lunedì 31 maggio 2010
Biografie essenziali (49)
Biografie essenziali (48)
Biografie essenziali (47)
domenica 30 maggio 2010
Non puoi più portare tua figlia al mattatoio (cit.)
giovedì 27 maggio 2010
Pensieri in apnea: All'avventura!
Lo sapevo che non mi dovevo fidare di uno che non si orienta nemmeno a casa sua tra bagno e salotto. Lo sapevo che c’era un’altissima probabilità di rischio. Lo sapevo che il mare è magico e traditore. Ma questa è quella che si dice un’avventura.
Da alcuni giorni per gioco faccio una piccola sfida con me stesso, così, un po’ per noia un po’ per vedere se ne sono capace. Fingo che il fondo della piscina non ci sia e che non posso mai toccarlo: una roba un po’ infantile lo ammetto, ma mi sento spronato a fare meglio i movimenti e a seguire la respirazione senza il conforto delle piastrelle fredde, bianche e blu, sotto i piedi. Nei cambi di direzione o quando devo togliere l’acqua dagli occhialini sembrerò goffo e strano, cercando di non perdere il ritmo per stare a galla dove tutti gli altri toccano, ma a suo modo è una limitazione stimolante.
L’ultima volta che ero su un acqua senza fondale visibile ero a Camogli con amici, sulla riviera ligure, ospite di Elisa B. Eravamo a mollo, con alle spalle il piccolo golfo che raccoglie tutto il paesino, e stazionavamo nei pressi della boa che delimitava lo spazio tra la zona riservata ai nuotatori e quella riservata alle barche. Francesca P. ha fatto la domanda che una persona timorosa del mare non deve mai fare: “Quant’è fonda?” ed Elisa, con placida serenità: “Trenta, trentacinque metri, credo…” E mentre Francesca si agitava e guardava indecisa il fondo blu sotto i nostri piedi e la boa bianca e rossa, il mio lato da geometra (molto nascosto) immaginava un bel condominio popolare di otto piani sotto i nostri piedi, con tanto di balconi in cemento armato scuro, finestre verdi e grondaie ocra. È stato il modo più rapido per riempire e quantificare quella cifra in quello spazio. Però non so come ma la visuale del condominio era angolata e dal basso, incongruenze del piano catastale mentale.
La prima volta invece, che stavo sopra un fondale non visibile, è stato molto tempo fa. Prima vacanza senza genitori. Solo amici e amiche. L’anno tra la quarta e la quinta superiore. Destinazione: Calabria, un paesino vicino a Tropea. Mezzo di trasporto: un interregionale incredibile, che se non ci svegliavamo a Napoli e balzavamo sulle prime carrozze che continuavano la discesa, ci avrebbe riportato a Bologna. Dopo appena tre ore la dozzina di giovani emiliani che ha attraversato tutta l’Italia per arrivare fino a lì è la novità del paesino, in nostro onore viene pure istituita una festa di rione. Qualche giorno dopo avremo da ridire su alcune questioni contrattuali e pecuniarie, per il resto è stata una vacanza relax da favola.
E tutto questo relax quando hai diciassette anni al quinto giorno ti va stretto e se hai l’animo irrequieto e ti piace esplorare l’ignoto cerchi il tuo compagno più fidato e gli dici: Dai, usciamo dall’insenatura e andiamo a vedere cosa c’è dietro quel picco là! Me l’hanno detto, fidati, ci sono delle spiaggette bellissime! Sì, lo so che non capisco quello che dicono ma fidati, dai! Ci prendiamo il pranzo al sacco (quattro pacchetti di crackers, maionese e salame, due bottigliette d’acqua), un materassino e partiamo presto, tanto qua non c’è niente da fare. Non pensi mica, caro Fil, a invitare una delle amiche che sono in vacanza con noi, nooo, non credi che una cosa del genere sia meglio proporla alla ragazza con cui vuoi stare da solo, oppure a una delle tante turiste che si sogliolano al sole, noo. La proponi al tuo migliore amico. Che sono io. Che per le minchiate in quel periodo c’avevo il callo (non che adesso…). Che lo sai che non ti dico di no. E allora si parte.
