venerdì 30 marzo 2012

Aspettare la morte stanca

Buonasera, buonasera, son proprio contento che siate qua stasera, vi rubo pochissimo tempo, è che ci son delle cose che voglio proprio dire e l’occasione per dirle non ce l’ho mai avuta… e invece siam tutti qui, portate pazienza perché magari salta fuori che sono una borsa… ma insomma, buonasera e grazie, davvero.

Quello che volevo dire, faccio presto, è una cosa veloce… quello che voglio dire è che mè a sun stùff, io sono stufo, io è quasi novant’anni che sono al mondo e adès a sun stùff, adesso sono stufo… proprio stufo… che io una volta ero libero, facevo il contadino, poi ho fatto il muratore e l’operaio, poi sono andato in pensione e ho tirato su dei figli e dei nipoti e adesso… adesso io son come in prigione… adesso io avrei anche già fatto tutto quello che dovevo fare, non mi chiede più niente nessuno, giro col bastone con le ruote, che cià un nome che non mi ricordo, e non mi chiede più niente nessuno… neanche l’Aldina mi chiede più niente… l’Aldina… com’era bella, l’Aldina, era la più povera del paese quando l’ho sposata, sono andato in bicicletta a casa sua, una notte, l’ho caricata sulla canna e via, ci siamo sposati che era già incinta… l’ho presa sulla canna, quella notte là, l’Aldina, e lei aveva una scatola da scarpe come dote… ma mica piena, eh, la dote era proprio la scatola da scarpe, pensa te com’era povera… ma com’era bella, l’Aldina, che poi l’abbiamo chiamata a lavorare in campagna e non sapeva fare niente, e quando c’era da spostare il fieno le cadeva sempre tutto addosso che io e mio padre facevamo di quelle ridute che cascavam per terra… e adesso invece c’è l’Irina, che non l’ho mica scelta io, l’Irina, me l’han data loro per tenermi dietro… l’Irina che è nata sotto il comunismo… perché eravam comunisti anche noi, veh, io e l’Aldina… che quando c’era d’andare a manifestare contro Scelba… ciavete presente Scelba?... ma no, siete giovani, non lo sapete neanche… beh, l’Aldina quando andava in piazza con le altre donne contro Scelba, si coricavano per terra e le camionette della celere si dovevan fermare… c’avevano i maroni, le nostre donne, una volta… e l’Aldina, che era anche bella, c’aveva più maroni di tutte, era sempre là davanti al corteo… e poi via di corsa, con la celere dietro al culo coi manganelli… che anch’io, due volte, io, son scappato dalla celere… una volta a Modena, quando eran morte quelle persone in fonderia… sono andato a Modena a piedi con le scarpe in mano perché ce n’avevo solo un paio, e sono andato a Modena scalzo, e la celere ci ha fatto correre e io scappavo con le scarpe in mano… che quelle scarpe lì, poi, alla domenica mi servivan per andare a ballare, quando ero moroso con l’Aldina… che ballavamo d’un bene, guarda, che non avete idea quanto era brava l’Aldina a ballare… che una volta ci sono andato a ballare anche con l’Irina, in piazza… c’è poi andata lei, a ballare, l’Irina... mi ha messo lì in un angolo con degli altri vecchi, che io cammino col bastone con le ruote, ma loro eran vecchi davvero, con le carrozzine… e intanto l’Irina con le sue amiche ballava questa musica straniera, che il comune aveva organizzato una festa per le donne del paese dell’Irina e loro ballavano… eran dei balli stranieri… ballare ballava anche bene, l’Irina, e aveva una faccia che non l’avevo mai vista così contenta… ma cosa vuoi, noi vecchi eravam tutti lì a guardare… però l’Aldina ballava meglio… e ballava con me...

Ma niente, valà… dicevo della celere, dicevo che poi la seconda volta che son scappato dalla celere, che corri e corri mi sono infilato in una ferramenta e ho preso una sbarra di ferro e mi son girato verso il celerino e gli ho detto Oh, veh, o me o te… e lui si vede che gli è venuto paura, che sparare non se la sentiva, che poi è andato via e intanto mi gridava Va’ a caghér… Ci vediamo la prossima volta in piazza, mi gridava il celerino… ma io niente, ero fermo lì con la mia sbarra di ferro e se faceva tanto d'avvicinarsi, come andava andava… invece poi è scappato via, e io ho tirato fiato e son tornato a casa dall’Aldina… che non lo sapevo mica se l’avrei avuto il coraggio di spaccargliela la testa, al celerino, che ci vuole del coraggio a spaccare la testa a una persona, e io non lo so se ce l’ho quel coraggio lì… ma insomma, l’Irina cià un bel da dire, quando dice che lei, il comunismo, non si poteva parlare, ma c’era sempre da mangiare, da lavorare e da mandare a scuola i figli… che lei dopo è venuta qua a starmi dietro a me, a farmi da mangiare, a portarmi in giro, che io, la salute, che son stato sempre bene di salute, io a un certo punto quando è morta l’Aldina io la salute l’ho persa… ma cià un bel da dire, l’Irina, invece secondo me noi il mondo l’abbiamo poi anche un po’ cambiato in meglio, a quei tempi là… solo che adesso… non lo so cos’è successo… che è tornato brutto, il mondo… e mè a sun stùff… sono stufo.

Che poi… scusate, non volevo mica parlare dei celerini e dell’Aldina, all’inizio, che anche lì, l’Aldina, poverina, è morta tre anni fa e io son tre anni che non mangio più bene come quando c’era lei… che come faceva da mangiare l’Aldina, guarda… che io non so far niente, a parte il caffè, non so far niente… meno male che c’è l’Irina che mi tien dietro tutto il giorno… tutti i giorni… che mio figlio le ha preso via le carte di soggiorno così poi lei mi tien dietro per forza dalla mattina alla sera… e io son qua come in prigione, non riesco a far niente, faccio fatica a camminare anche col bastone con le ruote… che poi la salute ho cominciato a perderla lì, quando è morta l’Aldina, che io da solo al mondo… non lo so… ma meno male che c’è l’Irina, valà… che mi vuol poi bene anche lei, si preoccupa sempre… Learco dove sei?, mi fa, Learco cosa fai? Learco ciài la pressione alta, Learco adesso dormi, Learco adesso mangia... mi vuol poi bene, l’Irina, anche quando dice che è stufa anche lei e non vede l’ora che muoio così poi torna dai suoi figli là dove abitava lei prima, che si sta meglio, dice… che cià un bel da dire… poi però io sentire che mi parlano che muoio mi viene il magone, allora lei dice No no, Learco, che non muori, che ci penso io... mi dice così… ci son delle sere che ci mettiamo a piangere tutti e due, io e l’Irina… che l’Irina…

