martedì 31 dicembre 2013

Se questo blog avesse avuto uno scopo

Non si può certo dire che il duemilatredici sia stato un anno garrulo per Barabba: abbiamo pubblicato qualche post in più della metà di quelli dell'anno scorso, circa un terzo di quelli dell'anno prima, per non parlare del duemiladieci che era stato l'anno della resurrezione. Forse siamo stanchi, forse non abbiamo più tante cose da dire, forse è andata così perché così devono andare le cose dei blog e della vita, chissà.
Però nel duemilatredici è successa una cosa sensazionale, una cosa non priva di conseguenze, una cosa che è durata solo una manciata di minuti e che è iniziata con:
Buonasera a tutti.
Si sente se parlo così?
Bene.
Anche là in fondo? Si sente?
Speriamo.
ed è finita con:
Io, Marco Manicardi, delegato dal Sindaco alle funzioni di Ufficiale dello Stato Civile, pronuncio in nome della legge che:
il Signor Simone Marchetti
e
la Signora Elena Marinelli
qui presenti
sono uniti in matrimonio.
Una cosa che se questo blog avesse avuto uno scopo, ecco, il quattordici di settembre del duemilatredici l'avrebbe raggiunto. Quindi, beh, anche se questo posto sta andando un po' a puttane, c'è da dire che siamo contenti.

Adesso il duemilatredici finisce, vediamo come va a finire il duemilaquattordici.
Intanto, inevitabilmente, buon anno. Speriamo davvero.

sabato 28 dicembre 2013

Lamerica (1bis)

Se devo dire cos'è Lamerica, per come l'ho capita io in dieci giorni che sono stato là, è come girare l'angolo di una stradina silenziosa e deserta di Brooklyn, sbucare sulla 4th Avenue e vedere due nastri gialli che separano il marciapiede dalla strada dove sta passando la coda della Maratona di New York, sono le nove e qualcosa del mattino, ci sono due agenti di polizia al centro della carreggiata, due o tre disabili corrono sulle sedie a rotelle, il viso affaticato, le braccia che mulinano sulle ruote, la pettorina bianca mostrata con fierezza tra due ali di folla che incita, e di fronte, sull'altro angolo della strada, una band di cinquantenni, due chitarre, basso e batteria, sta suonando Take It Easy. Quello è il momento esatto in cui sorrido uno dei sorrisi più sinceri della mia vita, e gli occhi mi si bagnano d'imbarazzo. Faccio una foto, ma non la guardo nemmeno: non serve a niente.

(Per fortuna la mia morosa è più svelta e meno impressionabile di me, e ha tirato fuori la macchinetta fotografica per farci un video.)

venerdì 13 dicembre 2013

Lamerica (3)

Mentre camminavamo sulla 5th avenue, in mezzo ai grattacieli, o forse non eravamo proprio sulla 5th avenue ma sempre lì dalle parti di Midtown, in mezzo ai grattacieli, o forse eravamo nel Financial District, comunque in mezzo ai grattacieli, non importa, fatto sta che ero lì col naso per aria, e mi son fermato a un incrocio, e gli incroci di New York sono stupefacenti, perché la struttura reticolare delle strade ti fa vedere queste vie lunghissime costeggiate di palazzoni e così dritte che potrebbero arrivare all'infinito, e sovrappensiero ho detto, più tra me e me che rivolto a lei, una cosa del tipo: ma te ce lo vedi l'uomo ragno, qui sopra le nostre teste, che spara le sue ragnatele e svolazza a zig zag in cerca di supercattivi?
La cosa sensazionale è che lei ha alzato gli occhi, girando lo sguardo tutt'attorno, e senza alcun dubbio nel tono della voce ha risposto: sì.

giovedì 12 dicembre 2013

Barabba Elettrolibri: Francesco Farabegoli - #Selfie

Prefazione all’edizione originale:
"Ho ricevuto il libro del Dr. Farabegoli. Non ci ho capito un cazzo. In particolar modo, trovo gravi gli errori di logica alle pp. 3, 77, 212, 433- Quest'ultimo, mi pare, riprende complicandolo l'esempio di Leibniz. Detto questo, il Dr. Farabegoli è certo brillante nel riproporre esempi triti e ritriti in uno stile che non mi è consono. Ma sono un Professore inglese, non posso certo smollarmi e apprezzare. Consiglio di leggere questo libro. Honest!”
Bertand Russell, Cambridge, dicembre 1903
Prefazione alla seconda edizione:
“Sono gallese, non inglese.”
Bertrand Russell, Cambridge, luglio 1911
Note dell’autore alla presente edizione:
Non è che sn proprio selfie ma anke sì, e cmq guardo in macchina e sai che sto guardando te e qualcosa ha a che fare cn <3.
Francesco Farabegoli poteva essere qualcuno, stando agli exit-poll in terza elementare. Poi insomma.
#Selfie è il suo primo libro illustrato contenente dei selfie.

#Selfie di Francesco Farabegoli è il primo libro elettrico e illustrato pubblicato per Barabba Elettrolibri, la nostra collana inesistente che non pubblica niente.
#Selfie si scarica gratuitamente, in pdf, qui.

Secondo me è molto bello. Ma io sono un fan, il mio giudizio non conta.

mercoledì 11 dicembre 2013

La gente si dividono in due (7)

La gente che hanno una moka si dividono in due: quelli che, dopo aver fatto il caffè, la raffreddano sotto il getto d'acqua fredda del rubinetto, la smontano, la scompongono, lavano tutti i pezzi e li mettono ad asciugare nello scolapiatti, e quelli che la lasciano raffreddare, la mettono da parte, usata, col macinato scuro nel dosatore perché, dicono, così resta l'aroma per quando la riuseranno, ma poi, quando vogliono un caffè, vanno al bar.

giovedì 5 dicembre 2013

Siamo un po' stanchini

Il 5 dicembre del 2012 avevo scritto un post che si chiamava "Vediamo come va a finire" dove si diceva che il 5 dicembre del 2011 avevo scritto un post che si chiamava "Andare avanti" dove si diceva che il 5 dicembre 2010 avevo scritto un post che si chiamava "Cammina cammina" dove si diceva che il 5 dicembre del 2009 avevo scritto un post che si chiamava "Alzati e cammina" dove si diceva che dovevo riaprire il blog per farci delle cose.

E cose ne abbiamo fatte, ultimamente un po' meno, ma più grosse, come per esempio un matrimonio.

Conti alla mano, oggi è una specie di quarto compleanno della resurrezione di Barabba. Alzare, ci siamo alzàti; camminare, abbiamo camminato; andare avanti, siamo andati avanti; è andata a finire che siamo ancora qui; solo che adesso, oh, è una cosa normale, siamo un po' stanchini.

Intanto, comunque, grazie a voi che ci leggete.
E tanti auguri a noi.

mercoledì 27 novembre 2013

In Russia c'è da morir dal ridere (12) | Lamerica (2)

Stai camminando su una passeggiata di legno lunga un chilometro, da un lato ti arriva il rumore della risacca insieme a un vento che ti gela la barba e ti fa stringere gli occhi, è il primo giorno davvero freddo di novembre e sulla spiaggia non c'è nessuno, solo dei gabbiani grossi come oche che si contendono resti di chele di granchio; dall'altra parte un luna park è in via di dismissione, le cabine della ruota panoramica sono state rimosse, c'è una torre rossa molto alta fatta di travi intrecciate e ti chiedi chissà com'è bella quando è in funzione; ci sono le montagne russe senza i trenini, sono montagne russe costruite negli anni venti o trenta, di legno, da far paura, davanti a grappoli di palazzi che poi sono dei gran parallelepipedi con le finestre, e ti ricordi i quartieri dismessi che hai incontrato mentre gironzolavi a caso a piedi o in treno per le vie periferiche di Mosca e di San Pietroburgo; sulla passeggiata di legno è pieno di donne anziane o di mezza età che non si curano del freddo e chiacchierano tra loro in russo, e ti viene da sorridere perché le riconosci, sono familiari, sono loro, le babushke; ci sono addirittura babushke che fanno da badanti ad altre babushke; ti fermi un minuto e fai un giro su te stesso, osservi il panorama in un colpo solo e potresti essere sulla riva del Volga o davanti al Mar Baltico, o chissà in quale luogo possibile o impossibile ai bordi della Russia. E invece sei a Coney Island.

giovedì 21 novembre 2013

martedì 12 novembre 2013

Lamerica

Se devo dire cos'è Lamerica, per come l'ho capita io in dieci giorni che sono stato là, è come girare l'angolo di una stradina silenziosa e deserta di Brooklyn, sbucare sulla 4th Avenue e vedere due nastri gialli che separano il marciapiede dalla strada dove sta passando la coda della Maratona di New York, sono le nove e qualcosa del mattino, ci sono due agenti di polizia al centro della carreggiata, due o tre disabili corrono sulle sedie a rotelle, il viso affaticato, le braccia che mulinano sulle ruote, la pettorina bianca mostrata con fierezza tra due ali di folla che incita, e di fronte, sull'altro angolo della strada, una band di cinquantenni, due chitarre, basso e batteria, sta suonando Take It Easy. Quello è il momento esatto in cui sorrido uno dei sorrisi più sinceri della mia vita, e gli occhi mi si bagnano d'imbarazzo. Faccio una foto, ma non la guardo nemmeno: non serve a niente.
Dopo un paio di minuti prendo la cartina della metropolitana, dobbiamo andare via, degli amici ci aspettano dall'altra parte della città.

