che le ho dato io la forza di finire l’università, che quando è rimasta incinta ha deciso di riprendere gli studi e di laurearsi. Era incinta di sette mesi, io sarei dovuta nascere in ottobre, anche se poi son nata a metà novembre, in ritardo. Arrivati a Bologna erano in un bar del centro a fare colazione quando è iniziato un via vai di gente concitata, è scoppiata una caldaia alla stazione, diceva qualcuno entrando, è terribile, ci son dei morti, poi telefonavano e uscivano e intorno l’agitazione aumentava. Una caldaia in agosto? pensava mio padre e ha preso mia madre e son risaliti sulla macchina ma verso la stazione deviavano il traffico, non facevano avvicinare nessuno, accidenti, è qualcosa di grosso, pensavano spaventati. Allora hanno preso la via Emilia, e pian pianino siamo tornati tutti a casa.
Mia madre l’indomani voleva prendere il treno, s’era fissata con questa idea, diceva a mio padre dai Imbeni, domani ci svegliamo presto e prendiamo quello delle nove, che ci vuole. Poi però si sono svegliati tardi, mia madre ci metteva un sacco di tempo a prepararsi, è una che ci ha sempre messo molto tempo. Mio padre si prepara una moka di caffè mentre mia madre sbuffa in bagno e le dice vabbè dai, ci andiamo in macchina pian pianino. Dice sempre pian pianino, mio padre, non è mai stato un tipo puntuale. A Bologna dovevano trovare un libro, un testo universitario. Mia madre si era riscritta all’università di Modena ma si vede che a Modena quel libro non l’aveva trovato. Mi ha ripetuto spesso che le ho dato io la forza di finire l’università, che quando è rimasta incinta ha deciso di riprendere gli studi e di laurearsi. Era incinta di sette mesi, io sarei dovuta nascere in ottobre, anche se poi son nata a metà novembre, in ritardo. Arrivati a Bologna erano in un bar del centro a fare colazione quando è iniziato un via vai di gente concitata, è scoppiata una caldaia alla stazione, diceva qualcuno entrando, è terribile, ci son dei morti, poi telefonavano e uscivano e intorno l’agitazione aumentava. Una caldaia in agosto? pensava mio padre e ha preso mia madre e son risaliti sulla macchina ma verso la stazione deviavano il traffico, non facevano avvicinare nessuno, accidenti, è qualcosa di grosso, pensavano spaventati. Allora hanno preso la via Emilia, e pian pianino siamo tornati tutti a casa.
si parla di:
1980,
amarcord,
chi è Stato?
Biografie essenziali (speciale)
Antonella Ceci, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 49 anni.
Angela Marino, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 53 anni.
Leo Luca Marino, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 54 anni.
Domenica Maribo, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 56 anni.
Errica Frigerio in Diomede Fresa, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 87 anni.
Vito Diomede Fresa, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 92 anni.
Cesare Francesco Diomede Fresa, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 44 anni.
Anna Maria Bosio in Mauri, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 58 anni.
Carlo Mauri, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 62 anni.
Luca Mauri, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 36 anni.
Eckhardt Mader, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 44 anni.
Margret Rohrs in Mader, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 69 anni.
Kai Mader, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 38 anni.
Sonia Burri, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 37 anni.
Patrizia Messineo, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 48 anni.
Silvana Serravalli in Barbera, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 64 anni.
Manuela Gallon, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 41 anni.
Natalia Agostini in Gallon, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 70 anni.
Marina Antonella Trolese, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 46 anni.
Anna Maria Salvagnini in Trolese, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 81 anni.
Roberto De Marchi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 51 anni.
Elisabetta Manea Ved. De Marchi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 90 anni.
Eleonora Geraci in Vaccaro, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 76 anni.
Vittorio Vaccaro, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 54 anni.
Velia Carli in Lauro, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 80 anni.
Salvatore Lauro, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 87 anni.
