mercoledì 31 dicembre 2008

SUCCISA VIRESCIT

Significa: Tagliato, ricresce; in ambito filosofico viene interpretato: Precipitare la fine, anticipare l'inizio. Questo concetto è comparso durante una conversazione tra Barabbisti et alii mentre si commentava la vittoria di Obama a Novembre. Per certi versi rieccheggia il classico Tanto peggio, tanto meglio che correva di bocca in bocca tra gli extraparlamentari del secolo scorso. Quella sera però assumeva connotazione più forti e darwinistiche, una sorta di conclamato Noi non ci saremo (infatti G. Lindo Ferretti, sotto questo aspetto e molti altri, non è più tra di noi). Quella notte stessa (6-7 nov) il sottoscritto sognava di svegliarsi tra brande di soldati all'interno di un sottomarino atomico in avaria. Pochi giorni dopo, credo 2 o 3 al massimo, qualcosa di simile è successo, molti soldati sono morti ma il potenziale mortifero nucleare non ha infettato il globo terracqueo. Qualche giorno prima P.P., rinomato e pluripremiato fumettista italiota, chiude una mail indirizzatami con:

Questi ultimi anni dell'era postmoderna mi sono sembrati un po' come quando sei alle superiori e i tuoi genitori partono e tu organizzi una festa. Chiami tutti i tuoi amici e metti su questo selvaggio, disgustoso, favoloso party, e per un po' va benissimo, è sfrenato e liberatorio, l'autorità parentale se ne è andata, è spodestata, il gatto è via e i topi gozzovigliano nel dionisiaco. Ma poi il tempo passa e il party si fa sempre più chiassoso, e le droghe finiscono, e nessuno ha soldi per comprarne altre, e le cose cominciano a rompersi o rovesciarsi, e ci sono bruciature di sigaretta sul sofà, e tu sei il padrone di casa, è anche casa tua, così, pian piano, cominci a desiderare che i tuoi genitori tornino e ristabiliscano un po' di ordine, cazzo... Non è una similitudine perfetta, ma è come mi sento, è come sento la mia generazione di scrittori e intellettuali o qualunque cosa siano, sento che sono le tre del mattino e il sofà è bruciacchiato e qualcuno ha vomitato nel portaombrelli e noi vorremmo che la baldoria finisse. L'opera di parricidio compiuta dai fondatori del postmoderno è stata importante, ma il parricidio genera orfani, e nessuna baldoria può compensare il fatto che gli scrittori della mia età sono stati orfani letterari negli anni della loro formazione. Stiamo sperando che i genitori tornino, e chiaramente questa voglia ci mette a disagio, voglio dire: c'è qualcosa che non va in noi? Cosa siamo, delle mezze seghe? Non sarà che abbiamo bisogno di autorità e paletti? E poi arriva il disagio più acuto, quando lentamente ci rendiamo conto che in realtà i genitori non torneranno più - e che noi dovremo essere i genitori.

David Foster Wallace


E una notte di dicembre questo genio, di cui conosco ancora poche cose, decide di non riuscire più a sopportare l'attesa, o il cambio di prospettiva, o queste e mille altre cose.
Perdonatemi questa svolta intimista e questo giochetto delle coincidenze, perdonatemi/ci una latitanza che sa di stanchezza ed esasperazione nel sopportare l'assurdo anche quando ha risvolti comici (la scuola tutta va a manifestare contro le previste mannaiate della Siura Gelmini mentre il governo, sotto pressione dela Lega Nord, aiuta con milioni di euri il piccolo mondo delle corse dei cavalli e delle scommesse correlate. Dopo questi fatti, reinterpreti sotto una nuova luce la frase preferita di alcuni professori della superiori. Datti all'Ippica! non è un insulto ma un consiglio...).
A tutti, o quasi, piace pensare di vivere in periodi storici irripetibili, unici, (che tu possa vivere tempi interessanti è un antico augurio cinese), e io non sono da meno. Confesso che in questi ultimi mesi mi son ritrovato ad augurarmi l'avvento di una nuova era, la fine di un epoca buia e stupida che è cominciata alla fine degli anni '70 e che sembra finalmente tirare le cuoia in questi ultimi scampoli del primo decennio del XXI° secolo (cfr. Come gli stregoni hanno conquistato il mondo - Breve storia delle delusioni moderne di Francis Wheen). Un moto di accellerazione è visibile in tutto il mondo, a causa della crisi finanziaria e dei suoi cascami tutt'altro che teorici e metafisici, e una delle sue più brutali manifestazioni sta avvenendo mentre scrivo e leggete: il massacro di Gaza. Intorno a questo evento, feroce, inumano e meschino, s'avverte il fiato corto, l'impazienza, l'ansia, la consapevolezza che potrebbe essere l'ultima occasione, la necessità di fare più danni e lutti possibili prima che le cose e le carte in tavola cambino.
Magari sono solo flebili percezioni, sensazioni apparenti, sproloqui da profeta rinnegato, ma non è questo lo spirito che ci porta ad accogliere il nuovo anno e tutti quelli a seguire?
Tornando alle prime righe, il mio buon proposito sarà spingere più in fondo ciò che va in putrefazione e favorire ciò che sta nascendo. Buon anno

venerdì 7 novembre 2008

Dolori Interinali

“Farò tali cose
(quali ancora non so)
ma saranno
il terrore del mondo”
(Re Lear sulla soglia della pazzia)

ciao Many,
ti racconto quello che mi è accaduto pochi giorni fa ad un colloquio di lavoro.

Mi telefona l'agenzia interinale alla quale avevo lasciato un CV per un posto di tecnico informatico. Mi convocano per un colloquio da loro, il colloquio va bene e mi fissano un appuntamento nel pomeriggio per l'Azienda interessata.
Arrivo puntuale all'Azienda, dico alla ragazza alla reception che ho un appuntamento con la responsabile dell'ufficio personale e lei in risposta mi chiede, asettica: "Ha un documento?"
Cominciamo male.

Alquanto alterato le allungo la carta d'identità che la ragazza provvede a fotocopiare in una stanza attigua. Quando torna con le fotocopie (a colori, pensa te che spreco!) mi chiede di seguirla in una saletta. "Posso riavere la mia carta d'identità?" domando preoccupato perché l'atmosfera è oramai degna di un check-point militare e temo che il documento mi venga confiscato. Me lo restituisce, ma in cambio mi allunga un modulo di domanda di lavoro da compilare.
Sono esterrefatto.
"Ma ho un appuntamento, mi manda l'agenzia interinale, il mio curriculum l'avete già!" tento di fare capire alla centralinista che ligia al dovere mi risponde austera: "Queste sono le prassi aziendali" e se ne va senza aver nemmeno alzato la cornetta del telefono per avvisare la persona con la quale avevo un appuntamento.

Rimango lì, da solo nella saletta per alcuni istanti, le fotocopie (a colori) della mia carta d'identità in una mano e il modulo nell'altra. Mi sale un senso di disagio enorme, una vera e propria angoscia che si trasforma in stretta allo stomaco. Non è così che voglio esser trattato, non è certamente questo il posto ove voglio lavorare! La decisione è immediata: esco dalla saletta e poggio la penna e il modulo intonso sul bancone della reception.
La centralinista mi guarda stupita senza capire. La guardo e le dico con la massima calma: "Mi spiace ma questo modo di fare non è per me, nulla di personale, non ce l'ho con lei, ma con questa azienda non posso avere nulla a che fare" Poi mi giro e me ne vado.
Lei rimane di sasso, il viso paralizzato, attonita, ammutolita. Io sono felice di aver dato retta ai miei sentimenti, teneteveli i vostri moduli, la vostra burocrazia e il vostro lavoro del cazzo, meglio fare la fame che vendere la propria dignità!

