Il giorno del mio compleanno ho ricevuto una mail con un regalo: il nuovo romanzo di Stefano Amato,
L'apprendista libraio. Mentre finivo di leggerlo, mi era venuta voglia di scrivere qualcosa, solo che non sono un critico e recensioni di libri se ne trovano da tutte le parti. Poi ho pensato di intervistarlo, Stefano Amato, ma le interviste con gli scrittori, diciamolo, hanno un po' rotto le balle. Così l'ho contattato e gli ho detto che secondo me sarebbe una bella idea se ogni tanto fosse lo scrittore a intervistare un lettore, quindi gli ho chiesto se avesse voglia di farmi delle domande. Lui mi ha detto ok, e allora oggi, orgogliosamente, inauguriamo le grandi interviste alla rovescia di Barabba. La prima è questa e fa così:
Stefano Amato – Sono curioso, che effetto ti ha fatto ricevere in regalo, il giorno del tuo compleanno, il mio romanzo? Io l'ho fatto senza pensarci, ma subito dopo mi sono detto: "No! Che ho fatto?" Perché questa cosa – regalare il proprio romanzo – è proprio una cosa da Autore Locale, un genere di cliente che prendo spesso in giro sul sito e sul romanzo.
Many – Guarda, già il fatto di autopubblicarti un libro elettronico su internet ti rende automaticamente "autore locale". Però va bene, è una strada che va battuta, sei tra i pionieri, in un certo senso: una specie nuova di "autore locale". Poi appena ho visto la mail ho pensato: ma guarda te questo qui, non ci siamo mai incontrati e mi fa un regalo di compleanno perfetto. Ed è stato perfetto perché l'unico altro regalo che abbia ricevuto è un Kindle. Io sono uno che gli ebook li legge da un po', di solito al bar o quando sono in bagno o quando aspetto la pizza da asporto o, insomma in quelle occasioni lì, solo che finora ho sempre letto gli ebook sul telefonino. Ecco, adesso, col Kindle, che è come averlo acceso per la prima volta e averci trovato già dentro
L'apprendista libraio, ti dirò, far colazione o fare la cacca son tutta un'altra esperienza, rispetto a prima.
S. – Cavolo, un po' t'invidio. Io non riesco a leggere niente di lungo mentre faccio la cacca, perché finisce che mi concentro troppo e inibisco la peristalsi. Preferisco cose brevi tipo le recensioni del dizionario del cinema o l'etichetta del bagnoschiuma.
M. – In quelle occasioni ho sempre letto le recensioni del Mucchio, che son lunghe il giusto per non deconcentrarsi, per il motivo che dici tu. Poi quando ho cominciato a leggere gli ebook, niente, mi son trovato benissimo e la testa ha smesso di interferire col culo, e tutti e due han preso a muoversi indipendentemente. Adesso, col Kindle, secondo me sto anche meglio, a livello intestinale.
S. – Per quanto riguarda la faccenda di autoprodursi, avevo sottovalutato in pieno la questione del "metterci la faccia". In questi giorni ogni volta che apro la casella email ci trovo una o più critiche al romanzo, alcune positive, alcune abbastanza feroci. Ora, lo so che non si può piacere a tutti eccetera (e anzi molte critiche sono benvenute perché rientrano nel mio "piano decennale" di cui forse parleremo) ma volevo chiederti: tu come reagisci di solito a una critica negativa? Non mi riferisco solo in campo letterario, ma più in generale, sul lavoro e via dicendo. Intendo le critiche severe, quelle che sfiorano la cazziata, vanno quasi sul personale, e ti reputano responsabile di vere e proprie catastrofi (una blogger, partendo dal fatto che non le è piaciuto
L'apprendista libraio, ha previsto l'apocalisse del "selfpublishing" in Italia...)
M. – Mah, come reagisco: di solito mi incazzo come una bestia. Dopo ci penso, che spesse volte i critici (nel senso di quelli che fanno le critiche vere e severe) hanno ragione. Però rimango lo stesso incazzato come una bestia, son fatto così. E comunque sono cose che devi mettere in conto, se ti autoproduci, come devi mettere in conto quelli che non capiscono cosa stai facendo. (Tipo, a noi che facciamo gli editori inesistenti, ci riempiono la casella di posta con curriculum e manoscritti, che delle volte vien da pensare che in giro ci sia della disperazione.)