Paolo Zecchi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 53 anni.
Viviana Bugamelli in Zecchi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 53 anni.
Catherine Helen Mitchell, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 52 anni.
John Andrew Kolpinski, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 52 anni.
Angela Fresu, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 33 anni.
Maria Fresu, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 54 anni.
Loredana Molina in Sacrati, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 74 anni.
Angelica Tarsi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 102 anni.
Katia Bertasi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 64 anni.
Mirella Fornasari, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 66 anni.
Euridia Bergianti, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 79 anni.
Nilla Natali, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 55 anni.
Franca Dall'olio, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 50 anni.
Rita Verde, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 53 anni.
Flavia Casadei, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 48 anni.
Giuseppe Patruno, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 48 anni.
Rossella Marceddu, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 49 anni.
Davide Caprioli, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 50 anni.
Vito Ales, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 50 anni.
Iwao Sekiguchi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 50 anni.
Brigitte Drouhard, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 51 anni.
Roberto Procelli, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 51 anni.
Mauro Alganon, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 52 anni.
Maria Angela Marangon, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 52 anni.
Verdiana Bivona, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 52 anni.
Francesco Gomez Martinez, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 53 anni.
Mauro Di Vittorio, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 54 anni.
Sergio Secci, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 54 anni.
Roberto Gaiola, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 55 anni.
Angelo Priore, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 56 anni.
Onofrio Zappala', oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 57 anni.
Pio Carmine Remollino, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 61 anni.
Gaetano Roda, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 61 anni.
Antonino Di Paola, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 62 anni.
Mirco Castellaro, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 63 anni.
Nazzareno Basso, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 63 anni.
Vincenzo Petteni, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 64 anni.
Salvatore Seminara, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 64 anni.
Carla Gozzi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 66 anni.
Umberto Lugli, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 68 anni.
Fausto Venturi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 68 anni.
Argeo Bonora, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 72 anni.
Francesco Betti, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 74 anni.
Mario Sica, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 74 anni.
Pier Francesco Laurenti, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 74 anni.
Paolino Bianchi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 80 anni.
Vincenzina Sala in Zanetti, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 80 anni.
Berta Ebner, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 80 anni.
Vincenzo Lanconelli, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 81 anni.
Lina Ferretti in Mannocci, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 83 anni.
Romeo Ruozi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 84 anni.
Amorveno Marzagalli, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 84 anni.
Antonio Francesco Lascala, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 86 anni.
Rosina Barbaro in Montani, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 88 anni.
Irene Breton in Boudouban, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 91 anni.
Pietro Galassi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 96 anni.
Lidia Olla in Cardillo, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 97 anni.
Maria Idria Avati, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 110 anni.
Antonio Montanari, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 116 anni.
Angela Marino, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 53 anni.
Leo Luca Marino, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 54 anni.
Domenica Maribo, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 56 anni.
Errica Frigerio in Diomede Fresa, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 87 anni.
Vito Diomede Fresa, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 92 anni.
Cesare Francesco Diomede Fresa, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 44 anni.
Anna Maria Bosio in Mauri, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 58 anni.
Carlo Mauri, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 62 anni.
Luca Mauri, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 36 anni.
Eckhardt Mader, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 44 anni.
Margret Rohrs in Mader, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 69 anni.
Kai Mader, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 38 anni.
Sonia Burri, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 37 anni.
Patrizia Messineo, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 48 anni.
Silvana Serravalli in Barbera, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 64 anni.
Manuela Gallon, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 41 anni.
Natalia Agostini in Gallon, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 70 anni.
Marina Antonella Trolese, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 46 anni.
Anna Maria Salvagnini in Trolese, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 81 anni.
Roberto De Marchi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 51 anni.
Elisabetta Manea Ved. De Marchi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 90 anni.
Eleonora Geraci in Vaccaro, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 76 anni.
Vittorio Vaccaro, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 54 anni.