Ma no… ma lasciam perdere… quello che volevo dire all’inizio, quello che volevo dire del perché son stufo, è che poi… io in prigione ci sono anche stato, quando c’era il fascio, che avevo vent’anni, è arrivato il prete e mi ha dato l’estrema unzione, e poi sono arrivati tre fascisti e han cominciato a picchiarmi e pim pum pam, in faccia, pim pum pam, nelle gambe, pim pum pam, nella pancia, pim pum pam, pim pum pam… che ero lì che e a un certo punto non sentivo più niente, speravo solo di morire alla svelta e invece… e invece non son mica morto, perché proprio in quel momento lì, mentre mi stavan picchiando per ammazzarmi, pensa te che culo, sono arrivati i partigiani, e i fascisti son corsi fuori coi fucili e m’han lasciato lì a sanguinare sul pavimento… che mi son svegliato in ospedale e son stato un mese sul letto a guarire… è lì che ho imparato a far su le sigarette con la carta di giornale e le cicche che trovavo per terra... che dopo io quando mi dicono di smettere di fumare… Learco ti fa male, dice sempre l’Irina… che fumo mica poco, io, un pacchetto al giorno da sessant’anni… ma niente, tutte le volte che mi dicono di smettere di fumare, anche l’Irina e i dottori, io ci dico che per me, da quando avevo vent’anni che ero in prigione e dovevo morire, per me son tutti anni regalati… e io fumare fumo anche un po’ per scaramanzia, che si vede che mi ha portato bene a vent’anni, in prigione, che adesso che ce n’ho novanta cosa vuoi che smetto adesso?…

Ma comunque… arrivo a dirvi perché son stufo… io sono stufo perché in prigione ci sono stato e secondo me, io, adesso che l’Aldina, povera lei, è morta, adesso che i miei figli fan dei lavori che c’è da diventar matti a far tutti quei chilometri in macchina per andare davanti a un compiuter… che io non so neanche come si accende, il compiuter… loro non han mica tempo di starmi a sentire, oramai non vengono più neanche per Natale, che ci dicon con l’Irina Pensaci te, Irina, a Learco… e a me, adesso che mi han messo con l’Irina… l’Irina sta con me tutto il giorno, mi vuole anche bene, aspetta che muoio ma mi vuol bene… e mi dà da mangiare, anche se l’Aldina era meglio, a far da mangiare… e mi pulisce il culo l’Irina perché io, pulirmi il culo, è qualche anno che faccio fatica… scusate se tocco certi argomenti, ma quando c’è da dire le cose bisogna dirle, e forse è per questo motivo qua che a sun stùff, che sono stufo… perché a guardarla, l’Irina…

L’Irina… ecco, secondo me, adesso, quello che volevo dire all’inizio… che sì, io ciò poi avuto una bella vita, anche con la prigione e la celere e la povertà in campagna, e i cantieri e la fabbrica e tutto… insomma, non mi lamento poi mica… anche se ho faticato una vita per poi finire così senza una moglie, sempre chiuso in casa… ma ecco, secondo me, adesso, io ci son stato in prigione e in prigione non è che puoi fare quello che ti pare o andare dove ti pare, sei in prigione… e, adesso, io, quando guardo l’Irina che mi dà da mangiare, che mi porta in piazza col bastone con le ruote, quando mi pulisce il culo... è questa cosa qui che mi fa stufare, che aspettare la morte, non lo sapevo mica io che è una cosa che ci si stanca così tanto…

Perché secondo me… ecco, è un’impressione mia, eh… che son stato in prigione… ma secondo me… non so come dirlo… secondo me, per l’Irina… io… per l’Irina mi sa che son diventato io, la sua prigione.

mercoledì 28 marzo 2012

E far l'amore anche se il mondo muore

Domenica 15 aprile, al Museo Monumento al Deportato di Carpi, nelle stanze di cemento con le scritte sui muri dei condannati a morte, facciamo una cosa nuova che si intitola "E far l'amore anche se il mondo muore". Come dice il sito del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali (pensa te) con un italiano (diciamo) creativo:
Un gruppo di attori accompagneranno i visitatori all'interno del Museo Monumento con letture e brani musicali ispirati al titolo dello spettacolo. L'idea è che qualcosa comunque rimane sempre anche quando una persona viene umiliata, sminuita, un residuo di umanità rimane, preme e pulsa e ad essa ti affidi perché è la tua unica salvezza, che sia amore, desiderio, memoria.
Gli "attori" siamo noi barabbisti, portate pazienza. E può darsi che ne esca un opuscolo di carta che distribuiremo aggratis quel giorno lì, prima o dopo le letture. E può anche darsi che ci facciamo un ebook.

Più avanti ve lo diciamo meglio, intanto mettete la crocetta sul calendario, il 15 aprile, alle 17, più o meno.

martedì 27 marzo 2012

Son fatto così (16)

Son fatto che, per esempio, l’altro giorno mi ero definitivamente stufato del continuo spegnersi della batteria del telefono ogni dieci minuti, allora ho preso dal baule coi panni da lavare due vestiti stropicciati, mi son tolto il pigiama e sono sceso a cambiarlo, il telefono, saran state le quattro del pomeriggio, e appena sceso, lungo la strada, mentre andavo a piedi al negozio di telefonia, ho incontrato Paolo Nori; ci siam guardati, Paolo Nori e io, che eravamo ancora lontani, ci siamo sorrisi, poi quand’eravamo vicini ho detto Ciao, tutto bene?, e intanto pensavo Tutto bene?, e lui m’ha risposto Sì, sono stato alla Fondazione (credo la Fondazione Fossoli, ma adesso non c’entra), e io Ah, io invece son sceso da lì, gli ho detto indicando casa mia, Abito lì, gli ho detto, e intanto pensavo Abito lì?, e lui, che eravamo già messi coi busti torti in direzioni opposte e le teste che ancora si guardavano e si sorridevano imbarazzate, o almeno, la mia sorrideva imbarazzata, mentre eravam messi in quel modo lì, lui ha detto Ah, davvero?, e io Eh, sì; e poi ci siamo salutati, lui è andato da una parte, io dall’altra, che cento metri dopo mi son vergognato come un cane, Ma sono scemo?, pensavo, Ma si parla così con la gente?, pensavo, Ma cosa vuoi che gliene freghi a Paolo Nori dove abito?, pensavo, Potevo dirgli che avevo iniziato a leggere Si chiama Francesca, questo romanzo, che prima non l’avevo mai letto, e adesso che l’hanno ristampato mi son messo a leggerlo, pensavo, Potevo dirgli che ci sono delle cose che mi interessavano, tipo sulla punteggiatura che secondo me era molto ricercata, pensavo, Potevo dirgli che mi sarebbe piaciuto sapere, come curiosità, perché certe virgole in certi posti ci sono e in altri invece non ci sono e, insomma, cose così, di letteratura, pensavo, e invece gli ho detto Abito lì… Ma sono scemo?, pensavo, Cosa vuoi che gliene freghi a Paolo Nori dove abito?, pensavo, E poi Tutto bene?, pensavo, Tutto bene cosa?, pensavo, Che tutto bene non lo dico mai con nessuno e che quando uno mi dice Tutto bene? io mi vengon dei nervosi che Tutto bene cosa?, vorrei rispondere, pensavo. E guarda come son vestito, pensavo. Son fatto così.