Più tardi mi telefona l'impiegata dell'agenzia interinale chiedendo spiegazioni sull'accaduto. Ovviamente biasima il mio comportamento, secondo lei avrei comunque dovuto sostenere il colloquio perchè "la faccia ce la mettono loro" (ma le umiliazioni me le prendo io!)
L'impiegata e è disperata: "In cinque anni non mi era mai successa una cosa simile" si lamenta "Ci hai fatto perdere un cliente. Hai mandato a monte ore ed ore del mio lavoro"
Mi spiace baby, è la guerra!
Fantastico, due piccioni con una fava, in una sola mossa guasto i piani delle aziende e delle agenzie interinali, senza volere ho scoperto un modo strepitoso per sabotare il sistema! Diventerò il Paolini delle agenzie interinali!

Dopo una mezzora mi tornano a chiamare. Questa volta decido di non rispondere, ci siamo già detti tutto, non è necessario spiegare le cose due volte. Insistono, chiamano due, tre volte - cazzo vogliono? - mi decido finalmente a rispondere. E' un altri impiegato dell'agenzia interinale che, con toni concilianti, mi dice che l'Azienda è ancora interessata a vedermi.
"Il profilo del suo curriculum è interessante" mi dicono. Incredibile, Io li disdegno e loro mi cercano, Colloquio Man ha un fascino tale da farlo vincere anche quando vuole perdere.
La storia comincia a diventare interessante: di lavorare in quell'azienda non ci penso nemmeno, sarebbe per me un incubo, ma alla fine acconsento nel dar loro una seconda possibilità e per godermi il proseguio con la curiosità dell'antropologo.

Passo la mattina dopo in agenzia e spiego in maniera estesa il motivo del mio comportamento. La butto sul paradosso facendogli notare che se ad entrare non fossi stato io ma un cliente forse non gli avrebbero chiesto i documenti ma piuttosto gli avrebbero offerto un caffè. Faccio notare che compilando il loro modulo avrebbero potuto sapere le stesse cose contenute nel curriculum già in loro possesso mentre molte più informazioni le avrebbero avute PARLANDOMI invece di affibbiarmi il modulo asettico. E poi, se "per tutelarsi" sono così fiscali nel volere sapere cose su di me, allora voglio sapere anche io cose si di loro: che mi facciano vedere i bilanci aziendali e l'ammontare del loro indebitamento con le banche, voglio accertarmi che siano in grado di pagarmi lo stipendio per i prossimi mesi.

Inutile, non vengo capito, per loro il fatto che quell'insano modo di fare sia "la prassi aziendale" prevale sull'avere un comportamento umanamente accettabile e ragionevole, prevale sull'umiliazione di essere stato trattato come una nullità. Un'azienda dove le "prassi aziendali" prevalgono sulle più elementari norme di comportamento umano non mi sembra il posto dove uno debba desiderare di lavorare. Anche nella Germania nazista gli orrori commessi furono giustificati dicendo che "si ubbidiva solo agli ordini".
Se mi convocheranno per il colloquio ci andrò e gli parlerò di queste cose e magari gli chiederò anche come fanno ad essere così tonti da non capire che EVIDENTEMENTE, stante il mio comportamento, io non posso essere la persona adatta per loro.
Fanno tanto i professionali, sia nell'Azienda che nell'agenzia interinale, ma non si accorgono nemmeno che vogliono assumere una persona completamente inaffidabile!

venerdì 10 ottobre 2008

China – Tibet. Fuori i secondi


Sabato 4 ottobre. Ore 11. Sala Borsa. Ferrara. Festival d’Internazionale. Asia - Il Tibet prega per la Cina: Incontro con Yu Hua scrittore cinese Ghesce Tenzin Tenphel lama tibetano modera Liliana Cardile d’Internazionale. Fin dall’inizio, più che ad un incontro culturale, m’è parso di assistere ad un incontro di pugilato, ovviamente pugilato verbale, ma la mole taurina dell’ecclesiastico e l’abbigliamento del suo traduttore, al quale mancavano solo l’asciugamano e lo stuzzicadenti, lasciavano intravedere possibili atteggiamenti agonistici, che ovviamente non sono mancati. Coi primi scambi interlocutori ed introduttivi, i due protagonisti avevano mostrato la loro tattica e la loro interpretazione del match. Yu Hua, esile e minuto, concentrandosi nell’esposizione storica dei legami atavici che uniscono da millenni le due terre aveva cercato in tutti i modi di stringersi all’avversario per non permettergli di sferrare diretti e colpi bassi. Ghesce Tenzin Tenphel, forte della propria condizione di lama esiliato a Pistoia, incoraggiato, purtroppo, dalla gran parte del pubblico, non rinunciava a scaricare sul malcapitato tutte le sciagure e i danni dell’assorbimento e della sinizzazione forzata del suo paese natio. Lo scrittore ha più volte ribadito di non essere filo-governativo, ha ripetutamente vituperato gli orrori della rivoluzione culturale, che, come faceva giustamente notare, ha colpito tutti, indifferentemente. Ha ammesso l’impossibilità di comprensione tra “Occidente” e Cina, fintanto che le notizie vengano montate, trasmesse ed interpretate in forme diametralmente opposte. Ha chiesto al pubblico da dove provenisse e che cosa significasse l’interesse, così spasmodico, sulla Situazione Tibetana, mostrato dall’”Occidente”. S’è persino sforzato nel tentativo di alleggerire la tensione e ha cercato comprensione attraverso un paio di battute. Ma Yu Hua aveva letto male l’incontro, in palio non c’era un tentativo di scambio delle reciproche opinioni bensì la conquista del pubblico e la gogna per il cattivo. In questo confronto fuori casa la vittima ha indicato il capro espiatorio ed ha conquistato la compassione e la benevolenza di molti, troppi a mio parere per un festival che pone l’accento sulla comprensione reciproca e l’interculturalità. Solo gli interventi della giornalista d’internazionale, nel ruolo di arbitro, hanno impedito al sacerdote di sferrare upper-cut da K.O.
Yu Hua avrà cercato di seguire il proverbio tibetano “Rivolgi discorsi morbidi e suadenti a coloro che si atteggiano a malvagi”, Ghesce Tenzin Tenphel quello che dice “Il naso rotto di un nemico odiato è molto più gradevole che ascoltare la pace invocata da parenti benevoli”. Lo scrittore una volta di più avrà compreso che “È problematico essere la madre di molti porci, è difficoltoso essere il governatore di molti paesi”.
Il rapporto tra Cina e Tibet, come nei legami più sordidi e complessi, non riguarda solo le due nazioni ma anche altri paesi, che attraverso movimenti d’opinione internazionali, cercano d’intromettersi nella dinamica, per scopi politici ed economici.
Una delle tante peculiarità del Tibet, oltre ad una travagliatissima storia, è quella di essere, almeno dal XIV secolo, guidata da alti gerarchi di una scuola buddista, delle quattro esistenti. Con le dovute cautele è possibile raffrontare la storia del Tibet medievale e moderno con le strategie e le scelte dello stato della chiesa, oggi ridimensionato nella più piccola nazione del mondo: Città del Vaticano. Se Brecht ricordava quanto sia povero lo stato che ha bisogno di eroi, posso solo specificare quanto disperata (ed ingenua) possa essere una popolazione che s’affida ai monaci nella propria lotta d’indipendenza.
All’uscita della sala una giovane signora distribuiva volantini per finanziare la costruzione di uno splendido tempio buddista in Toscana.

