venerdì 29 aprile 2011

Comunicazione di servizio

UPDATE delle 17:05: ora dovrebbe essere tutto ok. Se non lo fosse, una volta dicevamo Accetta la sfiga.

La notizia del giorno la sapete già. No, non è il matrimonio reale, ché da queste parti siam di quelli che con le budella dell'ultimo prete impiccherebbero l'ultimo re, no, la notizia del giorno è che c'è stato un incendio nella serverfarm principale di Aruba. Se non siete smanettoni, non state nemmeno a chiedervi che cosa sia una serverfarm, tanto si vive lo stesso dignitosamente. Epperò lì stanno tutti gli ebook di Barabba Edizioni, e anche qualche altra cosa linkata qua e là nel blog.

Se il problema non si risolverà in tempi ragionevoli, vedremo di spostare i files da qualche altra parte. Intanto, se siete quelli coi reader di libri elettronici, la prode Reloj de arena ha reso disponibile la versione epub di Schegge di Liberazione.

giovedì 28 aprile 2011

Cicatrici: Come una lacrima

[riceviamo e pubblichiamo la cicatrice di Mattia Quilici "mattiaq"]

(Posizione)
Sulla guancia, proprio sotto l’occhio destro. Una gocciolina di pelle incavata, come una lacrima.

(Cause)
Maria ha due anni, abbiamo raccolto le more, facciamo la marmellata. Succede quello che capita spesso in questi casi: Maria arriva al manico della pentola e se la rovescia addosso.
Urla, pianto a dirotto, noi presi dal panico.
Ci affrettiamo a togliere la marmellata che si è versata soprattutto sulle mani; curiamo e consoliamo cercando di non mostrare la paura. Non ci accorgiamo che uno schizzetto di marmellata, una gocciolina quasi invisibile, è finito sulla guancia e lì resta per lunghi minuti, rovente come solo lo zucchero sa essere.
In seguito le mani si coprono di bolle; le vesciche si formano e in pochi giorni guariscono perfettamente. Sulla guancia invece la vescichetta è minuscola, non vale nemmeno la pena di metterci la pomata; quando però va via al suo posto rimane una buchetta, un piccolo segno incavato, talmente piccolo che lo vedo solo io.

(Conseguenze)
Ogni volta che vedo mia figlia - ogni volta - mi si stringono le budella. Ogni volta che vedo quella gocciolina penso a come vorrei proteggerla dal male e come, inevitabilmente, non si possa e non sarà; penso anche che, per quanto ci si illuda che al male si è posto rimedio e non ci saranno conseguenze, rimarrà sempre una piccola lacrima che non è possibile cancellare.

di Mattia Quilici "mattiaq"

mercoledì 27 aprile 2011

Biografie essenziali (112)

Ugo Foscolo si proclamava più devoto che avventurato cultore della letteratura. Certamente era anche più avventuroso che devoto cultore delle Grazie femminili.

Barabba Edizioni è una casa editrice tanto carina, senza soffitto e senza cucina

È il titolo di un intervento che faremo domenica 15 maggio al Salone del Libro di Torino, verso le due del pomeriggio presso lo stand di Bookrepublic. Parleremo e leggeremo di Schegge di Liberazione, quello vecchio e quelli nuovi, di Cronache di una sorte annunciata, di Pensieri in apnea, del prossimo Cicatrici e delle cose in cantiere. Il discorso, penso, anche se dobbiamo ancora scriverlo, inizierà con:
Buongiorno.
Si sente se parlo così?
Se poi vi annoiate, di fianco c'è lo stand della Nintendo.

martedì 26 aprile 2011

Trucchi della borghesia (7)

La ricotta light.

Biografie essenziali (111)

Mario Tobino è stato in Libia settantuno anni fa e lo sapeva già da allora:
Ormai gli italiani sono giunti vicino alla bestia, non c'è quasi più differenza.
Con un facile trucco di dirsi tutti eroi, si sono fatti contentissimi.
Per ritornare uomini avranno bisogno ancora di molte bastonate.
Sarà faticoso rimuovere una radicatissima e comoda vigliaccheria.

(M. Tobino, Il deserto della Libia, Mondadori, pg. 100)

lunedì 25 aprile 2011

Schegge di Liberazione: un libro

Verso la metà di febbraio del 2010 mi sono incontrato col mio socio di Barabba – Barabba è un blog collettivo, adesso ci scriviamo in tanti, ma prima eravamo in due; l’avevo riesumato da poco, era un blog che non seguiva nessuno, ma visto che mi ero da poco iscritto a FriendFeed e che su FriendFeed era pieno di gente con dei blog mi sembrava una bella idea, riaprire Barabba – mi sono incontrato col mio socio, dicevo, e gli ho chiesto Be’, ma se facessimo un ebook sulla Resistenza, visto che quest’anno a Carpi – siamo di Carpi – c’è l’anniversario di Materiali Resistenti? Lui, il mio socio, che è un tipo un po’ tecnovillano, mi ha detto Ok, pensaci tu per le questioni dell’internet, io organizzo la serata di presentazione. Va bene, gli ho risposto, vorrei fare una cosa come il Post sotto l’Albero, hai presente? Lui mi ha chiesto che cosa fosse questo Post sotto l’Albero, io gliel’ho fatto vedere, gli ho spiegato che è un ebook collettivo, in pdf, che ci scrivono i blogger e che esce tutti gli anni a Natale, e lui mi ha detto Va bene. Io gli ho detto Allora siam d’accordo. Lui mi ha detto Sì. Così abbiamo cominciato.
Su FriendFeed – avevo una trentina di iscritti, all’epoca – ho chiesto Cosa ne dite se facciamo un ebook collettivo sulla Resistenza? Il giorno dopo avevo già un centinaio di nuovi iscritti e di commenti e delle mail che dicevano più o meno la stessa cosa: sì, che bella idea, io ci sto.
Da lì siamo partiti a reclutare scrittori, disegnatori, fotografi e poeti. Ci eravamo inventati un tormentone: “Barabba dice 26x1” (che era il calco del segnale in codice che ha fatto partire la Resistenza, a suo tempo, negli anni ’40, e diceva: “Aldo dice 26x1”), e il 15 di aprile, la deadline per la consegna, avevamo già raccolto una sessantina di contributi tra racconti, saggi, ragionamenti, poesie, disegni, foto e perfino un monologo teatrale di venti pagine.
Poi l’abbiamo impaginato e l’abbiamo chiamato Schegge di Liberazione, forse ne avete sentito parlare. L’abbiamo presentato in pubblico il 24 aprile 2010, in un locale di Carpi, con delle letture e dei blogger che erano venuti da mezza Italia per leggere in pubblico i propri pezzi o quelli altrui, o anche solo per vedere cosa stava succedendo.
È andata così bene che ci han chiamati a leggerlo a Bologna, a Milano, a Venezia, Perugia, Roma, Fabriano e anche in una radio. E ogni volta era un continuo conoscerci e rincontrarci, leggere e bere insieme, abbracciarsi e scambiarsi delle gran pacche sulle spalle. Insomma, un ebook e un tour di presentazione, proprio come per i libri veri.

È andata così bene che quest’anno l’abbiamo rifatto, anche se forse è l’ultima volta. Come l’anno scorso, al grido di “Barabba dice 26x1” (l’abbiamo riusato, funzionava) sono arrivati oltre novanta contributi. Solo che stavolta volevamo fare un libro di carta, e novanta contributi, per ragioni fisiche ed economiche (ché noi, come molti di voi, siam di quella schiera che tira un po’ a campare), non ci stavano tutti. Così ne abbiamo selezionati una manciata, e questa manciata, impaginata, stampata e rilegata con un po’ di colla e filo, è quella che avete in mano in questo momento. Non sono necessariamente i migliori, i contributi che state toccando, sono quelli che forse più si adattano al formato, ma non è detto, non siamo mica degli editori. E questo oggetto è solo una delle tante facce di quella cosa chiamata Schegge di Liberazione, quella cosa che un giorno d’aprile del 2010 ci è scoppiata in mano ed è diventata improvvisamente una cosa grande.
Così, come abbiamo fatto l’anno scorso, anche nel 2011 gireremo un po’ l’Italia a leggere questi racconti, quelli nuovi, quelli vecchi e quelli che per i motivi sopra elencati non han potuto profumare di carta – ma li mettiamo in un altro ebook, abbiamo deciso. Anche quest’anno ci ritroveremo in viaggio, chissà dove, ci conosceremo e ci rincontreremo, leggeremo e berremo insieme, ci abbracceremo e ci scambieremo delle gran pacche sulle spalle. E mi vien da dire, e stranamente non m’imbarazza dirlo, che continueremo a fare, nel nostro piccolo, a modo nostro, la nostra parte. Partigiani.