Trucchi della borghesia (58)

All'improvviso sembrava di correre da ore. Solo allora il mister esalò un gemito strozzato dal fischietto e ci fece segno di respirare, allargando bene le braccia.
"Aria pulita" si raccomandò "Aria pulita".
I più raffinati, di loro iniziativa, si rilassarono con un po' di stretching.
Il mister non ne era un grande estimatore. "Roba da ricchi" si giustificava borbottando.
In realtà non aveva idea di come pronunciarlo, e sapeva benissimo che gli avremmo riso dietro. Una volta ci aveva provato. "Su, adesso strascins" aveva detto.
Si era dovuto incavolare di brutto per farci smettere di rotolare per terra. Donna Nuda addirittura stava piangendo. Così, niente "strascins".

Cristiano Cavina, Un'ultima stagione da esordienti; Marcos y Marcos, pag. 28.

(di viadellaviola)

lunedì 26 marzo 2012

Dialettica (11)

L'Emilia è un posto dove la religione vien sempre dopo il realismo: pragmatismo, si dice, mi pare. È così da molto, moltissimo tempo, soprattutto nell'entroterra piatto e monotono delle province centrali, tanto che non si fatica a capire come le idee socialiste e comuniste della prima ora abbiano attecchito così bene, qui. E perciò, nel nostro dialetto modenese, o almeno in quello novese – cioè di Novi di Modena, il mio natìo borgo selvaggio: un paesello di qualche migliaio d'anime che ha ancora un punto preciso che si chiama la dogana, lì dove s'incontrano e s'incrociano le tre province di Modena, Reggio Emilia e Mantova, che una volta eran tre stati e, insomma, poi si capisce perché a Novi abbiano aggiunto "di Modena" – fin dal tempo dei miei bisnonni, classe 1905, per definire due persone che stanno insieme senza essere sposate, prima ancora di chiamarle morosi, si dice che quelle due persone lì i fan l'amor, fanno l'amore. In barba a Dio e ai governi. Secondo me è bellissimo.

(Poi, niente, oggi, oltre a essere il centodiciannovesimo compleanno del compagno Palmiro Togliatti, che se ci chiedi se l'abbiamo fatto apposta ti rispondiamo di sì anche se non è vero, con la mia bella signora son sette anni che facciamo l'amore.)

venerdì 23 marzo 2012

Storie di pallone ma anche no

L'avevamo già accennato nell'intervista alla rovescia, ma lo diciamo meglio: domenica 25 marzo, allo spazio Meme di Carpi, Fabrizio Gabrielli declama le sue Sforbiciate, storie di centravanti che segnano goal di tacco ai derby, crist’in croce che sembrano voler parare i peccati del mondo, partigiani che sanno già come giocare la palla prim’ancora che gli arrivi tra i piedi. Più o meno alle 19 (se non avete mai visto Gabrielli leggere a voce alta, vi siete persi una ròba grossa, quindi domenica potere rimediare).

Prima, alle 18, sempre lì al Meme, leggiamo delle cose dagli ultimi tre numeri (52, 53 e 54) della rivista letteraria Prospektiva, di cui Fabrizio Gabrielli è direttore editoriale; gli ultimi tre numeri della rivista, tra l'altro, sono tematici e soprattutto molto belli da vedere e da toccare: dalla Traversata – in un pacco da viaggio – alla Glasnost – nelle vaschette trasparenti del supermercato – fino a giungere al Falso (54, l’ultimo uscito) – in una scatola per dolci da pasticceria. Dico che leggiamo, prima persona plurale, perché ci siamo anche noi barabbisti, che su quei tre numeri di Prospektiva abbiamo scritto delle cose (io, per esempio, una ròba di sesso e scuole medie).

Tutte le info del caso sono sul sito del Meme. Ci vediamo là domenica alle 18 circa, rigorosamente dopo le partite.

giovedì 22 marzo 2012

Trucchi della borghesia (57)

Le camicie button down con i bottoncini sulle punte del colletto. (Da qualche parte, una volta, qualcuno scrisse che chi sente il bisogno di abbottonarsi le punte del colletto dovrebbe abbottonarsi anche le orecchie.)

(di astridula)

mercoledì 21 marzo 2012

Biografie essenziali (136)

Tonino Guerra diceva che, quando faceva finta di fumare, gli cadeva addosso la cenere.

Sconforto (o Pene d’amore)

La prima vera ecco è qui che vieno
siamo già arento al tempo della foia
in mezzo ai prati si è già sgato il fieno
e vien su l’uva bella ch’la fa voia,

ma nel mio cuoro ancor non v’è giungiuto
il tiepido calor del sol d’aprilo
perché la mante mia non m’à più vluto
e sofro e calo tutti i giorni un chilo!

Quando poi penso ai bacci che ci ho dato
in della ghigna fresca e pien d’ardire
mi sento commovùto e sconsolato
come se fossi arento a partorire!

E quando penso a sì crudel disdetta
e che in del mondo non avrò più pace
blisga dagli occhi giù per la basletta
il pianto mio dal gran che m’indespiace.

Mario Stermieri (1886 - 1910), poeta carpigiano.