giovedì 28 agosto 2008

Badare a Carpi d'Estate

Pubblico di seguito l'articolo "saccheggiato" dal vecchio malvissuto su Voce di questa settimana. Il vecchio mi disse di spedirgli un resoconto della serata moldava in Piazza Garibaldi, ecco ciò che gli mandai via posta elettronica dieci minuti prima di partire per il mare:

E’ da parecchie sere consecutive che cerco un pretesto per andarmene da Carpi e da Piazza Garibaldi. La Carpi Estate ne invade il ciottolato col consenso dei negozianti e il forzato silenzio-assenso dei residenti, incluso il sottoscritto, con eventi a ritmo serrato dal lunedì al venerdì; due o tre serate soltanto degne di nota – Riondino e il Poema di Garibaldi, Poeti in Piazzetta, Garibaldi Jazz e poco altro, pochissimo – e conseguente impossibilità degli inquilini di godere del sacrosanto riposo dopolavoro. E’ metà Luglio, per chi scrive, le ferie sono lontane e la carrellata “culturale” continuerà ininterrotta fino a Settembre.

Senza nemmeno sbirciare il programma delle serate che l’amministrazione comunale mi ha preventivamente inviato per posta (non so ancora se per ruffianeria o come monito al silenzio) sono già lavato, vestito e pronto per partire. Spalanco la finestra perché la casa si rinfreschi appena in mia assenza e dall’alto vedo un esercito di capigliature bionde inconfondibili sulle seggiole rosse di fronte al palco. Un anello di carrozzine circonda ordinatamente i due settori della platea. Con un gesto fulmineo afferro il programma e leggo: Trandafir de la Moldova. Decido di scendere, sorridente e curioso come un gatto di pochi mesi di fronte a un cassetto aperto.

La band moldava – tromba e trombone, tastiera, basi preregistrate, fisarmonica e una cantante dall’aria vagamente sovietica – sale sul palco sotto uno scroscio di applausi e grida concitate, si presenta in italiano quasi perfetto come un gruppo d’alfieri della musica moldava e attacca il primo pezzo sotto il battimani che deve ancora cessare. Bastano non più di dieci note perché le seggiole rosse vengano abbandonate a sé stesse e un oceano di badanti, dopo aver rassicurato con parole gentili all’orecchio i rispettivi badati, sommuove verso il palco in danze vorticose. Si mettono in cerchio tenendosi per mano e ruotano a passi di danza conosciuti, sventolano fazzoletti bianchi sulla testa, si aprono e si ricompattano sorridenti a ondate regolari, cantano e scattano fotografie col telefonino.

La piazzetta si colma di anime eccitate, di giovani moldavi loro figli che ballano con le madri e uomini dall’aspetto calmo e austero che muovono le gambe e incrociano le braccia per poi togliere ogni freno e lanciarsi nelle danze. Non mi ero mai accorto di quanti moldavi maschi abitassero in città. Io e la mia compagna, poco dopo l’inizio del concerto, siamo forse gli unici italiani nella piazza, se si eccettuano i due o tre recidivi dell’aperitivo (che stasera naufraga rovinosamente, travolto dall’onda anomala moldava) e i vecchietti immobilizzati sulle carrozzine, che sovente guardano con occhi umidi nella folla per cercare la propria accompagnatrice senza riconoscerne la figura in mezzo alla baraonda.

Già a metà concerto Virginia, la cantante, smette di presentare i pezzi nel suo italiano quasi perfetto e passa al moldavo senza remore. Le biondone dalla stazza inconfondibile e dal fascino sovietico ritornano dai rispettivi badati ogni due o tre cantiche per rassicurarli amorevolmente, quasi questi fossero loro famigliari e non prodotti di scarto della società del terziario che ha dimenticato l’autorevolezza dell’anzianità per perdersi negli straordinari o nell’aperitivo serale. Sicché, tra una ballata tradizionale moldava – con quelle sonorità quasi balcaniche e la fisarmonica a ricordarci che da quelle parti deriva tutta la nostra tradizione musicale, dalla polka alla mazurca – e canzoni moderne come Numa Numa Dance – scippata alle usanze moldave dai media, qualche anno fa – questo popolo di migranti dell’est, costrette a convivere giornalmente con il sentore della morte e dell’abbandono, trasformano Piazza Garibaldi in un inno alla vita. Il trasporto è talmente grande da far durare le danze oltre il limite d’orario consentito. Io e la mia compagna siamo ancora lì, come ebeti al cospetto di questa massa ondeggiante, a batter le mani e a tentare qualche passo di danza.



Vien quasi da chiedersi perché il comune non organizzi serate del genere con cadenza almeno mensile. Avrebbe il risultato quasi certo di un’integrazione totale, nonché il dono di un momento di sfogo per chi è lontano da casa almeno due migliaia di chilometri. Intanto, nel mio taccuino mentale aggiungerò Trandafir de la Moldova alla lista delle due o tre serate degne di nota della Carpi Estate in Piazza Garibaldi. Chissà che l’anno prossimo l’assessorato alla cultura non decida d’interpellare i residenti, come per una sorta di collettivismo da comitato di quartiere che almeno il segmento anziano del PD dovrebbe conservare in qualche anfratto represso della memoria… avrei due o tre idee da proporre…

lunedì 4 agosto 2008

1/14 vel De securtatis sterilitate

Quando qualche giorno fa, in leggero ritardo, ho ricevuto l'irrinunciabile CarpiCittà, periodico del comune di Carpi, e mi sono soffermato sulla verticalissima e sobria copertina, recante l'immagine di una videocamera a forma di biglia appesa ad un palo, ho pensato che l'infinita onda lunga sulla sicurezza-in-ogni-luogo (e-ad-ogni-costo) scaturita dall'11 settembre 2001 ci aveva finalmente raggiunti. Sul momento non avevo niente da obbiettare, tenevo semplicemente per me la convinzione, dimostrata e condivisa da numerosi studiosi, circa l'inutilità e lo spreco dell'operazione. Ma bisogna sempre gettare un'occhio verso i primi della classe, così ho "scoperto" la famosa acqua tiepidina: la nazione più sorvegliata del pianeta (1 telecamera per 14 persone) è anche la più violenta ed aggressiva, dopo i sempreverdi u.s.a in cui il numero di omicidi è più grande del 30% rispetto alle aggressioni: Signore e Signori, parliamo della Perfida Albione, alias la gran bretagna. Al record mondiale di videosorveglianza va abbinato un'altro primato, paradossale per gli inventori del concetto di privacy e dell'habeas corpus: la prima banca dati nazionale completa del Dna di ogni abitante.

Sia detto en passant: Pd e Pdl sarebbero già d'accordo per la catalogazione italiota entro il 2010. Come Foucault insegna, partire dai più deboli e "deviati" (vedi alla voce: bambini+rom) per assumere il controllo dei "normali".