All’andata tutto bene. Il materassino, perché non vogliamo fare gli avari e vogliamo stare comodi, lo scegliamo matrimoniale, bello largo e spesso. Il pranzo al sacco, solo in mezzo al materassino, comunque non rimane immune dalle onde mentre nuotiamo e ovviamente dopo ha un sapore decisamente salmastro. Ma siamo entusiasti lo stesso: il sole splende forte, l’acqua brilla e tante piccole strisce bianche luccicano di un bagliore fortissimo oltre il picco che ci apprestiamo ad oltrepassare. Alla base dello spuntone è pieno di scogli aguzzi che ci perdiamo ad osservare. Sembrano artigli e il picco soprastante il becco di un aquila immersa nella roccia. Scrutiamo indifferentemente le nostre possibilità di sopravvivenza nel caso ci finissimo contro. Avanziamo cullati da un vago ottimismo. E dalla corrente che in questo momento ci spinge verso questa minuscola caletta.
Sabbia finissima, palme sullo sfondo, natura intatta: c’è pure una pianta di fichi maturi. Perché poi ci son venuto con te, Fil, me lo chiedo ancora oggi. La stessa cosa devi averla pensata anche tu. Ma siamo felici lo stesso. Stanchi e soddisfatti dell’impresa. Mangiamo, pure i fichi sull’albero, leggiamo libri che la biblioteca ci metterà giorni a ripulire dai granelli di sabbia e ci appisoliamo sotto il sole giaguaro. Hai un orologio a prova d’immersione a duecento atmosfere, Fil, e ci hai messo la sveglia: mi dici che è tardi. Me ne accorgo anche da solo. Il sole comincia a farsi più rosso e basso. Il rumore delle onde è cambiato. Si direbbe che è andato giù di un paio di toni. Quando prendo in mano il materassino mi accorgo che è un po’ sgonfio. Controllo il tappo. No, è al suo posto. Sta perdendo aria, dev’essersi bucato mentre lo portavamo a riva.
[fine della 1° parte]
martedì 25 maggio 2010
Cronache di una sorte annunciata: esempi d'autore
(Rabito Vincenzo, Terra Matta – ed. Einaudi 2007, pagg. 1 e 2)
Vi ricordo che avete tempo a iosa per mandare le vostre idee sulla sfortuna al solito indirizzo marcomncrd chiocciola gmail punto com. Accettate la sfiga.
lunedì 24 maggio 2010
Biografie essenziali (46)
È morto nel ...
Biografie essenziali (45)
La prima ai figli, la seconda ai direttori dei giornali.
La terza era per gli editori che gli avevan reso la vita impossibile.
Li obbligava ad occuparsi del suo funerale.
Io, nel caso succeda, lo chiedo a quelli di Google.
Biografie essenziali (44)
(di Klaus Augenthaler)
giovedì 20 maggio 2010
Siamo una società orribile (3)
“Senza l'intergioco tra uomo e uomo se ne è andato il principale interesse per la vita; se ne è andata la maggior parte dei valori intellettuali; se ne è andata la ragione di vita.”(Isaac Asimov, Il Sole nudo)
Pensieri in apnea: l'altro lato del dorso
Oggi vorrei approfondire meglio un concetto, applicare un po' di postille, aggiungere delle note al personale teorema sugli stili del nuoto che vi ho proposto qualche mese fa.
E vorrei cominciare con una premessa: non mi piace nuotare a dorso. A braccia alternate, in sincrono, con le gambe a paletta o con la sgambata tipo seppia, anche solo con i piedi e giocando a fare il sommergibile. Non mi piace. Io sono per lo stile libero. Io non dormo supino. Io dormo prono, a pancia in giù e perciò nuoto a pancia in giù.
Lo preciso per distanziarmi da una correlazione che si è soliti fare nell'ambiente: Oh, gli piace scrivere, riflettere, sarà un sognatore, uno che si perde nei suoi pensieri... perderà pure il conto delle vasche a forza di andare a faccia in su e di vedere senza registrare lo sporco millenario che si è depositato dentro le plafoniere dei neon sopra la piscina.