(Marco Manicardi “Many”, 25 aprile 2011, Introduzione a Schegge di Liberazione, Barabba Edizioni, 2011)
Schegge di Liberazione, quello di carta, esce oggi in circa 500 copie, lo presentiamo ufficialmente fra qualche ora all'ex Campo di concentramento di Fossoli e stasera al Mattatoio di Carpi. Potete venire a trovarci quando lo leggiamo dal vivo e prenderlo lì al nostro barabbanchetto o potere ordinarlo mandando una mail a marcomncrd chiocciola gmail punto com, scrivendoci quante copie ne volete e l'indirizzo a cui spedirle, se volete che ve le spediamo, finché non finisce, s'intende.

Come dicono dalle nostre parti, ci ride anche il culo. Buon 25 aprile.

domenica 24 aprile 2011

Schegge di Liberazione: un ebook

Vogliamo fare come quella famosa band, che un giorno prima dell'uscita ufficiale del nuovo disco ha pubblicato online la versione digitale e preso i fan in contropiede. E così eccovi Schegge di Liberazione, quello nuovo, con le sue centosessanta pagine elettriche e i suoi ventinove racconti selezionati con fatica tra più di novanta contributi arrivati in tre mesi scarsi, da gennaio a marzo, alla redazione di Barabba.

Schegge di Liberazione, l'ebook, si scarica gratuitamente da questa pagina (in pdf, epub e mobi). Il libro di carta, invece, esce domani, e lo leggiamo dal vivo all'ex Campo di concentramento di Fossoli.

Buona Pasqua a chi ci crede. Buon 25 aprile a tutti.

sabato 23 aprile 2011

Non come intorno a quell'altro

Era un uomo di circa trent'anni, di corporatura robusta, ma dal colorito terreo; aveva la barba rossiccia e i capelli neri. Le sopracciglia erano anche esse nere, e gli occhi molto infossati, come se lo sguardo avesse quasi voluto celarsi. Sotto un occhio aveva una cicatrice profonda che scompariva tra la barba. Ma l'aspetto esteriore di un uomo non significa molto.
Aveva seguito la turba attraverso le strade, fin dal Pretorio; ma a distanza, un po' dietro gli altri, e quando il Rabbi, stremato, era stramazzato sotto la sua croce, si era fermato un momento; era rimasto là per non giungere dove stava, a terra, la croce; così quelli avevano preso quel Simone in vece sua, e lo avevano costretto a portarla. Gli uomini non erano molti, nel gruppo, oltre i soldati romani, s'intende; erano in gran parte donne quelle che accompagnavano il condannato a morte e c'era, con esse, una brigata di ragazzi che non mancavano mai quando qualcuno veniva condotto alla crocifissione attraverso le loro strade, e consideravano questo come un passatempo. Ma ben presto si erano stancati e avevano fatto ritorno ai loro giuochi, dopo avere gettato uno sguardo all'uomo che camminava dietro gli altri e aveva una lunga cicatrice attraverso una guancia.
Adesso egli era là, sul colle del supplizio e guardava colui che era appeso alla croce di mezzo, e non riusciva a staccare gli occhi da lui. Per la verità, egli non aveva affatto avuto l'intenzione di salire con gli altri fin lì, perché qui era tutto immondo, pieno di contagio, e quando si giungeva in quel luogo funesto e solenne, certo qualche cosa di noi rimaneva lassù, e si poteva essere costretti a farvi ritorno, per non uscirne, allora, mai più. Teschi e ossame giacevano sparpagliati dappertutto, e croci cadute e a metà marcite che non potevano più essere adoperate, ma che tuttavia non erano state rimosse, perché nessuno voleva toccare alcunché di questo luogo.
Perché si trovava là? Lui non conosceva quell'uomo, non aveva nulla da spartire con quell'uomo. Che cosa aveva da fare sul Golgota, lui che era stato assolto?
La testa di quel crocifisso si era reclinata in basso, ed egli respirava pesantemente; non poteva averne ancora per molto. Non era un individuo robusto. Il suo corpo era magro e gracile, le braccia sottili come se mai fossero state adoperate per fare qualche cosa. Un uomo strano, era. La sua barba era rada e il petto affatto privo di peli, come quello di un adolescente. Non gli sembrava un gran che.
[...] Quelli che stavano lassù, radunati intorno alla croce, forse che avevano bisogno di restarvi? A meno che essi stessi lo avessero voluto. Nessuno certo li obbligava ad andare anch'essi lassù a contagiarsi con l'impurità. Ma, senza dubbio, erano dei parenti o degli intimi amici di quello. Strano che non sembrassero avere affatto timore di contaminarsi! Quella donna era, certo, sua madre. Sebbene non gli rassomigliasse. Ma chi poteva rassomigliargli? Lei sembrava una contadina, arcigna e rozza, e ogni tanto si passava il dorso della mano sulla bocca e sul naso che colava, perché lei era sul punto di piangere. Ma non piangeva. Non era addolorata alla stessa maniera degli altri, e non guardava lui nello stesso modo degli altri. Certo era sua madre. Probabilmente sentiva una immensa pietà di lui; ma sembrava anche che lo rimproverasse di essere appeso lassù, come se lui avesse fatto di tutto per essere crocifisso.
[...] Per parte sua, Barabba, non aveva madre, né padre del resto; non aveva mai sentito parlare di loro. E neppure parenti, almeno che lui sapesse. Così se fosse stato lui ad essere crocifisso non ci sarebbero stati tanti lamenti. Non come intorno a quell'altro.

(Pär Lagerkvist, Barabba, Gherardo Casini Editore, 1951, cap. I)

venerdì 22 aprile 2011

Cicatrici: Metal detector (mi sa che domani piove)

[riceviamo e pubblichiamo orgogliosamente la cicatrice di Sergio Pilu, che molti chiamano "[SirSquonk]", altri "maestro"]

(Posizione)
Un po' dappertutto.

(Cause)
Sei mai saltato su una bomba? Non credo. Voglio dire, di solito se ti capita poi non hai la possibilità di raccontarlo. Di solito. Qualche volta però succede. Ti serve tanto tempo per poterne parlare: un po’ perché non vuoi, un po’ perché non puoi: sai, se ti chini su una borsa di pelle nera e quella fa boom è difficile che tu non ne abbia danni. Passa il tempo, passano gli anni, e a volte ti sorprendi a contarti le cicatrici. Quelle esterne, sulla pelle: le cicatrici delle ferite dell’esplosione, e quelle delle cento operazioni che ti hanno fatto per tenerti in vita. Quelle interne, che ti stanno nella testa e in un altro posto che non sai indicare ma senti che c’è – qualcuno la chiama anima, non so se hai presente – e che a volte fanno male come le ossa ricomposte dopo una frattura quando cambia il tempo e sta per arrivare la pioggia: quelle lì sono brutte, ti ricordano la vita che avevi e ti fanno pensare a quella che non hai avuto, che non hai potuto avere. Poi ci sono delle cicatrici strane, che non so come spiegarti. Il fatto è che dipendono da com’era fatta la bomba. Se questa stava dentro una pentola a pressione, ad esempio, e dopo lo scoppio hai la discutibile fortuna di rimanere vivo, ti ritrovi il corpo pieno di schegge microscopiche, piccolissimi pezzetti di ferro, di acciaio, di diosolosacosa che ti si ficcano nella carne e sono troppo piccoli per esserne tirati fuori. Ti ricordi San Sebastiano? Sì? Ecco, qualcosa del genere. A volte, molti anni dopo quell’istante nel quale ti è cambiata la vita ti capita di prendere un aereo, fare il check-in, e poi la coda ai controlli di sicurezza, prendi la vaschetta e ci riversi dentro monete e telefono e cinture, fai due passi e senti il fischio dell’allarme, allora sospiri e dici al poliziotto che hai un foglio da mostrargli, sta nella borsa che è ancora sul nastro, vicino alla camicia e allo spazzolino da denti, il foglio firmato dal chirurgo che dice al poliziotto di farmi passare, che non sono pericoloso, che sì ho a che fare con le bombe ma come bersaglio, che suono perché ho tanti pezzetti di una pentola a pressione conficcati dappertutto, là dentro. Adesso vado a riposare un po’, se non ti dispiace, ché ho i miei dolori – e anche se sono abituato non è che facciano meno male: è primavera, il tempo cambia spesso, mi sa che domani piove.