Ma oggi è altresì una giornata speciale per la Dea Sicurtà: 3000 soldati sono usciti dalle loro stantie e muffite caserme per riversarsi nelle città. Non credo, come alcuni complottisti ipotizzano, alla teoria del golpe a rallentatore (o golpetto che dir si voglia) e neppure griderò al cielo il classico "Quis custodiet ipsos custodes?" del celebre Giovenale. Considero la mossa un banale coup-de-théatre da parte di un vecchio mago che ha esaurito le carte, i trucchi, le frasi ad effetto e sopratutto i baiocchi per pagare i sottoposti. Questi tremila, ai quali seguiranno altri, mi ricordano le macchine celibi di Mr. Duchamp, improduttive, inutili e, con i loro movimenti a vuoto e non-sense, probabilmente dannose al tessuto vivo della società, non per volontà propria ma, diciamo così, per statuto ed indole. L'italia in questo periodo sembra Elvis nella sua ultima fase, quando i tranquillanti e le anfetamine gli avevano sregolato il bioritmo alimentare e il Re, ormai obeso, credeva di avere sempre fame. Governo (plusOpposition) e media sono i barbiturici che ogni giorno assumiamo. La fame innaturale è la nostra ansia di sicurezza. Telecamere, poliziotti di quartiere e soldati sono l'unico junk-food che ci viene proposto. Sono altrove i motivi della nostra insicurezza. Dobbiamo cominciare a cercarli. Come tutti, non ho nessuna voglia di ritrovarmi su un'isola per fomentare leggende metropolitane...

giovedì 10 luglio 2008

Parole Sante

Roma. Pioggia di dissociazioni bipartisan dalla manifestazione di piazza Navona di martedì. Entrambi gli schieramenti politici si dicono indignati dalle parole del noto comico satirico Giuseppe Garibaldi che ha definito il papa «quel metro cubo di letame» e «la più nociva fra le creature, perché egli, più di nessun altro è un ostacolo al progresso umano, alla fratellanza fra gli uomini e dei popoli».

«La fedeltà incondizionata al Santo Padre è un valore di sinistra,» commenta infastidito il leader dell'opposizione Weimar Velcroni, «è urgente definire un confine netto tra la satira e l'insulto,» e aggiunge «questo fantomatico Giuseppe Garibaldi non fa nemmeno ridere».

Perentorie le dichiarazioni del Vaticano, che si trova impegnato a pieno ritmo nel tentativo di salvare la vita della giovane malata terminale per la quale il tribunale ha imposto la sospensione del sostentamento vitale. «E' un pessimo momento per la Chiesa e per la società civile,» commenta il cardinal Rovina «insulti da una parte, eutanasie dall'altra».

Rincara la dose il Garibaldi, il quale deposita il proprio testamento e ne rende nota la clausola finale: «Siccome negli ultimi momenti della creatura umana, il prete, profittando dello stato spossato in cui si trova il moribondo, e della confusione che sovente vi succede, s'inoltra, e mettendo in opera ogni turpe stratagemma, propaga coll'impostura in cui è maestro, che il defunto compì, pentendosi delle sue credenze passate, ai doveri di cattolico: in conseguenza io dichiaro, che trovandomi in piena ragione oggi, non voglio accettare, in nessun tempo, il ministero odioso, disprezzevole e scellerato d'un prete, che considero atroce nemico del genere umano e dell'Italia in particolare. E che solo in stato di pazzia o di ben crassa ignoranza, io credo possa un individuo raccomandarsi ad un discendente di Torquemada»

giovedì 3 luglio 2008

Now we overcome on Braglia's green

Capitano le mattine in cui leggi il giornale e sorridi, quasi ridi in mezzo agli altri avventori assonnati nel bar della stazione ferroviaria. Lo so, ultimamente c'è poco da ridere e molto da rabbrividire. La cosa diventa ancor più straordinaria se è "l'informazione di modena" a farti tornare alla mente un'esperienza che, senza esagerare, definirei gloriosa. Purtroppo il giornale non concede versioni on-line degli articoli pubblicati, a patto di essere registrato/controllato, quindi vi dovrete fidare. L'articolo, inserito nella sezione sportiva, accennava a quel lontano 14 giugno (giacchè quando si parla di eventi epocali, il passato prossimo diviene subito epoca arcaica e la vicenda assume subito tutte le connotazioni del mito fondativo) in cui trentamila beati si sono goduti, pigiandosi come olive nel frantoio e sgolandosi meglio di qualsiasi ultrà, l'unico concerto italiano dei Rage Against The Machine.




Non se ne abbiano a male le lettrici ma questo è un mito fondativo in stile classico, pertanto, seguendo le orme degli argonauti, ha per unici protagonisti uomini. Qualche donzella comparirà ma tutto il resto sarà pura machia e virile spregio del pericolo.