S. – Va bene, allora visto che hai finito di leggere il romanzo posso chiederti: una cosa che ti è piaciuta (se c'è stata) e una che non ti è piaciuta (se c'è stata) dell'
apprendista libraio.
M. – (Intanto ho letto
il post della blogger di cui sopra. Più che una critica o una stroncatura, mi sembra un'invettiva.) Allora, parto dalla cosa che non mi è piaciuta, così andiamo in crescendo verso la cosa che mi è piaciuta. La cosa che non mi è piaciuta, forse, è l'eccessiva cesellatura che ho notato nella prosa. Di tuo avevo letto – a parte i vari blog – solo
Domani gli uccellini canteranno e, rispetto a quello, la prosa dell'
apprendista libraio mi è sembrata un po' troppo appiattita, delle volte ridondante, soprattutto nei flussi di coscienza di Santo D'amico (per chi non l'ha letto: il protagonista): quando Santo spiega il suo sentire a sé stesso lo fa con un linguaggio troppo rivolto al lettore. Avrei forse tagliato qualche frase qua e là, ne avrei compresse altre. Lo stesso impatto, inizialmente, l'ho avuto con le questioni sessuali (per chi non l'ha letto: Santo D'amico, nonostante il suo sentirsi solo al mondo, scopa come un riccio), poi invece l'impressione è cambiata perché in quel caso la prosa si sposa bene con l'insofferenza oblomoviana di Santo (Santo e Oblomov, tra l'altro, sono coetanei).
La cosa che mi è piaciuta è stata la sorpresa di trovare un romanzo vero, e non una serie di aneddoti presi dal
blog dell'apprendista libraio, magari legati da una struttura narrativa sommaria. Mi rendo conto che questo possa essere un aspetto che spacca in due i lettori, ma io son dalla parte di quelli che hanno apprezzato la scelta. Mi è piaciuto anche il filo rosso che lega il Santo libraio dell'
apprendista con il Mirko edicolante degli
uccellini, anche se là, negli
uccellini, c'erano un intreccio più complesso e soprattutto un altro personaggio fondamentale come Andrea. Ecco, l'
apprendista è un romanzo senza trama, e a me piacciono i libri senza trama, delle volte. Questo mi è piaciuto.
S. – Hai ragione, molti potenziali lettori speravano che il libro fosse una raccolta di aneddoti o dialoghi. Altri si sono detti felici che invece fosse un romanzo vero e proprio. È sempre un sollievo scoprire che non puoi accontentare tutti e che alla fine è meglio fare come ti pare e amen. L'importante, per quanto mi riguarda, è che il libro svolga la funzione per cui è stato scritto: intrattenere chi lo legge. Sia chi lo ha apprezzato, sia chi lo ha criticato, infatti, lo ha letto tutto, fino in fondo. Finora nessuno ha scritto: "non sono riuscito a finirlo". E guarda che il romanzo è meno breve di quanto uno possa pensare. È lungo cinquantacinquemila parole. Ecco, questo per me è molto importante. Sapere di avere intrattenuto qualcuno, intrattenendo me. Non so come terminare questo ragionamento con una domanda, quindi ti chiedo: tu hai mai scritto un romanzo? Hai mai pensato di scriverne uno? E se sì, che cosa ti ha impedito di farlo? Ci metto il carico: tu perché scrivi, Marco?
M. – No, non ho scritto alcun romanzo. Confesso che ci avrò pensato mille volte, di scriverne uno, poi però niente, mi manca la scintilla, o semplicemente è una cosa che non riesco a fare come non so cambiare un tubo dell'acqua in casa. Però, tra blog e tumblr e racconti scritti qua e là e articoli e ospitate, insomma, penso di aver scritto più parole di Manzoni. Quindi ci sarà un motivo, del perché scrivo. Mi sa che, per me, scrivere è un vizio, un vizio sociale, un vizio che ti rende possibile stare in mezzo agli altri ma che può anche far male alla salute. Un po' come fumare.