Velia Carli in Lauro, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 80 anni.
Salvatore Lauro, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 87 anni.
Paolo Zecchi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 53 anni.
Viviana Bugamelli in Zecchi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 53 anni.
Catherine Helen Mitchell, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 52 anni.
John Andrew Kolpinski, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 52 anni.
Angela Fresu, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 33 anni.
Maria Fresu, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 54 anni.
Loredana Molina in Sacrati, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 74 anni.
Angelica Tarsi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 102 anni.
Katia Bertasi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 64 anni.
Mirella Fornasari, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 66 anni.
Euridia Bergianti, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 79 anni.
Nilla Natali, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 55 anni.
Franca Dall'olio, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 50 anni.
Rita Verde, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 53 anni.
Flavia Casadei, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 48 anni.
Giuseppe Patruno, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 48 anni.
Rossella Marceddu, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 49 anni.
Davide Caprioli, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 50 anni.
Vito Ales, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 50 anni.
Iwao Sekiguchi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 50 anni.
Brigitte Drouhard, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 51 anni.
Roberto Procelli, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 51 anni.
Mauro Alganon, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 52 anni.
Maria Angela Marangon, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 52 anni.
Verdiana Bivona, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 52 anni.
Francesco Gomez Martinez, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 53 anni.
Mauro Di Vittorio, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 54 anni.
Sergio Secci, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 54 anni.
Roberto Gaiola, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 55 anni.
Angelo Priore, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 56 anni.
Onofrio Zappala', oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 57 anni.
Pio Carmine Remollino, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 61 anni.
Gaetano Roda, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 61 anni.
Antonino Di Paola, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 62 anni.
Mirco Castellaro, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 63 anni.
Nazzareno Basso, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 63 anni.
Vincenzo Petteni, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 64 anni.
Salvatore Seminara, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 64 anni.
Carla Gozzi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 66 anni.
Umberto Lugli, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 68 anni.
Fausto Venturi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 68 anni.
Argeo Bonora, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 72 anni.
Francesco Betti, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 74 anni.
Mario Sica, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 74 anni.
Pier Francesco Laurenti, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 74 anni.
Paolino Bianchi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 80 anni.
Vincenzina Sala in Zanetti, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 80 anni.
Berta Ebner, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 80 anni.
Vincenzo Lanconelli, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 81 anni.
Lina Ferretti in Mannocci, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 83 anni.
Romeo Ruozi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 84 anni.
Amorveno Marzagalli, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 84 anni.
Antonio Francesco Lascala, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 86 anni.
Rosina Barbaro in Montani, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 88 anni.
Irene Breton in Boudouban, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 91 anni.
Pietro Galassi, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 96 anni.
Lidia Olla in Cardillo, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 97 anni.
Maria Idria Avati, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 110 anni.
Antonio Montanari, oggi, forse, a quest'ora, avrebbe 116 anni.
domenica 1 agosto 2010
In mia assenza
Mentre il mio corpicino smunto vagava tra l'Egeo e il Bosforo:
- è uscito My Own Private Milano, un ebook collettivo generato dalla mente del sempiterno Sir Squonk - un po' come Atena nasce da una crepa nella testa di Zeus - e al quale ho collaborato con una foto di Piazza Fontana, solito lurido comunistone che non sono altro;
- il fisico di riferimento Peppe Liberti ha selezionato il post sulla luna per il Carnevale della Fisica #9, una specie di parata a tema con le migliori menti scientifiche della rete - il sottoscritto, dunque, si sente un po' un intruso;
- sul collettivovoci, il prode Xabaras ha letto le peripezie di mio nonno in manifestazione, musicandole con la Tamurriata delle Mondine de Les Anarchistes.
Non avrò mai abbastanza braccia per circondare d'affetto e ringraziare a dovere tutte queste anime belle. E niente, da tutto ciò emerge una morale incontestabile: devo andare in vacanza più spesso.
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