lunedì 31 gennaio 2011

Fantasie di un magazziniere: L'Ultima Verità

Colui che prepara i pacchi ingombranti e pesanti non è mai colui che deve portarli.

A tavola con Tiziano Fiorveluti: Weizenrisotten

Visitate la Baviera. Ci sono dei posti meravigliosi e se vi spingete appena più in su, in Franconia, vi accorgerete che solo gli stolti vanno a Monaco per bere la birra buona. Quelli che se ne intendono hanno capito che la vera città della birra è Bamberg. Nei suoi dintorni ci sono tanti birrifici artigianali come da noi le cantine sociali. Fanno tutti una birra di una bontà FOTONICA e che non costa niente. In più, in diversi birrifici hanno anche da dormire, quindi vi distruggete di birra meravigliosa e non avete l’assillo dell'etilometro.

Oggi che avete visitato la Baviera, la Franconia, eccetera e siete tornati indietro carichi di buone bottiglie di birra, cosa fate per rimembrare la vacanza? Ma il buonissimo WEIZENRISOTTO, che diamine.

La cosa vi sembrerà senza senso, ma andate a comprare 5 o 6 Weizenbier da mezzo litro, buone ma senza esagerare, al supermercato. Le Erdinger, le Paulaner e le Franziskaner andranno benissimo. Non scure. Le HEFE WEIZEN. Comprate anche una cipolla, rigorosamente BIANCA e del tipo più dolce che ci sia. Prendete del riso a vostra scelta. Dovete fare un risotto, quindi non prendete il Thai o quelle robe lì. Prendete un bel riso chiaro da risotto. Ci vuole anche un rametto di rosmarino.

Tagliate la cipolla, mettetela a bagno in acqua fredda. Versate le birre da supermercato in un pentolone e fatele BOLLIRE. Lo so che vi sembro stupido. Avete anche ragione. Ma fatelo. Siete italiani, non dovrebbe essere difficile.

Ora mettete l’olio e la cipolla insieme al rosmarino in una pentola e soffriggete. TIRATEVI IL ROSMARINO PRIMA DI AGGIUNGERE IL RISO. Aggiungete il riso e fate brillare per un paio di minuti, dopodiché versate la birra bollente a mestoli, come fareste con il brodo. Quando il riso è quasi cotto, mantecate con burro e SENZA FORMAGGIO.

Servite bevendo la birra delle vacanze.
Rimpiangete la Germania.

venerdì 28 gennaio 2011

Ho visto le migliori menti della mia generazione, affamate

Recentemente ho letto che un giorno della fine degli anni sessanta, o dell'inizio dei settanta, Patti Smith, squattrinatissima, era in un ristorante automatico, di quelli che metti dentro le monetine in una macchinetta e ti esce il panino o il piatto di pasta o la coscia di pollo, insomma, quello che vuoi tra quello che c'è, dipende dal bottone che premi. Lei, Patti, era lì che metteva i soliti settantacinque cents per il solito panino, schiaccia il bottone e niente, non viene fuori alcun panino. Si incazza, allora, giustamente, Patti, che mangiava una volta al giorno se andava bene, in quel periodo lì. Si incazza ma, guardando bene la macchinetta, vede che il prezzo è aumentato: ottantacinque cents.

Diobono, pensa Patti, non ce li ho mica ottantacinque cents. Come faccio?

Da dietro si sente picchiettare sulla spalla, Patti si gira e vede Allen Ginsberg, e lei lo sapeva bene chi fosse Allen Ginsberg perché era una fan sfegatata di qualsiasi poeta vivente, soprattutto di quelli beat. Oppalà, Allen Ginsberg, salve, dice Patti. Lui la fissa, le fa Ciao e mette i dieci cents mancanti nella macchinetta: et Voilà, un panino per Patti Smith.

Grazie, dice Patti a Ginsberg. Prego, dice Ginsberg a Patti. E vanno a mangiarsi un panino per uno, al tavolo, insieme.

Dopo un quarto d'ora che son lì che parlano di Rimbaud e Majakovskij, di colpo Ginsberg guarda bene Patti negli occhi. Scusa, le dice, scusa davvero. Perché scusa?, chiede lei. Eh, risponde Ginsberg, niente, pensavo che fossi un bel ragazzo, invece sei una ragazza, ma niente, dai, parliamo di Rimbaud.

E così son diventati amici.

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(questa storia è dentro a Just Kids, l'ultimo libro di Patti Smith che racconta anche di Robert Mapplethorpe. Me l'ha rimessa in testa l'elena, cioè osvaldo, che ha scritto un bel post su Howl, un film che, tra l'altro, non ho mica mai visto)

giovedì 27 gennaio 2011

L'eugenetica è perversa, ma anche il resto, però

Lasciamo perdere, nel ragionamento, la razza pura, gli accoppiamenti selezionati volti a non rovinare il sangue, la razza pura non fa testo, in questo ragionamento: l'eugenetica è perversa. Epperò anche quell'altro discorso, quello sul meticciato, non è che mi sia tanto chiaro. E mi son sempre chiesto, e ora veniamo al cuore del ragionamento, mi son sempre chiesto come facciano a nascere, ché la maggior parte della gente è d'accordo e applica senza risentimento la castrazione fisica e chimica, la sterilizzazione, come si dice, insomma, sembra quasi una tappa obbligata, quando ancora non han fatto all'amore. E allora dove nascono? Sotto i cavoli, no, lì ci son già quegli altri. La cicogna, no, cosa vuoi che gliene freghi alla cicogna. E allora, se non fanno all'amore, come nascono? Come nascono, i gatti? Rimane un mistero.

martedì 25 gennaio 2011

Dialettica (5)

In Romagna, in dialetto, sgrézia vuol dire disgraziata ma è una disgraziata dolce, una cosa che, ho saputo, dicono le nonne ai nipoti non sempre impeccabili senza però condannarli del tutto. È una disgraziata con lo sguardo generoso del perdono e il sorriso a fior di labbra, ma la parola sgrézia si può usare pure quando proprio per una persona non è facile dire una cosa emotivamente forte e allora, per sviare due occhi languidi, questa persona gli mette addosso la sgrézia, a quegli occhi.
Io me la immagino, la sgrézia, come uno scialle leggero, che fa caldo solo per un pochino, per un tragitto breve, mentre vai a prendere la legna fuori e la porti in tutta fretta dentro, ché il camino è quasi spento e la fatica di riaccenderlo non la vuoi fare.

