venerdì 23 dicembre 2016
mercoledì 9 novembre 2016
La pizza del Pastels
“Allora, McDermott, che cosa c’è che non va?” Faccio una smorfia. “Lunga coda allo Stairmaster, stamattina?”
“Chi l’ha detto che qualcosa non va?” domanda lui, tirando su col naso, mentre volta le pagine del Financial Times.
“Senti,” gli dico, protendendomi, “ti ho già chiesto scusa, per aver denigrato la pizza del Pastels, l’altra sera.”
“Chi l’ha detto che era per questo?” mi chiede, in modo alquanto teso.
“Credevo che la cosa si fosse già chiarita,” bisbiglio, agguantando il bracciolo della poltroncina; e intanto sorrido a Thompson di fronte. “Mi spiace di aver insultato le pizze del Pastels. Sei soddisfatto?”
“Chi l’ha detto che si trattava di questo?” torna a domandare lui.
“E allora che c’è, McDermott?” gli chiedo, sottovoce. Avverto un movimento alle mie spalle. Conto fino a tre, poi mi giro di scatto e colgo Luis Carruthers mentre cerca di sporgersi per origliare. Sa di essere stato colto in fallo e lentamente si ritrae, con aria colpevole.
“Ciò è ridicolo,” dico a McDermott, a bassa voce. “Non puoi tenermi il muso per giorni e giorni perché ho detto che le pizze del Pastels sono… ‘crostose’.”
“Mal cotte,” dice lui, guardandomi in tralice. “Hai detto testualmente ‘mal cotte e bruciacchiate’.”
“Chiedo scusa,” dico. “Però non ritiro. Sono, effettivamente, bruciacchiate. Friabili. Le leggi anche tu, le recensioni gastronomiche sul Times, no?”
“Ecco qua.” Tira fuori di tasca un articolo fotocopiato e me lo porge. “Questo, per dimostrarti che ti sbagli. Leggilo!”
“Che cos’è?” chiedo, dispiegando il foglio.
“È un articolo del tuo idolo, Donald Trump,” dice McDermott, e sogghigna.
“Oh, sì…” dico, con apprensione. “Chissà perché mi era sfuggito.”
“Ecco…” McDermott dà una scorsa all’articolo e punta un dito accusatore sull’ultimo paragrafo, da lui evidenziato con inchiostro rosso. “Ecco, qui Donald Trump dice chiaro e tondo dove, secondo lui, si mangia la miglior pizza di Manhattan.”
“Lasciami leggere,” dico, sospirando. Lo scanso. “Magari hai capito male. Che schifo di foto!”
“Leggi da te, Bateman. Leggi e poi dimmi!”
Faccio finta di leggere quel fottuto articolo, ma sono talmente arrabbiato che la vista mi si è praticamente annebbiata. Restituisco il foglio a McDermott e, totalmente seccato, gli chiedo: “E con questo? Che significa? Che cosa stai cercando di dirmi, McDermott?”
“Che cosa ne pensi adesso, Bateman, della pizza del Pastels?” mi chiede lui, con sussiego.
“Insomma,” dico io, scegliendo con cura le parole. “Sarà bene che ci torni a riassaggiarla, quella pizza…” Pronuncio queste parole a denti stretti. “Insisto, però, nel dire che l’ultima volta che l’ho mangiata, la pizza era…”
“Mal cotta e bruciacchiata,” suggerisce McDermott.
“Appunto.” Mi stringo nelle spalle.
“Bruciacchiata e mal cotta.”
“Hmm, hmm!” McDermott sorride, trionfante. “Senti, se la pizza del Pastels va bene a Donny Trump…” prendo a dire. Mi scoccia ammetterlo. La mia voce è appena un soffio. Concludo: “… allora, va bene anche a me.”
McDermott ridacchia allegro. Ha vinto.
(Bret Easton Ellis, American Psycho; 1991)
“Chi l’ha detto che qualcosa non va?” domanda lui, tirando su col naso, mentre volta le pagine del Financial Times.
“Senti,” gli dico, protendendomi, “ti ho già chiesto scusa, per aver denigrato la pizza del Pastels, l’altra sera.”
“Chi l’ha detto che era per questo?” mi chiede, in modo alquanto teso.
“Credevo che la cosa si fosse già chiarita,” bisbiglio, agguantando il bracciolo della poltroncina; e intanto sorrido a Thompson di fronte. “Mi spiace di aver insultato le pizze del Pastels. Sei soddisfatto?”
“Chi l’ha detto che si trattava di questo?” torna a domandare lui.
“E allora che c’è, McDermott?” gli chiedo, sottovoce. Avverto un movimento alle mie spalle. Conto fino a tre, poi mi giro di scatto e colgo Luis Carruthers mentre cerca di sporgersi per origliare. Sa di essere stato colto in fallo e lentamente si ritrae, con aria colpevole.
“Ciò è ridicolo,” dico a McDermott, a bassa voce. “Non puoi tenermi il muso per giorni e giorni perché ho detto che le pizze del Pastels sono… ‘crostose’.”
“Mal cotte,” dice lui, guardandomi in tralice. “Hai detto testualmente ‘mal cotte e bruciacchiate’.”
“Chiedo scusa,” dico. “Però non ritiro. Sono, effettivamente, bruciacchiate. Friabili. Le leggi anche tu, le recensioni gastronomiche sul Times, no?”
“Ecco qua.” Tira fuori di tasca un articolo fotocopiato e me lo porge. “Questo, per dimostrarti che ti sbagli. Leggilo!”
“Che cos’è?” chiedo, dispiegando il foglio.
“È un articolo del tuo idolo, Donald Trump,” dice McDermott, e sogghigna.
“Oh, sì…” dico, con apprensione. “Chissà perché mi era sfuggito.”
“Ecco…” McDermott dà una scorsa all’articolo e punta un dito accusatore sull’ultimo paragrafo, da lui evidenziato con inchiostro rosso. “Ecco, qui Donald Trump dice chiaro e tondo dove, secondo lui, si mangia la miglior pizza di Manhattan.”
