È questo [così inizia] il tempo primaverile e festivo in cui la perpetua evoluzione della natura rifulge in tutta la sua gloria. Come la natura, riempitevi di speranza e preparatevi a una Nuova Vita.Dopo qualche riga di raccomandazioni morali («Abbiate rispetto di voi stessi: guardatevi dalle bevande che ubriacano e dalle passioni degradanti», e così via) e buoni propositi socialisti, la predica si concludeva con un brano di sapore millenaristico:
Presto le frontiere si dissolveranno! Presto finirà il tempo di guerre ed eserciti! Ogni volta che praticherete le virtù socialiste della Solidarietà e dell'Amore, farete sì che questo futuro sia più vicino. E allora, nella pace e nella gioia, verrà un mondo in cui il socialismo trionferà, una volta compreso il dovere sociale di tutti di favorire il pieno sviluppo personale di ciascuno.[...] Diversamente da altre ricorrenze, comprese molte manifestazioni più o meno ritualizzate del movimento operaio tenutesi in precedenza, il Primo maggio non commemorava niente, almeno al di fuori dell'influsso anarchico che mirava a collegarlo all'episodio degli anarchici di Chicago del 1886. Non verteva su niente fuorché sul futuro, che, al contrario di un passato che niente aveva avuto in serbo per il proletariato se non tristi esperienze («Du passé faisons table rase» cantava non per caso l'Internazionale), prometteva l'emancipazione. Inoltre «il movimento» non offriva, come invece la religione, ricompense dopo la morte ma una Nuova Gerusalemme su questa Terra.
(Eric J. Hobsbawm, Il Primo maggio: nascita di una ricorrenza, 1990; in Gente non comune, BUR Storia, 2007.)
I cappelletti, in Emilia, li mangiamo nei giorni di festa. Magari adesso li mangiamo anche nei feriali, soprattutto quando hai una nonna che fa una sfoglia di venticinque uova e per finire tutti i cappelletti che ne vengon fuori ci metti qualche mese, ma comunque, una volta, quando c'era la povertà, i cappelletti li mangiavamo solo nei giorni di festa.
Il fascismo aveva abolito il Primo Maggio. Qui in Emilia, come racconta mio nonno Corrado, giravano delle squadre che all'ora di pranzo irrompevano nelle case per vedere se qualcuno stava mangiando dei cappelletti. Quando trovavano una famiglia che li mangiava, i fascisti sbaraccavano la tavola e picchiavano e bastonavano i malcapitati.
Gli emiliani antifascisti, durante il fascismo, il Primo Maggio si erano abituati a mangiare i cappelletti di nascosto.
A Correggio, in provincia di Reggio Emilia, tutti gli anni, il Primo Maggio, è costume mettere delle gran tavolate sotto ai portici della piazza e tutti insieme fare una bella mangiata di cappelletti. Una volta si chiamavano proprio "i cappelletti antifascisti", solo che adesso, con l'aria di moderazione che c'è in giro, li hanno ribattezzati socialdemocraticamente "i cappelletti scendono in piazza".
Il Primo Maggio, quando siamo a casa e non in giro per l'Italia o per il mondo, noi barabbisti andiamo a Correggio, sotto i portici, a farci una bella mangiata di cappelletti antifascisti.
Scusateci se continuiamo a chiamarli così.
Ci siamo andati anche quest'anno.
Buon Primo Maggio.