Sigarette spente (3)

12 coltelli 16 cucchiaini 16 forchette 11 cucchiai 2 cucchiai di legno 1 forchettone di legno 2 ramine 2 mestoli uno piccolo e uno grande 4 tazzine da caffè 2 bicchierini da caffè 6 bicchierini da liquore ma volendo anche da caffè 3 mug 2 tazze normali cioè quelle che non sono dei mug 14 bicchieri vari 1 pelapatate 1 spalma-burro 1 barattolo di carciofini sottolio vuoto 1 pinza per wok 1 colino 4 piattini da dolce 8 piatti piani 8 piatti fondi 6 piattini vari di tazze e tazzine 2 padelle una grande e una piccola quella grande sarebbe un salta-pasta in verità 2 pentolini per il latte smaltati di bianco 1 pentolino antiaderente di medie dimensioni 2 pentole di acciaio inox di medie dimensioni 1 pentola di alluminio di grande dimensione 1 spugna abrasiva classica gialla e verde 1 retina metallica.
Il mio lavello, in cucina, un doppio lavello, può contenere tutte queste cose e forse, studiando bene alcuni incastri, anche qualcosa in più.
Ad osservare con attenzione il fenomeno, si evince che il contenuto del mio lavello, in cucina, è inversamente proporzionale al contenuto della mia credenza, in cucina. Cioè si deduce, osservando con costanza e magari registrando i dati su un taccuino, che in realtà si tratta sempre dello stesso contenuto, che poi corrisponde alla mia intera proprietà, mia personale, di stoviglie e pentole e oggetti del settore. Si deduce, quindi, che è sempre lo stesso contenuto a trasferirsi lentamente, a migrare potremmo dire, dalla credenza al lavello, periodicamente, con regolarità, proprio come accade nelle migrazioni degli uccelli. Le stagioni migratorie principali sembrano essere due: quella della pulizia, che trascorre in credenza, e quella della sporcizia, che trascorre nel lavello.
Oggi la mia credenza è vuota, il mio lavello contiene 12 coltelli 16 cucchiaini 16 forchette 11 cucchiai 2 cucchiai di legno eccetera, l'ho già detto. E io abito da sola, quindi: io sporco, io lavo. E di solito quando il mio lavello contiene 12 coltelli 16 cucchiaini 16 forchette eccetera, cioè contiene tutta la mia proprietà, mia personale, di stoviglie e pentole e oggetti del settore, allora significa che la mia credenza è vuota: siamo in piena stagione della sporcizia.
Allora in quei momenti, quando ancora ero una valida tabagista, in genere mi fumavo una sigaretta in piedi in mezzo alla cucina e intanto facevo delle espressioni di stupore e di sbigottimento, come se mi avessero portato a tradimento in una di quelle cucine delle pubblicità dei detersivi prima dell'avvento dei detersivi in questione.
Invece oggi, che sono ormai solo una ex valida tabagista, mi dico di essere abbastanza matura per raccontarmi la verità: che questa cucina è la mia, questo lavello è il mio, questa capacità di non lavare i piatti per 12, 13 giorni è proprio tutta mia.
Mi dico con franchezza e severità queste cose e poi, visto che non fumo più e che ho le mani libere, metto su questo dvd, che pure questo è mio, e intanto mi bevo un caffè attaccandomi al beccuccio della moka.

lunedì 24 gennaio 2011

Son fatto così (5)

Son fatto che se sono per la strada che cammino per i fatti miei, o in un corridoio al lavoro, per esempio, e vedo che sto per incrociare qualcuno che conosco, e che magari ha anche bisogno di me, io, tutto d’un colpo, metto una mano in tasca, tiro fuori il telefono, così, mentre cammino, e faccio un numero a caso, con delle cifre a caso, mi metto il telefono all’orecchio e, mentre la voce registrata mi dice che quel numero lì non esiste o non è abilitato, dico delle cose, faccio anche dei discorsi, come se stessi parlando con qualcuno, e intanto cammino e vado dove stavo andando per i fatti miei, e quando incrocio quello che conosco, e che magari aveva anche bisogno di me, io intanto parlo, e mentre parlo gli faccio un mezzo sorriso, alzo un po’ le sopracciglia come a dire Ciao, eh, guarda, sto telefonando, e intanto continuo a parlare finché quello che conosco, e che magari aveva proprio bisogno di me, non passa oltre, nell’altra direzione, gira l’angolo o entra in una porta, e non c’è più pericolo che mi dica qualcosa, e allora spengo il telefono, lo rimetto in tasca e continuo a camminare per i fatti miei pensando alle cose che ho detto a nessuno. Delle volte son cose interessanti. Son fatto così.

A tavola con Tiziano Fiorveluti: Tagliolini fase R.E.M.

Prendete un porro per commensale e tagliatelo a listarelle. Fare il soffritto con olio d'oliva extravergine e con due spicchi d'aglio schiacciati, aggiungete i porri e fate soffriggere per bene un minuto a fuoco alto, poiabbassate mescolando frequentemente. Un po' di peperoncino, se volete, non fa mica schifo, che tanto la ricetta è già pesantucola e quindi fossi in voi non mi formalizzerei.