(Conseguenze)
C'è un 90% di vero. Io ho aggiunto solo la cosa del metal detector, che credo di aver ascoltato ma non sicuro perché avevo 12-13 anni. L'uomo che saltò sulla bomba era (è) il cugino di mia madre.

di Sergio Pilu "[SirSquonk]"

giovedì 21 aprile 2011

Schegge di Liberazione: Esce il 25 aprile

Faccio un'ultima volta il mio esame di coscienza. È positivo.
(Carpi, Museo al deportato)
Schegge di Liberazione 2011, con questa copertina qui e con dentro quella gente , lo presentiamo lunedì all'ex Campo di concentramento di Fossoli, che una volta era così, ma oggi, per fortuna, è anche così.

martedì 19 aprile 2011

Trucchi della borghesia (6)

I fiori finti.

Cicatrici: L'amore, le cicatrici, le fa mica solo al cuore

[riceviamo e pubblichiamo la cicatrice di Fabrizio Gabrielli, uno scrittore, dicono]

(Posizione)
Sotto i capelli, nella zona parietale destra, lunga centimetri sèi, orientata a NNE.

(Cause)
L'amore, l'amore le cicatrici le fa nel cuore, ti dicon da sbarbèllo. Ché non è mica mai questione di cerebro, l'amore, continuano che sei già più smaliziato e ci credi cicca, poco così. Se è ròba di cervello c'è il calcolo, la convenienza, lo strategismo, l'imparanoiata del sabato notte.
Pigliala di stomaco, insomma, non di testa, l'ammonimento.
Scavezzacollo, io, poi: mai, neppure da giovanèrrimo. Che poi uno scavezzacollo, polisemia portami via, non è pure quel dirupo ripidissimo, precipizio sul baratro, discesa che se non t'appigli alle radici ruzzoli rovinoso? Ecco, quel tipo di rovinare sì, ci son stato dentro pur'io, ventidueanni e l'amour fou, i pomeriggi ad imballare panini al macdonald e le mattine a guidare i furgoncini dei dializzati, undici euro a turno in ambo i casi, ventidue al giorno che se me li metto da parte magari le faccio pure un bel regalo, per i suoi diciotto anni; stiamo insieme da tre e già è chiarissimo, che s'è persa la testa l'uno per l'altra.
Scavezzacollo in anglico si dice daredevil, c'è di mezzo il diavolo, tentatore che ci lancia la disfida; stiamo addobbando la sala nella quale tra poco i tuoi dread e i tuoi tacchi attireranno auguri ed abbracci; uno sguardo, due; un friccicòre, due; corriamo dentro, andiamo a baciarci, baciarci coi demoni nudi dentro, corri che t'acchiappo, ti prendo sai. E invece piglio la traversa, la traversa della porta e le gambe vanno avanti mentre la testa rimane là, ecco cosa vuol dire allora perdere la testa, penso. C'è sangue, sangue ovunque; mettere i polsi sotto l'acqua fredda per non svenire è un altro lascito del servizio civile: il pullmino dei dializzati, undici euro al giorno e sapere come comportarsi quando ti tagli a fondo la testa.
M'ha steso la passione, a me.
Per Càppa O tecnico.
Ai punti, ai punti c'han pensato le infermiere poco più tardi.

(Conseguenze)
Ho capito che l'amore, le cicatrici, le fa mica solo nel cuore.
Seh, dicon le tinègier alle quali lo racconto.
E infatti, alla sua festa dei diciotto anni, poi, i veri protagonisti siam stati io, l'incidente buffo e la cicatrice sulla testa. Non me lo perdonerò mai, averla messa in ombra.
A questo punto le tinègier sospirano, sempre.

di Fabrizio Gabrielli

lunedì 18 aprile 2011

Biografie essenziali (110)

Guy Debord, che odiava tantissimo la società dello spettacolo, se n'è andato col botto.

domenica 17 aprile 2011

Non c'entra niente

Stasera la luna era così luminosa, che quando le nuvole le passavano davanti sembrava che le passassero dietro.

sabato 16 aprile 2011

Cicatrici: La fame ha fatto anche le guerre

[riceviamo e pubblichiamo la cicatrice di Massimiliano Calamelli detto "mc"]

(Posizione)
Varie. Le più evidenti sono due, una tipo quella di un taglio cesareo, ma un po’ più su, l’altra, a forma di stella o asterisco, guardi lo sterno poi sali di qualche centimentro, e di altrettanto ti sposti alla tua destra, verso il cuore.

(Cause)
Aganglìa colica totale.
È una malattia genetica, e vuol dire che una parte dell’intestino non ha le terminazioni nervose che consentono i movimenti peristaltici, quindi le feci non scendono, stanno ferme nel colon e fanno grossi danni. Per fortuna si risolve: ti interrompono il tratto intestinale poco prima che l’ileo diventi colon, porti una ileostomia per qualche mese, poi ritorni in sala operatoria per finire il lavoro, ti ritrovi senza colon e un pezzetto di ileo, e con lavoro di taglia&cuci da paura, interno, per fortuna, riesci ad andare di corpo più o meno come il resto del mondo. Certo, c’è da patire un po’ durante l’anno successivo, ma è una cosa che alla fine puoi raccontare. La cicatrice in basso è causata dal secondo intervento, quello di asportazione, mentre quella più in alto deriva da un catetere venoso centrale, per rendere più semplici prelievi, trafusioni e flebo, necessario perché il fisico è molto molto provato.

(Conseguenze)
A parte il primo anno, difficile, le conseguenze non sono molte, perché il corpo di un bambino possiede capacità di adattamento e trasformazione incredibili. E lei, quando è successo, aveva appena un anno. Ah, si, non l’ho detto, le cicatrici in questione non sono le mie, ma quelle che si porta addosso mia figlia. Le mie, e quelle della mamma, non le vedi, ma garantisco che ci sono, grosse e profonde, e fanno ancora un male da morire. La frase usata come titolo è quella che pronunciò una delle tante volte il pediatra di fronte alla nostra sensazione che F. non stesse bene: ci ha sempre ignorati, il bastardo, e le cose, prese per tempo, avrebbero potuto essere più semplici. Mi è capitato spesso di incrociarlo, in giro, e non gli ho dato un pugno in faccia solo perché sono un buon uomo.

di Massimiliano Calamelli "mc"

venerdì 15 aprile 2011

Patchouli

Corro a casa col sorrisone stampato in faccia e tiro fuori il disco. Puzza. Diobono, mamma, senti che puzza, accidenti, ecco perché costava meno. Mia madre prende il disco e ride. Non è puzza, è patchouli, si vede che a Madonna piace il patchouli. Ci rimango di sasso. Era il primo disco che compravo con i miei soldi. E puzzava. Cinque mila lire per Like a Prayer con il taglietto in alto a destra (la marchiatura impietosa dello scaffale delle offerte) e la puzza del patchouli.
Mi avevano appena regalato lo stereo, vale a dire un monoblocco con il giradischi in alto e la doppia cassetta in basso, una meraviglia che mi avrebbe permesso di doppiare le cassette e registrare addirittura da vinile a cassetta. Il lettore cd sarebbe arrivato un paio d’anni più tardi, ma senza meraviglia. Non ci potevi fare niente col cd, niente che non potessi già fare con le cassette. I cd, poi, costavano una cifra. Il vinile invece era il massimo, perché la copertina era più grande e faceva bella mostra di sè in cameretta. Guarda che dita tozze che ha Madonna, al diavolo lei e il patchouli.
Ce l’ho ancora, quel disco, con un bel graffio sulla prima traccia, un graffio che sta lì a ricordarmi le domeniche mattina passate a ballare in mutande con mia madre. Sempre la stessa canzone. Cinque o sei volte almeno.
Avevo la fortuna di abitare in una cittadina provvista di fonoteca. Si può dire che la fonoteca fosse il mio doposcuola. Ero sempre là dentro, dall’apertura alla chiusura. Sceglievo il cd, mi mettevo le cuffie e via così per quattro ore. Se il disco valeva l’acquisto mi sarei fermata da Tosi Dischi, mi sarei fatta due conti in tasca e l’unico pensiero della settimana sarebbe stato se prendere questo o quello. Un disco era una scelta, se ne prendevo uno avrei rinunciato a un altro, almeno per un po’. Il Baffo mi aiutava molto in questa scelta. Andavo alla cassa con due dischi e lui mi diceva, prendi quello lì, l’altro te lo faccio ribassato tra una settimana. Affare fatto. Il giorno che comprai la colonna sonora di The Doors al posto di Dangerous il Baffo mi fece un mezzo sorriso. Stiamo facendo progressi, fu il suo commento. Non l’avrei più comprato, Dangerous. Io non lo sapevo, ma il Baffo sì.
Tosi Dischi di lì a poco sostituì la fonoteca. Potevo chiedere consigli, questi chi sono, cosa fanno, bella copertina. Potevo guardare la gente entrare e scommettere sul disco che avrebbero comprato. Mi piaceva assistere alla sistemazione degli scaffali, i vinili che lentamente sparivano e gli espositori dei cd che si moltiplicavano. E la prima settimana dell’aprile del 1994 mi ricordo bene il gran via vai nel negozio. Me ne stavo in un angolo ad ascoltare i commenti sulla morte di Kurt Cobain, rodendomi l’anima per non avere avuto il permesso di andare al concerto. Ci vai poi la prossima volta, diceva la mamma. Eh, proprio. Al diavolo Kurt Cobain e i cantanti che si ammazzano.