__________
Il primo numero di quella rivista mai nata chiamata Barabba, per come l'avevamo pensata nel 2006, doveva intitolarsi Lamerica. Nessuno di noi, allora, ci era mai stato. Per me, la prima volta è stata la settimana scorsa. Avremo forse modo di parlarne.

lunedì 11 novembre 2013

Biografie essenziali (153)

Quando Vladimir Nabokov, con sguardo sornione, diceva "Vuoi venire a vedere la mia collezione di farfalle?", diceva sul serio.

martedì 29 ottobre 2013

Uomini e topi: una storia cruenta di eterna lotta con la natura nella bassa modenese

Ambientazione: i miei abitano a Novi di Modena, al limitare del paese. Davanti sono tutte case e strade, sul retro è aperta campagna fino al canale “Fossa raso”, confine naturale tra Novi e Rolo. La casa è tutta a piano terra, più un mezzo primo piano dove stanno le camere da letto. Dopo il terremoto dell’anno scorso, i miei nonni sono andati a vivere lì con i miei. Popolazione, quindi: 5 persone: mia mamma (59), mio padre (60), mia sorella (26), mio nonno (88), mia nonna (82).
In autunno, quando le case cominciano a scaldarsi e le campagne a raffreddarsi, i topi sono soliti spostarsi spontaneamente verso i caseggiati che delimitano il paese, in cerca di cibo e calore. E c’è da affrontare la situazione. Niente di tragico, normale routine.

(continua sul frenfì… finché esisterà il frenfì.)

lunedì 21 ottobre 2013

Barabba Elettrolibri: Well NYC really has it all

Quando devo partire per un viaggio, guardo sempre sul blog di Buoni Presagi se per caso lui è già stato là dove ho in programma di andare: nell’economia spicciola della mia vita internettiana, i suoi report di viaggio sono un punto di riferimento, e mi sono sempre ripromesso di visitare il mondo un po’ alla volta con gli scritti di Buoni Presagi sotto mano, sperando di riuscire a vedere e raccontare le cose come le vede e le racconta lui [...]
La prossima settimana, se tutto va bene, vado a New York. [...] Quindi, qualche giorno fa, appena finito con le prenotazioni, sono andato sul blog di Buoni Presagi e ho saccheggiato i suoi post newyorkesi del 2011 per metterli sul kindle e affiancarli alla Routard. Poi mi sono ricordato di aver fondato una collana inesistente che non pubblica niente dal nome Barabba Elettrolibri, allora ho contattato il buon signor Presagi e gli ho chiesto se, a questo punto, non fosse il caso raccogliere i suoi post di viaggio, metterci anche le foto e farne un ebook per tutti. Lui mi ha detto che ero un matto, ma che comunque la cosa si poteva fare.
Well NYC really has it all è nato così.

Preso da una smania ridicola da editore inesistente che mi viene sempre quando faccio questo genere di cose, poco prima di mandare questo libro “alle stampe” mi è venuto in mente che nel mare magnum della blogsfera, e forse da quando la blogsfera esiste così com’è, c’è un altro blogger che gira il mondo in lungo e in largo, soprattutto per lavoro, e ne parla spesso in un modo del tutto invidiabile. SirSquonk, quando va in un posto, ha un sistema tutto suo per vedere le cose, un sistema che ha poco a che fare coi cinque sensi, ma che è piuttosto un “sentire” le cose che gli stanno intorno.
Così, alla fine, Well NYC really has it all è diventato un racconto di viaggio di Buoni Presagi, e in fondo ci ho aggiunto un’appendice dal titolo Greetings From New York con i post che ho preso in prestito dal blog di SirSquonk.

(un estratto dalla prefazione a Well NYC really has it all che ho scritto al volo ieri sera)
Ho deciso di non pubblicare Well NYC really has it all in pdf, perché, se siete di quelli che gli ebook li leggono in pdf, potete andare direttamente sul blog Buoni Presagi a questo indirizzo, o scartabellare nell’archivio storico del blog di SirSquonk, e semplicemente copincollarne i contenuti dentro a un documento qualsiasi.
Per quelli di voi, invece, che in viaggio si portano dietro i giabanini elettronici che servono per leggere, Well NYC really has it all è un libro elettrico che si scarica gratuitamente in epub e mobi.

Buona lettura.
E, nel caso, come nel mio, buon viaggio.

mercoledì 16 ottobre 2013

Scene da un autotrasporto: le perle (3)

«Non avere fretta perchè oggi la fretta porta una brutta bestia.»

__________
Le altre perle sono qui. E qui c'è lo spiegone.

sabato 12 ottobre 2013

Nel mio mondo perfetto (19)

Nel mio mondo perfetto, quando faccio un giro per Bologna, che anche se non ci studio più a Bologna è sempre bella Bologna, e capita che leggo un cartellone gigante dove c'è scritto: CLAUDIO BAGLIONI in concerto 12 OTTOBRE Arena JOE STRUMMER, allora, nel mio mondo perfetto, avviene una magia e i due nomi propri di persona si scambiano.

giovedì 10 ottobre 2013

Se potessi avere mille vecchie lire

Oh, è già la sesta volta che inizio il pezzo che mi hai detto di scrivere su Giuseppe Verdi e non ci riesco mica, a dire tutte le cose che volevo dire.

Volevo dire che la prima volta che ho visto Giuseppe Verdi è stata la prima volta che mia mamma mi ha dato mille lire.
Volevo dire che la prima volta che ho sentito la musica di Giuseppe Verdi è stato con uno sceneggiato della Rai che mia madre voleva assolutamente vedere e che vidi anch'io puntata per puntata e mi appassionai un casino.
Volevo dire che sono proprio orgoglioso che sia emiliano e che anche se c’è una grande disputa sul dove fosse esattamente Roncole di Busseto, direi che allora sono orgoglioso che sia della pianura padana e che sia un peccato che la parola “padano” abbia preso quella piega lì.
Volevo dire che è stato anche un parlamentare e poi quando si è reso conto che non era il suo mestiere è venuto via, che è mica da tutti.
Volevo dire che uno che, nel 1848, quando il tuo paroliere ti sollecita per delle scadenze e scrive “che musica avete composto maestro?” risponde “L’unica musica che voglio sentire è quella del cannone” ha tutto il mio rispetto.
Volevo dire che da piccolo il prete lo buttò fuori dalla chiesa e lui gli disse “C’at vegna un fulmen” e poi un fulmine colpì il prete di Busseto per davvero, lasciandolo secco.
Volevo dire che uno che per tutta la vita cerca un’opera buffa e poi ci chiude la carriera secondo me è un grande.
Volevo dire che quando lo chiamavano “Maestro” e lo definivano “compositore” o “musicista” lui rispondeva che era un “Uomo di teatro” e infatti a parte opere drammaturgiche non è che abbia composto molto, però poi quando ha scritto la Messa da Requiem provalo tu a fare un “Dies Irae” così.
Volevo dire che quando si scriveva con i suoi librettisti diceva che bisogna dare “un occhio all’arte e uno alla cassetta” e oggi invece lo vediamo come uno che ci parla da una vetta irraggiungibile e che secondo me è un poco come quando Tom Petty diceva “Mai capito a cosa servisse fare dischi che non piacciono a nessuno”.
Volevo dire che in neanche 3 anni ha buttato fuori dal cilindro “Rigoletto”, “Il trovatore” e “La traviata”, scritti e orchestrati.
Volevo dire che “Rigoletto” doveva essere censuratissimo e lui ad un certo punto disse una cosa che fa molto ridere ma se la dico poi rovino il finale a chi non ha mai visto quell’opera lì, che in assoluto (volevo dire anche questo) è la mia preferita.
Volevo dire che in generale la censura e i vari finanziatori delle opere di Verdi gli hanno sempre rotto le balle un sacco facendogli fare aggiustamenti qui e aggiustamenti là e spostandogli delle trame intere, roba che a confronto quando oggi una compagnia discografica dice che vuole “un missaggio diverso” per un disco di musica rock, la band di turno dovrebbe dire “Si, va bene” e basta.
Volevo dire che a Verdi gli hanno fatto due funerali.
Volevo dire che Verdi disse a Boito “Poche parole, ma significanti” perché voleva sfrondare dai libretti il più possibile.
Volevo dire che mentre Tchaikovsky (o come si scrive) nel primo movimento della Sinfonia Nr. 6 “patetica” ha il suo bel tema discendente che torna a farsi sentire cento volte perché doveva essere un bel filone e aveva capito che più volte lo faceva sentire e più volte i russi si pisciavano addosso dalla commozione, Verdi si permette di tenere “Amami Alfredo” e il suo motivetto appena in otto battute, sedici se contiamo l’ouverture, e che nell’Aida, nell’Otello e nel Falstaff inizia una scrittura dove c’è un flusso narrativo continuo e dove ci sono temi che altri avrebbero ripetuto cento volte e lui invece pum, una botta e via e chi c’era c’era, che è un bel lusso.
Volevo dire che quel lusso lui ha cominciato a pensarlo già ne “I vespri siciliani” e da lì in avanti perfeziona sempre quella ricerca lì.
Volevo anche dire che è vero che la sua seconda opera, “Un giorno di regno”, è una roba da poco paragonata al resto, ma provateci voi a scrivere un’opera buffa mentre vi muoiono la moglie e un figlio e poi vediamo come vi viene.
Volevo anche dire che alla fine gli “anni di galera” non è che poi siano stati così di galera, nel senso che lui ha usato quest’espressione soltanto una volta e che quando è andato a curarsi alle terme dicevano che non stava mai fermo, che era un vulcano e che aveva voglia di lavorare.
Volevo dire che “Nabucco” non è tutto questo lavoro rispetto al resto, però poi quando parte il “Va’ pensiero” uno non è che poi possa star lì tanto a parlare, dopo.
Volevo anche dire che, a parte la Strepponi, ci sono delle lettere dove dice “Salutami chi sai tu” in una maniera che secondo me la Strepponi quando passava dalle porte un poco si doveva chinare, ma magari mi sbaglio.
Volevo dire che non doveva mica esser facile vivere con una donna facendoci le cose che fanno uomo e donna senza sposarsi, nella seconda metà degli anni ‘50. Soprattutto nella seconda metà degli anni ’50 del secolo diciannovesimo.
Volevo dire che al mio funerale mi piacerebbe molto che qualcuno cantasse “Arrigo parli a un core” da “I vespri siciliani”, però ci vorrebbe anche un pianoforte e quindi mandata da un disco va benissimo e a questo punto mi piacerebbe che la voce dentro al disco fosse quella di Katia Ricciarelli.