Quando vedete che il sugo comincia a ritrarsi, allora scegliete se essere i R.E.M. prima del contratto major o quelli da "Out Of time" in poi. Nel secondo caso aggiungete dell'acqua per allungare il sugo, nel primo caso, invece, bagnate con del vino rosé. Sarà anche il vino rosé quello che porterete in tavola per accompagnare.

I tagliolini li farete cuocere in abbondante acqua salata. Grattugiate dell'emmenthal. Amalgamate al sugo e impiattate. Dite ai commensali che chi vuole può aggiungere l'emmenthal come farebbe con il parmigiano.

sabato 22 gennaio 2011

Schegge di Liberazione: esempi d'autore - Ridolini

Dopo è venuto l'otto settembre; l'otto settembre il capitano che era una gran buona persona ci ha fatto un discorso, ha detto “Oh, ragazzi, piuttosto che lasciarvi in mano dei tedeschi andiamo sulle montagne e facciamo i partigiani, andiamo a fare i partigiani”, allora si parte con il moschetto, con tutto, e andiamo sulla montagna da Cecina Marina lì a Livorno. Quando siamo su questa montagna, era nel pomeriggio, siamo arrivati, ha fatto un gran discorso il capitano, allora dice “Ragazzi, chi vuol restare qua faremo i partigiani, e chi vuol andare vada.”
Allora io ho pensato subito “Io vado” e infatti son partito alla sera con sei toscani, [...] ho tolto i vestiti da soldato, siccome avevo un po' di vestiti borghesi che erano un paio di calzoni corti e una canottiera e la mia valigetta da barbiere, e al primo contadino ci ho lasciato la divisa militare per due fiaschi di vino.
Il giorno dopo partiamo e via, ogni giorno si arrivava a casa di un toscano [...] poi arriva che finiti i toscani, a Pontedera, son rimasto solo, allora anche lì giù il morale, ho detto “Adesso cosa faccio?”
Bisognava andare sempre fuori strada perché per le strade principali i tedeschi ti prendevan su; per un altro caso incontro uno vestito da militare con zaino e tutto, ho detto “Ma scusa, tu da dove vieni?”
“Io vengo da Modena.”
“Ostia, e io devo andare a Modena.”
“Guarda, puoi andare tranquillo perché i tedeschi che prendon su la gente sono avanti, son già passati, allora puoi andar tranquillo.”
[...] Allora anche lì bisognava pensare, o andare nei partigiani oppure passare per amico dei fascisti, non sapevi che cappello metterti. Siccome io avevo già buttato via il fucile là in toscana, poi andare a prendere un fucile volontario proprio non me la sentivo e poi si diceva che i partigiani andavan nelle case a portar via la roba, ho detto “Anche questo è un mestiere che a me non mi va.”
[...] Dopo un po' avevo ripreso a lavorare da sarto con due ragazze o tre, ma non in paese, a Ca' d'Mami, in mezzo ai campi, solo che lì i miei amici venivan sempre a dire “Quando vieni tu nei partigiani?” e io rispondevo sempre “La settimana prossima vengo di sicuro”, dicevo che al momento ci avevo il mio daffare. Ma io aspettavo sempre l'armistizio ma non arrivava mai, allora un bel giorno ho preso una staffetta dei partigiani che si chiamava Anderiòun e faceva il macellaio a Polinago e gli ho detto “Anderiòun, io andrei nei partigiani, ma ho preso paura del fucile a militare, non vorrei un fucile.”
Allora Anderiòun si è informato e poi ha detto “Guarda, han detto così che di fucili non ne hanno, che se vuoi andare a fare il barbiere ti prendono volentieri.”
Allora io sono andato con la mia valigetta a fare il barbiere e c'erano quattro o cinque formazioni, che una formazione vuol dire un gruppo di persone da una parte, un gruppo da un'altra parte, in case coloniche, allora io al mattino andavo in una di questa case a turno e alla sera andavo a dormire al comando che era a Montemolino; lì c'era il capo partigiano che si chiamava Nello e comandava tutti assieme a suo fratello e a un altro che non mi ricordo bene il nome.
Un giorno arriva una spia da Mocogno che c'era questo capitano Bertini e aveva tre sorelle zitelle, allora questi qua son partiti con un furgone e han svaligiato la casa e ci han portato via tutto, la biancheria e tutto quanto; in mezzo a tutta questa biancheria c'era tutta la roba da notte di queste zitelle, alla sera al comando si vestivano con i mutandoni da donna e le loro cose da notte, in cinque o sei, tutti assieme, sembrava un manicomio. Lì ci voleva proprio la macchina da presa da prenderli giù, della roba da diventare matti.
Poi in sartoria facevo anche le mutande con la seta dei paracadute e i giubbotti con la stoffa delle mantelline, e così lavoravo per i partigiani.

(Gianfranco Mammi, Vita di «Ridolini» raccolta dalla sua viva voce, ed. Trasciatti, collana I Libratti, 2010)
Entro e non oltre il 15 marzo, se volete, potete mandare un racconto, un ragionamento, una foto, un disegno o, insomma, quello che vi pare all'indirizzo marcomncrd chiocciola gmail punto com, ché facciamo un altro Schegge di Liberazione. Non abbiate paura, Barabba dice 26x1.

venerdì 21 gennaio 2011

Ruby, o gli incidenti della virtù (2)