“Lasciami leggere,” dico, sospirando. Lo scanso. “Magari hai capito male. Che schifo di foto!”
“Leggi da te, Bateman. Leggi e poi dimmi!”
Faccio finta di leggere quel fottuto articolo, ma sono talmente arrabbiato che la vista mi si è praticamente annebbiata. Restituisco il foglio a McDermott e, totalmente seccato, gli chiedo: “E con questo? Che significa? Che cosa stai cercando di dirmi, McDermott?”
“Che cosa ne pensi adesso, Bateman, della pizza del Pastels?” mi chiede lui, con sussiego.
“Insomma,” dico io, scegliendo con cura le parole. “Sarà bene che ci torni a riassaggiarla, quella pizza…” Pronuncio queste parole a denti stretti. “Insisto, però, nel dire che l’ultima volta che l’ho mangiata, la pizza era…”
“Mal cotta e bruciacchiata,” suggerisce McDermott.
“Appunto.” Mi stringo nelle spalle.
“Bruciacchiata e mal cotta.”
“Hmm, hmm!” McDermott sorride, trionfante. “Senti, se la pizza del Pastels va bene a Donny Trump…” prendo a dire. Mi scoccia ammetterlo. La mia voce è appena un soffio. Concludo: “… allora, va bene anche a me.”
McDermott ridacchia allegro. Ha vinto.
(Bret Easton Ellis, American Psycho; 1991)
martedì 30 agosto 2016
venerdì 12 agosto 2016
Trucchi della borghesia (107bis)
I trucchi della borghesia a volte stanno impacchettati nella comodità di un detersivo monodose, che la prima volta che ne ho visto uno ho pensato che pure quell'altra, di borghesia, mira in fondo allo stipendio fisso. Non ne ho mai comprato uno.
(di low level)
(di low level)
giovedì 11 agosto 2016
Trucchi della borghesia (107)
Ero qui che facevo il bucato e mi son chiesta: «ma l'ammorbidente l'avranno messo tra "i trucchi della borghesia"?»
Intanto ho deciso che io non lo ricomprerò più...
(di Laura "availableinblue")
Intanto ho deciso che io non lo ricomprerò più...
(di Laura "availableinblue")
mercoledì 27 luglio 2016
Tre domande ad Amedeo Balbi
Salve dr. Balbi (al dr. Balbi mi viene automatico dargli del lei), perché ha scritto Dove sono tutti quanti??
Perché c’era questo ragazzino di circa otto anni, che mi somigliava molto e mi guardava da una fotografia diventata un po’ rossa con il tempo, abbracciando un Goldrake di plastica alto quasi quanto lui. E questo ragazzino - erano gli anni Settanta del secolo scorso - pensava in continuazione allo spazio e si chiedeva se ci fossero altre forme di vita nell’universo, e allora mi è sembrato bello provare a dargli una risposta. Insomma, l’ho fatto per me.
Dove, come e quando l'ha scritto?
L’ho scritto su un tavolino in mansarda, al computer, prevalentemente di notte mentre mia moglie e mia figlia dormivano, ma anche in ogni ritaglio di tempo libero che sono riuscito a trovare. Ci ho messo circa un anno, dall’inizio alla fine del 2015, con una accelerata negli ultimi mesi, e quasi a tempo pieno durante le vacanze di Natale. Ma in realtà, prima di iniziare a scrivere davvero, l’ho scritto nella testa per quasi un anno. (A dire il vero, ora che ci penso, in un certo senso l’ho scritto nella testa per quasi quarant’anni.)
È bello?
Il ragazzino della foto dice di sì.
__________
Dove sono tutti quanti? è uscito un paio di mesi fa per Rizzoli. Il sottotitolo recita 'Un viaggio tra stelle e pianeti alla ricerca della vita' e parla anche di noi, cioè, sì, proprio di me e di te.
Amedeo Balbi è l'astrofisico di riferimento di tutta l'internet, ha un blog che si chiama Keplero e una bellissima newsletter intitolata 'In poche parole, l'universo'. Incidentalmente, gli è capitato di scrivere per Barabba una cosa sulla sfiga. (Una volta ci siamo anche incontrati, ma secondo me non ho fatto una bellissima figura.)
Perché c’era questo ragazzino di circa otto anni, che mi somigliava molto e mi guardava da una fotografia diventata un po’ rossa con il tempo, abbracciando un Goldrake di plastica alto quasi quanto lui. E questo ragazzino - erano gli anni Settanta del secolo scorso - pensava in continuazione allo spazio e si chiedeva se ci fossero altre forme di vita nell’universo, e allora mi è sembrato bello provare a dargli una risposta. Insomma, l’ho fatto per me.
Dove, come e quando l'ha scritto?
L’ho scritto su un tavolino in mansarda, al computer, prevalentemente di notte mentre mia moglie e mia figlia dormivano, ma anche in ogni ritaglio di tempo libero che sono riuscito a trovare. Ci ho messo circa un anno, dall’inizio alla fine del 2015, con una accelerata negli ultimi mesi, e quasi a tempo pieno durante le vacanze di Natale. Ma in realtà, prima di iniziare a scrivere davvero, l’ho scritto nella testa per quasi un anno. (A dire il vero, ora che ci penso, in un certo senso l’ho scritto nella testa per quasi quarant’anni.)
È bello?
Il ragazzino della foto dice di sì.
__________
Dove sono tutti quanti? è uscito un paio di mesi fa per Rizzoli. Il sottotitolo recita 'Un viaggio tra stelle e pianeti alla ricerca della vita' e parla anche di noi, cioè, sì, proprio di me e di te.
Amedeo Balbi è l'astrofisico di riferimento di tutta l'internet, ha un blog che si chiama Keplero e una bellissima newsletter intitolata 'In poche parole, l'universo'. Incidentalmente, gli è capitato di scrivere per Barabba una cosa sulla sfiga. (Una volta ci siamo anche incontrati, ma secondo me non ho fatto una bellissima figura.)
lunedì 4 luglio 2016
Tre domande a Lorena Canottiere
Ciao Lorena, perché hai scritto (e disegnato) Verdad?
