di Cristiano Micucci "Mix"
Ed eccolo, Michele Carboni, maschio italico di mole tutt'altro che indifferente, che vola dalle scale, diciotto gradini di porfido granitico con grado di durezza 6.3 della scala Mohs, impattando mai volontariamente con la parte del corpo più inadatta, almeno rispetto all'uso abituale.
Precipita con rumore di frollatura e frantumazione, Michele Carboni, abbronzato verace e di muscolatura eccellente, sebbene qua e là ipertrofica, perché gambe e braccia, che ora cozzano con violenza contro piani e spigoli, e anche il torso, sono frutto sì di un quotidiano sforzo lavorativo di carico e scarico, ma anche e soprattutto di un poco accorto sviluppo, di un tutoraggio deviato si direbbe, che si è comunque molto professionalmente limitato, partendo dagli alluci a salire, allo sternocleidomastoideo, e ha evitato con cura ogni illecita invasione nel campo, anche solo per posizione, intellettivo, mantenendo una fin troppo ragguardevole distanza di sicurezza dalle zone del dominio cerebrale.
Va giù con fracasso, Michele Carboni, con uno stile da stuntman hollywoodiano mancato, ma solo di un soffio, bello, in quel gesto rovinoso, mentre le forze in gioco gl'indicano quale sia il suo posto nel quadro naturale.
La gravità, che lo rischiaccia in basso, verso la sfera più vile e materiale, suo luogo aristotelico originario, giù, in fondo, nel pieno rispetto della fisica e della cosmologia, e anche, volendo includere le scienze umane, della morale.
Le forze centrifuga e centripeta, che col loro saggio equilibrio gl'imprimono, a lui, Michele Carboni, che a tratti ripiegato in posizione quasi fetale è privo d'ogni simmetria rotazionale, quel moto come di girandola sbeccata che zoppica al vento, o di cestello di vecchia lavatrice, che sbatte e urta e si sente dalla cucina.
L'attrito, sempre inamovibile ostacolo alle performance di velocità, ha gioco facile con Michele Carboni, radente o volvente che sia, perché la parete a grattugia che scende insieme alle scale è una rete di uncini che insistono a trattenerlo, s'agganciano ai pantaloni, alla camicia, al viso, alle braccia, e tirano, tagliano, strappano, stracciano, forse nel vano tentativo d'impedire la caduta, di soccorrerlo, e potrebbero anche farcela, insistendo, un poco alla volta sottraendo energia cinetica, se i gradini fossero un migliaio, ma sono solo diciotto, e l'aiuto è vano.
Innumerevoli sono le forze agenti, e Michele Carboni ne ha, attore principale, un quadro quasi completo, sebbene non concettualizzato, perché il suo cervello le percepisce istantaneamente come scariche nei centri del dolore, e il flusso elettrico è forsennato, al punto che non c'è tempo di schematizzare, organizzare, costruirci conoscenza e rifletterci su.
In fondo alle scale, in agguato nell'angolo più buio, come un brigante, l'entropia attende con pazienza che i moti e le dinamiche tornino alla quiete, all'equilibrio, per riscuotere il tributo che le spetta, e sapere di quanto, grazie a Michele Carboni, la morte dell'universo è più vicina.
Precipita, Michele Carboni, e lo avremmo detto maschio alfa, predatore dominante convinto della superiorità del proprio corredo cromosomico, almeno fino a un attimo fa, perché ora, a ogni capriola, ecco che il cammino evolutivo di cui è l'opinabile risultato gli sbatte sul muso, così come gli scalini, la sfacciata assenza di arti adatti al volo.
Rovina giù così, geneticamente impreparato, figlio di una genealogia biologica che lo vuole deambulante sulla terra, natante quel poco che basta per la vacanza a Ibiza, e volante, nella stessa occasione, ma coi mezzi della tecnologia aerea.
Senz'ali, Michele Carboni, costretto al suolo, sottratto alle altitudini da una natura maligna che chissà perché gli ha risparmiato la gobba, spietata e indifferente alle umane volizioni, sorda ai desideri, ai sogni. Potesse volare, Michele Carboni, potesse volare sul serio, non come adesso, sopra e addosso a questi spigolosi scalini, andrebbe su in quota, a vederci piccoli, ridicoli, uomini affannati dietro alle loro minuscole cose di tutti i giorni, e da lì, in alto, punterebbe su Ibiza.
Per ogni facciata sui piani di porfido granitico, per ogni ben solido angolo retto nelle reni, per ogni microfrattura, Michele Carboni lancia una maledizione, e s'accende un lampo, nei suoi azzurri occhi appena un po' decentrati nello sguardo, che fa apparire uno a uno i visi delle sue conquiste di filibustiere dell'amore, singole scalpellate nell'opera di cornificazione della donna che lassù, dalla cima, osserva il turbinio di muscoli, ossa e cartilagini, e ascolta il fracasso della caduta, con un ghigno, si direbbe.
Roberta, Isabella, Chiara, Giorgia, Francesca, Silvia, Barbara, Lisa, un'altra Francesca, Annamaria, Donatella, Sonia, Valeria, Loredana, un'altra Chiara, Sara, Simona, Luana, una terza Francesca! - e sì che è nome comune - ci sono tutte, volti scolpiti nell'immortale benché gelida materia di ogni scalino, montanti che arrivano imprevedibili a schiantarsi sul mento, insieme a jab e ganci, alle costole, alle braccia, allo stomaco, e sprezzanti delle regole anche sotto la cintura, alle ginocchia, al sedere, una raffica che non lo lascia rifiatare. La posizione di lancio e la dinamica del corpo in moto vogliono che, quanto è ironica la natura, di nessun trauma risentano le zone che di quel volo stesso sono cagione: ovvero, i coglioni.
Cade per la gravità, Michele Carboni, ed è una gara fra quella dei 9 virgola 8 metri al secondo che la natura gl'impone e quella delle sue azioni, col peso delle colpe che lo tira in basso con un'accelerazione anche maggiore.
Cade per azione e reazione, con una forza uguale e contraria, uno schiaffo per una scappatella, un calcio nelle palle la seconda volta, via via, a sommare i moduli, fino a un triplo carpiato asimmetrico all'indietro giù dalle scale, per un programma intensivo di tradimento su vasta scala. Se ti fai beccare ogni volta, perseverare è tutt'altro che diabolico.
Cade per colpa della causalità, per colpa della meccanica classica, per colpa della curvatura dello spaziotempo, della non sovrapposizione quantistica, della trasmissione delle informazioni, dei sei gradi di separazione, dell'istinto riproduttivo, del pollice opponibile, e via così, all'indietro, fino all'esplosione primordiale, vittima di una serie di leggi e principi che, pur nell'ignoranza più completa, è costretto a rispettare, perché è così che funziona il mondo.
E mentre si sfracella e si fracassa, e si schianta e si frattura, si rompe, si ricopre di edemi, bozze, bernoccoli, more, graffi, tagli e segni d'ogni tipo, l'intelletto ha una scintilla, s'accende, focalizza, ne emerge un quesito, una domanda che si pone sempre, quando si trova ad affrontare una situazione nuova, mai vissuta, e si attiva la memoria, si confrontano dati, esperienze, e però no, conclude Michele Carboni in pochi centesimi di secondo, no, non c'è nemmeno una canzone di Vasco che è adatta a questo momento.