Uscendo dal convento, Nicole andò dritta e filata a trovare una donna di cui le aveva parlato un'amica del suo ambiente che aveva preso una brutta strada, e di cui aveva conservato l'indirizzo; ci arriva sfacciatamente col suo pacchetto sotto il braccio, un vestito di poco conto in disordine, la più graziosa figura del mondo e l'aria di una scolaretta, racconta la sua storia a quella donna, la supplica di proteggerla come aveva fatto qualche anno prima con la sua vecchia amica.
"Quanti anni avete, bambina mia?" le chiede la signora Du Buisson.
"Quindici tra qualche giorno, signora."
"E mai nessuno..."
"Oh no, signora, ve lo giuro."
"Ma il fatto è che talvolta in questi conventi un cappellano... una suora, una compagna... ho bisogno di prove sicure."
"Non sta che a voi procurarvele, signora..."
E la Du Buisson, inforcati un paio di occhiali e verificata l'esatta situazione delle cose, dice a Nicole:
"Ebbene, bambina mia, non avete che da rimanere qui, molta sottomissione ai miei consigli, una buona dose di compiacenza per i miei clienti, pulizia, economia, sincerità con me, buoni rapporti con le vostre compagne e furbizia con gli uomini, nel giro di qualche anno vi metterò in condizione di ritirarvi in una camera con un cassettone, una specchiera, una domestica, e l'arte che avrete acquisito da me vi darà modo di procurarvi il resto."

Terminato il sermone, la nuova venuta fu presentata alle sue compagne; le indicarono la sua stanza nella casa e dall'indomani, le sue primizie furono in vendita; in quattro mesi, la stessa merce venne successivamente venduta a ottanta persone che la pagarono tutte come nuova, e solo alla fine di questo spinoso noviziato Nicole ebbe il diploma di suora conversa. Da quel momento fu realmente considerata come giovane della casa e ne condivise le libidinose fatiche... ulteriore noviziato; se nel primo, eccettuata qualche deroga, Nicole aveva servito la natura, ne dimenticò le leggi nel secondo: stranezze criminali, turpi piaceri, sorde e abiette dissolutezze, gusti scandalosi e bizzarri, originalità umilianti, e tutto questo frutto, da un lato, del desiderio di godere senza mettere a repentaglio la sua salute, e, dall'altro, di una dannosa sazietà che, fiaccando l'immaginazione, non le permette più di schiudersi se non agli eccessi, e di appagarsi se non di dissoluzioni... Nicole corruppe interamente i suoi costumi in questa seconda scuola e le vittorie che vide conquistate dal vizio degradarono completamente la sua anima; si accorse che, nata per il crimine, doveva almeno far le cose in grande e rinunciare a languire in uno stato subalterno che, facendole commettere le stesse colpe e avvilendola nello stesso modo, non le procurava nemmeno lontanamente lo stesso profitto.

mercoledì 19 gennaio 2011

Ruby, o gli incidenti della virtù

(Riassunto di puntate mai scritte: Nicole e Ruby sono due fanciulle orfane e sole al mondo, ospitate in un'istituzione benefica a cui hanno tagliato il Cinque per Mille)

Furono date ventiquattr'ore a entrambe per andarsene dal convento, lasciando loro la cura di provvedere a sé stesse dove esse avessero voluto. Nicole, felice di essere padrona di sé stessa, volle per un momento asciugare le lacrime di Ruby, ma, vedendo che non ci sarebbe riuscita, si mise a rimproverarla invece di consolarla, le disse che era una sciocca e che con l'età e con il fisico che avevano, non c'erano esempi di giovani che morissero di fame; le ricordò la figlia di una loro vicina, che scappata dalla casa paterna, era attualmente mantenuta nel lusso da un appaltatore di imposte ed era molto ricca a Cusano Milanino. Ruby ebbe orrore di questo esempio pernicioso, disse che avrebbe preferito morire piuttosto che seguirla e rifiutò con fermezza di andare ad abitare con sua sorella non appena la vide decisa al genere di vita abominevole di cui le faceva l'elogio.

Le due sorelle si separarono dunque senza alcuna promessa di rivedersi dal momento che i loro propositi erano così differenti.
Nicole che, come sosteneva, stava per diventare una gran dama, avrebbe forse acconsentito a rivedere una fanciulla le cui inclinazioni "virtuose" e meschine l'avrebbero disonorata, e dal lato suo Ruby avrebbe voluto rischiare i suoi buoni costumi in compagnia di una creatura perversa che stava per diventare vittima della crapula e del pubblico vizio? Ciascuna dunque si arrangiò a modo suo e lasciò il convento fin dall'indomani così com'era stato stabilito.

Ruby, che da bambina era stata vezzeggiata dalla sarta di sua madre, pensò che quella donna sarebbe stata sensibile al suo destino; andò a trovarla, le raccontò la sua disgraziata situazione, le chiese lavoro e ne fu duramente respinta... "Oh, cielo!" disse questa povera creatura, "è proprio necessario che il primo passo che faccio nel mondo mi conduca subito ai dispiaceri... questa donna un tempo mi voleva bene, perché dunque oggi mi respinge?... Ahimé, il fatto è che sono orfana e povera..."

Andò allora a trovare il curato della sua parrocchia; gli chiese alcuni consigli; ma il caritatevole ecclesiastico le rispose in modo equivoco che la parrocchia era sovraffollata, che era impossibile che lei potesse usufruire delle elemosine, che, se tuttavia avesse voluto servirlo, l'avrebbe alloggiata volentieri da lui; ma, siccome nel dire queste parole il santo uomo le aveva passato la mano sotto il mento dandole un bacio un po' troppo mondano per un uomo di chiesa, Ruby, che aveva capito tutto, si ritrasse di scatto, dicendogli:

"Signore, io non vi chiedo né l'elemosina, né un posto da serva, da troppo poco tempo ho lasciato uno stato al di sopra di quello che può far chiedere con insistenza queste due grazie, per essere già ridotta a tanto; io vi chiedo i consigli di cui la mia giovinezza e la mia sventura hanno bisogno, e voi volete farmeli comprare con un delitto..." Il curato, furioso per queste parole, aprì la porta, e la cacciò brutalmente...