Stanotte ho sognato tantissimo (1)

Eravamo Marco e io a Casacalenda, in campagna. Stavamo seduti attorno al tavolo della cucina, su due sedie bianche, uno di fronte all'altra. Era estate e tenevamo le finestre aperte con gli scuri semichiusi. Marco era di ritorno da un viaggio in Russia, mi raccontava le cose con gli occhi ingigantiti, quelli delle persone che tornano dai viaggi in cui - si capisce subito - vedono cose nuove, incontrano persone a cui scrivere al ritorno o con cui fare due chiacchiere mentre si è lì.

In Russia c'è della gente magari un po' schiva ma che attorno a un tavolo si scioglie. Molti non sanno cos'è la mortadella, pensa te. E poi c'era la signora della pensione in cui ho dormito, una signora magra e bionda, coi capelli raccolti quasi sempre e gli occhi azzurri. Era simpatica. Aveva una matrioska dipinta a mano sulla mensola della cucina; l'avevo notata subito, fin dalla prima colazione, la guardavo per qualche minuto, poi cominciavo a mangiare, mi attraeva: aveva gli occhi disegnati che non sembravamo incassati, non so se mi sono spiegato.
Sì.
Una mattina lei mi ha detto: L'ho fatta io, sa? E io: A mano? E lei: Sì, sì. Mentre ero in un lager. L'ho fatta per regalarla a qualcuno un giorno. La vuole? Gliela regalo. E io mi sono sentito di avere chiesto una cosa senza volerlo, solo guardandola, e senza che lei volesse per davvero, mi era sembrata cortesia allora le ho detto di no, non doveva, era una cosa preziosa, faceva niente. E lei poi si è fermata due minuti e ha continuato: L'ho fatta apposta per darla a qualcuno, gliela regalo volentieri. Adesso anche lei sa questa storia, se la può portare dietro dove vuole. O la lascia nella sua cucina. Ce l'ha una cucina in Italia? E io: Sì sì ce l'ho, è piccolina, ma ce l'ho. Così l'ho presa. E niente, quindi adesso te la regalo.
Ma come?
Eh sì, dai: è il regalo del viaggio. C'è scritta una roba per te. Non l'ho scritta io, l'ha scritta lei, l'ho notata mentre te la incartavo. È buona questa marmellata sul pane, sai? Secondo me è scritta per te non per me: davvero.

Le persone felici godono della malinconia. Diceva così.

giovedì 14 aprile 2011

Mi recordo

Non ci avevo mai pensato, ma record, in inglese, sembra quasi ricordo, in italiano. E visto che s'avvicina il Record Store Day ci ho pensato e dei negozi di dischi, di uno, in particolare, qualcosa mi ricordo.

Mi ricordo il primo disco che ho comprato, era una cassetta e si chiamava “La mia moto”.
Mi ricordo anche il secondo, un disco vero, “Gente come noi”, perché qualche giorno prima il cantante di quel gruppo mi sfregò una mano sulla testa mentre mangiavo un ghiacciolo all'amarena.
Mi ricordo che Augusto morì, e morì male, l'anno dopo.
Mi ricordo i dischi regalati dagli amici in prima media, per il compleanno,“Fear Of The Dark” e "Terremoto", e mi ricordo la sbandata per quei suoni chitarrosi.
Mi ricordo, per esempio, il chiodo che comprai con le cinquantamila lire che mia bisnonna, la Bionda, mi aveva regalato per Natale.
Mi ricordo il mio paese senza negozi di dischi, e dovevo fare quindici chilometri per comprarne uno, prima con la macchina e la mamma, poi con la corriera, poi col motorino e alla fine con la macchina, da solo, senza mamma.
Mi ricordo che ci lavorava Cisco, in quel negozio lì, lavorava con la musica per vivere, prima ancora di vivere di musica e non lavorare.
Mi ricordo le bustine gialle con sopra il nome del negozio e mia madre che diceva Come son comode, queste bustine gialle, per raccogliere le merde del tuo cane.
Mi ricordo che andavo là tutti i sabati dell'anno, sgarrando solo nei festivi.
Mi ricordo la scelta faticosa dell'unico disco su cui buttare la paghetta; avevo una regola ferrea: parto dalla A e compro un disco di un gruppo con la A, sabato prossimo la B, e così via per poi ricominciare ventisei sabati dopo.
Mi ricordo il sorriso circondato dai baffoni del proprietario, c'era la fila per pagare i Take That e io ero in fila col mio disco, in mezzo agli altri, ma quel sorriso lo fece solo a me quando vide che stringevo “Marquee Moon”.
Mi ricordo che anni dopo, ero già grande, lui mi disse Hai comprato un bel po' di classici, qui da noi.
Mi ricordo che risposi Spero di comprarne anche degli altri, di classici, qui da voi.
Mi ricordo il disco di suo figlio, È il suo gruppo, mi diceva, ma hanno un nome strano: Offlaga Disco Pax.
Mi ricordo quando feci un disco io; Se me lo porti lo vendiamo volentieri. Ma è un disco gratis, rispondevo, si scarica da internet, e dentro mi sentivo un traditore.
Mi ricordo la chiusura del negozio, dopo trent'anni, quando anch'io, per puro caso, proprio quell'anno, ero un trentenne.
Mi ricordo che quel giorno comprai “The Stuff That Dreams Are Made Of”, la materia di cui son fatti i sogni, ma era il giorno della fine, della fine dei suoi sogni.
Mi ricordo di un paese in cui ero andato ad abitare per amore, un paese rimasto senza negozio di dischi, all'improvviso, senza nessuno da incolpare.
Mi ricordo la scritta sul muro di fianco alla saracinesca abbassata per sempre, diceva: Tua Madre.
Mi ricordo, non l'avevo scritto io.

Se cerchi “Tosi Dischi Carpi” su google maps ti dice che lo trovi in via Paolo Guaitoli 3. Ma non è vero, non c'è più. C'è solo il mio scaffale del salotto, coi suoi otto scomparti pieni fino a strabordare di sabati tondi e lucidi, di piatti colorati, di musica e passione in ordine alfabetico, e insomma, come dire, di recordi. *

Sigarette spente (4)