Volevo dire che volevo dire un altro casino di cose, ma non riesco mica a dirle, facciamo che pubblichi questo coso qui e anche se è fatto male e scritto peggio poi uno se lo legge se vuole e sempre se vuole si incuriosisce e ci pensa poi da solo ad avvicinarsi a Verdi, che in fondo Verdi è POPOLARE nel miglior senso del termine.

mercoledì 9 ottobre 2013

Le interviste alla rovescia: Emanuele Vannini

Un mese fa – forse anche meno – è uscito Il Tensore di Torperterra, primo libro, o esordio letterario, come si dice, di Emanuele Vannini. Dato che l'ho letto in una settimana e ne sono rimasto estasiato, dato che non pubblicavamo da un po' di tempo delle interviste alla rovescia, dove è lo scrittore a fare le domande al lettore perché viceversa gli autori dicono sempre le stesse cose, e dato infine che Vannini lo conosco bene, mi è capitato di berci insieme, e ha partecipato alle nostre Schegge di Liberazione con un pezzo dal titolo Va là tugnino che leggiamo spesso e volentieri dal vivo; date tutte queste cose, gli ho chiesto se aveva voglia di farmi delle domande su Il Tensore di Torperterra. Lui me le ha fatte, io ho risposto, dopo è arrivato osvaldo e ha risposto anche lei. E quella che segue è la quarta intervista alla rovescia di Barabba.

Emanuele Vannini – Ciao Barabbi, grazie mille di aver letto il mio libro e di avermi interpellato. Grazie mille anche perché, senza l’esperienza degli Schegge di Liberazione, il mio libro non sarebbe mai stato scritto. Mi piace parecchio l’idea di questa intervista rovesciata, quindi iniziamo subito senza tanti giri, dài. Io ho scritto Il Tensore di Torperterra visto che Blonk.it, nella personciona di Lele, ha avuto la bontà di chiedermi di farlo e la pazienza di leggerlo e migliorarlo. Di cosa parla?
Many – Ciao Vannini, vedo che abbiamo preso subito la piega dell’interrogazione. Molto bene. Penso che Il Tensore di Torperterra parli della Romagna e dei romagnoli. Della Romagna e dei romagnoli costieri, soprattutto. Anche se dentro ci sono la matematica, la guerra, la psicanalisi e un cane, quello che viene fuori dal Tensore è la vita di un paese costiero, un paese come un altro, coi suoi abitanti, la sua storia. Poco dopo aver iniziato il libro, mi è capitato di andare a Divertimentificio (come viene chiamata Rimini nel libro) e quando sono tornato a casa ho deciso di fare un po’ di litoranea, per quella sfilza che non finisce mai di paesini uno attaccato all’altro che c’è su tutta la Riviera romagnola, e mentre li attraversavo, che ormai non hanno più l'ombra di una periferia, li divide solo un cartello, e a destra avevo il mare, a sinistra gli alberghi e le case che a fine settembre cominciavano a svuotarsi, mi dicevo: diobò, qui è tutto Torperterra.
osvaldo – Vede, Vannini, il Many si impressiona dell’Adriatico, della costa, del mare. Io e lei invece sappiamo che questo suo Tensore parla di casa, di intima casa. E che la Romagna qui è solo un pretesto. Il miglior pretesto da suo punto di vista, logicamente, per parlare di uno spazio intimo come la casa. C’entra qualcosa il moscone? Ah no, scusi, il Many mi ha detto che non posso far domande.

E.V. – Il mio romanzo viaggia su livelli temporali diversi: i capitoli “dispari” sono ambientati in un presente non troppo specificato, mente i capitoli “pari” sono ambientati tra la primavera e l’estate del 1944. Il Tensore vuole essere un libro divertente; scrivendolo, mi sono trovato a far quasi fatica a infilare cose serie nei capitoli dispari e cose che muovessero al sorriso nei capitoli pari. C’è troppo “salto”, tra le atmosfere e i temi dei capitoli?
M. – Te forse non ti rendi mica conto di come sia semplice per il lettore, e quasi naturale, mi vien da dire, saltare dal tragico al comico, che in fondo sono la stessa cosa, o comunque vanno volentieri in giro insieme. Come dice il grande filosofo contemporaneo Learco Pignagnoli: «Se non c'è niente da ridere vuol dire che non c'è niente di tragico, e se non c'è niente di tragico, che valore vuoi che abbia.» Toh mo.
o. – Generazioni cresciute con Ritorno al futuro capiranno perfettamente. Anche quelle che non ci sono cresciute, tanto lo hanno visto praticamente tutti quel film: stia sereno.

E.V. – Il libro è un’opera prima (probabilmente anche un’opera ultima, ché è stata una fatica bestia e poi mica ci avrei scommesso neanche un caffè, che arrivavo in fondo): voi che siete gente che i libri li consuma come l’olio quando si fa la bruschetta, avete ravvisato ingenuità o mancanze dovute alla mia mancanza di esperienza, di abitudine a scrivere cose lunghe?
M. – Le cose che fanno un po’ venire il nervoso del Tensore di Torperterra sono essenzialmente legate all’editing (qualche refuso, gli interlinea troppo grandi dopo i paragrafi, cose così), ma da quelle sei discolpato. Forse ci sono delle ingenuità in certi punti della prosa (molto pochi, in verità; due o tre, diciamo), tipo alcune metafore un po’ troppo spinte, ma non lo so, tutto sommato sono belle lo stesso. Ecco, una cosa che mi è piaciuta molto, e che secondo me hai cercato ma non più di tanto, e forse t’è venuta così bene più che altro per ingenuità o disabitudine, è il montaggio di alcune scene in maniera cinematografica, anzi, proprio da serie TV. Non c’è traccia di manierismo, ti è venuta così spontanea che leggerla è un piacere.
o. – Ho pensato, in diversi punti, di volere leggere ancora qualcosa e che quel che avevo letto fosse troppo poco. Per come la vedo io, quando si legge di un personaggio in un libro, si può avere il desiderio di portarselo in giro oppure no. Quando capita la prima cosa, è un peccato se poi quel personaggio non può uscire e ha da fare altrove.