Ho scritto e disegnato Verdad perché ne avevo bisogno. È una storia che cuce diversi aspetti e desideri della mia vita: il fascino e l’interesse per il pensiero libertario; l’indipendenza femminile; il senso del selvatico; gli ideali e il mutamento personale. È una vicenda ambientata durante la guerra civile spagnola e questo mi ha permesso di immedesimarmi nel personaggio più liberamente, raccontando aspetti molto vicini a me, ma senza essere condizionata da una conoscenza personale troppo ingombrante. Mi ha permesso di usare il “mito” di quegli eventi visti da lontano per scavalcarlo e andare oltre. Inoltre è stata un’ottima scusa per leggere e documentarmi all’inverosimile su un periodo che mi intrigava parecchio. Da sempre.
Dove, come e quando l'hai scritto (e disegnato)?
Ho lavorato a Verdad a momenti alterni, quando ho potuto, tra un impegno e l’altro, per quattro anni. Ho scritto e disegnato a casa, a Torino; nel cuore della notte, svegliandomi con un’idea assolutamente brillante che avrebbe dato la svolta al racconto (e che non sempre la mattina dopo si rivelava tale); gran parte delle tavole sono state disegnate in montagna dove gufi, cinghiali e volpi hanno partecipato attivamente, mettendosi in posa come muse silvane; in treno; sulle panchine; sul tram; in attesa allo stadio di atletica, dal medico, al caaf… ovunque.
È bello?
Verdad è disegnato quasi interamente a tre colori: giallo, rosso e cyan. RGB. Chissà, spero che nonostante l’accoppiata dei tre anche gli amanti del marrone o del viola integrale possano apprezzarlo!
La carta è bella, la stampa e la cura anche. Io ci ho messo tanto tempo.
In ogni caso 160 pagine di carta Arcoprint 140 gr fanno in modo che sia apprezzato anche da tavoli traballanti, videoproiettori in cerca di supporto, fogli in balìa delle correnti d’aria.
__________
Verdad è un fumetto – o graphic novel – appena uscito per Coconino Press.
Lorena Canottiere ha disegnato, tra le altre cose, sul “Corrierino”, “Schizzo presenta”, “Mondo naif”, “Focus Junior” e “ANIMAls”. Verdad è il suo secondo libro per Coconino Press.
Coconino Press è stata recentemente definita come 'una specie di Adelphi del fumetto'. Pensa te.
Ho scritto e disegnato Verdad perché ne avevo bisogno. È una storia che cuce diversi aspetti e desideri della mia vita: il fascino e l’interesse per il pensiero libertario; l’indipendenza femminile; il senso del selvatico; gli ideali e il mutamento personale. È una vicenda ambientata durante la guerra civile spagnola e questo mi ha permesso di immedesimarmi nel personaggio più liberamente, raccontando aspetti molto vicini a me, ma senza essere condizionata da una conoscenza personale troppo ingombrante. Mi ha permesso di usare il “mito” di quegli eventi visti da lontano per scavalcarlo e andare oltre. Inoltre è stata un’ottima scusa per leggere e documentarmi all’inverosimile su un periodo che mi intrigava parecchio. Da sempre.
Dove, come e quando l'hai scritto (e disegnato)?
Ho lavorato a Verdad a momenti alterni, quando ho potuto, tra un impegno e l’altro, per quattro anni. Ho scritto e disegnato a casa, a Torino; nel cuore della notte, svegliandomi con un’idea assolutamente brillante che avrebbe dato la svolta al racconto (e che non sempre la mattina dopo si rivelava tale); gran parte delle tavole sono state disegnate in montagna dove gufi, cinghiali e volpi hanno partecipato attivamente, mettendosi in posa come muse silvane; in treno; sulle panchine; sul tram; in attesa allo stadio di atletica, dal medico, al caaf… ovunque.
È bello?
Verdad è disegnato quasi interamente a tre colori: giallo, rosso e cyan. RGB. Chissà, spero che nonostante l’accoppiata dei tre anche gli amanti del marrone o del viola integrale possano apprezzarlo!
La carta è bella, la stampa e la cura anche. Io ci ho messo tanto tempo.
In ogni caso 160 pagine di carta Arcoprint 140 gr fanno in modo che sia apprezzato anche da tavoli traballanti, videoproiettori in cerca di supporto, fogli in balìa delle correnti d’aria.
__________
Verdad è un fumetto – o graphic novel – appena uscito per Coconino Press.
Lorena Canottiere ha disegnato, tra le altre cose, sul “Corrierino”, “Schizzo presenta”, “Mondo naif”, “Focus Junior” e “ANIMAls”. Verdad è il suo secondo libro per Coconino Press.
Coconino Press è stata recentemente definita come 'una specie di Adelphi del fumetto'. Pensa te.
giovedì 19 maggio 2016
Tre domande a Marino Neri
Ciao Marino, perché hai scritto (e disegnato) Cosmo?
Avevo voglia di disegnare nebulose, galassie e pianeti utilizzando la china nera.
Forse avrei voluto fare un fumetto di fantascienza, ma non ne ho avuto il coraggio…
Però ho capito che la volontà non conta nulla, conta solo la determinazione. Bisogna continuare a lavorare al “mucchio della composta” e farsi trovare pronti nel momento in cui le stelle, la lampada sopra il tavolo da disegno e la matita che si stringe in mano si allineano perfettamente…
Dove, come e quando l'hai scritto (e disegnato)?
L’ho scritto e disegnato a più riprese negli gli ultimi tre anni. Prima spesso di sera in un solaio a Modena. I miei vicini ci stendevano e c’era sempre un buon odore di bucato. Poi in un atelier a Parigi, nel 11°. Lavoravo di giorno in compagnia degli amici grafici che condividevano con me l’atelier, ma anche la notte, perché se dormi dove lavori capita che lavori tutto il tempo.