Infatti siamo dei cazzoni, il concerto è per le 22 e noi alle 19 siamo ancora a Carpi, intenti a sbranare pezzi di pizza e a brindare con birre, quasi dovessimo cogliere nel luppolo favorevoli auspici all'impresa. Qualcuno proroga ulteriormente la partenza causa l'espletamento di necessità fisiologiche. Finalmente si parte. Siamo il sottoscritto, F. A. mio vecchio compagno di scuola e di pallamano, F. B. esimio barabbista e fumettaro, fulgido esempio di post-quartario avanzato, talmente avanzato da confondersi con l'orizzonte, Johnny brillante dimostrazione vivente di come si cresce bene, con sani principi ed ancor più saldo stomaco, lottando per il cibo con altri 5 fratelli, N.P. ex-biologo a breve storico, cultore di Nuto Revelli, esperto trombettista ma credo ancor più esperto rugbista, la cugina di quest'ultimo e il di lei compagno, incontrati per l'occasione. "Ma come?" vi starete chiedendo, "allora una ragazza c'è!" non siate impazienti, lasciate fare all'aedo. Giunti a destinazione, la parcheggiata migliore non può essere che quella davanti agli autocarri per la rimozione forzata, provateci anche voi, cominciate a spacciare di fronte alla questura o a prostituirvi dentro le chiese, poi mi saprete dire se funziona sempre... Cominciamo ad avvicinarci allo stadio e, come tutti, mentalmente iniziamo a dividere i fan in nostalgici over 25-under40 e giovani promesse, complessivamente il rapporto sembra equilibrato. I gruppi-spalla Linea 77 e Gallows hanno già suonato e nessuno sembra essersene accorto. Superati i controlli, nei quali N.P. e il sottoscritto rischiano un azzannata per aver fatto gli amici degli animali con un cane poliziotto, entriamo sul prato e subito un odore di mariuana all'amoniaca ci viene incontro. La folla è già quasi al livello di massa critica (7/8persone per mq), dopo una breve valutazione dei pro e dei contro optiamo per la mossa del cavallo: allungarsi sul bordo destro per poi tagliare al centro. La strategia funziona, talmente bene che finiamo in bocca alla ringhiera interna posta proprio sotto il palco, che dovrebbe custodire i fan più fedeli muniti di un fantomatico braccialetto, ma Italy's Italy e così entriamo tutti allegramente. Durante l'attesa cominciamo a simpatizzare con i vicini, ci troviamo immersi tra vicentini, trentini, marchigiani, siculi, tutta la popolazione dello stivale è degnamente rappresentata. La densità è talmente alta che per non perdere il posto faticosamente guadagnato la gente piscia nelle bottigliette, ma non mancano i molesti e N.P. si accorge, in ritardo, che qualcuno, pisciando, ha colpito il suo polpaccio destro ma non ci sono cani in giro...Comincia il buio ed inizia l'attesa, alla fine di ogni canzone un mormorio sempre più forte sale a richiedere l'uscita dei musici. Mentre cominciamo a compattarci, per non perderci di vista, una sirena lacera le aspettative, diventa sempre più forte, la folla inizia ad eccitarsi, uno strano misto di rabbia, esaltazione ed inquetudine si spande nell'aria. Sul palco compaiono 4 incappucciati in tuta arancione, Guantanamo dresscode, solo il giorno prima infatti la corte suprema degli u.s.a. aveva stabilito che ogni prigioniero di Guantanamo può e deve essere processato secondo le procedure dei tribunali americani. La sirena termina di ululare, Bombtrack esplode nell'aria insieme a tutto lo stadio. Come ho già detto c'eravamo compattati, ai primi accordi istintivamente tutti guardiamo la cugina di N.P. ed il suo boyfriend, sorridono mentre tutti iniziamo ad ondeggiare in questa marea umana, al primo urlo di Zach De la Rocha la marea si tramuta in tsunami, non ci sono più punti di riferimento, non sai dove premere o dove schiacciarti, tutto si muove e spinge, sembriamo globuli rossi in un cuore umano in preda ad un infarto, l'espressione di ogni volto che incontri in quel turbine è gioia e stupore per un energia così forte, quando finisce il pezzo tutti cerchiamo la signorina e il suo uomo, hanno scelto di allontanarsi, comincia la machia. Ci stringiamo come una squadra di rugby e resistiamo ai primi pezzi, intorno si creano nuove geografie, spazi che un'autogestione inconscia e collettiva ha eletto a poghi primari o secondari intervallati da solide banchine di incoercibili spettatori che insistono a vedere cosa succede sul palco mentre intorno a loro è il caos. Finito il pezzo la band si sveste ed alza il pugno mentre le casse mandano We Shall Overcome, canzone dell'Internazionale, versione I.W.W.
La testuggine ha tenuto, io e F.B. cerchiamo un'avanzata disperata durante Testify, la pressione dei corpi diventa via via più insostenibile, riesco a raggiungere la 4a fila, le prime 3 possono ancorarsi alla ringhiera, considero, mentre rischio l'asfissia, che la 4a fila è il primo posto degli ultimi e torno indietro. La machia è ancora in atto, appaiono esseri mitologici, dai metallari gemelli alti 2m che con l'headbanging (se non sapete cos'è andate a studiare, oppure al prossimo concerto degli Slayer...) frustano tutti quelli che si trovano nel raggio di 4 metri, al punk-a-bbestia romano/rumeno che è alto 1,65cm ma pesa 100 chili e pertanto è irremovibile, vera ed oscura nemesi di F.B. Non mancano le apparizioni celestiali stile Fantozzi. Mentre cerchiamo di scacciare questi mostri una ragazza bionda cade nel gruppo da un'altezza di 2m ed atterra come nei cartoni animati, di faccia, alcuni compari gli si fanno intorno, tra il preoccupato e l'interessato, la bionda si rialza, due manate per ripulirsi, ringrazia e si lancia avanti lasciandoci esterrefatti, ancora oggi ci chiediamo come avesse fatto a cadere da così in alto. I RATM continuano a macinare riff e grida devastanti, le orde si spingono ma il pogo è ordinato, tutti si fanno avanti o improvvisano un cordone quando qualcuno finisce sotto una pila di corpi o si sta allacciando una scarpa, sono sempre più fiero di questa machia...Dopo una seconda, ed ancor più violenta incursione nelle prime file, durante la quale assisto a piccoli show, come un obeso ultraquarantenne che tenta d'infilarsi gli occhiali mentre saltella Guerrilla Radio, un falò improvvisato con tanto di saltatori e un ultrapressurizzato giovinastro che tranquillizza le folle con calma pontificia ripetendo "boni, boni, semo tutti fratelli, boni", ritorno nel gruppo in tempo per ascoltare il discorso di Zach durante Wake Up che accusa Bush, ci dice che abbiamo un governo fascista ma che ci ricorda che siamo comunisti, anarchici, rivoluzionari e che "we shall overcome". Il concerto si chiude con l'epica Killing in the Name, siamo ancora tutti interi, un pò doloranti ma felici. F.B. ed il sottoscritto, veterani del concerto di Sonoria del 1996, commentiamo che "è stato fantastico, come 12 anni fa". Ritroviamo la cugina col moroso e c'incamminiamo verso una birra ghiacciata ed una piadeina, ho di nuovo 17 anni e mi sembra di aver festeggiato la Rivoluzione dopo averla fatta.

Ah, dimenticavo, l'articolo de "l'informazione di modena" si lamentava coi gestori dello stadio perchè a quasi 3 settimane dal concerto il campo era ancora impraticabile e traumatizzato, meglio degli Unni...

domenica 22 giugno 2008

Il volo della pernice bianca

Sempre difficile scrivere di qualcuno che se n'è andato. Sopratutto se t'ha segnato nel profondo senza averti mai conosciuto. Anche se ero già informato delle difficili condizioni di salute, immaginavo che "il Mario" avrebbe superato persino questa quota e che sarei potuto finalmente andare a trovarlo e ricambiare con poca cosa i grandi doni ricevuti. Per scrivere qualcosa di appena decente dovrò strapparmi dall'asfittica piana in cui mi trovo e proiettarmi su una delle tre cime di Lavaredo, prima dell'alba, quando solo la natura parla. Diversi sono stati i motivi per cui ho scelto d'incentrare la mia tesi sulla sua opera, i più forti e numerosi sono personali. "Il Sergente nella neve" è stato il primo libro regalatomi dal nonno paterno, nato anche lui nel 1921, soldato e partigiano dopo l'8 settembre del '43. In scala lillipuziana rispetto all'immensa ritirata del Sergente dal fronte russo, nell'estate del 1997 insieme ad amici mi son ritrovato, per dieci ore soltanto, ad agognare una baita sull'Adamello. Il mattino successivo la natura e la vita che si esalta in essa non mi sono mai sembrate così eccezionali e stupende nella loro danza eterna. Probabilmente non sono in grado di dare una giusta commemorazione al vécio, posso solo consigliarvi di leggere qualunque cosa sia uscita dalla sua penna e chiedervi di non ridurlo ad un eccezionale testimone bellico, ad un nitido ed elegante narratore di folklore montanaro, ad un appassionato e colto amante e difensore degli animali, delle piante e della montagna. Mario Rigoni Stern, attraverso la sua vita e la sua scrittura, ci porterà continuamente di fronte all'enigma di cos'è l'essere umano e come può vivere nel mondo.

venerdì 23 maggio 2008

Migrazione Clandestina

In seguito all’episodio increscioso dell’assalto delle cornacchie ad alcuni passanti avvenuto in questi giorni al Parco Amendola, il nuovo governo convoca d’urgenza un consiglio dei ministri straordinario in uno dei luoghi nevralgici per la città di Modena: il quartiere Bruciata.
Appresa la notizia, giungono perentorie le dichiarazioni del ministro dell’interno Marroni: «non possiamo permettere che i nostri figli diventino preda di uccelli irregolari» e avanza la proposta di un disegno di legge che introduca il reato di migrazione clandestina e che preveda «una Voliera di Permanenza Temporanea in ogni parco comunale».

Dello stesso parere anche il neoleader di Alleanza Irrazionale, La Ruspa, secondo cui «la migrazione clandestina è diventato un problema di assoluta emergenza» e propone «misure severe ed esemplari» per quei volatili che arrivano nei nostro paese soltanto per procreare nei mesi estivi. «Diciamolo, questi animali», aggiunge l’on. La Ruspa, «deturpano i nostri monumenti e rendono invivibili le nostre belle città».

L’emergenza migrazione viene accolta, seppur con qualche riserva dell’ala sinistra, anche dall’opposizione che prima di tutti aveva istituito ronde diurne di cacciatori a Firenze e Torino durante l’allarme piccioni. «Vogliamo distinguere tra quei volatili che vengono nel nostro paese per volare» afferma il ministro ombra degli esteri Pero Frassino «e quelli che si comportano da gazze ladre o che sporcano i nostri edifici e le nostre piazze».