Stamattina mi sono svegliata alle 5:30, pensando tra me e me che l'ultima volta che mi sono alzata così presto forse c'erano ancora le lire, l'altro papa, Napster, i New Radicals.
Di solito alle 5:30 è più facile che io vada a dormire, piuttosto che alzarmi, e questo da sempre. Lo facevo perfino quando ero ancora a bordo della mia mamma, che poverina continua a raccontare di gran balli con cui la svegliavo tutte le notti. Ritmo circadiano, bioritmo, orologio biologico: non saprei dire bene. Quello che so è che quando vedo le prime luci del mattino e sento i primi rumori, tipo la mia vicina che alza le tapparelle e inizia le sue faccende, tipo le sveglie dei condomini, tipo gli uccellini, allora mi sento protetta, sento tutto un mondo pronto a vegliare sul mio sonno e a renderlo più profondo, più sicuro. Mi addormento contenta.
Stanotte invece mi sono addormentata un po' agitata, perché ieri sera avrei dovuto prendere dei biglietti del treno per me e per i miei amici, dei biglietti in offerta, quindi limitatissimi, ma poi per vari disguidi non ci sono riuscita. Sono arrivata in stazione alle 21:30, ma sulla stessa biglietteria che il sito di Trenitalia dice "aperta dalle 5 alle 22" troneggiava un cartello con scritto "aperta dalle 6 alle 21". Sono tornata a casa in bici senza cantare nemmeno una canzone, dinamica che da sempre denota evidenti anomalie nel mio umore. Dopo ho provato a telefonare a quel numero che il sito di Trenitalia dice "attivo 24 ore su 24", ma al sesto invito a riagganciare perché "ci scusiamo ma al momento tutti gli operatori sono occupati" ho detto delle parole senza grazia e mi sono messa a stirare. Che anche stirare, sinceramente, l'ultima volta che ho stirato, se non c'erano le lire, l'altro papa, Napster e i New Radicals, comunque era tanto tempo fa lo stesso. Ho finito alle 3.
Ho provato a dormire, ma mi suonava in testa Anima mia, dei Cugini di Campagna, pezzo che mi suona sempre in testa quando sono fuori fase, triste, o agitata, o disperata. Stanotte ero solo agitata.
Allora ho letto delle poesie di Alda Merini, poi ho riprovato a dormire. Ancora Anima mia. Ancora poesie.
L'ultima volta che ho guardato la radiosveglia c'era scritto 4:10, quindi credo di aver dormito su per giù un'ora, che per me, che ne dormo solitamente dalle dieci alle dodici, è pochino. Eppure, come niente fosse: sai l'adreanlina? Ecco, io stamattina alle 5:30 ero circa 60 kg di adrenalina, credo.
Sono uscita a prendere la bici e c'era una luce che avevo dimenticato. La luce dell'alba che vedi appena ti svegli è diversa dalla luce dell'alba che vedi prima di addormentarti: tu sei meno appannato e lei è più forte; non è più il tuo spegnerti a dominare, ma il suo accendersi; le traiettorie dei sensi e dei colori sono opposte. Anche gli odori mi sono sembrati nuovi: tanti, intensi, adesso che non fumo più poi, lo smog mi pareva insopportabile e mi sono coperta la bocca e il naso con una mano. L'ho tolta solo in via Irma Bandiera, perché lì, davanti alla lapide, ho tirato il solito bacino e mi sono sfiorata il cuore. Lo faccio anche davanti a San Petronio e davanti al camposanto dove sta mio nonno, tra gli altri posti, che poi sono parecchi, perché a dirla tutta a me piace tirare bacini e sfiorarmi il cuore.
E insomma, tutto bene: vado in stazione e i biglietti ci sono ancora. Li compro, poi mi informo se ne restano anche per altri amici che non hanno ancora deciso se unirsi al viaggio. Li avviso per mail dal mio nuovo cellulare smanettone, riprendo la bici e canto fino al bar Billi, dove entro per fare colazione.
Per chi non lo sa, il bar Billi è un posto in cui, mentre prendi un caffè molto alto, per esempio, può capitarti che una signora sull'ottantina, con la tinta blu e lo sguardo gentile, ti si avvicini e ti dica: "Ma lei, signorina, lo sa cosa ci vuole per far buona buona una torta? Io, c'è questa torta, che la faceva mia nonna, e io ci provo da una vita a rifarla uguale, la faccio tutta come diceva lei, gli ingredienti, il modo, il forno, tutto uguale, eppure... E lei lo sa perché non ci riesco? Glielo dico io signorina: perché mia nonna in realtà ci aveva un ingrediente suo tutto speciale, perché lei si alzava di notte per farla e quell'ingrediente lì, difatti, signorina, era il silenzio quell'ingrediente lì".
Ecco, adesso io sono a casa e a poter scrivere queste cose mi sento una persona fortunata, una persona benedetta dalla fortuna. Poi ora non c'è il silenzio per fare buona buona una torta, ma ci sono i muratori che fischiettano, gli uccellini, le tapparelle della mia vicina alzate et cette merveilleuse sensation que le mieux doit encore venir.
Grazie, mi addormento contenta. Buonanotte.

mercoledì 13 aprile 2011

Cicatrici: In posizione di riposo

(Posizione)
Polso sinistro.

(Cause)
Sono al decimo giorno di servizio militare nel Centro Addestramento Reclute del I Reggimento Fanteria San Giusto di Trieste. Ci stanno insegnando la propedeutica al tiro. Perché quando a militare vai a sparare, mica lo puoi fare come tutte le persone normali, che prendi una roba e spari. No, prima ti devono dire un sacco di cose e obbligare a fare un sacco di altre cose che tolgono la parte divertente a una seduta al poligono militare.

È agosto del 1993 e fa un caldo infame, siamo tutti implotonati in piazza d'armi con la mimetica ben allacciata, e a militare devi fare tutto quello che ti dicono, senza chiedere perché. Lo fai e basta, è un ordine. Se contesti sono cazzi. Questo lo capisci subito, ordine e insubordinazione funzionano alla grande: impari a farti i cazzi tuoi, a non contestare e se proprio vuoi qualcosa dovrai ottenerlo di nascosto, truccando le carte qui e là, corrompendo qualcuno e se hai i mezzi per impaurirlo con la forza userai quelli. Insomma, è come la criminalità organizzata solo con le divise tutte uguali. Sei giorni prima, durante le visite mediche, stiamo TRE ORE in posizione di riposo (che non vuol dire che ti riposi, vuol dire che devi stare a gambe un po' allargate e le braccia dietro la schiena, con la mano destra che stringe a pugno il polso sinistro. Busto dritto, capito? Busto dritto, RECLUTAAAA, BUSTO DRITTO CAZZOOO!), dicevo tre ore in posizione di riposo sotto la randa del sole. Senza bere, ci avevano anche fatto una puntura il cui scopo non ci diranno MAI. Un ragazzo di Parma sviene. Altri due arrivano al limite. Io resisto ma è dura. Nei primi quindici giorni, fino al giuramento, perderò sette chili e mi manderanno dallo psicologo.

Comunque, stiamo facendo propedeutica al tiro, sono dieci giorni che sento solo gente che urla in faccia e insulta a caso me e i miei commilitoni e quindi diamo retta a ogni cosa anche se ci fanno fare delle stronzate. Siamo sul riposo, implotonati. Per NESSUN MOTIVO si deve uscire dai ranghi, ce lo hanno detto mille volte. Così quando sento sussurrarmi da quello dietro di me "Fiorveluti, hai un'ape sul braccio" mi agito. Ho una paura fottuta delle api. Sento il pizzico e mi fa male, ma non dico nulla. Quello dietro di me continua a sussurrare "Fiorveluti, ti si sta gonfiando il braccio e l'ape È ANCORA Lì E NON SI MUOVE". Resisto per circa cinque minuti, fin quando non danno l'ordine di "sedersi per tempi" e ci dicono che siamo liberi e che in tre alla volta possiamo andare a bere un goccio d'acqua. Mi guardo il braccio. L'ape c'è ancora e tutto il braccio sinistro è GONFIO come se qualcuno ci avesse pompato aria con un compressore.

Butto via l'ape con un cricco, stacco il pungiglione e urlo "COMANDI" per segnalare che desidero essere ascoltato. Il sottoufficiale mi chiama, vede il mio braccio e in veneto dice "Accidenti, ma che braccio gonfio. Cosa è stato?" (Non dice proprio accidenti). Vado a bagnarmi e rapidamente il braccio si sgonfia. Dove prima c'era l'ape, c'è un BUCO che lascia il posto nei giorni seguenti a una crosta e poi a una cicatrice.

(Conseguenze)
Uno dei periodi più divertenti della mia vita è stato l'anno passato a militare. Uno dei periodi più paranoico-depressivi della mia vita è stato l'anno passato a militare. Il militare lo consiglierei a tutti perché fa bene. Il militare è assurdo e non serve proprio a niente, è un anno buttato nel cesso. Ogni frase che ho appena scritto la penso con una convinzione incrollabile.
La cicatrice è quasi invisibile, ormai. Il 6 agosto 1994 mi sono congedato.

martedì 12 aprile 2011

Biografie essenziali (109)

Isaac Asimov ha passato la vita a immaginarsi i rapporti tra uomo e robot, forse senza mai considerare la doverosa possibilità di un arrocco.

Biografie essenziali (108)

Jurij Alekseevič Gagarin, a ventisette anni, guardava tutti dall'alto in basso.

Biografie essenziali (107 o 94bis)

Boris Vian è nato un giorno di sciopero fuori dal reparto maternità.
È stato seppellito dai suoi amici durante un giorno di sciopero delle onoranze funebri.
Il suo Autunno a Pechino non è ambientato in Cina.
Tutto torna.

lunedì 11 aprile 2011

Cicatrici: Canne

[riceviamo e pubblichiamo la cicatrice di "Reloj"]

(Posizione)
Pollice della mano destra: polpastrello.