No! Anche se è vero che perdo comunque il conto delle vasche, non sono un dorsista. Sono per lo stile libero, io. Col dorso anche se, quando spingo al massimo, mi piace credere di essere un aliscafo sul pelo dell'acqua, ho un terrore tangibile di tutto ciò che accade alle mie spalle fuori dal mio orizzonte visivo, come una sorta di paranoia avanzante. Anche se la faccia fuori dall'acqua ti consente di constatare realmente quanto ti sposti con una bracciata mentre crawl e rana t'ingannano, capita spesso che sia il tuo polso o peggio la tua crapa a fermarsi contro la fine della corsia.
Infine, tralasciando il dibattito sull'ampiezza e i movimenti delle mani a coppetta, vero limite tra istinto e ragione, ad altra sede, mi pare quasi superfluo sottolineare la forte componente masochistica presente in questo stile: è l'unico in cui le tue stesse azioni ti complicano e ostacolano la vita; l'unico in cui il movimento ad arco delle braccia crea un piccolo ruscello che, sprizzando dall'arto e abbandonandosi alla forza di gravità, possiede la millimetrica precisione di centrarti bocca e naso mentre stoico cerchi di mantenere una posizione distesa e allungata.
Riconosco però che, come in ogni rituale pericoloso e/o autodistruttivo, nel dorso alberga un po' di folle coraggio. Siamo in pochissimi ad azzardare una vasca a dorso quando in direzione opposta dalla 4a corsia stanno giungendo i veterani in rapida e schiumante successione. Resistere a questi tsunami ti fa sentire ogni volta un sopravvissuto al naufragio. Un sopravvissuto felice.
In ogni caso lo stile libero è quello che fa più per me. Quello che mi riconduce alla radice del mio essere, alla base del mio istinto. L'altro giorno ero da solo in corsia e si vede che mi esprimevo veramente al meglio perché, mentre stavo per ripartire, una signora di mezza età si è avvicinata ai galleggianti e seria seria mi ha chiesto: "Scusi , ma questa corsia è riservata?"
Non c'è niente da fare, il mio stile è quello libero. Quello che mi carica, che mi dà più soddisfazione. Sarà feroce, sarà meno elegante degli altri, ma è anche il più veloce e liberatorio.
Anzi, posso aggiungere che mi obbligo e mi sforzo ad intercalare altri stili al crawl per non diventare ossessivo.
Ma anche nello stile libero percepisco una minaccia, un sottile veleno: è un movimento che all'inizio ti lascia sfogare tutta l'aggressività ma poi te la restituisce, più forte e temprata di prima, quasi fossi andato da un fabbro.
E allora quando me ne accorgo mi torna alle orecchie il discorso conclusivo di Jules Winnfield con la pistola puntata su Pumkin/Ringo in Pulp Fiction, quello in cui Samuel L. Jackson dice a Tim Roth quel pezzo di Ezechiele e comincia a spiegarglielo e dice che potrebbe essere che lui, Samuel L. Winnfield, è l'uomo timorato di Dio della storiella, Tim Pumkin è l'uomo malvagio ed egoista mentre la pistola è il pastore del signore che lo protegge, oppure che potrebbe essere che Ringo Roth è l'uomo timorato di Dio e che Jules L. Jackson è il pastore mentre è il mondo ad essere malvagio e crudele, ma poi alla fine gli confessa che lui, Pumkin/Ringo, è il debole e timorato di Dio mentre lui, Jules Winnfield, è la tirannia dei malvagi ma che sta tentando di diventare il pastore pio del Signore.
E in quei momenti vi confesso che mi giro e mi metto a dorso.
Sto pure cercando d'imparare a dormire a pancia in su.
martedì 18 maggio 2010
Avanguardia amata
EDGAR
Al peso di questo triste tempo noi dobbiamo obbedire;
diciamo quello che sentiamo, non quello che conviene dire.
I più vecchi hanno sopportato di più: noi che siamo giovani
mai vedremo così tanto, né vivremo così a lungo.
