In questi giorni sto ripensando ai miei errori grammaticali, che sono stati tanti, chi mi conosce dalle medie o dalle elementari potrà sicuramente ricordarne alcuni veramente drastici e irripetibili, strafalcioni veramente lunari, la mia lotta per avere una parvenza di lingua con cui comunicare con tutti voi è stata lunga e ricomincia ogni giorno, ma quello che mi ha reso più incredulo è stato ricordare un'analisi logica di una frase che non ricordo se non nel punto dell'errore "super" che per me, in un eccesso di zelo e taglieggiamento logico e fonetico era diventato "preposizione composta o complessa di su + per". Confesso che ancora oggi mi chiedo fino a dove sarei arrivato a furia di sminuzzare e tritare le sillabe e le lettere.
Un'altro ricordo, doloroso, su cosa voleva dire sbagliare, non l'ho vissuto in prima persona ma mi ha terrorizzato per tutte le elementari (quando non dormivo sui banchi o tiravo gli elastici, industriali larghi 2 cm): il Maestro P. della sezione C accanto (un giorno, se volete, vi riassumerò la divisione in caste della scuola elementari Manfredo Fanti negli anni in cui la frequentai, oppure ricordatemelo voi...) un giorno spalanca la porta, interrompendo tutto e tutti, è ghignoso e malvagiamente felice (se l'avessi saputo all'epoca l'avrei soprannominato Il Grinch), tra pollice e indice ha un trofeo, il trofeo è F.S. una bambina di 11 anni in lacrime e tremiti, tenuta per l'orecchio e umiliata davanti a tutta la scuola, classe per classe, trascinata e costretta a confessare tra i singhiozzi di aver scritto "Grechi" al posto di "Greci". Anni dopo Bush figlio una cosa così l'avrebbe affiancata al waterboarding come tecnica di tortura lecita.
L'ultima cosa però non è un ricordo, è un'immagine che come tante mi si è scavata dentro con gli anni, qualcuno le chiama fantasticazioni, e condensa in pochissimo tutto il periodo delle elementari. Durante tutti quei 5 interminabili anni, tutte le persone preposte al controllo della lingua ci hanno sempre corretto quei segnetti aerei ed aureolati che stanno sopra le vocali, scivolando in avanti o indietro, a volte mettendosi sospese tra una consonante e una vocale o addirittura piegandosi come corone sulla vocale più nobile. Per noi pargoli questi accenti erano alette, deltaplani, ali di polistirolo nere in grado di farci volare e piroettare nella magia delle parole con più slancio e forza del solito: "mè, tè, c'elodà, non fà, cià, massé, il fiume pò, stà quà, zì, zazzà, si sà, un bel blù ecc. ecc." E siccome ogni volta ci tarpavano il volo il mio ricordo falso e automatico sulle elementari è: noi bambini tutti chini sui libri o fissi sulla maestra (orribile) mentre tutte le tristi alette nere di polistirolo prendono polvere e ragnatele negli angoli dell'aula. Fin
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