lunedì 17 gennaio 2011

A tavola con Tiziano Fiorveluti: Distesa di pane di patate a caso

Lessate due patate grosse. Spellatele. Sciogliete in 30 dl d’acqua tiepida circa due cubetti di lievito. Mettete in una ciotolona gigante mezzo chilo di farina abbondante e 3 etti di crusca (o cruschello). Incorporate l’acqua con il lievito e impastate. Quando l’acqua è assorbita fate riposare per 20 minuti. Poi aggiungete un bel cucchiaio di sale, due cucchiaini di zucchero e del miele. Tanto miele. Versate una birra di grano da 50 cl e un altro mezzo chilo di farina. Unite le patate e impastate a nastro fino a quando non diventa liscio ed elastico. Non deve diventare troppo solido, ma non deve essere allo stato liquido. Le dita devono impiastricciarsi per bene. Se è troppo solido aggiungete acqua. Lasciate lievitare lontano dalla luce e coperto da un panno per due ore circa. Rivestite la superficie del forno con la carta forno con un po' d’olio sparso e poi versateci sopra la pasta ottenuta. Stendete bene con le dita. Mettete dell’olio disponendolo con un cucchiaio, aggiungete rosmarino e sale grosso. Lasciata riposare, coperto da un panno, per 30 minuti. Infornate per 10 minuti a 220 gradi e altri 15 almeno a 180.

Servite con pancetta dolce a fettine, aggiunta appena tirate via dal forno il focaccione.

Scusate se son stato troppo serio. Quando assaggerete questa cosa capirete perché. Potete conservare la focacciona in sacchetti di carta messi dentro, a loro volta, in borse di plastica.

domenica 16 gennaio 2011

Meraviglie dalla campagna (3) - i culi bianchi

Il bramito di un capriolo. L'avete mai sentito? Stasera ero a fare le solite cassette di legna per il giorno a venire, quando nella valle un capriolo si mette a bramire. Il bramito di un capriolo è un verso strano. Prendete la scena di sgozzamento del maiale. Abbassate di due ottave l'urlo del maiale. Poi accorciatene la durata. Tipo il doppio del latrato di un cane. Ed eccovi il bramito del capriolo. Tipo l'urlo del cane di satana. Una volta stavo raccogliendo lumache nell'orto a notte fonda, e un capriolo che mi passa alle spalle a una ventina di metri si mette a bramire: un coccolone che non vi dico. Il dott tamarri una volta mi disse che nel parco del corno alle scale c'era gente che faceva tipo dei safari notturni nella stagione degli amori per ascoltarsi i bramiti tutta notte. Alcuni lo trovavano addirittura eccitante per copulare. A me il bramito fa venire gli sgrigiori lungo la schiena. Quello del cervo è più baritonale - mi pare - meno straziante di quello del capriolo, più simile a un muggito. Il capriolo ti spaventa. Il capriolo è quello con le corna piccole e col culo bianco. I culi bianchi, li chiamiamo a casa. Lo stambecco è quello con le due corna senza ramificazioni fatte di cerchi sovrapposti. Il cervo ha le corna del cervo, classiche. Il daino è quello con le corna palmari. Tutto chiaro?

Il naso rosso (climax, variante)

L'ingegnere si morse le labbra con dispetto, si mise a navigare su internet e, contrariamente alle sue abitudini, decise di non commentare nessuno e di non laicare alcunché. Tutt'a un tratto si fermò come inchiodato su Gmail; sotto i suoi occhi si verificava un fenomeno inspiegabile. Nella casella di posta c'era un messaggio; avvicinandosi allo schermo vide l'allegato, una ragazza con lo sguardo furbo. Quale non furono lo spavento e nello stesso tempo lo stupore dell'ingegnere quando in lei riconobbe il proprio naso rosso! Davanti a questo spettacolo insolito, così almeno gli parve, la sua vista si annebbiò; sentiva che poteva appena reggersi in piedi, ma decise di aspettare a qualunque costo di aprire l'allegato, sebbene tremasse tutto come in preda al delirio. Due minuti dopo, effettivamente, il naso rosso era a tutto schermo. Aveva i capelli lisci e un sorrisetto beffardo; aveva lo sguardo intelligente e l'espressione semiseria. Dalla forma del viso si poteva dedurre che si considerava una scrittrice, un'Elena Marinelli. (*)

Specchiarsi, nella migliore delle ipotesi

C'è un fenomeno strano che, ho notato, si verifica in tutti i bagni pubblici, nei bar, negli autogrill, nei ristoranti e, insomma, in quei posti lì. Non capisco proprio come mai, quando entri e trovi la porta chiusa e occupata, aspetti un po' anche se da dentro non arriva nessun rumore, poi ti spazientisci e ti chiedi se magari non sei lì come un coglione ad aspettare che la porta si apra, che magari, pensi, dentro non c'è nessuno e stai aspettando davanti a una porta chiusa, e hai paura di far la figura del cretino se poi arriva qualcun altro e state lì ad aspettare in due davanti a una porta chiusa per niente, ma la colpa è tua che non hai provato ad aprire, allora prendi la maniglia, la giri e scopri che è chiusa davvero, e non capisco proprio come mai, anche se stavi aspettando da dei minuti, delle volte anche un quarto d'ora, appena giri la maniglia, tempo due secondi, al massimo tre, e senti che da dentro tirano lo sciacquone e tempo altri due secondi, al massimo tre, quello che era lì dentro esce e si lava le mani, anche se non se le sarebbe mica lavate se fosse uscito dal bagno senza trovare nessuno lì ad aspettare. E allora ti chiedi, o almeno io me lo chiedo sempre, cos'è che stesse facendo quello lì dentro al bagno pubblico, del bar, dell'autogrill, del ristorante o di uno di quei posti lì, se poi è bastato girare la maniglia per farlo venir fuori. Rimane un mistero.

venerdì 14 gennaio 2011

Schegge di Liberazione: Lo spiegone

Barabba ha detto 26x1, ma molti non ci hanno capito niente. E quindi, sul blog di Schegge di Liberazione, abbiamo fatto la parafrasi del messaggio: click.