Poi di nuovo a Modena, e in quel periodo ho preso l’abitudine di lavorare la mattina presto, perché si produce meglio. Infine un’estate intera in un piccolo paese in provincia di Urbino, con la vista sulle colline marchigiane.
È bello?
È alto 24 cm e largo 17. Ha una copertina ruvida che è piacevole al tatto e se lo apri un forte odore di carta e inchiostro. È un odore che a me piace molto, mi ricorda qualche vecchia edizione brossurata che compravo in edicola da ragazzino.
__________
Cosmo è un fumetto – graphic novel, per usare un termine 'tecnico' – appena uscito per Coconino Press, ed è il terzo libro lungo di Marino Neri.
Marino Neri è un fumettista e illustratore modenese – anzi, di Campogalliano, la 'città della bilancia' – ed è anche un mio amico. Secondo me è bravissimo. Oltre che bellissimo.
Avevo voglia di disegnare nebulose, galassie e pianeti utilizzando la china nera.
Forse avrei voluto fare un fumetto di fantascienza, ma non ne ho avuto il coraggio…
Però ho capito che la volontà non conta nulla, conta solo la determinazione. Bisogna continuare a lavorare al “mucchio della composta” e farsi trovare pronti nel momento in cui le stelle, la lampada sopra il tavolo da disegno e la matita che si stringe in mano si allineano perfettamente…
Dove, come e quando l'hai scritto (e disegnato)?
L’ho scritto e disegnato a più riprese negli gli ultimi tre anni. Prima spesso di sera in un solaio a Modena. I miei vicini ci stendevano e c’era sempre un buon odore di bucato. Poi in un atelier a Parigi, nel 11°. Lavoravo di giorno in compagnia degli amici grafici che condividevano con me l’atelier, ma anche la notte, perché se dormi dove lavori capita che lavori tutto il tempo.
Poi di nuovo a Modena, e in quel periodo ho preso l’abitudine di lavorare la mattina presto, perché si produce meglio. Infine un’estate intera in un piccolo paese in provincia di Urbino, con la vista sulle colline marchigiane.
È bello?
È alto 24 cm e largo 17. Ha una copertina ruvida che è piacevole al tatto e se lo apri un forte odore di carta e inchiostro. È un odore che a me piace molto, mi ricorda qualche vecchia edizione brossurata che compravo in edicola da ragazzino.
__________
Cosmo è un fumetto – graphic novel, per usare un termine 'tecnico' – appena uscito per Coconino Press, ed è il terzo libro lungo di Marino Neri.
Marino Neri è un fumettista e illustratore modenese – anzi, di Campogalliano, la 'città della bilancia' – ed è anche un mio amico. Secondo me è bravissimo. Oltre che bellissimo.
martedì 3 maggio 2016
Racconti molto ma molto brevi (5)
Brenno Argilli, giardiniere in pensione, qualche mese fa era sulla sua poltrona preferita, nonché l'unica di casa, tutto preso dalla lettura di una strana storia con protagonista un tal David Kepesh, quando cominciò a tramutarsi in due orecchie giganti e arrossate. La moglie Petunia non se n'è mai accorta.
martedì 19 aprile 2016
Racconti molto ma molto brevi (4)
Era po' più bassa della media, magrolina, lesbica, faceva la cameriera in un bar di un grosso centro commerciale dove la titolare era una stronza, e guadagnava molto poco, ma viveva da sola perché coi genitori non riusciva proprio a starci e, insomma, tutti i giorni si svegliava e sapeva che sarebbe stata una battaglia. Però tutto sommato era contenta.
giovedì 7 aprile 2016
Trucchi della borghesia (106)
Le patatine prefritte da forno.
Allora, prima ero lì che stavo mettendo assieme delle cose per la cena, e ho preso fuori il sacchetto dal freezer, poi l'ho guardato e ho detto "Ecco, borghese del cazzo, non hai le palle per friggere in casa? Non vuoi il puzzo di fritto? Ecco, tieni il tuo palliativo."
Però quelle della Coop son buone, eh oh.
(di Massimiliano Calamelli)
Allora, prima ero lì che stavo mettendo assieme delle cose per la cena, e ho preso fuori il sacchetto dal freezer, poi l'ho guardato e ho detto "Ecco, borghese del cazzo, non hai le palle per friggere in casa? Non vuoi il puzzo di fritto? Ecco, tieni il tuo palliativo."
Però quelle della Coop son buone, eh oh.
(di Massimiliano Calamelli)
venerdì 11 marzo 2016
Trucchi della borghesia (105 e 105bis)
La luce sotto l'anabbagliante di destra, che si accende quando giri a destra. E la luce sotto l'anabbagliante di sinistra, che si accende quando giri a sinistra.
(Non so neanche se abbiano dei nomi tecnici. Ce li hanno?)
(Non so neanche se abbiano dei nomi tecnici. Ce li hanno?)
martedì 8 marzo 2016
8 marzo 1898
Nella mia anima sta avvenendo una battaglia fra il desiderio ardente di andare a Pietroburgo a sentire Wagner e altri concerti e il timore di dare un dispiacere a Lev NikolaeviČ e di sentirmi questo suo dispiacere sulla coscienza. Stanotte ho pianto a causa di questa pesante sensazione di mancanza di libertà che grava sempre più su di me. Di fatto, naturalmente, sono libera. Ho soldi, cavalli, vestiti, tutto: potrei fare le valigie, salire in carrozza e andare. Sono libera di leggere le bozze, di comprare le mele per L. N., di cucire i vestiti per Saša e le camicie per il marito, di fotografarlo in tutte le pose, di ordinare il pranzo, di sbrigare le faccende di tutta la famiglia; sono libera di mangiare, di dormire, di tacere e di rassegnarmi. Ma non sono libera di pensare a modo mio, di amare quello e quelli che scelgo io stessa, di andare dove mi interessa e dove mi sento spiritualmente a mio agio; non sono libera di occuparmi di musica, non sono libera di cacciar fuori dalla mia casa quelle innumerevoli persone inutili, noiose e spesso molto cattive e di ricevere persone buone, piene di talento, intelligenti e interessanti. In casa nostra non si ha bisogno di persone simili: con cui bisogna misurarsi e porsi su un piano di parità, mentre qui si ama stare in posizione di superiorità e insegnare… E per me la vita è poco allegra, difficile… Ma non ho usato la parola giusta: «allegria». Non ho bisogno di questo. Ho bisogno di vivere una vita ricca di contenuto, tranquilla, e invece vivo nervosamente, con difficoltà e in modo vuoto.