(Re Lear, atto V, scena III. Traduzione di Edoardo Sanguineti. Ed. il melangolo, 2008)
***
Sanguineti? Lui è un tipettino curioso al massimo, portarlo in giro sembrava di stare con un bambino di 7 anni che tocca tutto e vuole sapere com'è il mondo, sempre. No, non usa la rete, non esagerare, non guarda la tv, figurati, s'informa sempre coi giornali e con le telefonate, salvo mezz'oretta al giorno di MTV che dice che gli serve per rimanere in contatto coi giovani, che se no uno smette di capirli... puoi immaginare, questo vecchiettino davanti a un vecchio tubo catodico a scrutare le chiome roteanti dei metallari o le macchinone dei rapper americani... e poi quando dovevamo organizzare la scaletta, gli interventi e le letture per la serata, c'era la sua signora che a un certo punto se lo prendeva e se lo portava via, perché lui, a quanto pare, c'ha sempre dato, ogni giorno, sì sì. Lei arrivava, appoggiava una mano sulla sua spalla e diceva: Ve lo riporto tra un oretta, o forse due... e sorrideva. Lui si voltava, s'illuminava e via. E allora tutti si fermavano a guardare questi baldi vecchietti che andavano in albergo o diosadove ad amarsi.
(stralci da una conversazione avuta qualche settimana fa in una libreria con Simona B.)Many, carlo dulinizo
Schegge di Liberazione: una specie di audiobook
- Zia Teresina di Isa Dex letto da Michiamomitia
- Uomo come dico io di khenzo letto da SimplyGiulia
- Uno che non capisce di chiagia letto da hermansji e Monique
- Non è la guerra di UomoMordeCane letto da Fran (dal vivo)
- Brucia la biglia di simonerossi letto da elena
- Anna di Cratete letto sempre da elena
- L'impresa di mio nonno di Carlo Dulinizo letto da Gabriele De Maria (per lo scrittore inesistente)
- Schegge di legno del forcone di Many letto da elena
lunedì 17 maggio 2010
Biografie essenziali (43)
Biografie essenziali (42)
giovedì 13 maggio 2010
Pensieri in apnea: Mutazioni
L'altra settimana, dopo la piscina, due polpastrelli della mano destra ci han messo quattro ore a tornare normali. Anulare e medio. Non ero stato a mollo poi moltissimo, un'oretta come al solito, e le grinze delle altre dita erano scomparse quasi subito. Quelle due dita no. Ci ho fatto caso mentre guidavo. Guidavo e mi guardavo le dita. Amleto al volante. Le ho guardate bene. C'erano qualcosa come cinque o sei spacchi verticali che seguivano la direzione del dito in lunghezza, ma piccoli, senza spessore. Tanto che ho pensato se mi ero fatto male o mi ero strusciato contro qualcosa di ruvido. Li toccavo, li strofinavo e niente, non sentivo niente, solo una superficie appena più indurita. Poi sono andati via, o almeno così credevo.
Il giorno dopo, sempre dopo la nuotata, i solchi son ricomparsi e non andavano più via. Erano più duri e la pelle intorno si era fatta più rossa. Si stavano espandendo. Ho incominciato a temere che fossero squame. Che sarei diventato un anfibio, un mostro marino, una pessima sirena. Che sarei diventato un tritone, come quegli altri, quelli di là, dell'altra corsia, che si fanno chiamare Uomini di Atlantide. Che non avrei più avuto una riproduzione sessuata che si possa dire tale. Poi però mi hanno rassicurato, erano solo funghi. Mai stato così contento di avere una cosa così sgradevole.
mercoledì 12 maggio 2010
Cronache di una sorte annunciata: un titolo di (s)fortuna
Il tema del festival è "Fortuna". Voi dovete scrivere un racconto, una poesia, un ragionamento, fare un disegno, un fumetto o scattare una foto sul tema della sfortuna. Come per Schegge di Liberazione - sì, ci abbiamo preso gusto - le opere verranno raccolte e (speriamo) presentate in pubblico durante la tre giorni filosofica modenese.
Inviate il tutto entro e non oltre il 9 Settembre 2010 al solito indirizzo: marcomncrd chiocciola gmail punto com. Accettate la sfiga.
martedì 11 maggio 2010
Nel pieno delle mia facoltà mentali
Già che ci sono, poi, visto che mi sento ancora un giovine virgulto all’apice della salute fisica e di quella psicologica, completo la lista con altre due o tre cosine. Sarà quindi da considerarsi valida, la lista che segue, in caso di decesso o compromissione irreversibile delle funzioni vitali di questo mio piccolo e inutile corpicino emiliano, ora e in futuro. A meno che io non cambi idea, nel qual caso riscriverò.
