mercoledì 30 dicembre 2009

Umani

quando usavo gli umani, in Warcraft, e magari arrivava un orco verde ad accopparmi un contadino, ecco, io cominciavo subito a farmi un esercito grande così per andare a distruggere il villaggio orco più vicino. Dopo ero contento, ma era un gioco.

lunedì 28 dicembre 2009

di quella volta in cui stuprai Giacomo Casanova

un amico che lavora alla Marcos y Marcos mi ha iscritto a un concorso letterario, il Bookjockey Day. In otto ore che son volate via come ridere si è parlato di cover letterarie e letteratura rinnovabile. Ero nel gruppo "Paura", il mio allenatore Paolo Nori.

Ci han dato un testo di Casanova da riscrivere:
GIACOMO CASANOVA
Memorie scritte da lui medesimo

Mangiammo tutti di buon appetito, poi le donne ci prepararono due grandi letti di paglia fresca e ci coricammo al buio, perché l'unico mozzicone di candela esistente in quel triste abituro si era spento. Eravamo stesi sulla paglia da appena cinque minuti quando il frate mi grida che una femmina è andata a sdraiarsi accanto a lui, e contemporaneamente sento l'altra che mi abbraccia. Io la respingo, il monaco si dibatte; la mia spudorata insiste, faccio per alzarmi, ma il cane mi salta alla gola e per la paura sono costretto a rimettermi buono buono sulla paglia; il frate grida, bestemmia, si divincola, il cane abbaia a tutto spiano, il vecchio tossisce come un cavallo; è un vero pandemonio. Finalmente Stefano, protetto dalla pesante tonaca, si sottrae alle carezze della sua megera, affronta il cane, riesce ad agguantare il bastone e comincia a menare colpi a dritta e a manca. Una delle due donne caccia un urlo: «Ahi, Dio mio!» Il frate risponde: «Questa è sistemata». Così tornò la calma: il cane, senza dubbio colpito da una bastonata, non abbaiava più; il vecchio, che forse Stefano aveva spacciato, non tossiva più; i bambini dormivano; e le donne, temendo le cortesie del frate, si tenevano prudentemente alla larga. Rimanemmo tranquilli per il resto della notte.
e questa è la mia cover terrorizzante:
Mangiammo come maiali, io, Gianni detto “Il Frate” e Andrea “il vecchio”. Le femmine preparavano la roba sul tavolino, acciaccate sui due grandi divani color paglia. Ci coricammo con loro, quasi al buio, ché l’unica lampadina dell’abituro s’era fulminata. Stavamo stesi sul divano da cinque minuti, strafatti, il vecchio con una tosse da cavallo, quando il Frate mi grida ch’è ora e si prende una femmina accanto. Contemporaneamente abbraccio l’altra, ma mi respinge. Il Frate si dibatte sulla sua femmina e lei comincia a gridare, faccio per alzarmi, ma il cane mi salta alla gola e per paura mi ributto sul divano. Il Frate grida, eccitato, bestemmia, il cane abbaia a tutto spiano, il vecchio tossisce ancora; è un vero pandemonio. Finalmente Gianni, con le braghe calate, estrae un grosso coltello e comincia a menare colpi a dritta e a manca. La sua femmina lancia un urlo: «Ah! Dio mio!» Il Frate risponde: «Questa è sistemata». Così tornò la calma: il cane, zittito, non abbaiava più; il vecchio, che era rimasto a guardare e a pippare, non tossiva più: la mia femmina, giuro, pareva morta, anche quando la sbattemmo nel bagagliaio; i vicini dormivano beati, al Circeo. Rimanemmo tranquilli per il resto della notte.

Angelo Izzo, da Memorie scritte da me medesimo
Non ho vinto, ci mancherebbe, era tutto fortunatamente basato sul sorteggio. Non so nemmeno se la cosa che ho scritto e che han pubblicato sul sito sia querelabile o meno, dato che parla di fatti e cose e persone reali. Poi questa è tutta una scusa per dare una botta di vita al blog, che langue da un po'. Ciao.