E.V. – La scrittura, per come son capace di usarla io, è un mezzo per sfogarsi, una valvola di sfogo emotiva e di vissuti. Nel Tensore ho scelto di scrivere cose che vorrei i miei figli leggessero tra vent’anni (anche prima, magari). Ci sono come dei flash, in giro per il libro, di cose che volevo dire. Lo so che la domanda è confusa, ma la faccio lo stesso: c’è qualche passaggio o qualche frase quasi “di sfogo” che vi è rimasta attaccata addosso?
M. – Sarà anche per via delle Schegge di Liberazione, ma forse le parti ambientate nel 1944, con i relativi sfoghi, sono quelle che mi si sono appiccicate di più. Penso che tu abbia fatto un gran servizio ai tuoi figli. E anche ai miei (per adesso non ne ho, ma chissà, tra vent’anni).
o. – Come il Many, tranne per la questione dei figli.

E.V. – Secondo me, scrivere è uno spazio di libertà: puoi fare succedere tutto quello che ti pare, come nei sogni. E, come nei sogni, chi scrive crea personaggi – a volte partendo dalla vita reale – e li fa agire e vivere. Così come nei sogni, quindi, tu sei tutti quelli che sogni (poiché inconsciamente ci metti del tuo), nei romanzi – se sei l’autore – sei tutti i personaggi. Però, quando il libro esce, questi personaggi smettono di essere “tuoi”: parlano, vengono immaginati e si raccontano al lettore, che li fa propri. Non è più roba tutta mia, è roba vostra. Se qualche volta ne parliamo, è roba nostra. Nel mio libro, c’è qualche personaggio che vi risuona di più, che avete “fatto vostro” maggiormente?
M. – Per me è il barbiere. Lui e il suo negozio sono talmente fondamentali che il libro potrebbe anche chiamarsi Il TONSORE di Torperterra. Ce ne sarebbe un altro, di personaggi, che mi ricorda molto un mio parente che adesso è morto, ma se lo dico spoilero delle cose e non mi va. L’ultima volta che ci siamo visti ero arrivato a metà libro. Era un bel po’ che non ci incontravamo – un anno? La blogfest 2012? Boh... – e sono contento che ci siamo incontrati perché dopo averti sentito parlare nella seconda metà del libro i dialoghi avevano tutto un altro accento.
o. – Il barbiere anche io, perché ne conosco uno, al mio paese, che gli assomiglia molto e una volta gli ho domandato di tagliarmi i capelli. E lui mi ha guardato e ha detto: “Sei una signorina, vai dalla parrucchiera.” Credo sia stata la prima volta in cui ho pensato alla questione del genere in vita mia. Solo che avevo 8 anni.

E.V.Il Tensore di Torperterra è stato scritto di notte, tra l’una e le tre – tre e mezza. Avevo tempo anche prima e durante il giorno, ma io sono un po’ pipistrello, e le cose importanti le ho sempre fatte di notte. Quando stavo in cucina da solo e rileggevo, data l’ora, ero in piena esposizione emotiva da “Di notte sembra tutto più grande”, così delle volte ridevo e delle volte piangevo da solo, come un patacca, a causa di cose che avevo scritto poco prima. Era mia speranza che – per qualche strana forma di magia fatta di segnetti che ballano su un foglio - questa attivazione emotiva si riuscisse a “respirare”, a farla propria, leggendo il libro. E’ così?
M. – Non lo so. Secondo me fai delle domante troppo lunghe. Comunque, quando ho iniziato a leggerlo stavo mangiano un’insalata con i pomodori, il tonno e i fagioli in un bar dove vado sempre in pausa pranzo. A un certo punto ho dovuto controllarmi perché stavo ridendo con le ganasce spalancate e a momenti mi affogavo con un fagiolo. La gente del bar mi guardava come si guardano i matti. Il giorno dopo, in pausa pranzo, ho letto il primo dei capitoli sulla guerra e lì invece ho dovuto buttar giù un magone o due. Meno male che stavo mangiando un panino con la cotoletta, che è più gestibile in questi casi.
o. – Non ho capito la domanda. Ho capito solo patacca.

E.V. – È un bel libro?
M. – Sì. È un bel libro. Mi sbilancio un po’ di più: per quanto rispecchia la terra di cui parla, la sua gente, la sua storia, la sua lingua; per i personaggi che sono tutti e soli quelli che servono per raccontare la storia e sono perfettamente delineati e indispensabili l'un l'altro; per la vita che c’è tra le pagine, la comicità, la tragedia; per queste e molte altre cose, secondo me, è un'opinione personale, prendila così, come viene, ma secondo me Il Tensore di Torperterra ha tutte le caratteristiche per essere – adesso magari esagero, dico una cosa grossa – un classico.
o. – Che logorroici che siete! Sì.

E.V. – Bòn. C’ha ragione “o.”, per cui la faccio corta. Vi ringrazio di avermi chiesto di farvi delle domande e di aver pure risposto. Ciao Barabbi, state bene.
M. – Saluti a te, Vannini. Ci vediamo presto.
o. – Ciao.

__________
Il Tensore di Torperterra è stato pubblicato il 16 settembre 2013 dell'editore Blonk, che fa solo libri elettronici (se questo per voi è un problema, è un problema vostro). Si trova in tutte le librerie online d'Italia: Amazon, Bookrepublic, Simplicissimus, eccetera. Io, fossi in voi, lo comprerei e ne godrei come si deve. Poi fate come vi pare.

venerdì 4 ottobre 2013

Son fatto così (21)

Son fatto che, per esempio, quest'estate, alla Festa del PD di Carpi, ho incontrato un ragazzo di quella che una volta si chiamava sinistra giovanile, e che adesso forse si chiama gioventù democratica, non sono sicuro, ma comunque, aveva una maglietta con su scritto:
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.
(Bertolt Brecht)
Gli ho picchiettato sulla spalla.
«Ciao,» gli ho detto.
«Ciao,» mi ha risposto.
«Quella frase lì.»
«Bella, vero?»
«Non è di Brecht.»

Si è messo a sorseggiare una birra nel bicchiere di plastica che aveva in mano. Anche io.
Poi siamo andati via. Lui di là, io di qua. Son fatto così.

giovedì 26 settembre 2013

Tema: IL MIO PRIMO CONCERTO. Svolgimento:

«Stasera andiamo a vedere un concerto,» mi aveva detto mio padre, una sera di più di vent’anni fa, verso la fine degli anni ’80. La frase non era neanche tanto strana, ma per me che avevo una decina d’anni ed ero venuto su in una casa dove non c’era neanche un libro e neanche un disco, e oltretutto le uniche persone che avevo visto suonare dal vivo erano quelle della banda del paese, quella frase era abbastanza insolita da farmi rimanere lì a bocca aperta a prendere le mosche che passavano. E le zanzare, dato che eravamo in estate.
«Suona il gruppo del fratello dei nostri vicini» aveva continuato mio padre, «c’hai presente Carletti, il vigile?» Avevo presente. Cioè, avevo presente Carletti, il vigile.

Quindi, appena venuta sera, con mia mamma e mio papà (mia sorella non mi ricordo, se era già nata era molto piccola, un anno o due al massimo) siamo andati a piedi per manina al Parco della Resistenza, che l’avevano appena finito di costruire e ci avevano messo una fontana con un arcobaleno di cemento, una pista di pattinaggio di cemento e una tribuna di cemento a forma di anfiteatro molto alta e molto pericolosa, dove di solito io, Gabriele e Lucio andavamo a provare a romperci l’osso del collo al pomeriggio. Il Parco della Resistenza non lo conosce quasi nessuno con quel nome lì, lo chiamano tutti La Taverna, per via della Taverna, un circolo ARCI che c'è lì dentro e dove i vecchi vanno a giocare a bocce, a briscola, a scala quaranta e a pinnacolo, e i giovani a comprare sottoprezzo dai fruttini alle birre medie, a seconda dell'età.

Quella sera, alla Taverna, c’era praticamente tutto il paese, mancavano solo quelli che erano al mare o in montagna, ma secondo me qualcuno era tornato a casa dalle ferie apposta, perché nel paese non succedeva mai niente da anni e una volta che c'era qualcosa non ci si poteva permettere di rimanere indietro. Noi, come d’abitudine consolidata della famiglia Manicardi in rapporto agli eventi mondani, siamo andati là che ci si vedeva ancora, quindi eravamo riusciti a prendere i posti centrali sulla tribuna-anfiteatro di cemento, mentre delle persone sulla pista di pattinaggio di cemento lì davanti stavano trafficando con gli strumenti musicali e soprattutto con dei cavi e dei microfoni. Ogni tanto dicevano «Un-due-tre-sa-sa.» (Quasi trent’anni e centomila concerti dopo non ho ancora ben capito perché si dice «sa-sa»).