__________
Google ieri ci ha detto che è iniziata la primavera. Oggi è anche la Giornata Mondiale della Poesia. Ascoltate Radio3, tutto il giorno, se potete.

lunedì 19 marzo 2012

Le interviste alla rovescia: Fabrizio Gabrielli

Se non avete mai sentito Fabrizio Gabrielli declamare le sue cose dal vivo a voce alta, vi state perdendo una cosa molto bella, soprattutto quando legge la sua ultima fatica, che è la terza, parla di calcio (ma anche no) e si chiama Sforbiciate. Fortunatamente, il nostro amico civitavecchiese viene domenica 25 a sforbiciare allo Spazio Meme di Carpi e se siete in zona, ve lo consiglio. Il libro l'ho letto e mi è piaciuto da matti, dentro ci sono anche un'incursione di Davide Enia, un feat. del nostro simone rossi, dei disegni di Maximiliano Chimuris e delle cartoline avvolte nella Gazzetta dello Sport. Ho chiesto a Fabrizio se aveva voglia di chiedermi delle cose sul suo libro, e lui ha detto, testualmente: avoja. Quindi questa è la seconda intervista alla rovescia di Barabba, comincia così:

Fabrizio Gabrielli – E insomma, Marco, sai che da quando stamattina ho trovato il tuo invito a fare questa ròba qua dell'intervista alla rovescia non faccio altro che pensare a tutt'un mondo all'incontrario, in cui le star della tivvù guardano poveri cristi dimenarsi nella scatola catòdica, in cui i calciatori fanno gli opinionisti, dove l'uomo-della-strada senza formazione politica fa il ministro? Non ci stiamo davvero inventando niente, diobò, mi son detto.
Many – Oh, ciao. Eh, questa cosa delle interviste alla rovescia non è che sia originalissima. Però è anche vero che le interviste alla dritta hanno rotto le balle, soprattutto quelle cogli scrittori. Mi vien da pensare che sarebbe bello vedere più interviste in giro fatte dallo scrittore con lettori diversi, così per vedere anche come cambiano i punti di vista, ché altrimenti lo scrittore, nelle interviste solite, quelle alla dritta, dice poi sempre le stesse cose.

F.G. – Che poi è bello questo ribaltamento del punto di vista: se chi scrive fa delle domande a chi legge, forse poi finisce per capire meglio cos'è, che ha dato da leggere. E chi-lo-sa, in extrema ratio, anche un po’ di più cos'è che ha scritto. Io, per esempio, son certo di non aver scritto un libro sul calcio, o almeno non latu sensu. Forse contingentemente calcistico. E che quindi, di conseguenza, non è che serva essere fubolòfili sfegatati, per farselo piacere almeno un po'. Te, te che l'hai letto, e che non so, non mi sembri propriamente un ultrà, che fai? Mi smentisci?
M. – No, non sono decisamente un ultrà e ultimamente, cioè da una decina d'anni almeno, il calcio lo seguo poco se non addirittura per niente. Ero milanista da piccolissimo, per via di mio nonno, ma all'epoca c'era pure Maradona e visto che il mio migliore amico e compagno di squadra – di ciclismo: ero un ciclista, in un mondo antico era il primo vero sport nazionale, poi è andata com'è andata – visto che il mio migliore amico, dicevo, era casertano, ho iniziato a tenere il Napoli. Veder giocare Diego Armando, da piccoli, era un po' come guardare alla notte in tv Michael Jordan sotto canestro, o Pantani sull'Alpe d'Huez, per dire. Dopo, per un certo periodo ho tenuto la Fiorentina, quando c'era Batistuta. Poi basta: adesso mi piace il baseball. Ma comunque, no, non mi pare che tu abbia scritto un libro sul calcio, anzi, hai scritto un libro sugli "ultimi" del calcio. E gli "ultimi" sono quelli che davvero fanno dello sport uno sport e della vita una vita. Il calcio degli ultimi lo si ama alla follia, come si amano i campionissimi, che anche loro, se ci guardiamo bene, per essere campionissimi devono essere "ultimi", a modo loro, disperati: vedi Garrincha, vedi Diego Armando, vedi anche Pantani, per dirne alcuni. Quello che hai fatto è stato scrivere un libro di un romanticismo che vien fuori dalle pagine come maionese da un panino.

F.G. – A proposito di panini – che poi tu sei abbastanza in zona, mi pare –, sai chi ha fatto riferimento pure, a questa questione degl'ultimi, degli outsider? Antonio Pronostico del Collettivomènsa, l'autore delle locandine delle presentàzie. Che non so se c'hai fatto caso, ma son tutte figurine similPanini, appunto, giuocatori con la maglia dai colori del posto in cui vado a leggere a voce alta, ma senza faccia. Ecco: sono senza faccia proprio perché i veri eroi poi sono i dimenticati, quelli dei quali mica te lo ricordi come toccavano la palla, come si destreggiavano, che tratti avessero: piglia Ali Gagarine, hai presente a tutta prima com'era fatto, che faccia avesse? Io no.(Son mica sicuro me l'abbia mai detta, 'sta ròba, Pronostico, forse me la sono congetturata da me, andando, come si dice, oltre ogni Pronostico.)
C’ho provato, ma non ci riesco, devo per forza arrivarci, a questa domanda: avendo cura di non addentrarmi in quella dinamica lenzuola-sfatte-post-coito-accendo-sigaretta-chiedo-t'èpiaciùto, mi dici tre, cinque, nove cose che proprio non t'hanno gustato?
M. – Nove o cinque son troppe. Provo con tre cose che non mi sono piaciute. La prima ha a che fare con la carta e l'odore della carta: non mi piace tanto l'impaginazione, mi sembra un po' da testo universitario, con quel carattere tipografico un po' accademico, la mancanza dei rientri dei paragrafi, quelle cose lì, che se un giorno le Sforbiciate saranno elettriche, è un problema che sparisce. La seconda cosa riguarda la difficoltà che hanno tutti libri di racconti in generale – che siano monotematici o meno – e i tuoi libri di racconti in particolare, come quell'altro dal titolo L'inafferrabile Weltanschauung del pesce rosso: in generale, i libri di racconti non sai mai con quale ritmo leggerli (e infatti mi pare che abbiano un mercato tutto loro, che rispetto a quello del romanzo è un mercatino); in particolare, i tuoi libri di racconti è impossibile leggerli d'un fiato, e questo è per via della tua scrittura iper-letteraria, così pregna di significati e significanti, una commistione di aulico e popolare, una cosa talmente precisa e bella che il lettore si deve soffermare su ogni parola, su ogni frase, e anche per leggere due pagine ci si mette del tempo, un sacco di energia mentale. Diventa un po' difficile, lèttone uno, leggere subito il racconto dopo. Io mi son trovato bene a leggerne uno al giorno, e ogni tanto mi dicevo: dài, ne leggo un altro. E, oh, iniziavo, poi mi accorgevo che no, dovevo fermarmi, non ci stavo capendo niente, tutte le energie disponibili del cervello erano state usate per il racconto precedente. Che poi, se la guardi dalla parte giusta, questa cosa è anche un pregio. Un pregio grosso. La terza cosa non la trovo, quindi ci fermiamo a due.