Primo: vorrei donare il corpo alla scienza. Dottori, prendete tutto ciò che vi pare dalla mia carcassa, organi e tutto il resto, quel che vi serve è tutto vostro, da donare o da studiare.
Secondo: il resto chiudetelo in una scatola e crematelo, tipo il prima possibile.
Terzo: vorrei che il mio cadavere non venisse esposto. Quando me ne andrò, dopo le varie ed eventuali di cui al punto primo, tappate la bara o la scatola e cremate, ripeto, il prima possibile.
Quarto: dite al mondo che sono morto, ma fatelo a cremazione avvenuta.
Quinto: delle ceneri potete fare quel che vi pare, cosa volete che me ne freghi?
Sesto: lascio tutto alla mia signora.
Settimo: lascio alla mia signora anche le mie password, se mi ricordo di scriverle da qualche parte. Altrimenti fa lo stesso.
Ottavo: nel caso di coma o stato vegetativo, se ci sarà una legge che lo permette (o l’assenza di leggi che lo vietano) vorrei che si staccasse la spina, così, senza problemi e buonanotte al secchio.
Nono: per favore, amici e parenti, non rischiate la galera staccando la spina se c’è una legge che lo vieta. Piuttosto non spendete un centesimo per la mia massa di carne pulsante e non pensante. Lasciatemi allo Stato, abbandonatemi lì in una stanza d’ospedale. Prima o poi si stancheranno e staccheranno la spina di nascosto.
Decimo: faccio mie le parole di Giuseppe Garibaldi, quelle dove dice che «siccome negli ultimi momenti della creatura umana, il prete, profittando dello stato spossato in cui si trova il moribondo, e della confusione che sovente vi succede, s'inoltra, e mettendo in opera ogni turpe stratagemma, propaga coll'impostura in cui è maestro, che il defunto compì, pentendosi delle sue credenze passate, ai doveri di cattolico: in conseguenza io dichiaro, che trovandomi in piena ragione oggi, non voglio accettare, in nessun tempo, il ministero odioso, disprezzevole e scellerato d'un prete, che considero atroce nemico del genere umano e dell'Italia in particolare. E che solo in stato di pazzia o di ben crassa ignoranza, io credo possa un individuo raccomandarsi ad un discendente di Torquemada»
È tutto. Statemi bene.
In fede.
Marco Manicardi
lunedì 10 maggio 2010
Biografie essenziali (41)
Biografie essenziali (40)
(di Klaus Augenthaler)
Biografie essenziali (39)
domenica 9 maggio 2010
Fatto un ebook, se ne fa un altro
I piccoli infortuni che ci tormentano a ogni ora si possono considerare destinati a tenerci in esercizio, affinché nella fortuna non si afflosci del tutto la forza di sopportare i guai grossi.O voi bloggatori di lunga data o neofiti digitali dai brevi trascorsi, fatti non foste a viver tra le pareti di un template. Scrivete un racconto, una poesia, un ragionamento, fate un disegno o scattate una foto sul tema della sfortuna con tutti i suoi sinonimi e derivati. Le opere verranno raccolte in un ebook e (rap)presentate per il decennale del Festival di Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo. Inviate il tutto entro e non oltre il 9 Settembre 2010 a marcomncrd chiocciola gmail punto com. Accettate la sfiga.
(Arthur Schopenhauer, Aforismi sulla saggezza del vivere)
sabato 8 maggio 2010
Pensieri in apnea: Tutto quel che so
Tutto quel che so degli spogliatoi femminili è frutto di sbirciate furtive, voci da infiltrata, fonti affidabili.