All’imbrunire, l’anfiteatro di cemento è pieno da scoppiare, dalle casse esce una musica che non mi ricordo, gli strumenti e i cavi sono tutti posizionati immobili sul palco, molta gente non trova posto per sedersi e comincia ad affollare il bordo della pista di pattinaggio di cemento. Fa un caldo birichino e chiedo a mia mamma se posso andare alla Taverna a comprare un ghiacciolo. Lei tira fuori cinquecento lire e mi dice di prenderne anche uno al limone per lei e uno alla menta per mio padre.
Prendo i soldi e scappo.

Dieci minuti dopo, esco dalla Taverna con un ghiacciolo all’amarena già scartato, mezzo in mano e mezzo in bocca, e due ghiaccioli incartati nell’altra mano. Voglio fare presto a portarli ai miei perché c’è caldissimo e ho paura che si sciolgano. Mi faccio strada tra la gente e, per caso, quando passo di fianco al bagno degli uomini prendo contro a un signore molto alto, con degli occhialini tondi e una barba bianca molto lunga, che mi fa cascare i ghiaccioli incartati che avevo in mano.
Mi chiede subito scusa. Mi aiuta a raccoglierli, poi, mentre io ho ancora mezzo in bocca il mio ghiacciolo all’amarena, mi dà una scompigliata ai capelli, sorride, saluta e va via.
Mi son chiesto se per caso non fosse Babbo Natale, anche se ero venuto su in una casa dove Babbo Natale non è mai esistito.

Poi l'ho visto che saliva sul palco. Ha cantato per due ore, ogni tanto parlava in dialetto, e io ho ascoltato tutto il concerto, il mio primo concerto, senza dire una parola.

Quel signore molto alto, con gli occhialini tondi e la barba bianca molto lunga, è morto pochi anni dopo.
Nell’ottobre del 1992 avevo tredici anni e ascoltavo già i Litfiba, i Nirvana, i Guns’n’Roses e soprattutto gli Iron Maiden. Ma ogni tanto, nella mia cameretta di via Salvador Allende a Novi di Modena, chiudendo la porta, col volume non troppo alto ché non sentissero i miei amici se per caso passavano a cercarmi, senza dir niente a nessuno, mettevo su qualche disco dei Nomadi. E cantavo.

__________
Questa cosa va a inserirsi nell'encomiabile progetto di raccolta di prime volte messo su dal vincitore dei MIA 2013 come miglior blog musicale. E questo è stato il mio primo concerto. Volente o nolente.

mercoledì 25 settembre 2013

L'(n+1)esimo libro della fantascienza: un ebook

[...] doveva uscire il 19 settembre 2013, giorno del secondo compleanno di Carlo Fruttero non festeggiato da Carlo Fruttero. Lo facciamo uscire con un po’ di ritardo, perché nel mondo reale sono successe delle cose che ci hanno tenuti impegnati (nulla di grave: due barabbisti hanno pensato al futuro e si sono sposati). Non escludiamo la possibilità di inventare una macchina del tempo appositamente per rimediare all’errore (e, già che ci si siamo – o ci saremo o, meglio, ci fummo – provare a riscrivere questa sorta di non-prefazione).
L'(n+1)esimo libro della fantascienza è un ebook collettivo. Sono 622 pagine di racconti, qualche disegno e un paio di poesie; il Commodoro Isola Virtuale ha fatto la copertina anche quest'anno, lo credevamo impossibile ma si è superato.
L'(n+1)esimo libro della fantascienza si scarica gratis, come al solito, nei tre formati elettronici classici: per gli amanti delle ere passate, in pdf (in A5, ma vi sconsigliamo di stamparlo); per tutti gli altri pensatori del futuro, in epub e in mobi.
Come abbiamo fatto per il suo predecessore, anche L’(n+1) esimo libro della fantascienza è dedicato a Carlo Fruttero. E ci sembra doveroso, ora, estendere la dedica a Franco Lucentini. Senza di loro, forse, chissà, non saremmo qui. Ci riserviamo di verificare l’ultima affermazione, una volta inventata la macchina del tempo di cui sopra.

(dalla prefazione che non ho fatto in tempo a scrivere)
Buona lettura.

__________
Update delle 19:20: è online la versione 1.1, con qualche refuso in meno (soprattutto nella prefazione, ché l'avevo scritta prima di andare a letto). Prendetela pure dai link lì sopra e sostituite i file che avete già scaricato, se li avete già scaricati.

Note:
1. Se trovate dei refusi, ditecelo al solito indirizzo, ché li mettiamo a posto il prima possibile: coi libri elettrici si può fare senza rovinare l'ecosistema.
2. Appena avremo un po' di tempo, tutti i racconti li mettiamo anche su l'ennesimo blog della fantascienza. Perché non ci facciamo mancare niente.

martedì 24 settembre 2013

Dialettica (15)

Mia nonna, quando voleva togliersi il pensiero, si asciugava la mano con cui si spazzava la fronte sul grembiule. Indovinava il preciso angolo di stoffa in cui non c'erano già macchie o aloni di bagnato e si passava la mano con vigore, strofinando per bene: per togliersi il pensiero serviva attenzione e determinazione.  
Togliersi il pensiero per lei era faticoso, perché poi si fermava sempre un attimo prima di riprendere a fare quello che stava facendo e non ho mai capito per davvero se qualche volta ce l'avesse fatta.

lunedì 23 settembre 2013

La gente si dividono in due (6)

Quelli che, quando arriva la mezza stagione, scoprono o coprono sotto; e quelli che, quando arriva la mezza stagione, scoprono o coprono sopra.

giovedì 19 settembre 2013

L'(n+1)esimo libro della fantascienza: doveva uscire oggi...

È il secondo compleanno di Carlo Fruttero senza Carlo Fruttero, e proprio oggi avevamo in programma di pubblicare il nostro secondo volume (anzi, enne-più-unesimo) di racconti fantascientifici. Ma non abbiamo fatto in tempo, ci sono stati degli impegni improrogabili. Allora proviamo a farlo uscire la prossima settimana, forse già da lunedì.
Intanto, per farci perdonare, vi spoileriamo la copertina.

domenica 15 settembre 2013

(Trascrizione più o meno fedele di) Delle cose non prive di conseguenze

[Ieri è capitata una cosa strana: l'elena (osvaldo) e Chettimar si sono sposati. Li ho sposati io. La mattina in maniera ufficiale, il pomeriggio in modo ufficioso. Com'è andata la mattina, nel Palazzo Reale di Milano, l'ho scritto qui. Quello che segue è il discorso del pomeriggio, nell'atmosfera bucolica della Tenuta Limido di Zerbolò, in provincia di Pavia, davanti a un centinaio di persone.]

Buonasera a tutti.
Si sente se parlo così?
Bene.
Anche là in fondo? Si sente?
Speriamo.
L'importante è che sentano i due che ho qui davanti, e anche i loro testimoni, perché le cose che devo dire oggi sono soprattutto per loro, e sono delle cose non prive di conseguenze.
Allora, adesso cominciamo.

Come dovreste sapere, se oggi siete qui, oggi siamo qui perché le due persone che ho davanti hanno deciso di prendere degli impegni l'una verso l'altra, degli impegni che, se sono bravi – ma se li conosco almeno un po' e se voi li conoscete almeno un po' sapete che sono bravi; anche se nella vita non si può mai dire, ma noi oggi diciamo di sì, che sono bravi – queste due persone che ho qui davanti hanno deciso di prendere degli impegni che sono forse tra i più importanti che due persone possano pensare di prendere insieme. La cosa sorprendente è che hanno chiesto a me di fare, come dire, da garante a questi impegni, e quindi di farmi celebrare il loro matrimonio.

Perché proprio a me? Dopo ve lo spiego, se ho capito bene e se avete pazienza. Intanto alcuni di voi si staranno domandando: Chi è questo tizio qua con l'accento emiliano che viene fino in Lombardia per unire in matrimonio un brianzolo e una molisana?

Allora mi presento, anche perché non tutti gli invitati mi conoscono. Io mi chiamo Marco Manicardi, sono un ingegnere, come lo sposo, vengo da Carpi, in provincia di Modena, e conosco le due persone che mi stanno davanti da circa tre anni. Nonostante tutto, posso dire senza temere smentite di essere loro amico d’infanzia, perché in questi circa tre anni che ci conosciamo sono successe tante, tali e grandi cose che quando davanti a una birra o a un Negroni delle volte ci viene da parlare del 2010, ci sembra di parlare di quando eravamo bambini.
Ma andiamo con ordine.