(Cause)
Storie di cappa e di spada.
C'era mia cugina, io ho una cugina più piccola di me, che giocava solo con le pentoline finte e le bambole. A volte, se ero convincente, giocava con me a Lady Oscar (dovevo per forza dire Lady o Principessa, nell'opera di convinzione, se no lei non giocava), con i bastoni a fare le spade. Quel giorno avevamo preso, invece dei bastoni che fanno male alle nocche, fanno malissimo, avevamo preso le canne: le canne le prendi quando non ti vedono: perché i babbi non vogliono che tu prenda le canne, mai, a nessuna età.

Allora avevamo preso le canne e Lady Oscar aveva dato un colpo alla mia canna che più che un colpo da Lady Oscar era un colpo da Conan il Barbaro: e la mia canna si era rotta, e mi aveva fatto, strisciando, un taglio dritto: perpendicolare ai solchi delle impronte digitali. Mai visto tanto sangue in vita mia: non faceva male però usciva sangue, sangue, sangue, litri di sangue: ma la cosa più importante è che l'impronta digitale è andata perduta per sempre.

(Conseguenze)
Il taglio divide la parte destra del polpastrello da quella sinistra, e non coincidono più: in tutto quel fluire di sangue io pensavo alla mia identità perduta, e pensavo: adesso muoio dissanguata e non mi riconoscono e mi buttano in qualche discarica. Poi è arrivata una mano, o forse due, mi ha preso la canna, mia cugina piangeva, e poi c'ero io che guardavo il sangue colare nel secchio blu del rubinetto del cortile, mischiarsi con l'acqua e diluirsi, fino a sparire.

di "Reloj"

venerdì 8 aprile 2011

L'odore della... carta

Me l'è trent'ann ch'a chégh cumé un arlòzz, ha detto un giorno il romagnolo Nino Pedretti al suo amico romagnolo Raffaello Baldini. E Baldini gli ha chiesto subito, a Pedretti: Questo verso me lo regaleresti? Pedretti ha risposto Sì, sì, prendilo pure; e Baldini ci ha scritto un pezzo intitolato Cuntantèrs, che vuol dire accontentarsi. Questa cosa l'ho scoperta ne La matematica è scolpita nel granito, il primo ebook che mi è capitato di leggere.

Eh, anch'io, poi, ho pensato, è trent'anni che vado di corpo regolarmente, come si dice, anche se di anni ne ho poi solo trentadue, ma nelle mie cose son sempre stato regolarissimo. E ho scoperto che è un po' di tempo che mentre faccio quello che devo fare, puntualmente, come un orologio, non sto più lì a leggere dei giornali o delle riviste musicali, come facevo fino a poco tempo fa, ma leggo dei libri. Più precisamente leggo degli ebook, il primo è stato appunto La matematica è scolpita nel granito, di Paolo Nori, pubblicato dai Sugamàn, che da noi vuol dire Asciugamano, cioè si dice di persona che ha la testa nelle nuvole e non fa le cose che deve fare, mica per cattiveria, solo perché è un asciugamano. E di asciugamani, ho pensato poi, ce ne ho sempre un bel numero lì intorno, quando leggo degli ebook.

Il secondo ebook che ho letto, l'ho finito qualche ora fa, puntualmente, come un orologio, era Kammerspiel di Paolo Colagrande, edizioni Alet. Che con La matematica è scolpita nel granito, dove l'iPhone segna 488 pagine ognuna delle quali grande come lo schermo, si fa anche presto, ma con Kammerspiel, che di pagine ne ha 840, ci ho messo dei mesi, qualche pagina al giorno, come un orologio, per un bel po' di giorni. E sarà che in quei momenti la concentrazione sale, ma le cose che leggo negli ebook me le ricordo meglio e le sottolineo subito, con l'iPhone che me le salva e me le rende disponibili alla bisogna. Tipo quando ho letto questo:
"E siccome bisogna battere il ferro finché è caldo, approfitterò ora per dire che lo stesso discorso del fiume vale per la via Emilia, celebre strada consolare di Marco Emilio Lepido console romano avversario politico di Quinto Lutazio Catulo. Perché purtroppo in queste terre orgogliose golenali va di moda a tutti i livelli sociali economici ideologici idrogeologici dire la via Emilia di qua, e la via Emilia di là, e la via Emilia e Hollywood, e la via Emilia e il Far West, e la via Emilia e la California, e la via Emilia e Nashville, e la via Emilia e Memphis, la via Emilia e la statale diciassette lungo nastro di catrame, figli della via Emilia, abbiam pianto sulla via Emilia, abbiamo amato sulla via Emilia, abbiam giocato al calcio sulla via Emilia.
Andate a girare, vien voglia di dire, figli e cantori della via Emilia, sulla via Emilia. Provateci, a far tutte quelle cose, amare piangere concepire crossare e dribblare ripartire e fluidificare, sulla via Emilia, se siete capaci, col traffico pesante. Prova te a far la via Emilia la mattina alle otto, vedi te sospirare amare dribblare: ti stirano, sulla via Emilia coi camion a rimorchio che poi passano e ripassano sui brani insanguinati della tua carne effimera; in mezzo all’inquinamento atmosferico e acustico ed elettromagnetico; altro che amare e crossare, e piollare; magari piangere sì, o tirar dei sacramenti, o trapassare, sulla mistica via Emilia. Altro che Hollywood e il Far West.
A me, bisogna che lo dica, la via Emilia, senza nessun risentimento per il console, che avrà anche indovinato a livello pianificazione del territorio e di viabilità, non sto a sindacare, ma la via Emilia devo essere onesto mi fa cagare. E adesso che l’ho detto mi sento più libero. Mi fa cagare la via Emilia e per par condicio mi fan cagare Hollywood e la California e Nashville, anche se non ci son mai stato. Che poi ci si riempie la bocca con questa via Emilia, che invece se Quinto Lutazio Catulo non veniva indagato per reati contro il buon governo cesariano e di conseguenza non cadeva in disgrazia, politicamente parlando, la via Emilia l’avrebbe fatta lui e si chiamerebbe via Lutazia e la feconda regione si chiamerebbe Lutazia-Romagna e l’Appennino tosco emiliano si chiamerebbe lutazio-toscano e la rigogliosa città di Reggio Emilia si chiamerebbe Reggio in Lutazia; e il console Emilio Lepido, che adesso si dà delle arie per via di tutti i richiami onomastici che lo celebrano, nel panorama storico politico della Roma repubblicana passava da sfigato e i posteri lo ricorderebbero solo marginalmente come quello sconfitto dall’insigne Quinto Lutazio Catulo. Anche i nomi propri sarebbero tutti di conseguenza: Emiliano Zapata, rivoluzionario messicano, si chiamerebbe Lutaziano Zapata, Carlo Emilio Gadda, ingegnere e scrittore milanese, si chiamerebbe Carlo Lutazio Gadda, e si chiamerebbe Lutazio anche il protagonista di Senilità di Italo Svevo; e anche la canzone del cantautore direbbe: Vero aperto finto strano chiuso anarchico verdiano brutta razza il lutaziano."
Mi son detto subito Guarda te se non lo leggiamo dal vivo al reading sui centocinquant'anni dell'Unità d'Italia. E infatti l'abbiamo letto. Poi quando ho letto questo:
"Mio nonno Neride diceva che a fare i gesti d’orgoglio si passa sempre da stupidi. Non bisognerebbe farli. Le cose, c’è più gusto a non capirle che a capirle: le volte che ti metti a capirle, e poi magari le capisci, ti si rivoltano contro. Il discorso di Neride Bisi detto in parole povere vuol dire che l’orgoglio è un ottuso gesto di intelligenza, quindi un gesto deleterio perché è attraverso la cosiddetta intelligenza che scivoli nella trappola maligna dell’orgoglio e non sai più cosa fare finché senza volerlo ti ritrovi nascosto dentro qualcuno che non sei più tu ma che ti tocca far finta di essere.
Che è la stessa cosa che dice Ivan Karamazov a suo fratello Aleksej: la stupidità, dice Ivan a suo fratello, è schietta e sbrigativa, l’intelligenza si nasconde. Non so se erano proprio queste le parole letterali, e non so se la citazione è appropriata; ho provato a ricercare la frase nel romanzo ma non son stato buono di ritrovarla, del resto è un libro lunghissimo. Chi la trova può far la correzione, se l’ho sbagliata. Ma il concetto c’è.
Per via dell’orgoglio l’han presa nel polacco gli scienziati, compresi i Premi Nobel come Watson e Crick e Monod, l’ha presa nel polacco il dottor Faust, l’ha presa nel polacco l’angelo ribelle Satana, poi il Pelide Achille, il duecentometrista Tommie Smith e la signora Emma Bovary, per non parlare di come l’han presa nel polacco tutti i filosofi della storia della filosofia e continuano a prenderla adesso. È inutile, dicono pressappoco Neride Bisi e Ivan Karamazov, andare a studiare le cose per l’orgoglio di capire, ribellarsi per l’orgoglio di essere sopra le cose e non sotto, dimostrare che siam tutti più bravi più furbi più capaci, che raggiungiamo quel che vogliamo. Tutto orgoglio. È la stessa cosa che diceva Biagio Pascal che dopo aver studiato tutte le scienze, la matematica la fisica e la filosofia eccetera eccetera, diceva che era uno sforzo inutile: l’uomo è fallibile e provvisorio, dice Biagio Pascal: meglio ammettere la propria miserabilità, invece che appesantirsi di scienza: se l’uomo è debole come un giunco, dice sempre Biagio Pascal, nella natura c’è un essere ancora più debole: un giunco pensante. Anche qui bisogna controllare le parole testuali ma il concetto c’è. Bisognava dirlo a Monod, e anche a Watson e Crick, tutti premi inutilmente Nobel. Tutti giunchi pensanti.
Un pomeriggio di primavera, precisamente il 2 aprile 1974, Neride Bisi aveva l’influenza; intanto che il dottore lo visitava, mio nonno ha detto: guarda te, prendere ancora l’influenza a novantatré anni. L’ha detto a bassa voce tutto in dialetto, qui è tradotto in italiano. Poi ha tirato un sospiro di pazienza e nel tempo che il medico si è girato era già morto. E anche quella volta la terra ha continuato, come stanotte, a girare intorno al sole a centosettemila chilometri all’ora, la luna ha continuato anche lei, come stanotte, a girare intorno alla terra tirandosi dietro tutto il suo equilibrio naturale, biologico, agronomico, idrogeologico eccetera. Neride Bisi non sapeva chi erano Pascal e Dostoevskij: del resto la sua influenza, i soldi, le mie crisi affettive con Zani eccetera sono dei fatti marginali.
Ma sarà poi vero che sono fatti marginali? o avrà ragione lo svedese, a dire che è tutto un universo disgregato? Neride Bisi non sapeva neanche chi era, Strindberg."
Mi è venuto in mente che Colagrande, che l'avevo conosciuto di persona alle riunioni dell'Accalappiacani, ma non sono sicurissimo che lui si ricordi di me, mi è venuto in mente che Colagrande ogni tanto sembra che abbia una prosa da Bianciardi emiliano, anche se forse è un'esagerazione, tanto più che Colagrande è di Piacenza e non è che Piacenza abbia davvero qualcosa a che fare con l'Emilia, ma è una questione annosa che non conta niente.