F.G. – Capita anche a me, sai, coi racconti, quando leggo una raccolta di racconti – e ne leggo tante, di raccolte di racconti: cerco sempre di centellinarmeli. Una volta Cortázar ha detto che là dove il romanzo vince ai punti, il racconto deve vincere per knock out. Lo so, è una citazione inflazionata, però vedi, ti fa trarre tutt'un codazzo di conclusioni: che ti vien da chiederti se fossi pugile, non faresti passare del tempo pure tu tra un knock out e un altro? Voglio dire: bisogna saperli assorbire con calma, gl'uppercut, i montanti, i dritti e i rovesci che ti mandano al tappeto, se son così forti da mandarti al tappeto. Sapersi leccare le ferite, e godersi la gioia dell'avversario martoriato al centro del ring, richiede del tempo, no? E quindi sbocconcellare più che abbuffarsi, dovrebbe comportarsi sempre così, un lettore di racconti. Lèttone uno, fermarsi. Lèttone un altro, fermarsi ancora. Bisognerebbe saper tracciare una Riga, come dice sempre, infatti, un mio amico lèttone.
Piuttosto, questa cosa degl'ibùc: m'era venuto in mente di pensarla, un'edizione elettronica delle Sforbiciate, magari arricchita di contenuti extra, con dei filmati e delle foto e dei ritratti di questi calciatori così da fartelo vedere subito, per tornare a quanto detto, com'era fatto Gagarine: ma il rischio, secondo te, non è quello di scivolare nel melmoso mondo degl'almanacchi, che ce ne son già centomila?
M. – No, il rischio, forse è quello di uscire dal concetto di libro, se cominci a metterci le foto, i filmati, eccetera, finisce che snaturi la narrativa. Che poi, bisogna dirlo, mica è obbligatorio che uno sappia come sono fle facce di quelli che racconti, mica è obbligatorio che riesca a collegarle con le facce che ci sono nella copertina. Uno si fa l'immagine in testa, ognuno la sua, e anche lì sta il potere della scrittura, dello scrittore, di Fabrizio Gabrielli. Alcune delle facce che racconti, a parte George Best, che insomma, è molto molto pop e lo conoscono tutti, io me le sono immaginate grazie alle parole. Erano tutte bellissime, le mie facce, cogli occhi un po' tristi.

F.G. – Dicon, quelli che i libri li vendono di mestiere, ma vendere per venderli, intendo, anche se è un'affermazione abbastanza lapalissiana, che la copertina di un libro è fondamentale, per attirare l'attenzione del lettore. E per instradarlo verso quel che s'appresta a leggere, anche, secondo me. Per dargli un'anticipazione. Quanto instrada e quanto fuorvia, secondo te, la covercia di Sforbiciate? Mettere undici calciatori è di suo un passaporto e un biglietto solo andata per lo scaffale della letteratura sportiva, vicino alla biografia di Ibrahimovic?
M. – La copertina di Sforbiciate è stupenda e dice quello che dice il libro: dice che sarà difficile da leggere ma che sarà una bella esperienza, dice che si parla di calcio ma anche no. Poi c'è la fascetta: "la vita, l'amore, ma prima, per favore, il pallone" che, come dire, spacca. Ci sarebbe la questione della quarta di copertina: non capisco come mai, ma da qualche tempo le quarte di copertina non dicono più niente del libro, sembrano troppo forzate, come i titoli che si mettono ai quadri astratti, e secondo me è un peccato. Per la questione del passaporto verso lo scaffale dello sport, non so, chi vende i libri per venderli ti potrà dire che dipende dai librai. Forse sì, forse nelle "catene" c'è questo rischio, ma nelle altre librerie dipende. A Carpi, alla libreria Fenice, era nello scaffale di narrativa delle case editrici medio-piccole, di fianco avevi una roba che non mi ricordo della Minimum Fax. Alla libreria Mondadori non lo so, non ci vado mai.

F.G. – Qual è il personaggio che t'ha colpito di più, a te? Lo conoscevi, se lo conoscevi già? E se non lo conoscevi: credi sia tutto vero, quello che ho scritto di lui e degl'altri?
M. – Due su tutti: Gagarine e Winston Coe, il portiere senza un braccio. Poi mi son commosso per Garrincha, davvero. (Che, tra l'altro, Garrincha, riprendendo quello che si diceva prima, è l'unico racconto scritto con una lingua diversa, cioè in romanesco, e secondo me è bellissimo anche perché sin un libro scritto in una lingua difficile, che è la tua lingua iper-letteraria e pregna di significati e significanti, stupenda ma difficile, a un certo punto t'imbatti in una lingua totalmente popolare – o fintamente popolare, perché da bravo scrittore scegli ogni parola e ogni accento, ma il risultato è una boccata d'aria, un fine primo tempo, tanto che poi, dopo Garrincha, riesci a leggere il racconto successivo.)

F.G. – No, perché questa ròba d'aver scritto un libro ruffiano, un po' me la rimproverano, e io un po' la soffro. Leggevo, qualche tempo fa, un'intervista - dritta, quella volta - a DFW, in cui Wallace disquisiva su come appassionare il lettore, e diceva che bisognerebbe "capire in che modo la narrativa possa ancora affascinare un lettore la cui sensibilità è stata in massima parte formata dalla cultura pop, senza diventare un'ulteriore palata di merda fra gli ingranaggi della cultura pop". E io, vedi, trovo che giocare con il pallone possa essere un viatico per tastare la cultura pop senza smerdarsi con la cultura pop. Vè?
M. – Si rischia di cadere nel pasolinismo, a rispondere a questa domanda, e tirare fuori discorsi sul calcio come specchio della società, ma cadere nel pasolinismo è una roba che non va bene, si diventa delle borse. Ma Sforbiciate è tutto fuorché ruffiano: ci sono delle cose, dentro, dei nomi, dei fatti, inerenti al calcio o collaterali, che vengono accennati e dànno un bel po' di spunti al lettore per andarsi a cercare altre letture, quadri da vedere, posti da visitare, gente su cui fare delle ricerche. Mica poco, veh. E poi c'è sempre il fatto ch'è scritto in un modo che è – attenzione, sto per dire una roba grossa – LETTERATURA. Non sono neanche sicuro che tutti riescano a leggerle, le Sforbiciate. Magari uno vede la recensione sulla Gazzetta dello Sport o sul Guerin Sportivo o la tua intervista su Sky e legge le Sforbiciate e non ci capisce niente. C'è questo rischio. (Forse aprire con un pezzo su George Best, quello lì, sì, è un po' ruffiano, ma ruffiano nei confronti di noi a-calciofili che, per forza di cose, se c'è uno che conosciamo a prescindere, quello è George Best.)
Adesso invece te la faccio io una domanda. E scusa se per pochissimo ribaltiamo l'intervista e la raddrizziamo, ma è una cosa che secondo me a uno scrittore bisogna chiedergliela, allora te la chiedo: Fabrizio Gabrielli, te perché hai scritto Sforbiciate? E poi: è bello?