Allora adesso ti faccio io una domanda, che poi è una delle due domande che in un'intervista con uno scrittore, secondo me, hanno un minimo di senso, e cioè: te perché hai scritto
l'apprendista libraio? (L'altra domanda è
quella che fa sempre Bonino quando intervista degli scrittori: il libro che hai scritto è bello?)
S. – L'ho scritto perché volevo festeggiare i cinque anni da commesso di libreria; perché mi sembrava la cosa giusta da fare in quel momento; e perché rientra in quel piano decennale di cui ti parlavo prima. In breve: nove anni fa, un giorno ho deciso che volevo imparare a scrivere romanzi, e per farlo avrei scritto cinque romanzi in dieci anni, pazienza se non me li avessero pubblicati. Pensavo, e lo penso ancora oggi, che per imparare a fare una cosa e se non hai nessuno che t'insegna, niente valga quanto farla, quella cosa. Così come per imparare a fare un tavolo decente niente vale quanto costruire una serie di tavoli. Magari i primi ti vengono sghembi, ma ogni volta impari qualcosa, o un falegname esperto ti fa notare dove stai sbagliando (e i falegnami maligni, altrettanto utili, ti dicono di accenderci il fuoco). E dopo un po' magari ti viene fuori un tavolo decente. Oppure, chissà, scopri che costruire tavoli non ti piace nemmeno tanto e passi, che ne so, alle sedie. Ma non lo saprai mai se non ti chiudi in falegnameria. Tutto questo per dire che negli anni ho provato il romanzo in prima persona, quello in terza, quello realista, quello un po' surreale, eccetera, tutto allo scopo di imparare. Ecco, forse ho scritto
L'apprendista libraio perché questa era la volta del romanzo semi-autobiografico, in prima persona e al passato remoto, con scarsa attenzione alla struttura in tre atti, al climax, eccetera. Per quanto riguarda la domanda che fa sempre Bonino agli scrittori, se è bello il libro che ho scritto, ti rispondo: a me piacerebbe.
M. – Ok. Se vuoi puoi chiedermi delle altre cose: l'intervistatore sei tu. Anzi, scusa se ti ho fatto una domanda io, non ho mica resistito.
S. – Ancora una, allora. Entri ancora in una libreria ogni tanto? O ormai tutti i tuoi movimenti librai avvengono sull'internet? Se ci entri, hai da condividere un episodio (anche non recente) tipo "Apprendista libraio" con i lettori di Barabba?
M. – Ci entro molto spesso, in libreria, cioè, molto spesso per come m'immagino la frequenza media d'ingresso in libreria delle persone normali. Ci entro più o meno quanto entro nei negozi di dischi, quindi diciamo una o due volte al mese. Però, A differenza dei negozi di dischi dove anche se entro per caso finisce che esco sempre con qualcosa, in libreria ci vado solo quando so quello che voglio. Se non trovo il libro tra gli scaffali – la libreria è quasi sempre la stessa, ormai la conosco benissimo – vado dal commesso, gli dico ciao hai mica il tal libro (citando titolo, autore e casa editrice, e anche la data d'uscita, se serve) e se ce l'ha lo compro, altrimenti lui di solito mi chiede se voglio mandarlo a prendere, ma io, puntualmente, ringrazio e rispondo che no, guarda, fa lo stesso, non ho fretta. Poi vado a casa e lo ordino su IBS, per esempio, se lo voglio di carta, o su Amazon o Bookrepublic, per esempio, se mi va bene anche in ebook (ultimamente sempre più spesso). Però la mia libreria mi piace, anzi, a voler essere sincero, dopo che ho letto
l'apprendista mi sono accorto di aver sempre sognato, come il tuo "Autore Locale", ahimé, di metterci un libro in vetrina per poi rimirarlo attraverso il vetro, tipo quando la libreria è chiusa, di sera, mentre ci passeggio davanti col cane. Per fortuna non ne ho ancora scritto neanche uno.
S. – Abbiamo finito. Come sono andato?
M. – Benone, grazie. Io?
S. – Sei andato benissimo.
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L'apprendista libraio, il nuovo romanzo di Stefano Amato, è uscito l'8 febbraio, costa due euro e novantanove e si trova sul sito dell'apprendista libraio (in epub e mobi) e anche su Amazon (ovviamente solo in mobi).