Tutto quel che so degli spogliatoi femminili è che visti da fuori sono esattamente uguali ai nostri, stessi armadietti, stesse panchine, stesse cabine per cambiarsi con ganci ferma porta su due lati, stesse spalliere dove appoggiare gli accappatoi, stesse mattonelle e stesse macchinette asciugacapelli. Visti da fuori sono identici ai nostri e purtroppo un analisi più approfondita non è plausibile, anche maliziosamente casuale, perché il lato opposto agli spogliatoi è un’immensa vetrata e difficilmente puoi dire, involontariamente, di esserti perso. Ecco perché i più pudici e timorosi quando affrontano il corridoio che porta dai nostri spogliatoi alla piscina coperta, passando davanti alle porte perennemente spalancate degli spogliatoi femminili, voltano sempre il viso e si tramutano in noti meteorologi o in paesaggisti fiamminghi mentre con sguardo limpido e sereno contemplano la piscina olimpionica esterna e i cipressi che continuano a ondeggiare come nelle tele di Van Gogh.
Tutto quel che so degli spogliatoi femminili è che nessuna ti saluta, nessuna sorride, nessuna canta o fischietta, nessuna parla, sopratutto con le ultime arrivate. O fai parte del gruppo delle nuotatrici agoniste, o fai parte delle acquagym, o di quelle dello spinning, oppure sei un essere non identificato, pertanto non esisti. Goethe diceva che è l’uomo ad essere animale sociale mentre la donna può vivere in solitudine senza problemi. Non ne sono pienamente convinto ma le testimonianze sono persistenti e comprovate.
Tutto quel che so degli spogliatoi femminili è che dopo l’acquagym serale, in zona bagni, nella quarta doccia a partire da destra, sulla parete orientata ad ovest, c’è una matassa di peli e capelli così grande da far pensare alla depilazione integrale di un gorilla del Congo.
venerdì 7 maggio 2010
Case d'Altri: tra i tetti
Al piano terra di quella palazzina, poco distante dal portone d’ingresso, con uno stencil e una bomboletta rossa, un genio ha scritto: l’unica chiesa che illumina è quella che brucia. Sinceramente mi sembrava un segno ben augurante. Nell’angolo destro basso della scritta qualcuno, con pennarello indelebile nero, aveva aggiunto figo, qualcun altro con un coltello aveva raschiato il commento e scritto a sua volta schifo, un altro ancora, con pennarello rosso, aveva scritto Dio e creato una piccola linea di congiunzione tra Dio e schifo. Conclusione: Atei 3 – Credenti 1.
Ma torniamo al nostro trasloco e alla nuova vita di R. Solo il trasloco meriterebbe una epopea a parte, forse un domani… R. è una persona speciale, come per fortuna capita d’incontrarne nella vita, e poi ti chiedi come fa la gente senza persone così, come fa il mondo. R. è piccolina di statura, mora con la pelle chiara, mediterranea, più precisamente partenopea. Potete quindi immaginarla in stranito contrasto con un appartamento mansardato di sei ambienti arredato in perfetto stile tirolese, con cassapanche e tavoli di legno giallo grissino stantio, credenze larghe e spesse che odorano di aghi di pino e marmellate, parquet ovunque, letti matrimoniali in mogano scuro la cui testiera è in grado di schiacciare persino Ercole. Tutto in quell'appartamento era legno, comprese le travi del tetto. E qui comincia il dramma.
Dopo pochi giorni R. scopre che non solo il tetto è rinomato luogo di ritrovo di numerosi piccioni (cari amici degli animali, difendete pure balenottere, gorilla, panda e tigri, i piccioni sono una battaglia persa…) ma che i simpatici volatili sono portatori di zecche in grado di attecchire e proliferare nelle assi oblique sottostanti. Subito R. s’informa e da nuova entomologa ci addita, nei giorni successivi, l’invasione costante e sgocciolante degli esserini, che pare proprio inarrestabile. Qualsiasi disinfestazione, qualsiasi trattamento, che è già stato prenotato e reclamato con forza, non avrà effetto risolutivo e definitivo. Le care piattoline grigie e trasparenti, tonde e alte quanto un piccolo bottone di camicia, non si possono sterminare. L’unica soluzione è la ritirata: ripiegare da Mammà, sopportare per qualche settimana la dolce catena degli orari comuni di veglia e pasti, riprendere la spinta e ritornare a caccia di un nuovo appartamento, sempre nel centro di Carpi, che ormai svela edifici rossi e simmetrici degni della Toscana rinascimentale e tuguri irregolari, evoluzioni stratigrafiche di antenate sorte in pieno medioevo.