Nel lontanissimo 2010, quando cominciavano a espandersi nuovi mezzi di comunicazione su internet che si chiamano social network, e sui giornali si cominciava a dire che internet e i social network erano i covi dell’odio, io avevo cominciato a scrivere delle cose e a conoscere della gente sulla rete, delle persone con le quali chiacchieravo e discutevo pressoché quotidianamente attraverso uno schermo e una tastiera, senza esserci mai incontrati e senza esserci mai visti se non in qualche foto che sporadicamente veniva pubblicata qua e là. Ed è stato proprio lì, nello svago impalpabile dell’internet, che avevo conosciuto una ragazza molisana che abitava a Milano e che si faceva chiamare l’elena, scritto tutto in lettere minuscole e con l’apostrofo, e con la quale mi piaceva parlare di libri e di scrittura e di quello che ci passava per la testa.
Avevo anche cominciato, nel frattempo, a scrivere su un blog (adesso, per chi non sa cosa sia un blog: non ve lo spiego, lo farà un’altra persona più avanti, se portate pazienza), e col mio blog, che si chiama Barabba, avevo chiesto pubblicamente, a chi avesse avuto voglia, di mandarmi dei racconti sulla Resistenza e sulla Liberazione, da raccogliere e poi pubblicare in un libro elettronico e gratuito che si sarebbe chiamato Schegge di Liberazione, forse qualcuno di voi ne ha sentito parlare, forse no. Ma è stato proprio quel libro, Schegge di Liberazione, a non essere stato privo di conseguenze, e in fin dei conti la sua pubblicazione è la chiave di tutta la faccenda che si svolge in questo momento tra le due persone che mi stanno davanti.

Anche l’elena mi mandò un suo raccontino, intitolato Resistenza di ceramica e ambientato nella campagna molisana. Parlava di conserva, di una cantina e di una nonna che affronta come può l’arrivo dell’esercito tedesco. Era un racconto molto bello, come un po’ tutto quello che scriveva su internet l’elena, che non avevo ancora mai visto dal vivo, ma l’avevo capito subito che era una di quelle persone su un milione che quando le conosci non puoi fare a meno di chiedergli delle opinioni e dei consigli.
E infatti eravamo diventati amici, io e l'elena, amici nel senso più vero del termine – come dice il dizionario della lingua italiana alla voce amicizia: Reciproco affetto costante e operoso tra persona e persona – anche se non ci eravamo ancora mai incontrati e anzi, addirittura, all’inizio del 2010, secondo me, non sapevo neanche come faceva di cognome, l’elena.

Poi sono successe delle cose, e una di queste è che il 24 aprile del 2010 quel libro elettronico sulla Resistenza e la Liberazione avevamo deciso di leggerlo in pubblico, perché a Carpi c’era un anniversario importante e la città stava organizzando i festeggiamenti per la ricorrenza. Quella sera molte persone dell’internet sono venute un po’ da tutta l’Italia in un locale di Carpi per leggere i racconti che ci avevano mandato, e io ero tutto indaffarato nell’organizzazione, correvo avanti e indietro compilando scalette per le letture, istruendo i musicisti sulle canzoni da suonare, sistemando il palco, eccetera. Per me era la prima volta ed ero molto in ansia.
Cinque minuti prima di cominciare, con il locale già pieno di gente, io sono lì che riguardo la scaletta che non mi convince, manca una bella voce per iniziare, perché l’inizio importante, ma ormai è troppo tardi e sto per dare il via al primo lettore quando... sento picchiettarmi una manina sulla spalla. Mi giro, abbasso un po’ gli occhi, e mi trovo davanti una ragazza che non avevo mai visto e che mi allunga una mano e mi dice: «Ciao, io sono l’elena.»

Avete presente quegli attimi in cui siamo in mezzo a una folla, talmente immersi nel rumore da non saper distinguere i nostri pensieri dalle nostre orecchie e dal casino che c’è intorno, ma proprio in quel momento lì succede una cosa che ci isola completamente, ed è come se fossimo in una stanza vuota e silenziosa, e tutti e cinque i sensi sono focalizzati su un punto, su quella cosa particolare che sta succedendo? Ecco, in quel momento, per me, il tempo si è fermato per un attimo, intorno si è fatto silenzio. Con gli occhi vedevo solo questa ragazza più bassa di me che mi sembrava giovanissima e sorrideva imbarazzata e bella, e con le orecchie sentivo soltanto quattro parole, scandite, musicali, semplicissime: Ciao, io sono l’elena.

«Ciao, elena,» le ho detto. «Siamo un po’ in ritardo, dobbiamo partire subito, ti va di cominciare te?» E senza aspettare la risposta, l’ho spinta sul palco e lei ha cominciato per davvero. Era la prima volta che sentivo la voce dell’elena ammutolire il pubblico e volare così leggera di frase in frase, una sensazione che si fa fatica a spiegarla; e se non l’avete mai sentita, quella voce, penso che dovreste farlo, prima o poi.
Non oggi, oggi sentite la mia, ché l’elena adesso è qui davanti a me ed è occupata a sposarsi, una cosa che sarà non priva di conseguenze, per lei.

Da quel 24 aprile del 2010, insieme a delle altre persone, io e l’elena abbiamo iniziato a girare l’Italia e il mondo (una volta siamo stati anche a Parigi) a leggere dei racconti davanti a un pubblico, a dormire nei sacchi a pelo o sui divani di chi ci ospitava, a bere delle birre e dei Negroni, eccetera. E in una di queste tappe del nostro tour, eravamo ancora nel 2010, anzi, il 10-10-2010, per la precisione, e ce lo sentivamo che era una data particolare e qualcosa sarebbe successo, siamo finiti a leggere le Schegge di Liberazione in un locale di Milano, zona Bovisa, chiamato La Scighera.

Qualche giorno prima, su internet, avevo conosciuto un’altra persona, si faceva chiamare Chettimar, ne ignoravo il nome e il cognome. Mi aveva chiesto, con modi molto educati, via mail, il permesso di leggere in pubblico la sera della Scighera e, precisamente, voleva leggere un racconto che avevo scritto io e parlava di mio nonno e delle sue vicissitudini con una divisa da Balilla che si era strappata. Io avevo risposto educatamente, acconsentendo.
La sera del 10-10-10, arrivo alla Scighera che è ancora vuota, ci sono solo due baristi, un tizio seduto a un tavolino che sistema delle scartoffie e poi c’è una stanza molto lunga e buia, con in fondo un palco illuminato, un pianoforte e un ragazzo sulla ventina che lo sta suonando magnificamente. Credo che suonasse Chopin, ma non vorrei ricordarmi male.
Mi sono avvicinato, mi sono presentato allungandogli la mano e lui, afferrandola, mi ha detto: «Molto piacere, Chettimar, ci eravamo sentiti qualche giorno fa, dovrei leggere il pezzo che parla di tuo nonno.»
«Ma tu,» gli ho chiesto, «suoni anche il pianoforte?»
«Sì, diciamo che mi diletto,» ha risposto Chettimar.
«Bene,» ho continuato, «allora facciamo così: stasera, oltre a leggere, potresti accompagnare tutte le letture col pianoforte.»
Chettimar era molto imbarazzato. «Non saprei,» mi ha detto.
Ma alla fine l’ho spuntata io, e lui ha diligentemente riempito l’aria della Scighera per tutta la durata delle letture. Due ore abbondanti.

Ero molto contento, e anche il pubblico lo era. Io, di Chettimar, il 10-10-10, non conoscevo ancora né il nome né il cognome, l’avrei scoperto qualche giorno dopo. Ma intanto lo sentivo suonare, nella sala buia, con la luce del palco che lo illuminava, e veniva da incantarsi. E se non lo avete mai sentito suonare, Chettimar, dovreste sentirlo, prima o poi, soprattutto quando fa Chopin.
Non oggi però, oggi vi tocca ascoltare la mia voce, ché Chettimar adesso è qui davanti a me ed è occupato a sposarsi, una cosa che sarà non priva di conseguenze, per lui.

Tornando a quella sera della Scighera, ricordo che l’elena lesse quattro o cinque racconti accompagnata da Chettimar al pianoforte, e dopo le letture si sono presentati e hanno scambiato qualche parola. Quelle prime parole smangiucchiate, tra una birra e un Negroni in località Bovisa, a Milano, a quanto pare, non sono state prive di conseguenze, per loro.

Ma insomma, così ho conosciuto l’Elena Marinelli e così ho conosciuto Simone Marchetti, e in tre anni di giri e letture su e giù per l’Italia e una volta anche all’estero (siamo stati a Parigi), in tre anni di chiacchiere, bevute, risate, birre, Negroni, sacchi a pelo, divani, bei momenti, brutti momenti, eccetera, ma forse anche già da subito, queste due persone qui che mi stanno davanti sono diventati miei amici, e io sono diventato amico loro. Quando ci pensiamo, delle volte, ci sembra che amici lo siamo da sempre.