Sof’ja Tolstaja (Diari 1862-1910, traduzione di Francesca Ruffini e Raffaella Setti Bevilacqua; Baldini & Castoldi, 2013)
Sof’ja Tolstaja (Diari 1862-1910, traduzione di Francesca Ruffini e Raffaella Setti Bevilacqua; Baldini & Castoldi, 2013)
venerdì 4 marzo 2016
Tre domande a Francesco Laviano
Ciao Francesco, perché hai scritto Il mondo visto da dietro?
Il mondo visto da dietro è una raccolta di racconti per ragazzi, illustrati da Matteo Gaggia.
Una volta, un mio amico, Alessandro Bonino, mi disse che si deve diffidare di chi ha un romanzo nel cassetto.
Per questo nel cassetto non ho messo un romanzo ma una raccolta di racconti e poi i racconti sono finiti dentro Il mondo visto da dietro.
Dove, come e quando l'hai scritto?
Nel 2006 ho iniziato a leggere un po’ di blog, poi, a maggio, credo, fu organizzata la Giornata nazionale delle scritture di strada, qualcosa tipo rincorrere vecchiette con cagnolini piccoli e tosati al seguito per invitarle a scrivere. Scrivere che? Scrivere e basta.
In quella occasione, o proprio per quella occasione, aprii un blog anch'io, ma poi, finita la Giornata nazionale delle scritture di strada, non sapevo cosa farci, con il blog, allora iniziai quasi per scherzo a scrivere delle storie. Il libro raccoglie quelle storie, riviste, più qualcosa di nuovo, e ora devo ringraziare Edicolors che l’ha pubblicato e Matteo Gaggia che lo ha illustrato.
Adesso sto provando a scrivere una cosa nuova, ma già il nome del file, “Vediamo se è un romanzo”, già dal nome del file, si capisce che non lo so cosa ne uscirà fuori.
È bello?
Il libro si chiama Il mondo visto da dietro perché, come racconta Paolo Nori, delle volte ha ragione, Luigi Ghirri, le cose viste da dietro delle volte son più interessanti che viste da davanti, e poi, continua Paolo Nori, “Mi viene in mente San Petronio, a Bologna, che da dietro a me sembra meraviglioso. Dal davanti è incompiuto, e un po’ si vede, ma in un certo senso è anche compiuto, l’han messo un po’ a posto, dopotutto ha una facciata, anche se diversa da quella progettata in origine, da dietro è talmente incompiuto che è ancora più bello che se fosse finito, credo. Un disastro, porta i segni di un disastro, mi viene da dire, ed è bellissimo, vedere che tutto è finito lì, all'improvviso, sembra di vedere il fulmine che è arrivato, sembra di veder lo stupore di quelli che ci lavoravano, c’è tutta una storia, lì dietro, c’è tutto, in un certo senso, perché non c’è tutto, perché manca un sacco di roba, e allora c’è tutto”.
Non lo so se il libro è bello. Invece, secondo me, il mondo visto da dietro, è bello.
__________
Il mondo visto da dietro è uscito qualche me se fa per Edicolors ed è illustrato da Matteo Gaggia (forse l'avevamo già detto).
Francesco Laviano ha uno dei tumblr più belli dell'internet, si chiama pensieri spettinati. In passato, gli è capitato di scrivere delle cose anche per Barabba, come per esempio La Gina e Quattro, che poi sono finiti nelle Schegge di Liberazione. Gli vogliamo molto bene.
Il mondo visto da dietro è una raccolta di racconti per ragazzi, illustrati da Matteo Gaggia.
Una volta, un mio amico, Alessandro Bonino, mi disse che si deve diffidare di chi ha un romanzo nel cassetto.
Per questo nel cassetto non ho messo un romanzo ma una raccolta di racconti e poi i racconti sono finiti dentro Il mondo visto da dietro.
Dove, come e quando l'hai scritto?
Nel 2006 ho iniziato a leggere un po’ di blog, poi, a maggio, credo, fu organizzata la Giornata nazionale delle scritture di strada, qualcosa tipo rincorrere vecchiette con cagnolini piccoli e tosati al seguito per invitarle a scrivere. Scrivere che? Scrivere e basta.
In quella occasione, o proprio per quella occasione, aprii un blog anch'io, ma poi, finita la Giornata nazionale delle scritture di strada, non sapevo cosa farci, con il blog, allora iniziai quasi per scherzo a scrivere delle storie. Il libro raccoglie quelle storie, riviste, più qualcosa di nuovo, e ora devo ringraziare Edicolors che l’ha pubblicato e Matteo Gaggia che lo ha illustrato.
Adesso sto provando a scrivere una cosa nuova, ma già il nome del file, “Vediamo se è un romanzo”, già dal nome del file, si capisce che non lo so cosa ne uscirà fuori.
È bello?