L’unica voce fuori dal coro viene dagli agricoltori, preoccupati per l’eventuale scomparsa di volatili nel periodo estivo, indispensabili per il lavoro nei campi e quella propensione innata alla caccia di insetti e roditori durante la raccolta. Risponde loro, seccata, l’onorevole Alexandra Merdolini: «Quando sento la parola agricoltura metto mano alla pistola».

martedì 20 maggio 2008

Arcipelago Pogrom

Lasciate che vi dica la mia, in mezzo alle tante che si sentono e si leggono e si assorbono ultimamente; lasciate, vi prego, che anche io mi lamenti, perché è sacrosanto lamentarsi (non dico passare alle mani, ai fatti, alla pulizia etnica, quello no, siamo civili noi… ma lamentarsi sì, diamine). Io dico che qui in centro è una jungla. Non se ne può più. NON SI PUO’ PIU’ USCIRE DI CASA LA SERA, e nemmeno rimanere davanti alla tv e sorseggiare una birra e parlare con la propria fidanzata senza che salgano quegli schiamazzi offensivi dal centro della piazzetta, accidenti a loro. L’altra sera – giuro! – saranno stati più di un centinaio. Forse duecento.

E no, Leonardo, no. Hai un bel da dire, ma in centro è DAVVERO una jungla. Lo so dove abiti, e ci sono quelle poche decine di metri che ti separano dal baccano. Non li senti i vetri che si rompono in continuazione. Non ti arrivano le urla ubriache alle due di notte o le mezze risse di chi si attarda più degli altri. Puoi scegliere di uscire la sera e andartene a piedi passando per altre vie, senza doverti per forza confrontare con quelli, farti guardare e squadrare e rimirare, perché loro ti fissano finché non giri l’angolo. Il portone di casa tua non ti obbliga ad attraversarli con gli occhi bassi, quando sono talmente tanti che ti fanno sentire diverso! Sì, mi sento UN DIVERSO quando mi avvicino – per forza – a quel branco maleducato, ebbro, ridente. Ridono sempre.

Ci vorrebbe un po’ di ordine. Un po’ di pulizia (vedeste il merdaio che lasciano spesso sulle panchine, per non parlare, di nuovo, dei vetri rotti dove al pomeriggio i bambini vanno con la bicicletta). Ci vorrebbe un poco di educazione, almeno! Un poco di rispetto per chi abita nella zona, per chi tutte le sere non può nemmeno fumare una sigaretta alla finestra senza venire additato… come se per loro fossi un privilegiato. Come se non desiderassi di gran lunga andare in periferia, nell’hinterland, dove almeno non si ritrovano tutti insieme e così tanti e così insolenti.

Scusate lo sfogo, ma non si può tacerle per sempre certe cose. Poi la gente si esaspera. Non vorrei che la vedeste come una legittimazione del razzismo, con tutte quelle brutte cose e violente che si sentono in giro sui rom, i transessuali, la spazzatura e tutto il resto. Ma abbiate pazienza e credetemi: non se ne può più di quei cazzo di aperitivi al Caffè ********. Sono pericolosi. L’anno scorso hanno addirittura sgozzato un cane

lunedì 19 maggio 2008

giovedì 8 maggio 2008

La Tiritera del Libro

Israele compie 60 anni. Tanti auguri.
La Nakba compie 60 anni. Tanti auguri.

Paradossali dichiarazioni dell'establishment - direttore della Fiera in primis - ove si cerca in maniera claudicante di svernare il vecchio assioma per cui letteratura e contestazione politica sono due argomenti distinti. Come se Dante avesse scritto una canzonetta pop.

Antagonisti - ovvero antagonisti agli antagonisti agli antagonisti, se vogliamo metterla sullo scontro - urlano al boicottaggio e gridano "Palestina libera!" fuor dai cancelli della Fiera, con tanto di fumogeni e kefiah a mo' di bavero - e finanche il pugno alzato, come se il retaggio socialista della lotta palestinese fosse passato ad Hamas...

Ondate presidenziali e protointellettuali di frasi fatte sulla "legittimità" e sul "diritto all'esistenza" dello stato d'Israele. Tritando e ritritando si prova a ravvivare una fiera del libro in un paese sempre più esiguo di lettori e in preda a sintomi di bulimia da evento culturale (sintomi spesso esilaranti, come il pienone al festival della Matematica di qualche mese fa).

Noi che dalle parti di Barabba, con pareri spesso discordi, mastichiamo a modo nostro politica e letteratuta come fossero un tutt'uno, vi regaliamo uno stralcio di "Vita agra di un anarchico", biografia di Luciano Bianciardi firmata da Pino Corrias. E tanti auguri.

"[...] una volta siamo andati in Israele, nel '67, subito dopo la guerra dei sei giorni, dove lui litigò con tutti quelli che facevano le lodi sperticate di questa nazione... Aveva visto, il primo giorno, un rastrellamento e gli era bastato, aveva visto come venivano trattati gli arabi.
Quando tornò a Rapallo, per qualche settimana, usciva di casa con la benda sull'occhio, come Moshe Dayan... Così, per prendere per il culo i filoisraeliani."

sabato 12 aprile 2008

Election Day - Now Testify!

Sforando il silenzio stampa nel giorno che precede le elezioni, il sottoscritto ha ancora uno spot elettorale da proporvi. L’articolo del Newsweek su Veltrusconi e l’arrivo a Modena dei Rage Against The Machine a due mesi esatti dal voto ha risolto un quesito che da anni, chi più chi meno, affanna i nostri lobi temporali. Finalmente siamo in grado di quantificare il ritardo della provincia italiota rispetto all’impero: 8 anni, circa.



He appears as two but speaks as one!

mercoledì 12 marzo 2008

L'Italiano da bere

Sarà perché nella mia ormai trentennale esistenza di libri ne ho letti parecchi - e non è per farmene un vanto, più che altro è una nevrosi che mi impedisce di non leggere - ma, come accennavo tempo addietro, mi accorgo giornalmente degli incidenti a cui sta andando incontro la lingua italiana. Sarà anche perché leggo spesso libri un po' vecchiotti (altra nevrosi da non confondersi col vanto), che le differenze col parlato corrente mi saltano all'orecchio svegliandomi di soprassalto dai torpori interminabili delle riunioni in power-point, dalle chiacchierate in tecnicese, dai politicismi burocratici che sovrastano la produzione, eccetera. Lavoro nel terziario, d'altra parte. E non è né nevrosi né vanto, proporrei "malasorte" come termine appropriato.

Oggi voglio portare alla vostra attenzione un paio d'espressioni nuove, alle quali, come si diceva, volenti o nolenti dobbiamo abituarci.

1) la subordinata "come tu mi insegni" mi manda in bestia. Quando il collega dice "la tal cosa, come tu mi insegni, si fa così" sta magnificando in modo abbastanza subdolo la sua capacità di comprensione rispetto alla tua. Lo fa inconsciamente, s'intenda; lo fa con una giocosità intrinseca, una colloquialità informale, col sorriso sincero sulle labbra. Esempio lampante di come il terziario genera mostri.