Però, così, senza esagerare, dopo aver finito Kammerspiel mi è venuta una gran voglia di leggere gli altri libri di Paolo Colagrande, ché non li ho ancora letti e non ci avevo neanche mai pensato. E credo che se uno scrittore ti fa venir voglia di leggere tutti i suoi libri, quando hai appena finito di leggerne uno, beh, sicuro ha fatto quello che doveva fare, quello che dovrebbe fare uno scrittore, cioè scrivere bene.

***

Poi l'altro giorno è uscito il nuovo ebook degli asciugamani, si chiama Restituiscimi il cappotto e l'ha scritto Adrián N. Bravi, un altro di cui so poco e niente. Appena possibile, domani, direi, se non vanno storte delle cose, alla stessa ora di oggi e di ieri, mi sa che lo incomincio.

Cicatrici: I segni fuori

[riceviamo e pubblichiamo la cicatrice di Chiara Tizian, conosciuta anche come, pensa te, "chiaratiz"]

(Posizione)
Il palmo delle mani, più la sinistra della destra, per la verità.

(Cause)
Ho dieci mesi e sono una bambina piccola e leggera e perciò cammino già da un mese: come camminano i bambini piccoli, barcollando un po', appoggiandosi quando trovano un appiglio, aggrappandosi alle gambe dei grandi quando serve.
Forse è domenica, anzi no, una festa nazionale, la mamma ha messo in forno una torta e probabilmente non è ancora abituata al pensiero che io cammino.

Quando la mamma è in cucina voglio stare in cucina anch'io, è naturale; sgambetto inopportuna, un giorno capirò cosa vuol dire avere un bambino che ti gironzola tra i piedi in cucina. A un certo punto forse perdo l'equilibrio, cerco un appoggio e l'appoggio lo trovo sullo sportello del forno.
Il forno è un forno a gas di quelli che lo sportello diventa incandescente. La pelle delle mani di un bambino si ustiona subito: il tempo di capire che brucia, di levare le mani dal forno, di piangere, ed è già tardi.

Poi passo qualche giorno in ospedale. Da sola. La mamma non può entrare - quegli incompetenti dicono che si guarisce più in fretta senza mamma - ma mi ha fatto avere una bambolina di gomma a cui mi stringo come fosse la mia unica amica. Io non posso saperlo che lei mi vede attraverso un vetro, che vorrebbe abbracciarmi ma non può: so solo che non viene a consolarmi e che mi sento sola e ho paura; che non capisco perché ho le mani fasciate e vorrei tornare a casa; che sono arrabbiata.

Quando la mamma viene a prendermi per riportarmi a casa non la saluto.
Presto le mani guariscono.

(Conseguenze)
Le mani sono state il mio primo incidente e mi hanno fatta soffrire tutta la vita, poi. Ho cambiato pelle mille volte e le cicatrici son rimaste sempre uguali. Le cicatrici sono dei segni piccolissimi che vedi solo da vicino. I polpastrelli della mano sinistra hanno delle impronte digitali buffissime, le righe interrotte da tanti puntolini, sotto il mignolo un segno un po' più spesso che ogni tanto accarezzo.

Ancora oggi se penso a un bambino in ospedale, oppure orfano, maltrattato, abbandonato: piango come se quel bambino fossi io. Piango anche adesso, a scriverne. Non ricordo niente di questa storia eppure so come ci si sente, so che il dolore è tanto più inconsolabile quanto incomprensibile.

Inspiegabilmente, non ho mai avuto paura del forno. Non ho mai dato la colpa a lui e anzi lo considero un alleato. D'altra parte poi son caduta tante volte in bicicletta e non è mai stata colpa della bicicletta.

Eva, la mia bambolina, è stata mia amica a lungo. Mi ricordo ancora il suo profumo gommoso.

La mamma l'ho perdonata. L'ospedale, no.

di Chiara Tizian "chiaratiz"

giovedì 7 aprile 2011

A tavola con Tiziano Fiorveluti: Heartbreak Hotel

Scaricate il vostro partner o fatevi scaricare. A quel punto comprate un cuore di maiale (il suo, se vi ha scaricato) oppure di cavallo (il vostro, novello pegaso, se avete scaricato) o di mucca (se ha scaricato lei, la vacca, ma anche la porca andrebbe bene, a seconda degli improperi).

Il cuore dev'essere intero e già scolato del suo sangue. Tagliatelo a listarelle. Pensate al partner in questione. Tagliate piano, infierendo. Coltello ben affilato.

Tagliate una cipolla. Piangete. Ogni tanto guardate il cuore e piangete ancora. Un profluvio di lacrime. Se volete che il piatto sia più salato, piangete sulla carne. Non so se faccia bene, organoletticamente. Ma avete altri problemi, no?

Soffriggere la cipolla e poi il cuore, per una decina di minuti, in un poco d’olio. Formerà parecchia “acquetta” di colore scuro. Tenetela, sarà il vostro sughetto.

Scaldate due crostoni di pane e pucciate nel sughettone. Oppure una patata bollita, con i pezzetti intinti nel sughetto con la forchetta.

Sale e pepe, secondo coscienza.

mercoledì 6 aprile 2011

Stasera si aprono le danze

Un discorso intorno al 25 Aprile
Fa incazzare nero un vecchio partigiano
Che urla
Sarà vero che da morti non ci son buoni o cattivi
Ma gli stronzi si distinguono da vivi
(Giancarlo Frigieri, Vita di Paese, 2010)

Queste righe qui sopra, che son poi strofe e magari van trascritte in modo diverso, l'anno scorso volevamo stamparcele sulle magliette durante le letture di Schegge di Liberazione e varie altre cose. Stasera queste parole e tante altre le sentiremo dalla viva voce di Mister Frigieri, che stasera è qui, al Mac'è, ore ventuno, nella borghesiola, arraffona e bottegaia Carpi per raccontarci, cantando e suonando (da vero one man band), le nostre strane vite in questo nostro stupido paese.
E cominciamo così, che è primavera e certi risvegli van fatti bene.