Il libro si chiama Il mondo visto da dietro perché, come racconta Paolo Nori, delle volte ha ragione, Luigi Ghirri, le cose viste da dietro delle volte son più interessanti che viste da davanti, e poi, continua Paolo Nori, “Mi viene in mente San Petronio, a Bologna, che da dietro a me sembra meraviglioso. Dal davanti è incompiuto, e un po’ si vede, ma in un certo senso è anche compiuto, l’han messo un po’ a posto, dopotutto ha una facciata, anche se diversa da quella progettata in origine, da dietro è talmente incompiuto che è ancora più bello che se fosse finito, credo. Un disastro, porta i segni di un disastro, mi viene da dire, ed è bellissimo, vedere che tutto è finito lì, all'improvviso, sembra di vedere il fulmine che è arrivato, sembra di veder lo stupore di quelli che ci lavoravano, c’è tutta una storia, lì dietro, c’è tutto, in un certo senso, perché non c’è tutto, perché manca un sacco di roba, e allora c’è tutto”.
Non lo so se il libro è bello. Invece, secondo me, il mondo visto da dietro, è bello.
__________
Il mondo visto da dietro è uscito qualche me se fa per Edicolors ed è illustrato da Matteo Gaggia (forse l'avevamo già detto).
Francesco Laviano ha uno dei tumblr più belli dell'internet, si chiama pensieri spettinati. In passato, gli è capitato di scrivere delle cose anche per Barabba, come per esempio La Gina e Quattro, che poi sono finiti nelle Schegge di Liberazione. Gli vogliamo molto bene.
martedì 1 marzo 2016
Racconti molto ma molto brevi (3)
Enos Bragazzi, occhiali quadrati, mascella uguale, era un controllore così zelante che chiedeva il biglietto a tutti sul binario, pure a quelli venuti a salutare. Per festeggiare le nozze d'argento, con la moglie Ava, prese da Mosca la Transiberiana. Per deformazione professionale, ebbe l'impulso di scendere a ciascuna delle mille fermate per controllare chi saliva, e restò insonne per tutta la settimana.
si parla di:
Racconti molto ma molto brevi
venerdì 26 febbraio 2016
mercoledì 17 febbraio 2016
Racconti molto ma molto brevi (2)
Un giorno, finalmente, dopo anni di ricerche, il Dottor Bernardi, uno dei biologi più importanti del mondo, scoprì il segreto della vita eterna. Nessuno lo rivide mai più.
giovedì 11 febbraio 2016
Racconti molto ma molto brevi
Giuseppe sembrava del tutto pelato, ma osservandolo da vicino si poteva notare un capello abbastanza lungo quasi al centro della testa. Solo che quel capello era il Diavolo.
venerdì 5 febbraio 2016
Così fan tutti (io con un mostro verde)
Fan tutti così, a quell’età lì, mi risulta, almeno i maschi, coi brufoli che puntellano la fronte e le erezioni granitiche, fresche e magnifiche, che devono esplodere il prima possibile di nascosto, costi quel che costi; lo fanno tutti, davvero, nessuno escluso; lo fanno tutti così, giuro, e lo fanno con le donnine fotografate o disegnate, o con degli omini, dipende dai gusti, o anche con dei pensieri colorati.
A me, per esempio, è capitato con un mostro verde.
A me, per esempio, è capitato con un mostro verde.
giovedì 14 gennaio 2016
Tre domande a Emanuele Vannini
Ciao Vannini (io sono abituato a chiamarlo Vannini), perché hai scritto Il tensore di Torperterra?
Ciao belli! Ho scritto il Tensore perché me l’ha chiesto Blonk, la casa editrice - a livello di meccanica della faccenda – perché io mica ci avevo mai pensato che potevo scrivere una roba lunga come un romanzo, né sapevo se ne sarei stato capace o meno. Come motivazione, c’è stato che m’han chiesto di scriverlo nel momento in cui avevo delle cose da dire e una storia che mi frullava nell’ampio spazio inutilizzato che ho in testa. Queste sono le motivazioni ufficiali, vi piacciono? Poi, la realtà – invece – è che l’ho scritto perché quelli che scrivono piacciono alle donne.
Dove, come e quando l'hai scritto?
L’ho scritto in cucina, ma state tranquilli: nella mia. Non è che – se ne scrivo un altro – rischiate di trovarmi nella vostra. Forse. Nel caso mi trovaste nella vostra cucina – di notte - a scrivere un libro, comunque, lo so che avreste tutte le ragioni per arrabbiarvi, però trattatemi comunque con gentilezza, per favore. Ho pensato il libro per un po’ e mi sono segnato date, personaggi e frasi che volevo entrassero nel Tensore su un cartellone che avevo sempre in vista. Intanto, leggevo e mi documentavo sull’ambientazione storica. Poi, per circa un mese e mezzo, ho scritto. Da mezzanotte alle tre di notte circa, tutte le notti del giugno e della prima metà di luglio di un paio di anni fa, dato che il lavoro che facevo all’epoca me lo permetteva e – soprattutto – che io son sempre stato una bestia parecchio notturna. L’ho scritto di getto, circa tre o quattro pagine a notte, mentre ogni tanto mi buttavo sotto il tavolo perché entravano delle falene enormi. Evidentemente, tra le bestie notturne, io non sono quella in cima alla catena alimentare. Delle volte mi buttavo all’indietro come i sommozzatori dal canotto e mi trovavo a rotolare in terrazzo, così mi fumavo una sigaretta e intanto guardavo le falene enormi con disapprovazione, muovendo la testa come a dire No e polemizzando “…è così, che rispetti la letteratura?!”. Non ha mai funzionato, anzi: delle volte mi pareva che le falene enormi volassero sullo sfondo del soffitto della cucina, a comporre la scritta Non te ne frega niente della letteratura, scrivi solo perché quelli che scrivono piacciono alle donne. Le falene, pure quelle enormi – OH! – saranno anche sceme dure con questa cosa di scambiare le luci artificiali per le stelle o la luna e di farsi friggere dai neon azzurrognoli appesi nei locali fighi che frequento io ma, per altre cose, si vede, che hanno dell’intuito.
È bello?
Sì, anche se l’ho scritto io.
_________________
Emanuele Vannini, che alcuni conoscono come Van deer Gaz, ha un blog dove scrive e disegna (soprattutto scrive). Nella vita gli è capitato anche di scrivere delle cose per Barabba come quel racconto pazzesco che è Va là tugnino per le Schegge di Liberazione.