2) frasi del tipo "ci vediamo settimana prossima", "come dicevamo settimana scorsa"... insomma "settimana scorsa" senza articolo, sono ormai uscite dal terziario fino a diventare telegiornalistiche. Si tratta di un declassamento dell'unità temporale settimanale che, rimanendo priva di introduzione, diventa una cosa da nulla, un lampo; come dire "poco fa", "tra poco", "presto". Aumentiamo le ore settimanali, detassiamo gli straordinari e aboliamo la timbratura del cartellino, ma dobbiamo renderlo sottile, perciò rendiamo le settimane veloci, indistinguibili l'una dall'altra, trascurabili in termini temporali. La scomparsa dell'articolo "la" davanti a "settimana scorsa" e "settimana prossima" è un evento socialmente preoccupante, di affermazione del terziario e di supremazia della politica legata al produrre. Strano che il manifesto non avesse detto niente (cit. colta).

Da par mio, e come sostiene forse troppo animosamente il signor Luigi Vernassa (qui, terzo commento), sono ben felice di rinominare la neolingua nostra in "Italiano da bere", perché è una definizione che va alla radice del problema. Tuttavia, a differenza del signor Vernassa, e me ne dolgo, io nel terziario ci sono dentro fino al collo e sono costretto all'abitudine. E non è né nevrosi né vanto, proporrei "malasorte" come termine appropriato.

giovedì 28 febbraio 2008

Piuttosto che, anziché no...

Da qualche tempo - non tanto in termini secolari, ma abbastanza per una piccola rivoluzione linguistica - la società del terziario, dal Nord-Est iperproduttivo al quartario più effimero e quasi filosofico, si è impadronita della lingua italiana capovolgendo l'uso dei termini piuttosto che delle congiunzioni, piuttosto che delle espressioni d'uso quotidiano.

Sentite quanto è secco e sterile il "piuttosto che" appena usato. Oserei quasi definirlo sciocco e impreciso, volgare. Invece si tratta del "piuttosto che" corretto, almeno per l'Italiano odierno dei dizionari stampati negli ultimi tempi. Anni addietro - forse molti di più di quelli di cui sopra - sarebbero arrivate certe sfroppole sulle dita dalla bacchetta del maestro, nell'utilizzare un "piuttosto che" al posto di un "oppure". Era un errore abbastanza grave, in effetti. Errore non lo è più.

Allora chi dobbiamo insultare, piuttosto che ringraziare, per questo ribaltamento o, se preferite, rimbambimento di significato? Sempre loro: i manager, gli impiegati inteccheriti del terziario e del quartario, chi otto ore o più al giorno, senza obbligo di timbrare il cartellino, paga le tasse e percepisce uno stipendio per intrattenere relazioni umane, progettare sistemi di correlazione economica "piuttosto che" imbarcarsi nella gestione delle risorse umane...

"Piuttosto che" è poco musicale, rovina l'armonia della frase nella quale viene incuneato a forza, ma conferisce un tono a un tempo austero e colloquiale se spacciato in un meeting di lavoro davanti a una sommaria presentazione in power-point. Ed è impegnativo da pronunciare, permette all'utilizzatore una vasta schiera di riflessioni nel momento stesso della pronuncia. Lo si usa lentamente: "P-i-u-t-t-o-s-t-o...che". Concede il tempo per pensare all'opzione successiva, consente di infilare una serie pressoché infinita di possibilità concomitanti. Può far dare di sé un'ottima impressione. Preparatezza, competenza, capacità d'analisi, ecc. ecc.

Lo so, fa schifo. Ma tocca tenercelo e considerarlo come parte della (neo)lingua italiana. Volenti o nolenti, nemmeno una recessione potrà salvarci, piuttosto che risparmiarci il fastidio, piuttosto che darci ragione, piuttosto che...

martedì 19 febbraio 2008

Paura e Disgusto a Ferrara

Qualche tempo fa il circo mediatico non parlava d'altro che di bullismo nelle scuole e dei filmati circolanti su YouTube in cui questi meschini si autoincensavano. Finalmente martedì 12 febbraio 2008 si è scoperto cosa sono in grado di fare "i grandi". Quella mattina è stato presentato in tribunale il filmato della polizia scientifica di Ferrara, girato alcune ore dopo l'omicidio di Federico Aldrovandi del 25 settembre 2005, il video a cui vi rimando è un estratto parziale e muto della durata di 4 minuti ma ampiamente sufficente a far inorridire persino Quentin Tarantino.
La strada di questa famiglia per avere giustizia o almeno qualche ipotesi verosimile su come sia andato il fattaccio è faticosa e disseminata di numerosi tentativi d'insabbiamento da parte delle "forze dell'ordine" e della questura stessa ed è descritta in un blog commovente per la dignità e la pacatezza con cui procede a cercare una luce in questa barbarie tutta italiota. Il sottoscritto, a nome di tutti i barabbisti, sostiene ed appoggia questa legittima e strabiliarmente normale ricerca della verità.

giovedì 7 febbraio 2008

Barabba Obama

Sarà perchè è nero (o quasi). Sarà che, come a tanti altri, mi piacciono le sfide impossibili e le favole che diventano realtà. Sarà che preferisco Scarlett Johansson ed Halle Berry a Barbra Streisand ed Elizabeth Taylor. Sarà che mi piacerebbe bere pinte di birra rossa con Robert De Niro in una bettolaccia del bronx invece di ingollare sorsate di whisky con Jack Nicholson in un albergo disabitato e sommerso dalla neve. Sarà che quando penso a queste primarie mi viene sempre in mente la voce di Raiz degli Almamegretta che mi avverte: "Look back! Look back! Athena was black!". Sarà che dopo quasi due decadi di Bush-Clinton-Bush qualcuno cerca d'intromettersi e di rompere una catena sciagurata che si muove parallela alle italiche disgrazie [Berlusconi- Prodi (con l'aggravante di un tapino D'alema) - Berlusconi - Prodi], ma a me questo Obama mi garba parecchio.

(Opinione non valida ai fini dell'endorsement)

mercoledì 30 gennaio 2008

Elido ergo sum

Stamane un radioascoltatore di Prima Pagina faceva notare tramite il conduttore di turno che la parola "Elezione" deriva dal latino Eligere, scegliere. Scelta che, a parer suo, ci è stata tolta dall'impossibilità di esprimere una preferenza in sede elettorale. Questa parola, Eligere, ha invaso tutti i pensieri della mia giornata lavorativa e durante la prima pausa utile mi sono soffermato a riflettere inquieto. Un caffé espresso e una sigaretta hanno risolto il mistero. Ho capito dove stava il nesso, in una misera consonante... ed ecco la parola chiave: Elidere.

Evitando di cadere in facili e futili grillismi - e dopo la comunicazione mezzo stampa della reggenza conferita al Marini in serata - ho maturato una proposta di legge che merita, a parer mio, una veloce riflessione: prima delle ormai inevitabili Elezioni Anticipate, propongo le Elisioni Preventive. Il meccanismo è molto semplice e dilettevole al tempo stesso, lo espongo in pochi punti o, se volete, articoli:
I.
Le liste di partito o coalizione devono presentarsi alcuni mesi prima della data fissata per le Elezioni.
II.
Un mese esatto prima del giorno prefissato per le Elezioni avvengono, con le stesse modalità logistiche, le Elisioni.
III.
L'Elisione consiste nel dover esprimere la propria indignazione verso uno ed un solo candidato al parlamento, depennandone il nome con una riga a matita o lapis di colore scuro nella lista prescelta.
IV.
I tre candidati (numero passibile di modifiche ed eventualmente sottoposto a referendum) che per ciascuna lista accumulano il maggior numero di indignazioni vengono automaticamente esclusi dalla corsa elettorale del mese successivo. Le liste decurtate dei nomi elisi non sono più modificabili.
V.
In caso di parità, rientra nei termini dell'elisione il candidato che abbia accumulato il maggior numero di condanne, ovvero prescrizioni secondo le leggi vigenti, con calcolo retroattivo e peggiorativo, nei dieci governi precedenti.
VI.
Le Elisioni dalla Camera vengono calcolate su base nazionale, mentre quelle dal Senato vengono calcolate su base regionale.