Schegge di Liberazione: Barabba dice 26 X 1

A tutti i blogger STOP Barabba dice 26 X 1 STOP nemici in putredine finale STOP ancora una volta STOP scrivete un racconto, una poesia STOP fate un disegno, scattate una foto STOP sulla Resistenza storica e/o su quella quotidiana STOP Barabba selezionerà severamente il materiale STOP e creerà un libro di carta STOP che odorerà di carta STOP e un libro elettronico STOP che odorerà di elettroni STOP li presenteremo il 24 e il 25 aprile STOP a Carpi, a Casa Cervi, a Fossoli, vedremo STOP tutti i post finiranno comunque sul blog STOP o in un altro ebook STOP inviate i vostri lavori entro il 15 marzo STOP a marcomncrd chiocciola gmail punto com STOP Barabba dice 26 X 1 STOP ripeto: Barabba dice 26 X 1 STOP

giovedì 13 gennaio 2011

Meraviglie dalla campagna (2) - la faina

L'altra sera rientravamo da una serata fuori con tutta la famiglia (evento raro già di per sé). Sarà stata la mezza. Agnese porta ester a letto, io faccio uscire gisella e vedo che subito annusa con fare molto serio e zelante. Si avvicina alla catasta di legna e comincia a scalarla. Prendo la torcia, vado anch'io, e la vedo. La faina. Sulla trave centrale del tetto. La faina mi mancava. (La faina mangia le galline. La faina uccide anche più galline di quante ne voglia mangiare. Si chiama surplus killing. Grazie) Mi viene un coccolone: corro al pollaio: ci sono tutte. Lo chiudo. Le avevamo lasciate aperte perché eravamo partiti nel primo pomeriggio, e lasciare le galline al chiuso col sole non è mai una bella cosa (neanche trovarle senza testa, a dir la verità, ma è un discorso che faremo un'altra volta). In ogni caso la faina è un animaletto carino. Tipo un gatto-scoiattolo. Siam stati a fissarci per un quarto d'ora. Poi è salita su un albero e non l'ho più vista. La faina mi mancava. La aggiungo al mio elenco di animali selvatici con cui ho fatto simpatici incontri frontali: capriolo, cinghiale, faina, falco, istrice, tasso.

Mi avevi scelto tu

La prima volta che sono entrato in casa tua, quasi sei anni fa, e mi son seduto su una sedia, sei arrivata e ti sei messa sulle mie ginocchia. Non lo facevi mica con tutti, mi diceva lei, ma a me, chissà perché, ti avvicinavi, non ti andavi a nascondere come quando entrava qualcuno in casa.

La prima volta che ti ho vista ascoltare i Doors, quasi sei anni fa, anche se lei me l’aveva già raccontato, non ci credevo. Te ne stavi lì davanti alle casse dello stereo, seduta, ascoltavi Riders On The Storm con gli occhi semichiusi, per poi chiuderli del tutto quando sentivi la voce di Jim Morrison. Sorridevi, secondo me, son sicuro, si vedeva.

La prima volta che ho dormito a casa tua, con lei, quasi sei anni fa, nel cuore della notte sei arrivata, sei salita sul letto e mi hai dormito addosso. Non l’avevi mai fatto con nessuno, mi diceva lei. E diceva anche che, secondo lei, prima di lei, mi avevi scelto tu.

La prima volta che ho portato le valigie in casa tua, quasi sei anni fa, tu avevi due anni. Siamo stati quasi sei anni insieme. Ci hai amati e ti sei fatta amare. E se il paradiso degli umani, se c’è, è nelle teste di chi rimane, il tuo paradiso, se c’è, e credo proprio che ci sia, è nelle nostre due teste, nella testa di Caterina e nella mia testa.

Ci hai voluto bene. Ti abbiamo voluto bene. Ciao Grushenka.

martedì 11 gennaio 2011

Della superiorità dell’ingegneria sui ragionamenti di Ivan Fëdorovič Karamazov

Quel che ci preme è ch’io possa, al più presto, dichiararti il mio vero essere, cioè che uomo sono io, in che cosa credo e in che cosa spero […] E perciò ti dichiaro senz’altro che accetto, in tutte lettere, l’esistenza di Dio. Ma ecco, tuttavia, che cosa occorre rilevare: posto che Dio esista, e che abbia realmente creato la terra, questa, come tutti sappiamo, è stata creata secondo la geometria euclidea, e l’intelletto umano è stato creato idoneo a concepire soltanto uno spazio a tre dimensioni. Vi sono stati, invece, e vi sono anche ora, geometri e filosofi, e anzi fra i più grandi, i quali dubitano che tutta la natura, o più ampiamente, tutto l’universo, sia stato creato secondo la geometria euclidea, e s’avventurano perfino a supporre che due linee parallele, che secondo Euclide non possono a nessun patto incontrarsi sulla terra, potrebbero anche incontrarsi prima o dopo all’infinito. E così, cuore mio, ho tratto la conclusione che, se nemmeno questo mi riesce intelligibile, come potrei mai innalzarmi al concetto di Dio? Umilmente riconosco che in me non c’è nessuna capacità di risolvere problemi simili: in me c’è una mente euclidea, terrestre, e come potrei pretendere di ragionare su ciò che non è di questo mondo? E anche a te, Alëša, consiglio che a queste cose ti astenga sempre dal pensare, e soprattutto (per quanto tocca Iddio) se esista o non esista. Queste son tutte questioni assolutamente inadatte a un’intelligenza creata con concetto d’uno spazio unicamente tridimensionale. Cosicché, ammetto volentieri Iddio […]
Io sono una cimice, e riconosco con la massima umiltà che non posso intendere un ette delle ragioni per cui il mondo è composto così. Si vede che gli uomini stessi ne avranno colpa: gli era stato dato il paradiso, loro han voluto la libertà e han rapito il fuoco dal cielo, pur sapendo che sarebbero stati infelici: non è dunque il caso di averne pietà. Oh, io, con la mia miserabile, terreste intelligenza euclidea, io so, unicamente, che la sofferenza c’è, che colpevoli non esistono, che da una cosa deriva l’altra in linea retta, che tutto scorre via e viene a controbilanciarsi: ma questo, certamente, non è che vaneggiamento euclideo, e so io stesso che è così, e vivere secondo esso è una cosa a cui non posso, io, acconsentire! […] quel che occorre, a me, è una sensazione suprema, altrimenti sarò costretto ad annichilarmi.