La fortuna non aiuta solo gli audaci, aiuta anche i perseveranti, forse molto di più. R. trova una nuova soluzione, sempre nel cuore centenario e nascosto della cittadina di provincia che è ancora distratta e guarda fuori, guarda le villette e accarezza le tangenziali che s’allungano verso il mondo, come se il mondo fuori potesse offrire di meglio a ciò che lei, piccola città dell’Emilia, ha nel seno…
Il trasloco stavolta è stato fatto da professionisti, esperti nel ramo. Sottolineo che noi la volta prima non avevamo rotto niente, quindi tacciano le malelingue. R. è persona speciale, gentile e premurosa. Umanamente non se la sentiva di disturbarci nuovamente. Disturbo che ovviamente per noi non era. Ma la decisione spetta a lei. Forse un pizzico di scaramanzia avrà forzato la scelta. E forse a ben vedere è stato meglio così.
La casa nuova è sempre al secondo piano, è sempre mansardata. Ma l’appartamento è nuovo, l’edificio ristrutturato da poco. Il tetto è altissimo sopra le teste ed è fatto di mattoni. Addio zecche e piccioni. L’arredamento è minimale, ma a tutti piace così. Soprattutto alla padrona di casa che così potrà arredarla con calma, senza timore di rimanere soffocata sotto scelte di mobilio non sue.
Ieri, in preda ancora a questo effetto novità, stavamo bevendo birre e crodino (a R. non piace la birra né il vino, che vi dicevo, è speciale). La casa è piena di finestre sul tetto che si aprono al suo tele-comando. Ovviamente R. si diverte molto ad aprirle tutte, inondando di luce tutte le pareti bianche che così sembrano ancora più alte e grandi. Ma una è ancora vecchio stile.
La si trova in fondo alla zona soggiorno, vicino al tavolo, di fianco a noi, ad altezza ideale per persone sedute. È una finestrella bassa e larga, tipica da sottotetto, larga meno di 2 metri per meno di 1 metro d’altezza. È coperta da una piccola griglia, una sorta di zanzariera, ma fissa, non riavvolgibile. R. vorrebbe toglierla, ma non ha fretta. Tanto si vede lo stesso quello che c’è di là. Dietro a quella griglia c’è uno dei paesaggi urbani più belli che abbia mai visto. Tegole rosse e pietra grigia, pareti cieche e mura a gradoni, rientri e prospettive, angoli storti e cortili interni, rampicanti e qualche antenna. Una sinfonia casuale e perfetta. Con le nuvole di ieri, nuvole grosse e scure, sembrava Praga, cupa e intensa. Scommetto che quando piove ricorderà Dublino, felice sotto le gocce, e che quando c’è il sole diventerà Lisbona, orgogliosa del suo verde oro.
«Quando ho visto questo paesaggio ho scelto». Non avevo dubbi.
mercoledì 5 maggio 2010
Gloria
Alberto Miselli di Molinella ha avuto due infarti. Oggi guida ancora il camion e gira smadonnando se non viene caricato il suo container entro trenta minuti.
Una volta questi qui mi sembravano gente eroica. Nella loro evidente follia, li vedevo eroi dalla parte del giusto, come quelli che difendevano in montagna un avamposto sacrificando la vita per la vittoria finale. Oggi per loro provo un timido rispetto, perché mio padre mi ha insegnato che la gente che lavora va rispettata.
Però oggi non è più il rispetto che si tributa agli eroi, anche se folli. È più qualcosa di simile alla pena e alla compassione che si prova per le vittime. Per i matti che, senza un motivo, sono usciti in strada con una pistola contro un esercito e sono morti.
Pietà, compassione. Nessun eroismo. Vaffanculo.
martedì 4 maggio 2010
Schegge di Liberazione: bravi, bis
Questo è un appello. Venite a leggere le vostre cose; venite a leggere le cose altrui; portatevi uno strumento che non abbisogni di elettricità per suonare e improvvisatevi accompagnatori musicali. Venite. Resistete. Liberatevi.
lunedì 3 maggio 2010
Biografie essenziali (38)
Biografie essenziali (37)
Biografie essenziali (36)
Biografie essenziali (speciale scienziati 4)
(di Tommaso Dorigo. Via il solito Peppe Liberti, grazie al quale siamo stati segnalati anche qui)