F.G. – Mi piace mica troppo, questa cosa di raddrizzare l'intervista così sul più bello, è un giuocare sporco, un tuffarsi in area senza che t'abbia neppure sfiorato: rigore!, gridi, macché rigore, ti rispondo. Però facciamo che mi comporto ammodìno, e ti sfamo questa curiosità: ch'è di rigore, in un'intervista, infatti, al dritto o al rovescio che sia.
Bello, Sforbiciate, per esser bello, magari è una cosa che sapresti dirmi meglio tu, amico lettore, come si dice, come si schermiscon sempre gli scrittori. Io posso raccontarti perché è stato bellèrrimo scriverlo, e vederlo così com'è sugli scaffali delle librerie, ch'è poi una mezzaspiegazione ai moventi sottesi la sua stesura, se mi passi l'espressione. In prima battuta, perché dentro ci sono un sacco di storie, personaggi, dettagli, curiosità che magari ti saresti andato a cercare da solo, amico lettore, e invece il lavoro sporco e al contempo fighèrrimo d'inzaccherarmi sul campo di pozzolana al tramonto me lo son fatto io, e te n'ho risparmiate, di fatiche, ma pure di gioie, fìdati. Poi, perché una volta trovato su gùgol quel ritratto che Dalì fece a Miravitlles o magari la foto di Winston-Coe-senza-un-braccio che vola all'incrocio per uncinare la palla, avresti potuto cominciare da te a fantasticare sugl'accadimenti sottesi, sull'immediatamente prima o sul subitaneamente dopo, e ti saresti crogiuolato nella scoperta da te; e invece me la son presa io, questa croce, e questa delizia. E devo confessarti, mai Calvario è stato più divertente invero. Infine, perché vederlo così com'è, con la covercia e la fascetta di Cosimo Lorenzo Pancini, coi disegni di Maximiliano Chimuris, nella bella edizione che ha voluto approntare Piano B, con quella gemma di Davide Enia incastonata nel mezzo, la presenza di simonerò, mi dà proprio l'idea di squadra che - partita in sordina, senza troppe ambizioni, tutti i lunedì, sul sito degli Scrittori Precari - di giornata in giornata ha acquisito unità d'intenti, assorbito meccanismi, trovato compattezza, e ha infine ottenuto una mezzaspecie di qualificazione in coppa uefa. Vederlo stampato, Sforbiciate, è stato come portare a compimento er progggetto. E mi sento un po' Luis Enrique; ma più caruccio, di Luis Enrique.
M. – Grazie. Comunque, secondo me è bello, Sforbiciate. Ma scusa se abbiamo ribaltato. Ri-ribaltiamo subito.

F.G. – Abbiam mica fatto una ròba fiume-che-tipo-chedduepalle?
M. – Speriamo di no. Se ci saranno delle lamentele te le faccio presenti quando ci vediamo, domenica.

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Sforbiciate è uscito per Piano B edizioni, ha 179 pagine e costa quattordici euro e novanta centesimi. Dentro, l'abbiamo già detto, ci sono: un racconto di Davide Enia, un feat. di simone rossi che parla anche di Django Reinhardt, le illustrazioni di Maximiliano Chimuris. Poi, abbiamo già detto anche questo, Fabrizio Gabrielli viene a presentarlo e soprattutto a leggerlo allo spazio Meme di Carpi, domenica 25 marzo. Per l'occasione, si porta dietro anche i numeri 52, 53 e 54 (quello nuovo e tutto d'oro) della rivista letteraria Prospektiva, di cui è il direttore. E forse anche noi leggiamo qualcosa da Prospektiva, domenica al Meme, chissà.

domenica 18 marzo 2012

Accademia della Semola: IL / LA Lavapiatti

L'altra sera, mentre eravamo sdraiati sul divano a guardare il Grande Freddo, sapevo un po' confusamente che c'era pure Kevin Costner nel ruolo del morto, m'ero solo dimenticato che l'avevano tagliato in fase di montaggio.
Per tutto il film ho avuto quel senso di attesa, come un nuovo Estragone che diceva alla Vladimira, "Adesso arriva. È il suo momento. Adesso arriva Kevin. Dai! Adesso è perfetto, prima no ma ora, guarda qua, flashback, taaac, perfetto, così tutto torna".
E invece niente.
Forse quest'attesa non me l'ha proprio fatto gustare.
Anche se per alcune cose, m'è sembrato un po' tirato per i piedi, come se si volesse a tutti i costi rientrare nelle righe della storia, nessuno che ne esce, Kevin/Alex a parte ovvio. E poi perché la mia memoria ricordava Costner e non ricordava il taglio? La mia memoria è stata selettiva come il regista anni prima?

Ma non era di questo che volevo parlare, c'è qualcuna/o di ben più referenziato per parlarne, di film, per fortuna vostra. È che ad un certo punto, una delle protagoniste dice che c'è da caricare LA lavapiatti e lì, in quella piccolissima frase, ho sentito tutta la distanza dei 30 anni del film. 30 anni dov'è successo di tutto, arrivato di tutto e partito di tutto, in quella coordinazione tra articolo e sostantivo. LA Lavapiatti.

Da quando sono nato, più di 30 rotazioni terrestri intorno al sole, ho sempre identificato quella macchina come LA lavastoviglie mentre per lavapiatti intendevo l'essere umano rigorosamente maschile, rigorosamente IL, preposto alla funzione esclusiva di lavaggio dei suddetti discoboli per vivande. Un ruolo piccolo ma, all'interno del meccanismo complicato e sincronico dell'apparato cuciniero, fondamentale. Conosco infatti non poche persone che non smetterebbero mai di cucinare se dopo non dovessero anche ripulire e lavare le pentole che utilizzano. Qualcuno o qualcosa deve sempre pulire.

La lavastoviglie, sono andato a controllare, è stata inventata nel 1886 da un'americana, Josephine Cochrane, che s'è detta: "se nessuno lo fa, lo farò io stessa!" Vero Do It Yourself. Il mondo intero dell'autoproduzione dovrebbe nominarla patrona e farci pure i santini o le figurine. Un altro c'aveva provato prima, sempre un americano, ma l'aveva fatta in legno, vatti a fidare dei maschi.

Il lavapiatti, sempre maschio, invece esiste fin dalla nascita delle padelle, fin dalla scoperta della ceramica e anche prima. Numerose infatti sono le iscrizioni rupestri di omarini che a gesti chiedono a uno di andargli a lavare le scodelle di pietra o le ossa di mammuth. Il lavapiatti ci sarà sempre, anche se sarà stato messo in difficoltà dall'arrivo del LA lavapiatti, rimarrà sempre, come l'olfatto che sempre più anestetizzato stiamo perdendo.