(Fëdor Michajlovič Dostoevskij, I fratelli Karamazov, parte seconda, libro quinto “Pro e contra”, dai capitoli III I fratelli fanno conoscenza e IV Ribellione, ed. Einaudi)

Quando Ivan Fëdorovič tiene questo discorso al fratello Aleksej nella locanda della Capitale, poco prima di esporgli il suo poema mai scritto dal titolo Il grande inquisitore, ha circa ventitre anni. Io ne avevo ancora meno, tra i diciannove e i venti, mi pare, quando dimostravo che due rette parallele, all’infinito, si incontrano senza problemi. Quel punto lì, dove le rette parallele si incontrano all’infinito, si chiama punto improprio. Se vogliamo pensare che Dio sia da quelle parti, cioè all’infinito, è molto verosimile l’ipotesi che si tratti, appunto, coerentemente, di un Dio improprio. Altrimenti è da un’altra parte o, più semplicemente, non è. E per quanto mi riguarda, e nemmeno da oggi, ma da quando avevo diciannove o vent’anni, la questione è archiviata.

lunedì 10 gennaio 2011

A tavola con Tiziano Fiorveluti: Fettuccine Calindri Viendalmare

Comprate dei gamberi. Sbucciateli. Portate pazienza.

Comprate delle tagliatelle all’uovo, non verdi. Il cromatismo ha la sua importanza, anche se devo ammettere che non siamo mica qui a parlare di pittura e quindi potremmo soprassedere sul colore delle tagliatelle. Però non verdi, porca zozza, va bene?

Detto questo, comprate dei carciofi. Tagliate i gambi, togliete le foglie più esterne. Tagliate la parte superiore del carciofo e poi tagliate in 4 pezzi. Dovete anche aver messo a soffriggere dell’olio con due spicchi d’aglio, altrimenti se non buttate subito il carciofo in padella vi diventa nero e non sta bene. I vecchi sapientoni vi diranno che se lo spruzzate di limone o se mettete i carciofi in una ciotola piena di acqua e limone la cosa non succede, ma se non siete abili vi capita lo stesso. Quindi MUOVETEVI.

Fate soffriggere i carciofi un paio di minuti e poi aggiungete acqua calda e un dado da brodo. Abbassate il fuoco e mescolate di tanto in tanto. Mescolate pure. Quando si restringe il sughetto mettete un bicchiere di vino bianco secco. Cuocete le tagliatelle in acqua abbondantemente salata, come dicono i libri di cucina veri, e quando scolate e incorporate al sugo, tritate del prezzemolo e buttatecelo in cima servendo su un bel piattone da portata, partendo da 76 metri.

domenica 9 gennaio 2011

Il paradiso degli umani

Il paradiso degli umani, se c'è, non è quello cattolico, ma è nelle teste di chi rimane. Non devi amare il prossimo o non peccare, devi farti amare. Se c'è, non è un premio, ma sei tu, per qualcun altro, che rimani, il paradiso degli umani.

venerdì 7 gennaio 2011

Nel nome del padre (1) e Meraviglie dalla campagna (1)

Ieri è arrivata la prima raffica di perché?.
Mi ha detto agnese che verso metà mattina erano uscite a nutrire gli animali (in inglese: to feed) e hanno dato del pane vecchio alle galline. Poi agnese è andata a riempire le ciotole dei gatti, e quando è tornata ha trovato ester che si mangiava il pane vecchio assieme alle galline. Ad ester le galline sono simpatiche; agnese le rispetta, ma non le stima.
Arriva anche gisella, che è il cane, e anche lei si mette a mangiare il pane vecchio destinato alle galline assieme ad ester e alle galline.
Allora agnese ritorna dai gatti, vede la scena, e fa: “Ma tesoro, non si mangia il pane vecchio”
Figlia: “pecché?”
Madre: “perché è per le galline”
Figlia: “pecché galline?”
Madre: “Perché è duro”
Figlia: “pecché dulo?”
Madre: “perché... è vecchio”
Figlia: “pecché vecchio?”
Madre: “aaahhh... perché è rimasto lì, e il fornaio non lo vendeva, e ora si da alle galline”
Figlia: “pecché anche gi mangia?”
Madre: “Aiuto”

Campagna acquisti (un altro reintegro, in verità)

È con piacere delirante che diamo nuovamente il benvenuto a capra, barabbista della prima ora, anche lui già dal 2006 e scomparso per motivi oscuri allo scrivente, vincitore di premi a suon di preghiere e bestemmie, nonché chitarra pinguina sotto il gazebo. Di seguito la sua biografia essenziale:

capra è nato, marito e padre rispettivamente da 28, 5 e 2 anni. Nella vita vorrebbe fare lo scrittore di discorsi per i matrimoni perché è un campo ancora sgombro da concorrenza e, sostiene, con ampie possibilità di guadagno.