sabato 26 dicembre 2009

La Rivoluzione Sdrucciola ovvero i Diari delle Clarks

Caro Dottor Perry, con questa mia sono a dolermi del suo intervento sul rapporto tra lotta studentesca e Clarks da lei evidentemente travisato,seppur mi auguro in buona fede.
Nel suo stralcio esemplificativo su una dinamica così perniciosa et oscura, temo che sia caduto in una trappola maieutica e forse revisionista approntata dalle ideologie dominanti (cfr: http://alfredoperry.blogspot.com/2009/12/in-disuso.html).
Mi permetto quindi di proporle la mia versione di questa lotta tutt’altro che impari tra gli Anfibi dell’ordine e le Clarks rivoluzionarie. A parer mio i due modelli semiotici e calzaturieri si fondano su principi diametralmente opposti et oppositivi: laddove gli Anfibi si pongono come oggetto stabile, definito, inamovibile, radicato al suolo, come se fosse artigliato allo stesso, e soprattutto impermeabile da qualsivoglia sostanza o elemento, in definitiva identitario e pertanto fascista (Dio, Patria e Anfibio era un grido controrivoluzionario, ancora in voga, ahinoi, tutt’oggi, a dimostrarne la natura gerarchica, irremovibile e statuaria), le Clarks, grazie alla morbidezza, al calore e alla levigatezza che naturalmente le connota, si prestano all’incontro, alla partecipazione con l’altro e a un potenziale elevatissimo (da lei stesso registrato) di scivolamento. Tale proprietà, lungi dall’essere problematica o negativa, rispondeva perfettamente alle necessità strategiche imposte dallo scontro in atto. Traendo ispirazione (se in modo sciente o no sarà da verificarsi presso altra sede) dall’Arte della Guerra di Sun-Tzu e dalla cosiddetta teoria dei vuoti e dei pieni e riadattando le dinamiche complesse e spiraliformi scaturite dal Teatro-danza della compianta Pina Baush, i rivoluzionari, impossibilitati in una lotta equa sul piano di aderenza alla res terracea, grazie alle Clarks, hanno introdotto uno slittamento strategico ed empirico al fine di costringere gli avversari su un nuovo campo di battaglia. Appropriandosi letteralmente della definizione marxista sulla modernità (All that solid melt in to air – Tutto ciò che è solido diventa aria) i rivoluzionari hanno più volte costretto i terrei e schmittiani anfibi a confrontarsi con l’eterea danza del caos aereo clarksiano-spinozista. La letteratura a tal proposito è colma di testimonianze sul potere obliquo e sdilinquente delle Clarks, che grazie all’insita instabilità et volatilità, hanno permesso ritirate, contrattacchi e accerchiamenti, se si vuole rocamboleschi ma certamente impensabili con qualsiasi altra calzatura.
Oserei infine affermare che la guerriglia urbana, complicatissima arte, non avrebbe avuto luogo senza codesta re-invenzione.
Con l’augurio di averla distolta da un facile approccio hobbessiano e mercantilistico sull’evento le propongo caldamente di unirsi alla Internazionale Clarkistica per partecipare anche lei alla costruzione di un avvenire oltremodo emozionante, scintillante e schettinante.
Alla sua adesione le forniremo un prontuario con segnalati tutti i migliori reparti di traumatologia d’Italia.

Sinceramente e scivolamente suo

Dott. Carlo Dulinizo

sabato 5 dicembre 2009

martedì 28 luglio 2009

Con veementi auspici di Buone Ferie...

"Non hai mestiere fisso? Allora ascoltami,
e tieni bene a mente ciò che dico:
primo, liberati da questi sentimenti:
pietà, paura, amore, vana speranza;
che nulla ti commuova né impietosisca;
quando un cristiano piange, tu sorridi. ...
Ciò che a me piace è girare di notte
e uccidere i malati sotto i portici;
talvolta getto veleno in qualche pozzo."

(L'Ebreo di Malta "Barabba" - di Christopher Marlowe)

domenica 12 aprile 2009

La Crisi del 60 d.c.

«Ma c’è la crisi, adesso, che non è mica poi qui tutta, qui da noi. Non bisogna che ci facciamo i difficili, che tutto il mondo è paese. Tu vai appena là, che ti dici già che ci passeggiano i maiali cotti, qui da noi, per le strade. E intanto, ci avremo il combattimento dei gladiatori, per i tre giorni della festa, ma che sarà una cosa scelta, noi. E non sono mica gli schiavi di squadra, ma che c’è tanto di liberti, invece. E il nostro Tito ci ha l’anima grande, che ci ha la testa calda. Sarà questa cosa, sarà quell’altra, ma qualche cosa sarà. Io me lo conosco bene, che è uno che non se li fa mica, i pasticci. Ci darà le buone spade, la gente che non scappa, con tutta la macelleria lì al centrocampo, che tutto lo stadio se la può vedere. E lui li ha, i mezzi. Si è ereditato i suoi trenta milioni, che il suo padre gli è morto, poveretto. Metti che se ne spende quattrocentomila, ma il suo patrimonio non se ne accorge nemmeno, e lui si fa la sua gloria per sempre. […] Ma me lo sento già, l’odore, io, del banchetto che ci fa il Mammea, e delle due monete d’oro, per me e per i miei. Che se davvero ce lo fa, gli toglie tutte le simpatie, lui, al Norbano. E te lo vedi, tu, come gli andranno a gonfie vele, le sue elezioni, a quello. Perché, davvero, che cosa ci ha fatto poi, di buono? Ci ha dato dei gladiatori da un soldo, dei vecchi decrepiti, che ti cascavano giù, se ci soffiavi tu su. Io me ne sono già visto, che ne hanno gettati alle bestie, ma che erano meglio di quelli. Ne ha fatto morire a cavallo, che ci andavano bene per decorarci un candelabro, che ti sembrano dei polli pollini, ecco. Uno era da buttarlo sopra il mulo, e via. L’altro ci aveva il piede matto. La riserva era più morta che il morto, che ce li aveva tagliati, i suoi tendini. C’era un trace, soltanto, che ci aveva del fiato, un po’, che combatteva che era come a lezione, però. Insomma, che gli toccata la frusta, a quelli, alla fine, a tutti, tanto gli avevano gridato: “Ma dàgliele!”, lì tutti in massa. Ma erano nati per scappare, proprio. “Però, io te l’ho offerto, il combattimento”. E io ti dico che sei bravo, te. Ma poi fa’ un po’ il conto, che ti ho dato di più di quello che mi ricevo, io.»

(Petronio, Satyricon, traduzione di Edoardo Sanguineti, Einaudi, 1993, pp. 51-53)