Immaginatelo lui, solo e solitario, unico, ultimo sisifo della storia umana, sfidare orde di terrine, legioni di sottopiatti, squadriglie di zuppiere, armate di vassoi, branchi di fondine, commando di consommé. La sub-vita minerale che tenta di sopraffare il vivente a base di carbonio.

Con la consueta ironia che li contraddistingue, i francesi chiamano chi assolve questo compito arduo e specifico le Plongeur, il Tuffatore.
E questa settimana ho ripreso a nuotare.
Forse sono gli ultimi scampoli di umanità in un futuro sempre più automatizzato, o forse le macchine ci stanno lasciando liberi di fare solo ciò che vogliamo fare, sia con IL che con LA.
Con la solenne benedizione di Kevin Costner.

sabato 17 marzo 2012

Nel mio mondo perfetto (14)

Nel mio mondo perfetto, i sistemi operativi non si aggiornano più, il gran capo dei sistemi operativi rilascia una conferenza stampa mondiale in cui dice ecco qua, da questo momento in poi non c'è più bisogno di aggiornare il sistema operativo, questo qui fa tutto quello che una persona possa volere fare con un computer, di conseguenza nel mio mondo perfetto non c'è bisogno di costruire computer con processori più potenti, quello che uno ha va benissimo per i prossimi centocinquant'anni, e chi produce un'applicazione troppo potente per i computer e per il sistema operativo perfetti fa la figura dello stronzo e tutti gli ridono dietro. Ecco cosa vorrei per il mio mondo perfetto.

(di Stefano Amato)

mercoledì 14 marzo 2012

Accademia della Semola: met met

L'altro giorno, il 12 marzo, il buon Jack Kerouac, nato Jean-Louis Kerouac, avrebbe compiuto novant'anni. Quella dei compleanni post-mortem, in differita, è una pratica che, boh, non so come prenderla (e infatti ne scrivo adesso che son passati due giorni, che internettianamente parlando è un periodo incomprensibilmente lungo). Però mentre ci pensavo mi è venuto in mente che Sulla strada è stata forse la prima cosa che io abbia mai letto a voce alta, e ne ho letta gran parte della prima metà, un giorno di qualche anno fa mentre la mia bella signora era in cucina e dalle padelle veniva su un buon profumo di soffritto. Quel giorno lì, ho preso il libro dalla nostra libreria incassata nel muro del corridoio e ho cominciato a leggere:
La prima volta che incontrai Dean fu poco tempo dopo che io e mia moglie ci separammo. Avevo appena superato una seria malattia della quale non mi prenderò la briga di parlare, sennonché ebbe qualcosa a che fare con la triste e penosa rottura e con la sensazione da parte mia che tutto fosse morto.
Che poi, ho scoperto, in inglese sarebbe così:
I first met Dean not long after my wife and I split up. I had just gotten over a serious illness that I won’t bother to talk about, except that it had something to do with the miserably weary split-up and my feeling that everything was dead.
Molti sanno, lo sapevo anch'io, che nel manoscritto originale, che molti sanno, lo sapevo anch'io, era un rotolo, i nomi eran diversi, che Dean Moriarty è in realtà Neal Cassady, che Carl Marx è in realtà Allen Ginsberg, eccetera. Un anno e mezzo fa, circa, a quelli della Mondadori è venuta voglia di pubblicarlo, il rotolo originale. L'ha comprato il mio amico simone rossi, e mi ha subito scritto una mail dicendomi: Many, oh, ma ti pare? C'è un refuso all'inizio:
Quando conobbi conobbi Neal mio padre era morto da poco... Ero appena guarito da una malattia grave della quale mi limiterò a dire che aveva certamente qualcosa a che fare con la morte di mio padre e la mia atroce sensazione che tutto fosse morto.
E a parte che è un incipit molto più figo del precedente, cioè di quello che è venuto dopo ed è stato pubblicato prima, ma vabbè, insomma, a parte quello, ho pensato Porca vacca che coglioni che ci sono in Mondadori.

Poi, boh, me ne son dimenticato fino all'estate scorsa, quando alla Shakespeare & Co. di Parigi ho comprato On The Road - The Original Scroll. Appena pagato, mi son seduto in un bar lì fuori e ho iniziato a sfogliare. Oh, faceva così:
I first met met Neal not long after my father died... I had just gotten over a serious illness that I won’t bother to talk about except that it had something to do with my father's death and my feeling that everything was dead.
Ma pensa, mi son detto, allora quelli di Mondadori avevano ragione. C'è un refuso. E ci son rimasto male. Malissimo.

Con uno slancio mentale un po' negazionista, non sono mai andato a cercare degli studi sulla questione, e non lo farò certo adesso, non mi interessa. L'unica cosa che ho letto sulla prosa di Kerouac e che accetto come valida è quel pezzettino bellissimo scritto da Luciano Bianciardi per un numero di ABC del 16 ottobre 1966 e che si intitola Whisky e prosa, adesso si trova su Chiese Escatollo e nessuno raddoppiò - Diario in pubblico 1952-1971, ma anche su google libri.

Ecco, non lo voglio sapere se è un refuso. Non me ne frega niente. Mi son fatto l'idea che sia invece un balbettìo. O ancor meglio: un raddoppio di sax, di tromba, di batteria, una cosa un po' bebop. met-met. Secondo me è bellissimo. Due colpetti di sax. met-met. E va bene bene così.

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L'Accademia della Semola è una nuova rubrica, oggi alla seconda puntata, dove si può parlare a vanvera delle parole. Se volete, come sempre, potete mandarci dei contributi. Poi noi li pubblichiamo. Come sempre. met-met.

martedì 13 marzo 2012

Nel mio mondo perfetto (13)

Nel mio mondo perfetto, i palazzi di fronte alle finestre non sono mai tanto alti e vicini, anzi scompaiono durante le sere di cielo pulito e il lampione della luna è sufficientemente luminoso e nitido per darti la buonanotte fin sotto le coperte; e il ritardo di un treno è provocato solo dai secondi di una stretta prolungata, di un abbraccio che indugia sui binari e ruba le ultime parole dalla voce viva, “ci scusiamo per disagio, ma, sapete, si rivedranno tra tanto tempo”. Questo vorrei nel mio mondo perfetto.

(di Laura "availableinblue")

lunedì 12 marzo 2012

Biografie essenziali (135)

La rivoluzione è brusca, antipatica e contagiosa come un colpo di tosse. E il comandante Ernesto Guevara de la Serna, detto "el Che", tossiva parecchio.