Il tensore di Torperterra fu il suo esordio letterario elettrico per l'editore Blonk nel lontano 2013, e Vannini l'avevamo già intervistato alla rovescia, all'epoca. Ma visto che, caso più unico che raro per un editore che fa principalmente ebook, Il tensore di Torperterra è stato in questi giorni stampato su carta, cellulosa e idrocarburi, abbiamo pensato bene di fargli altre tre domande.
Adesso che sono finite le feste e avete smesso di fare dei regali agli altri, fatevene uno col tensore di Torperterra, ultimo classico romagnolo di un grande scrittore vivente.
Ciao belli! Ho scritto il Tensore perché me l’ha chiesto Blonk, la casa editrice - a livello di meccanica della faccenda – perché io mica ci avevo mai pensato che potevo scrivere una roba lunga come un romanzo, né sapevo se ne sarei stato capace o meno. Come motivazione, c’è stato che m’han chiesto di scriverlo nel momento in cui avevo delle cose da dire e una storia che mi frullava nell’ampio spazio inutilizzato che ho in testa. Queste sono le motivazioni ufficiali, vi piacciono? Poi, la realtà – invece – è che l’ho scritto perché quelli che scrivono piacciono alle donne.
Dove, come e quando l'hai scritto?
L’ho scritto in cucina, ma state tranquilli: nella mia. Non è che – se ne scrivo un altro – rischiate di trovarmi nella vostra. Forse. Nel caso mi trovaste nella vostra cucina – di notte - a scrivere un libro, comunque, lo so che avreste tutte le ragioni per arrabbiarvi, però trattatemi comunque con gentilezza, per favore. Ho pensato il libro per un po’ e mi sono segnato date, personaggi e frasi che volevo entrassero nel Tensore su un cartellone che avevo sempre in vista. Intanto, leggevo e mi documentavo sull’ambientazione storica. Poi, per circa un mese e mezzo, ho scritto. Da mezzanotte alle tre di notte circa, tutte le notti del giugno e della prima metà di luglio di un paio di anni fa, dato che il lavoro che facevo all’epoca me lo permetteva e – soprattutto – che io son sempre stato una bestia parecchio notturna. L’ho scritto di getto, circa tre o quattro pagine a notte, mentre ogni tanto mi buttavo sotto il tavolo perché entravano delle falene enormi. Evidentemente, tra le bestie notturne, io non sono quella in cima alla catena alimentare. Delle volte mi buttavo all’indietro come i sommozzatori dal canotto e mi trovavo a rotolare in terrazzo, così mi fumavo una sigaretta e intanto guardavo le falene enormi con disapprovazione, muovendo la testa come a dire No e polemizzando “…è così, che rispetti la letteratura?!”. Non ha mai funzionato, anzi: delle volte mi pareva che le falene enormi volassero sullo sfondo del soffitto della cucina, a comporre la scritta Non te ne frega niente della letteratura, scrivi solo perché quelli che scrivono piacciono alle donne. Le falene, pure quelle enormi – OH! – saranno anche sceme dure con questa cosa di scambiare le luci artificiali per le stelle o la luna e di farsi friggere dai neon azzurrognoli appesi nei locali fighi che frequento io ma, per altre cose, si vede, che hanno dell’intuito.
È bello?
Sì, anche se l’ho scritto io.
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Emanuele Vannini, che alcuni conoscono come Van deer Gaz, ha un blog dove scrive e disegna (soprattutto scrive). Nella vita gli è capitato anche di scrivere delle cose per Barabba come quel racconto pazzesco che è Va là tugnino per le Schegge di Liberazione.
Il tensore di Torperterra fu il suo esordio letterario elettrico per l'editore Blonk nel lontano 2013, e Vannini l'avevamo già intervistato alla rovescia, all'epoca. Ma visto che, caso più unico che raro per un editore che fa principalmente ebook, Il tensore di Torperterra è stato in questi giorni stampato su carta, cellulosa e idrocarburi, abbiamo pensato bene di fargli altre tre domande.
Adesso che sono finite le feste e avete smesso di fare dei regali agli altri, fatevene uno col tensore di Torperterra, ultimo classico romagnolo di un grande scrittore vivente.
lunedì 4 gennaio 2016
Tre domande a Cristiano Micucci
Ciao Mix (per gli amici Cristiano Micucci si chiama Mix), perché hai scritto Eccì?
Eccì l'ho scritto perché un giorno mi è capitato davanti, probabilmente per la biliardesima volta nella mia vita, quel dettaglio sulla velocità degli starnuti che lascia sempre tutti stupiti per alcuni secondi, poi non gliene frega più niente a nessuno, e forse è per questo che non ci sono tanti libri che parlano di starnuti. Insomma ho letto che gli starnuti vanno a 200-300 o anche di più (ogni fonte riporta cifre diverse) chilometri orari, e come tutte le volte precedenti sono rimasto a bocca aperta, e ho pensato che era una velocità incredibile, che non ci si aspetta mica da uno starnuto. Poi però, passati alcuni secondi, invece di cliccare altrove o girare pagina, invece di fare come tutte le volte precedenti, mi sono chiesto Chissà cosa succede aumentando la velocità, che mi pare anche una considerazione da scienziato (io spesso mi spaccio per uomo di scienza), o quantomeno da empirista (io spesso mi spaccio per uomo di filosofia), così ho deciso di scrivere cosa succedeva, giocando a sproposito con quella variabile, ed è venuto fuori Eccì.
Dove, come e quando l'hai scritto?
L'ho scritto nella sala lettura (e scrittura, evidentemente) della biblioteca comunale di Matelica. Non è che ci vado apposta, a Matelica, che è un paesino della provincia di Macerata, ci abito proprio, quindi mi resta piuttosto comodo, almeno rispetto a, che so, Roma o Vibo Valentia. La biblioteca, intitolata a Libero Bigiaretti, è un luogo tranquillo, sebbene molto vivo, in cui sono di casa, e c'è una rete wi-fi sufficientemente lenta da limitare le distrazioni da social network. Inoltre, essere circondato da libri è stimolante, perché appena vedi uno spazio vuoto pensi Ecco, lì ci starebbe proprio bene il mio, di libro.