Biografie essenziali (106, più o meno)

Volevo scrivere la biografia di Seumas O'Kelly, ho cercato su internet e il Wikipedia in lingua inglese dice:
He died prematurely of a heart attack following a raid at the paper’s headquarters at Harcourt St.
Daniele Benati, nella postfazione alla sua traduzione de La tomba del tessitore (Quodlibet, 2011) scrive:
Seumas O'Kelly fu trovato morto il 14 novembre 1918, a seguito di un'irruzione che un gruppo di soldati inglesi fecero, dopo essersi sbronzati per festeggiare la firma dell'armistizio della prima guerra mondiale, nella sede dublinese del quotidiano "Nationalilty", organo del Sinn Fein ("Noialtri soli"), il partito indipendentista irlandese [...] La causa della morte fu attribuita ad emorragia cerebrale, ma nella ricostruzione dei fatti venne appurato che O'Kelly aveva difeso fino all'ultimo, col proprio bastone da passeggio, la sede del giornale dall'assalto dei soldati inglesi che la stavano mettendo a soqquadro.
Allora ho pensato che forse questa non è più la biografia di Seumas O'Kelly, ma la biografia essenziale dell'Irlanda, più o meno.

martedì 5 aprile 2011

Così com'è

Dai, è anche abbastanza normale pensare al proprio passato e vedere dove ci sono state delle magagne risolvibilissime e non risolte, dove si poteva scegliere una scuola diversa, dove si poteva darle giù ancora un po', a quella là, o magari un po' meglio, dove si poteva almeno provarci, con quell'altra, cose così, che poi uno ci pensa e pensa: Pensa te se avessi studiato Lettere; Pensa te se a quella là le avessi dato giù per bene; Pensa te se a quell'altra là le avessi almeno detto che mi piaceva, eccetera. Cioè, io fino a qualche tempo fa ci pensavo sempre.

Abbastanza normale, credo, è anche pensare a come andrebbe se avessimo la possibilità di rinascere e ripartire dallo stesso punto, per me sarebbe il sette di febbraio del millenovecentosettantanove, per esempio, ma però rinascere con dentro la testa tutte le informazioni accumulate nella vita precedente, per prendere le decisioni giuste al momento giusto, scegliere le scuole giuste, dar giù nel modo giusto a quella giusta, o almeno dar giù, se possibile, ogni tanto. Ci pensavo qualche sera fa, a queste cose qui, prima di addormentarmi.

E poi son rinato davvero, e facevo una vita della madonna e diventavo bellissimo e intelligentissimo, facevo Lettere e anche il Liceo Classico, scrivevo dei libri, rinunciavo a far ciclismo per non perdere del tempo ma intanto facevo lo stesso dello sport per tenere la mente sana nel corpo sano; non eran mica tanti, per il resto, i cambiamenti: cercavo più o meno di tenere la stessa linea della vita precedente, conoscere le stesse persone, fare un po' le stesse cose, ma meglio, dar giù per bene a quella là, dar giù anche a quell'altra che nella vita precedente ci avevo solo, come dire, pensato, e insomma, andava tutto bene. E tanto ho fatto le cose come si dovevano fare che quella sera di marzo del duemilacinque mi trovavo proprio lì con lei, ché se c'era una cosa che non avevo sbagliato nella vita precedente era stato proprio arrivare da lei, e quindi in questa nuova vita avevo fatto di tutto per conoscerla al momento giusto, corteggiarla con tutti i sotterfugi del caso, come una partita a scacchi calcolatissima, finché la sera giusta ero proprio lì con lei a guardare La dolce vita e, visto che nell'altra vita, quella prima, mi ha sempre rimproverato amorevolmente di aver fatto tutto lei, il primo passo lei, il primo bacio lei, eccetera, mi son detto Adesso la faccio contenta. E le ho dato un bacio sul collo. Lei si è girata, mi ha guardato e mi ha detto Che cazzo fai?

È lì che mi sono svegliato.

Ogni tanto basta poi poco per capire che uno si deve andar bene così com'è.

Cicatrici: Piccola, blu, poco interessante

[riceviamo e pubblichiamo la cicatrice di kumquat, della quale ignoriamo i dati anagrafici]

(Posizione)
Ginocchio destro, sotto la rotula, verso l'interno.

(Cause)
La scuola dell'obbligo, a volerla prendere larga. Ma adesso spiego.
Giornata di sole, inizio settembre 1986, sono in giro in centro con la mamma. Mancano pochi giorni al mio primissimo giorno di scuola e andiamo per negozi a comprare tutto quello che serve: le matite, le biro, una bellissima cartella verde con Poochie, i quaderni. Siamo davanti alla Feltrinelli, quella sotto le due torri, e io ho in una mano la mano della mamma, nell'altra un sacchettino di plastica con dentro due quaderni. Cammino, forse saltello come saltellano le seienni a spasso con la mamma a comprare i quaderni per il primo giorno di prima elementare, e dondolo avanti e indietro il braccio che regge il sacchetto con i quaderni. Magari la mamma mi dice di smetterla, che a furia di dondolare il braccio avanti e indietro va a finire che si rompe la sportina e si rovinano i quaderni, magari me lo dice anche, ma se hai sei anni e hai in mano i tuoi primi quaderni fai fatica a essere meno contenta e saltellante e dondolante di così. Poi succede una cosa molto piccola e banale: il sacchetto, deviando leggermente dalla traiettoria del mio braccio in discesa, incontra la mia gamba, e lo spigolo di uno dei due quaderni mi sbatte contro il ginocchio. Forse piagnucolo un po', forse no, forse la mamma mi dice che me l'aveva detto, testona che non sono altro, forse mi dà un bacino e basta. Mi viene un piccolo livido, ma presto lo dimentico: ho pur sempre sei anni, e ho di meglio a cui pensare.

(Conseguenze)
Son venticinque anni che ho un neo molto blu, tipo l'inchiostro delle bic, sul ginocchio destro, proprio dove ha colpito lo spigolo del quaderno. E mi piace molto dire a quelli che conosco poco che ho un neo blu e poi raccontare l'aneddoto del quaderno e dare la colpa alla scuola dell'obbligo, che costringe seienni scoordinate ad aggirarsi con oggetti spigolosi in sacchetti di plastica troppo sottili. Non restano mai molto colpiti, però.


di "kumquat"

lunedì 4 aprile 2011

Schegge di Liberazione: Indice

Forse lo sapete già, ma, visto che vi abbiam rotto le balle a suon di hop hop hop anche qui su Barabba, sappiate che abbiamo pubblicato l'indice ufficiale di quel libro di carta sulla Liberazione che uscirà il venticinque aprile. Lo trovate qui.

sabato 2 aprile 2011

Con la sua morte, i suoi vecchi, il suo amore

Un giorno, eravamo al BUK, la fiera della piccola e media editoria di Modena, Ugo Cornia mi fa: vai a comprare La tomba del tessitore, che è un libro bellissimo tradotto da Daniele Benati, ché io ne devo già prendere tre o quatto copie da regalare in giro e poi stai a vedere che lo finiscono. Allora sono andato, mi sono fidato e l'ho comprato. E, davvero, con la sua morte, i suoi vecchi, il suo amore, La tomba del tessitore è un libro bellissimo. Dentro ci son scritte delle cose così:
"Lo straripamento di Cloon na Morav (Campo dei Morti) aveva già dato vita a un nuovo cimitero che si trovava a un miglio di distanza: un cimitero in cui lapidi di calcare e croci celtiche spuntavano come funghi, a testimoniare la futilità di una genia di uomini e donne che, stando ai loro epitaffi, avevano fatto esattamente le due cose che ben difficilmente avrebbero potuto evitare di fare: essi infatti, così dicevano i loro necrologi, erano tutti nati e morti. In alcuni casi, a mo' di apologia, erano state aggiunte alcune citazioni tratte dalle Sacre Scritture e c'era una quasi unanime richiesta di perdono rivolta al Signore per ciò che era successo al defunto. Una tale mancanza d'umorismo era sconosciuta a Cloon na Morav."
e così:
"La risata di un idiota per la strada, il re che guarda la sua corona, la donna che volta la testa nell'udire i passi di un uomo, le campane che rintoccano nella torre, l'uomo che cammina sulla sua terra, il tessitore al suo telaio, il bottaio che sistema la sua botte, il Papa che si china in cerca delle sue ciabatte: tutto questo è un sogno."