Facile immaginare uno snellimento meccanico del numero dei candidati, dei parlamentari eleggibili e futuri inquilini del palazzo (articolo IV), in considerazione del fatto che l'affluenza alle Elisioni Preventive potrebbe superare di molto quella alle Elezioni del mese successivo. Di un diletto unico sarebbero le lotte intestine scoppiate nei vari salotti mediatici per - mi si scusi il francesismo - spalare merda sui curriculum dei propri compagni di lista e coalizione.

L'Elisione prevede una conoscenza di base da parte degli elettori dei candidati presenti in lista (articolo VI), nonché un sollazzo notevole nel tirare una riga a matita nel segreto della cabina elettorale. Il meccanismo di elisione evita situazioni spiacevoli per la magistratura e per l'immagine del Paese nel mondo (articolo V) e apre la strada all'abbassamento dell'età media parlamentare.

Quindi, compagno cittadino, non perderti nell'antipolitica. Non seguire il tuo istinto di mettere una fetta di salame o di prosciutto nella scheda elettorale. Non farti spaventare dalla democrazia partecipativa e capitalistica. Allenati giorno per giorno perché la tua mano diventi ferma, perché la tua riga sia dritta come un fuso. Grida "viva le libere elisioni" nella piazza della tua città. Compagno cittadino, elidi e sorridi.

giovedì 24 gennaio 2008

Il Rifiuto e il suo Doppio

Cagliari è una città splendida. Ha una grazia tutta barocca nello svolgersi ed avvilupparsi intorno ai suoi 7 colli che credo nemmeno Roma possiede. La sua storia affonda nei millenni e conosce innumerevoli dominazioni ed altrettante rivolte. Non a caso il vecchio stadio di calcio, prima di San Gigi Riva, fautore dell’unico scudetto vinto dal Cagliari (finora), era chiamato Amsicora, dal nome di un nobile sardo che si ribellò alla Roma repubblicana. Forse la fierezza sarda nasce anche da qui. Ancora oggi è fornita del porto più bello ed accogliente del Mediterraneo, forse d’Europa. E, come nei romanzi di Conrad e Salgari, proprio dal mare arrivano ancora oggi i problemi. In merito alla situazione attuale abbiamo un precedente storico, riportato da un poeta,teorico e teatrante finito in manicomio durante la seconda guerra mondiale.Una notte del 1720 il primo viceré piemontese dell’isola, il generale Filippo Guglielmo Pallavicino, barone di Saint Remy, ebbe un incubo spaventoso. Sognò che una nave carica di scheletri e mostri si stava avvicinando alla città. L’incubo fu così vivido e terrificante che il barone si svegliò di soprassalto ed ordinò la chiusura immediata del porto. Solo una nave proveniente dalle coste africane stava per attraccare e fu ricacciata. La nave proseguì verso Marsiglia, la sua destinazione finale, portando con se il suo carico di morti ed appestati nascosti nella stiva. La peste nera imperversò nella città francese per due anni mentre a Cagliari, in onore del viceré, nel secolo successivo verrà edificato il Bastione di Saint Remy. In questi giorni la vicenda si è ripetuta ma con esiti obliquamente opposti e simmetrici. La disponibilità mostrata dal presidente della regione Renato Soru nell’accogliere alcune navi cariche di rifiuti campani ha provocato assurde proteste da parte di esponenti politici destrorsi, tramutatisi per l’occasione in ambientalisti ad oltranza dimenticando che la loro regione esporta 470mila tonnellate di rifiuti tossici all’anno smaltite da altre regioni italiane, ed inquietanti cortei verso la casa del governatore, chiara dimostrazione che lo squadrismo e le logiche del branco sono ancora ben vivi nella memoria e nella prassi dei moderati fascisti. Dopo la notte di scontri avvenuta tra simil-ultras e forze dell'ordine dell’undici gennaio, le indagini cominciano a mostrare un robusto filo nero che attorciglia alcuni pseudoultrà del Cagliari e politicanti "conservatori", persino tramite mera pecunia. Personalmente non auguro il carcere a nessuno ma è opportuno constatare che la timida ipotesi, sempre fortemente rinnegata, di salde connivenze tra tifoserie a passo d'oca e parlamentari dal saluto romano è divenuta, almeno in Sardegna, lampante verità. Ma di questo pochi ne parlano, forse perché è banale quotidianità… Infine, come nelle migliori tragicommedie, le squadre di calcio dei due capoluoghi di regione questa domenica s’incontreranno allo stadio Sant’Elia di Cagliari ed il prefetto ha già disposto che la curva degli ospiti partenopei rimanga vuota. Subito dopo la guerriglia urbana gli Sconvolts, tifoseria del Cagliari subito accusata, hanno negato qualsiasi coinvolgimento e sono numerosi i cagliaritani che incontro ogni anno ai mondiali antirazzisti di Montecchio. Ed ogni volta che conosco uno di loro mi viene in mente il murales gigante con la scritta "Sconvolts" che accoglie i viaggiatori all’ingresso del porto. Mi piace pensare che questa è l’unica associazione mentale che spero di fare anche in futuro.

mercoledì 16 gennaio 2008

Eppur (non) si muove

Lascereste entrare un gorilla in una cristalleria? Invitereste un nazista in sinagoga? Chiedereste al mostro di Firenze di far compagnia ai vostri cari mentre voi andate al cinema? Affidereste la vostra macchina a totò rina? Lo so che sto esagerando ma cambiate il contesto e i personaggi o anche solo invertite le parti, credo che nessun pensatore o scienziato si azzarderebbe ad esporre una lectio magistralis dall’altare di una chiesa, sia per timore o per repulsione. Le università sono luoghi del pensiero, della conoscenza, del dubbio soprattutto. E come sede del dubbio e del dialogo non riescono, storicamente e per statuto, a sopportare il peso di certezze non dimostrabili e verificabili mentre quel uomo è infallibile! Ammetto di non essermi documentato a riguardo ma non credo che hitler abbia tenuto conferenze sulle politiche razziali del terzo reich, o pinochet si sia proposto per dibattiti sull’ingerenza degli u.s.a. nel Sudamerica. Perché di certezze si tratta, certezze e verità che un capo di stato politico e gerarca sacerdotale sarebbe venuto ad incensare e declamare. Non basta essere informati dell’opinione sua o di uno qualsiasi dei suoi accoliti da ogni tg o giornale italiano.
La libertà tanto invocata in questi giorni è sempre a senso unico, i potenti si appellano sempre alla libertà di, i docenti della sapienza ricordano ad un paese intontito e sperduto tra "laicismo" e fondamentalismo di ritorno che esiste anche la libertà da.
Chi è onesto con se stesso e conosce la storia di questo paese riconosce alla chiesa una quantità di nefandezze e sviste da far ribollire il sangue anche ad un “santo”… C’è solo da chiedersi come e perché un’istituzione così maschilista ed assolutista riesca ancora a sopravvivere nel mondo. E perché tocca sempre all’italia pagare il conto. Scherzando tra barabbisti abbiamo ipotizzato un vaticano itinerante: ad ogni pontificato si cambia sede e col papa si sposta tutto il coro di cardinali, arcivescovi e compagnia cantante. Non facciamo gli egoisti, lasciamo che tutto il mondo possa godere dell’ultimo discendente di pietro di turno…