L'ho scritto su Naima, che è il mio netbook (do i nomi ai computer, sì. Non lo fanno tutti?). È un po' vecchiotto, c'è da dire, ma con Xubuntu (è un sistema operativo) è abbastanza scattante: tanto, per scrivere non serve mica Pensiero profondo, basta poco. Come programma ho usato Abiword, anche se sempre più spesso scrivo tutto con editor di testo minimali e salvo ogni cosa in txt. Less is more, diceva Dante Alighieri.
Eccì è stato scritto in due fasi. Anzi tre. La prima mi pare fosse verso l'autunno del 2014. Raggiunta una bozza di alcune pagine e molti appunti, lo lasciai da parte (io faccio così, di solito, coi testi lunghi: inizio a scrivere una cosa, poi a un certo punto mi annoio, arranco, e lascio stare, e inizio a scrivere altro. Poi riprendo in mano questi abbozzi dopo mesi, o anni, e riparto). All'inizio della primavera del 2015 l'ho ripreso e dopo non più di due mesi avevo una prima stesura piuttosto sostanziosa. Infine c'è stata una terza fase di scrittura, messa in moto dai sacrosanti consigli di Lele Rozza (editor di Blonk), che ha portato Eccì al suo volume attuale. L'ho scritto di giorno, comunque.
È bello?
È un tipo.
_________________
Cristiano Micucci (Mix) ha un blog dove scrive delle cose che fanno ridere e bene alla pelle. Spesso gli passa per la testa anche di scrivere su e per Barabba (tra cui anche un libro di racconti digitali).
Eccì, che è uscito qualche giorno fa (l'anno scorso!) in formato elettrico per Blonk, non è propriamente il suo esordio letterario, ma forse sì. Comunque, mentre lo leggevo, prima delle ferie, in pausa pranzo, a un certo punto ho dovuto smettere per non sputazzare le penne all'arrabbiata sulla schiena di uno seduto nel tavolo di fronte al mio.
Eccì l'ho scritto perché un giorno mi è capitato davanti, probabilmente per la biliardesima volta nella mia vita, quel dettaglio sulla velocità degli starnuti che lascia sempre tutti stupiti per alcuni secondi, poi non gliene frega più niente a nessuno, e forse è per questo che non ci sono tanti libri che parlano di starnuti. Insomma ho letto che gli starnuti vanno a 200-300 o anche di più (ogni fonte riporta cifre diverse) chilometri orari, e come tutte le volte precedenti sono rimasto a bocca aperta, e ho pensato che era una velocità incredibile, che non ci si aspetta mica da uno starnuto. Poi però, passati alcuni secondi, invece di cliccare altrove o girare pagina, invece di fare come tutte le volte precedenti, mi sono chiesto Chissà cosa succede aumentando la velocità, che mi pare anche una considerazione da scienziato (io spesso mi spaccio per uomo di scienza), o quantomeno da empirista (io spesso mi spaccio per uomo di filosofia), così ho deciso di scrivere cosa succedeva, giocando a sproposito con quella variabile, ed è venuto fuori Eccì.
Dove, come e quando l'hai scritto?
L'ho scritto nella sala lettura (e scrittura, evidentemente) della biblioteca comunale di Matelica. Non è che ci vado apposta, a Matelica, che è un paesino della provincia di Macerata, ci abito proprio, quindi mi resta piuttosto comodo, almeno rispetto a, che so, Roma o Vibo Valentia. La biblioteca, intitolata a Libero Bigiaretti, è un luogo tranquillo, sebbene molto vivo, in cui sono di casa, e c'è una rete wi-fi sufficientemente lenta da limitare le distrazioni da social network. Inoltre, essere circondato da libri è stimolante, perché appena vedi uno spazio vuoto pensi Ecco, lì ci starebbe proprio bene il mio, di libro.
L'ho scritto su Naima, che è il mio netbook (do i nomi ai computer, sì. Non lo fanno tutti?). È un po' vecchiotto, c'è da dire, ma con Xubuntu (è un sistema operativo) è abbastanza scattante: tanto, per scrivere non serve mica Pensiero profondo, basta poco. Come programma ho usato Abiword, anche se sempre più spesso scrivo tutto con editor di testo minimali e salvo ogni cosa in txt. Less is more, diceva Dante Alighieri.
Eccì è stato scritto in due fasi. Anzi tre. La prima mi pare fosse verso l'autunno del 2014. Raggiunta una bozza di alcune pagine e molti appunti, lo lasciai da parte (io faccio così, di solito, coi testi lunghi: inizio a scrivere una cosa, poi a un certo punto mi annoio, arranco, e lascio stare, e inizio a scrivere altro. Poi riprendo in mano questi abbozzi dopo mesi, o anni, e riparto). All'inizio della primavera del 2015 l'ho ripreso e dopo non più di due mesi avevo una prima stesura piuttosto sostanziosa. Infine c'è stata una terza fase di scrittura, messa in moto dai sacrosanti consigli di Lele Rozza (editor di Blonk), che ha portato Eccì al suo volume attuale. L'ho scritto di giorno, comunque.
È bello?
È un tipo.
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Cristiano Micucci (Mix) ha un blog dove scrive delle cose che fanno ridere e bene alla pelle. Spesso gli passa per la testa anche di scrivere su e per Barabba (tra cui anche un libro di racconti digitali).
Eccì, che è uscito qualche giorno fa (l'anno scorso!) in formato elettrico per Blonk, non è propriamente il suo esordio letterario, ma forse sì. Comunque, mentre lo leggevo, prima delle ferie, in pausa pranzo, a un certo punto ho dovuto smettere per non sputazzare le penne all'arrabbiata sulla schiena di uno seduto nel tavolo di fronte al mio.
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