(di "TheAubergine")

sabato 10 marzo 2012

Biografie essenziali (134)

Jean Giraud, che era Moebius, è tornato ad essere Jean Giraud. Come un segno che non si stacca mai dal foglio, il cerchio avvitato si è chiuso per ricominciare.

venerdì 9 marzo 2012

Nel mio mondo perfetto (12)

Nel mio mondo perfetto, non è un problema se ti dimentichi l'ombrello a casa e inizia a piovere di brutto, perché gli ombrelli sono di tutti, e i portaombrelli sono pieni di ombrelli di ogni dimensione e colore, che tu puoi prendere quando vuoi e lasciarli dove vuoi quando hai finito di usarli, e se siamo in due prenderemo un ombrello grande e colorato per starci abbracciati sotto. Questo vorrei nel mio mondo perfetto.

(di Andrea Capaccioli "Ciocci")

giovedì 8 marzo 2012

Accademia della Semola

Si dice i reni o le reni?

Si dice, ho scoperto, i reni quando ci si riferisce agli organi, quei due robi a forma di fagiolo gigante che abbiamo dentro a coppie quasi tutti; si dice invece le reni se vogliamo indicare la regione lombare che sta in corrispondenza, circa, dei reni. Quindi va bene calci nelle reni e non va bene calci nei reni. Si può dire che ci son dei malcapitati che si svegliano la mattina in un fosso senza i reni e non senza le reni. E via così.

Ecco, oggi è il giorno perfetto per inaugurare quella che, se siam bravi, diventa una nuova rubrica sulle parole. Oggi è il giorno perfetto per la prima puntata dell'Accademia della Semola perché oggi, forse lo sapete, anzi, quasi sicuramente lo sapete, oggi, 8 marzo, è la Giornata Mondiale del Rene (non delle reni).

Buon 8 marzo a tutti/e.

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Nota 1: "Accademia della Semola" è un brand targato carlo dulinizo, che quando gli fai bere delle birre ha sempre queste alzate d'ingegno.
Nota 2: a costo di risultare il solito bacchettone, per di più bacchettone maschio, quindi trascurabile, ribadisco, come faccio tutti gli anni l'8 marzo, che oggi non è la festa della donna, ma la giornata della donna. C'è differenza: nelle feste si fa festa, nelle giornate si fa che si ricordano delle cose (per esempio: non si può mica fare la festa del rene, come non si può dire festa della memoria). E niente, buon 8 marzo, comunque, a tutte/i.

lunedì 5 marzo 2012

Nel mio mondo perfetto (11)

Nel mio mondo perfetto in ufficio, specie di lunedì, ci si andrebbe solo per necessità. E al posto della macchinetta del caffè ci sarebbe una stanza con delle moke, su delle piastre elettriche, che le carichi e le accendi e il tempo che aspetti è una vera pausa caffè. E mica ti esce il mocaccino. Questo vorrei nel mio mondo perfetto.

sabato 3 marzo 2012

venerdì 2 marzo 2012

Nel mio mondo perfetto (10)

Nel mio mondo perfetto, il pdf non c'è nessuno che lo chiama ebook, e abbiamo tutti, non dico l'ipertensione, ma almeno la pressione abbastanza alta, così nessuno si rallegra all'arrivo della bella stagione, quella che chiamano primavera, coi suoi sbalzi climatici e i saliscendi meteorologici, vigliacca, maledetta primavera. Questo, vorrei, nel mio mondo perfetto.

giovedì 1 marzo 2012

Povero dente ballerino

Il primo dente mi è caduto nel bagno della casa al mare, era luglio, erano gli anni Ottanta.
Traballava tantissimo già dal pomeriggio: mentre contavo i numeri di Un, due, tre, stella, appoggiata al muro tra un garage e l'altro, sentivo con la lingua che si muoveva tutto.
Prima di cena, il pensiero di mangiare con il dente messo così non mi piaceva affatto, poi non sarei stata a casa, ma da mia zia, perché i miei sarebbero dovuti uscire. Mi avevano chiesto di andare con loro, ma io volevo restare a giocare, fino a tardi, dopo cena, quindi niente: sarei rimasta con mia zia, mi sarebbero venuti a prendere tardissimo.
Prima di cena, presi una sedia dal soggiorno e la misi davanti allo specchio del bagno, mi arrampicai e con la bocca spalancata iniziai a dondolare il dente, sempre più forte, fino a farmelo cadere in bocca. Con il mento all'insù, come una signorina sui tacchi, cercavo di tenere una postura sempre più dritta, per non ingoiare il dente.
Mia madre si stava infilando i jeans, io tenevo la bocca tappata, mi guardò:
Che c'è?
Aprii la bocca e mi feci cadere il dente insanguinato nella mano.
È caduto! È caduto!
Mi portò a sciacquare la bocca, con il disinfettante, mise il dente pulito in un tovagliolo e lo portò altrove.
Avevo un buco in mezzo alla bocca, chiudevo un occhio e provavo a guardarci attraverso, poi sorridevo con le guance larghe, mia madre dall'altra stanza mi urlava di lasciare la luce accesa quella notte perché sarebbe arrivato il topolino dei denti a portare un regalo. Ma non mi importava.

Intanto, potevo mangiare la pizza con tutta la crosta. Poi potevo esibire anche io un dente in meno in bocca, come gli amichetti che avevano già fatto il faticoso passaggio verso l'età adulta e soprattutto potevo vantare il fatto di essermi fatta cadere il dente da sola, io.
I miei dovevano andare al concerto di Lucio Dalla, quella sera, mia madre continuava a ripetermi di lasciare la luce accesa.
Lascia la lucina col papero accesa, tu però dormi.
Sì.
Mi raccomando.
Sì.
Mangia.
Sì.
Ti fa male il buco?
No.
Il topolino dei denti di solito portava soldi; quella volta, invece, mi lasciò la scatola di plastica di una musicassetta con su scritto: Povero dente ballerino. Ciao, Lucio.

***

Una sua canzone, Piazza Grande, era tra i testi del mio Esame di Maturità, nel 2001. Una volta l'ho incontrato al cinema, a Bologna. Un'altra volta in una pizzeria, sempre a Bologna, e l'ho visto suonare e cantare dal vivo tantissime volte, per mia fortuna. Da piccola a Un, due, tre, stella non vincevo mai, mi distraevo infilando la lingua nel buco lasciato dai denti che cadevano.
Ciao Lucio.

Trucchi della borghesia (53)

Il tapis roulant.

Che poi, la Terra non è forse un immenso tapis roulant? Tipo che se una persona velocissima (toh, Usain Bolt, per esempio, o l'uomo da sei milioni di dollari) corresse sempre verso Ovest, secondo me starebbe ferma dov'è, il tempo non passerebbe, e lei non invecchierebbe mai. E allora magari la borghesia col tapis roulant ha solo inventato l'ennesimo trucco farlocco per sembrare più giovane, verrebbe da dire, come l'antirughe, o lo step, o photoshop.

(di Stefano Amato)