Ora diciamo tutti insieme: "ciao capra".

Campagna acquisti (un reintegro, in verità)

È con piacere scomposto che diamo nuovamente il benvenuto a un barabbista della prima ora, che era iscritto al blog già nel 2006, ma poi, per motivi ignoti a chi scrive, è sparito e nessuno se ne è più curato. Di solito i nuovi barabbisti si presentano con una biografia essenziale. La biografia essenziale del nuovo barabbista è nel nome.

Quindi diciamo tutti insieme: "ciao leonardo" (sì, QUEL leonardo).

giovedì 6 gennaio 2011

Come uno che va a fare un giro in piazza la domenica

Quando ho appoggiato la bici da corsa al muro, con l’idea in testa di lasciarla lì per sempre, ed era passato già qualche giorno da quando avevo smesso di fare le gare per dedicarmi all’ingegneria e alla vita, mi son detto No, dai, Marco, pedala ancora un po’. Allora l’ho ripresa in mano, la bici da corsa, mi son vestito attillato con la maglia della vecchia squadra, l’ultima, IMAL Pedale Modenese, son saltato sul sellino e via, ho fatto un giro per la bassa.

E mentre ero lì nella campagna modenese, doveva essere, credo, intorno a Gargallo, mi son fermato al bordo della strada, di colpo, ho messo giù il piede, ho bevuto un sorso d’acqua dalla borraccia e mi son messo a fissare il vuoto. Cosa ci facevo, io, lì in mezzo alla prateria emiliana, da solo, con un costumino attillato, a vent’anni, senza nessuna ruota da inseguire, senza uno scopo, senza dover lavorare per una squadra e senza salite per rimanere indietro, ritirarmi e montare sull’ammiraglia come un asino?

Cosa ci facevo lì da solo senza sapere dove andare? Niente.

È in quel momento che ho capito che a me del ciclismo amatoriale non me ne fregava poi tanto. Mi piaceva gareggiare, lottare, agonizzare, fare di quelle fatiche che a un certo punto, delle volte, ti piegavano la testa di lato, e i polmoni cercavano aria inutilmente, e ogni tanto cadevo e mi facevo male, che ancora oggi son pieno di cicatrici sui gomiti e sulle ginocchia, e il primo istinto che hai quando sei lì per terra è di tirarti su, prendere la bici e via, correr dietro agli altri, col sangue che ancora sgocciola sull'asfalto.

E allora cosa stavo facendo, adesso che avevo finito di correre? Andavo in giro in bici da solo come un vecchietto, come un amatore, di quelli che si fanno i cicli di dialisi per vincere un salame, han sempre le cose all’ultimo grido sulla bici e spendon di più in roba da corridore che in regali di Natale per i figli?

Tutte queste cose mi venivano in mente mentre ero ancora lì, al bordo della strada di Gargallo, ché all’inizio volevo andare a Rubiera, e invece ho girato la bici da corsa, ho incastrato i piedi nei pedali e son tornato verso casa, ai venti all’ora, come uno che va a fare un giro in piazza la domenica.

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Sono stato l'ospite della settimana sul blog di Grazia, il magazine. Questo post non c'è sul blog di Grazia, il magazine, ma lì ho parlato dei pensieri ciclici, tutta roba che avete già letto su Barabba, anche se l'ho rimaneggiata un po', e li trovate, nell'ordine, appunto, sul blog di Grazia, il magazine: Una malattia, Piccolo, King Kong e Pedala, Marco, Pedala!. Spero almeno che la mamma e la sorella siano contente, la moglie già salta dalla gioia.

martedì 4 gennaio 2011

A tavola con Tiziano Fiorveluti: Tartine Volgari

Comprate del caviale del Volga pagandolo più soldi di quelli che avete. Comprate anche un cucchiaino d'argento purissimo per servirlo. Stendete delle piccole fettine di pan carrè e metteteci un ricciolo di burro. Sopra mettete il caviale. Mentre lo mangiate, osservate le seguenti regole fondamentali:

1) Fate finta che sia buonissimo.

2) Quando vi scapperà la prima smorfia di disgusto, dite che quel caviale lì va mangiato in purezza (o “nature”) e che lo avete servito così soltanto per accontentare le donne, che dicono abbia un sapore troppo forte. Se invece siete donna, servite uova di lompo banalissime, ma nel farlo indossate abiti scollatissimi mozzafiato e ammiccate pesantemente a CHIUNQUE. Tutti giureranno di aver assaggiato delle tartine fenomenali.

lunedì 3 gennaio 2011

Animali morti molto antichi morti invano

Sarà perché da piccolo mi portavano sempre in montagna, in un appartamento vicino a un ruscello, di quei ruscelli di montagna con l'acqua freddissima e le sponde piene di sassi piatti, e io ci andavo tutti i giorni, da solo, con un martellino e un sacchetto, in riva al ruscello a martellare i sassi piatti, spezzarli due e cercare i fossili, e cercavo i trilobiti, che mi son sempre stati simpatici, ma trovavo sempre e solo delle conchiglie, ma un sacco di conchiglie fossili, che ce le ho ancora in uno scatolone molto pesante nel garage dei miei, e sarà per quello, boh, ma tutte le volte che faccio benzina, poi, quando stacco la cornetta della pompa dal serbatoio per rimetterla a posto, in quel momento lì, sempre, capita che cada una goccina di benzina sull'asfalto, e dato che mi han sempre spiegato che la benzina è fatta di animali morti, animali morti molto antichi, fossili che invece di diventare pietre piatte in riva ai ruscelli freddissimi di montagna son diventati benzina, ecco, sarà per quello, ma anche adesso, tutte le volte che quella goccina di benzina lì cade per terra, io penso che un trilobite sia morto invano. E mi dispiace un casino.