Adesso, se mi sono spiegato bene, se avete portato pazienza, e scusate se sono stato un po’ lungo – ma tanto non scappate, volenti o nolenti, che mi han detto di tenervi qui finché i camerieri non han finito di preparare gli aperitivi – adesso dovreste aver capito il motivo per cui noi tre ci troviamo qui a celebrare un matrimonio, e loro due a farsi delle promesse, a prendere degli impegni, degli impegni importanti che non saranno privi di conseguenze, da oggi in poi.

Quindi, per riassumere, è successo che io una volta ho pubblicato un libro dal nome Schegge di Liberazione, dentro a quel libro c’era un racconto di Elena Marinelli, e quel libro l’abbiamo letto in pubblico una volta con l’accompagnamento di Simone Marchetti al pianoforte.
Insomma, mi è capitata una cosa, una volta, in questa vita, una cosa che non capita mica a tutti: mi è capitato di fare qualcosa che ha cambiato la vita a due persone. Non dico che senza di me non si sarebbero potuti conoscere e innamorare, avevano già degli amici in comune, vivevano nella stessa città, frequentavano gli stessi posti dell’internet, ma, insomma, la storia è andata così, è andata che dovevo essere io quello che doveva muovere il primo tassello del domino che ruzzolando per la storia li ha portati qui oggi.
Sono stato fortunato. Ho fatto una cosa che ha cambiato la vita a delle persone. Se ci penso, mi scoppia la testa.

E adesso è anche venuto il momento di sbrigare le formalità del caso, quelle già citate formalità non prive di conseguenze. Ma se pazientate ancora un attimo – che tanto dovete aspettare lo stesso, così mi han detto – ci sono un paio di persone che mi hanno chiesto di poter dire due parole per l’Elena e Simone.
La prima è Francesca, che vi leggerà una cosa che ha scelto apposta per gli sposi…

(Francesca Gentile – testimone della sposa – ha letto La promessa di Nicolò Fabi)
Il giorno in cui sei arrivata si è aperta una porta su un mondo che non conoscevo
hai portato con te una parte di me
che adesso è il mio vanto
mi hai trovato abbracciato a un ricordo
seduto e annoiato davanti a uno specchio
ho sentito di avere il permesso
di chiudere gli occhi e aprire le braccia
ora è possibile spingerci insieme
oltre i confini del tempo
come certe idee come le maree
come le promesse
è possibile andare lontano senza avere paura
come certe idee come le maree
come le promesse che si fanno

Adesso siamo compagni di vita
di vita sognata e di sopravvivenza
la nostra casa è arredata con i tuoi colori
e con le mie parole
i nostri libri mescolati insieme intrecciano
e fondono le nostre storie
ma i segreti nascosti in ogni rapporto
quelli non si raccontano
il nostro amore si sporca le mani
ogni giorno nel fango
più di certe idee più delle maree
più delle certezze
il nostro amore è sospeso nel vuoto
ma con i piedi per terra
più di certe idee più delle maree
più delle certezze che si hanno

Tu sei la luce e la pace
la comprensione della sofferenza
io sono la voce e la direzione
le spalle e la malinconia
così abbiamo unito anche il sangue
per coltivare il nostro giardino
e per quanto saremo capaci di farlo
noi lo custodiremo
se potessimo spingerci insieme oltre
i confini del tempo
come certe idee come le maree
come le promesse
se potessimo andare lontano
senza avere paura
come certe idee come le maree
questa è la promessa che ti faccio
E poi c'è Fabrizio, che ha scritto un sermoncino per l’occasione e adesso ve lo leggerà col suo accento caratteristico del centr’Italia.

(Fabrizio Gabrielli – testimone della sposa – ha poi letto il suo sermoncino)
Buonasera,
ora dovrei leggere un discorso, una ròba preparata, scritta a mente fredda - che poi ma come si fa, ad averci la mente fredda, poi? - già da un pezzo, una ròba che conoscono il cerimoniere, i musici, un sacco di gente, mancan solo quasi gli sposi, in effetti, e voi.
Se c'è qualcosa che mi sembra sia il caso di rispolverare, di riportare in auge, è la pregnanza di una tecnica spesso demonizzata: l'improvvisazione.
Perché vedete: a voi oggi sembra - perché lo è - tutto così meravigliosamente organizzato, incastrato, in una parola perfetto, che vi verrebbe quasi da andarglielo a sussurrare in un orecchio, agli sposi, alla chetichella: psss, guardate che non sarà sempre così! pssss, vedrete: cambierà tutto.
Certo, ci vorrà una buona dose di improvvisazione: ma con un po' di dimestichezza col freestyle e la creatività - doti che ai nostri amici non mancano - ecco, la fertile vallata di serendipitù continuerà a stenderglisi verdeggiante ai piedi.
Non esistono parole, davvero, per spiegare agli sposi quanta gratitudine ho per loro, che mi hanno voluto come testimone. Per sdebitarmi, però, una cosa posso farla: testimoniare. Perché io questo turbiglione qua l'ho già provato, e badate: non cambia davvero niente.
Se solo sarete bravi ad allineare l'improvvisazione alle aspettative.

E adesso leggo la parte preparata, che si intitola "Non è forse amarsi mordersi e appiccare il fuoco?".

Guardateli, guardateci: siam venuti tutto qua per cosa? Per il bianco. Che è l'infinitamente possibile, come diceva Barthes. Una corona di fiamme dietro il capo, come tra i cardi la rosa appare Elena oggi agli occhi di Simone. E come il melo nella boscaglia lui a lei. Bianca è la pagina di quaderno che gli si para innanzi, e che s'apprestano a scrivere, con lettere ricamate, vergate in bella calligrafia.
Quando tra poco avranno attraversato la riva del Giordano, quando avranno lambito l'altra sponda, ci diranno - con gli occhi come colombe lei, con la serenità della vigna che si stende sui clivi lui - che si son scelti perché l'incastro era, è e sarà per sempre perfetto; e perché chiamarsi l'un l'altra ha per loro

la dolcezza del vino
che sulle labbra degli assopiti
dov'è colato
muove parole.

Parole, parole ce ne sono molte per cantare l'amore, ma le più belle secondo me le ha scritte Salomone quando? millemila anni fa?, in un libro che si chiama Verso dei Versi, Canto dei Canti, e la cui essenza è tutta nella semplicità grezza di un verso, che è piede e vetta dell'amore quello maiuscolo, il verso che fa

mi stravolgi la mente
sorella mia e sposa (vale anche fratello mio e sposo)
mi stravolgi la mente

la cui essenza è tutta nella pirotennìa di un attacco

Mi abbeveri di baci la tua bocca
perché il tuo amore inebria più del vino

che come fai, con quest'attacco, a non pensare ai nostri amici, a un cerchio di fiamme e a un alone di sangiovese semitico che abbevera e brucia?

Che poi, non è forse questo, amarsi?
Mordersi e appiccare il fuoco?
E infine, portate ancora un attimo di pazienza, è arrivato il momento della benedizione. E chi meglio dell’anziano del gruppo cui affidare un compito del genere?
Prego SirSquonk di avvicinarsi e dire quello che deve dire…

(SirSquonk, il grande vecchio, ha benedetto)
Fratelli e sorelle, buonasera.
Non ho ben capito cosa sto facendo qui, ma so di avere tra i cinque e i sette minuti a disposizione per farlo, quindi rassegnatevi e magari siate così gentili da far partire un cronometro e farmi dei segni quando arrivo al sesto minuto. Il fatto è che, su mio incauto suggerimento e per la perfidia dell’officiante, io dovrei raccontarvi una storia: che è il compito degli anziani, come si sa.
L’altro fatto è che non si dovrebbe mai rovinare una buona storia raccontando la verità, ma al tempo stesso bisognerebbe avere abbastanza fantasia da riuscire a inventarsela, la storia buona: e questa è una dote che non posseggo. Quindi sarò costretto a dirvi la verità.

La verità è che io non mi ricordo come ho conosciuto Simone. Né quando. Ne ho una vaga idea, diciamo. Parliamo di dieci anni fa, e perdendo tempo su Internet mi imbattei in un blog, che – per inciso – me ne fece perdere ancora di più, ma questa è un’altra storia. Ora, lo smarrimento dipinto sulla maggior parte dei vostri volti mi fa capire che non sappiate cosa sia un blog; se io fossi un anziano come si deve roteerei le pupille, sospirerei profondamente, mormorerei “o tempora o mores” e poi vi tirerei un pippone agghiacciante (mi perdonino le signore per l’aggettivo poco delicato) a base di “ai miei tempi”. Siccome sono pigro, facciamo che andate a scoprirlo su Wikipedia cos’è un blog (detto tra noi, in breve: un coso che serve a gente tipo il sottoscritto, e lo sposo, e qualcun altro tra i presenti, gente che ha dei problemi).
Quel blog aveva un nome, e fu quello a farmelo notare: si chiamava The Blog Lies Down On Broadway, e quella era una citazione, la citazione di un disco famoso di un gruppo più vecchio di quasi tutti noi. Forse fu questo il motivo della mia sorpresa quando conobbi Simone di persona, e mi resi conto che doveva aver finito la quarta elementare la settimana prima. Ciò nonostante mi dissi che ci doveva essere del buono in quel ragazzo, se ascoltava quella musica, e fu così che, senza rendermene conto, diventai suo amico. Che è un po’ quel che dicono i cocainomani, adesso che ci penso.
Vabeh.
Qualche anno, molte birre e una piadina formaggio e nutella dopo, una sera ci muovemmo alla volta di Roma per andare al concerto di quel gruppo (cosa che ripetemmo in seguito, per andare a una manifestazione del PD: a noi le cose, se non sono fuori moda non ci piacciono mica). Ci andammo in compagnia di un signore che, dall’alto della sua autorevolezza, ci convinse che al Circo Massimo avremmo trovato quattro gatti e non c’era bisogno di affrettarsi; e in effetti i romani erano ancora tutti a casa, ma intanto altre duecentocinquantamila persone avevano pensato bene di prendere i posti migliori. Di quella notte ci rimane il tenero ricordo di quest’uomo che fende la folla come Mosè ritornando a noi con una pannocchia in mano, e il pensiero che quello fu il loro ultimo concerto.

Ecco, fratelli e sorelle, avevo questi due ricordi e cercavo un modo per metterli insieme e dar loro un senso. Ed è stato in quel momento che mi sono ricordato che nel lontano luglio del 2004 io feci un’intervista allo sposo, un’intervista che pubblicai sul mio blog (sì, sì, va bene: c’era un solo motivo al mondo per cui dovessi intervistare Simone? No. Il che mi pare un ottimo motivo, a ben vedere). E mi sono ricordato di una domanda, e di una risposta, che vado a leggervi:

SMS - E infine, le viene concessa la facoltà di esprimere un desiderio da inoltrare a Babbo Natale. C'è tempo, è vero, ma è meglio portarsi avanti col lavoro.
PCI - Il suo acume mi stupisce, o intervistatore. Mi verrebbe quasi da dire che è nel ramo marketing.
"Stimato Commendator Natale,
In quanto rappresentante legale dell'Ordine dei Single Patetici, ti chiederei di portarmi, magari anticipatamente, una persona che mi sopporti, che sappia capire il caos esponenziale della mia mente e che, nei ritagli di tempo, dimostri della stima e - perché no? - dell'affetto nei miei confronti.


Ora, se in questo preciso momento non vi siete sciolti in un mare di lacrime siete il fratello cattivo di Charles Bronson e la vostra durezza di cuore non dovrebbe essere giustificata dal sapere che la risposta continuava dicendo “Ma, se non ce l'hai, va benissimo anche un milione di euro in banconote di piccolo taglio e un'autobotte di gelato alla menta."

Il fatto è che adesso le cose si tenevano insieme: il nome di quel blog, questa risposta, quel concerto. Perché vedete, quel gruppo, che si chiamava Genesis, scrisse una canzone. Che io e Simone e milioni di altri abbiamo ascoltato milioni di volte. Si chiama The Cinema Show, parla di un ragazzo e di una ragazza, e a noi oggi piace pensare che parli di Simone, e di Elena. Ci sono sei righe in quella canzone, che sono una delle più belle dichiarazioni d’amore che noi abbiamo avuto la fortuna di sentire. E che adesso, se vi va, leggiamo a loro, e per loro.
(SirSquonk – in inglese – e grushenka – in italiano – hanno letto una canzone dei Genesis)
Take a little trip back with Father Tiresias,
Listen to the old one speak of all he has lived through.
Fai un piccolo viaggio indietro nel tempo con Padre Tiresia
Ascolta il vecchio raccontare tutto ciò che ha vissuto


I have crossed between the poles, for me there’s no mystery.
Ho attraversato la terra da un polo all’altro, per me non ci sono misteri.

Once a man, like the sea I raged,
Once a woman, like the earth I gave.
But there is in fact more earth than sea.
Quando ero un uomo, mi infuriavo come fa il mare
Quando ero una donna, donavo come fa la terra
Ma, alla fine, c’è più terra che mare.
Ecco fatto. Siamo quasi arrivati. Ora, come impone la legge, procederemo con le promesse e gli impegni, cioè dando lettura dei diritti che gli sposi acquisiscono e dei doveri che si assumono unendosi in matrimonio, cose importantissime e non prive di conseguenze come, per esempio, l’assistenza carceraria, l’assistenza ospedaliera e la pensione di reversibilità.

Quindi LEGGO AGLI SPOSI LE PRINCIPALI DISPOSIZIONI DEL CODICE CIVILE CHE RIGUARDANO I DIRITTI E I DOVERI DEI CONIUGI FRA LORO.

Articolo 143 – Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.

Articolo 144 – I coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita famigliare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa.
A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato.

Articolo 147 – Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.

Dichiara il signor Simone Marchetti di voler prendere in moglie la qui presente signora Elena Marinelli?

(Ha risposto di sì.)

Dichiara la signora Elena Marinelli di voler prendere in marito il qui presente signor Simone Marchetti?

(Anche lei ha risposto di sì.)

Io, Marco Manicardi, delegato dal Sindaco alle funzioni di Ufficiale dello Stato Civile, pronuncio in nome della legge che:
il Signor Simone Marchetti
e
la Signora Elena Marinelli
qui presenti
sono uniti in matrimonio.

Lo sposo può baciare la sposa (questo non c’era scritto ma ci tenevo da matti a dirlo).

Grazie a tutti.
Abbiamo finito.
Andate in pace.

mercoledì 11 settembre 2013

Tema: IL MIO PRIMO CONCERTO. Svolgimento:

Avevo pochi anni, i pantaloni di jeans risvoltati sulla gamba un bel po', le scarpette da ginnastica e una maglietta verde a maniche corte e il mio primo concerto è stato un concerto dei miei genitori: cantava Lucio Dalla, a Termoli.
Io mi sono addormentata prima che potesse cantare Piazza Grande, che mi piaceva moltissimo (e il piacermi moltissimo consisteva nel cantarla, spesso a parole mie, prima di pranzo o prima di cena), perché, dicevo, una piazza grande deve essere un posto divertente con molta gente. Da piccola mi piaceva la gente. Sono figlia unica.
Mi sono addormentata sul prato, con la schiena al fresco e gli occhi persi a guardar le stelle.
Era agosto.
È stato bellissimo lo stesso.

***
Questo post risponde alla chiamata del prode Farabegoli.

domenica 8 settembre 2013

8 settembre 2013

È l’otto settembre, la guerra è finita, o è questione di ore. La notizia, una volta affidata alle onde, si lascerà trasportare nell’aria e presto la ripeteranno tutti gli apparecchi radio del paese.
Ma è già arrivata? Ci sono ordini nuovi?
Amico e nemico sono mai state parole sensate? I tedeschi stanno fuggendo a nord, metà dei militari della caserma di Reggio è in ricognizione sui monti, l’altra metà è di presidio alla base.
Lino è nella guardiola e quando arrivano i tedeschi è il primo a morire.

(Fabrizio Chinaglia "Bicio", Armistizio)
Letture consigliate: Click.

giovedì 5 settembre 2013

L'(n+1)esimo libro della fantascienza: deadline!

Avete tempo fino alle 23.59 del giorno 5 settembre (toh, guarda, è oggi) per la consegna delle vostre speculazioni fantascientifiche. L'indirizzo è sempre lo stesso: marcomncrd chiocciola gmail punto com. Ripensate al futuro.

martedì 3 settembre 2013

Spudorate indicazioni di voto

Si vede che abbiam fatto bene a lamentarci, gli anni scorsi, del meccanismo di votazione dei Macchianera Italian Awards, perché quest'anno per rendere una scheda valida basta votare 10 categorie su 32 (l'anno scorso erano 40 su 40, per dire).
Bene, visto che addirittura della gente che pensavo risiedesse sulla sponda opposta del digital-divide mi ha chiesto per chi dovrebbe votare, e ribadendo che nella categoria Miglior Sito Letterario voi dovete tutti votare Barabba altrimenti peste vi colga, ho pensato come gli anni passati di scrivere un post di servizio con i miei consigli (personalissimi) su dove, come e perché riempire le caselline di voto (almeno dieci su trendadue, si può fare).
Se avete delle altre idee sensate o delle obiezioni ragionevoli, mettetele pure nei commenti.
Intanto, la parola d'ordine di quest'anno è: controcultura. E io farei così:
  • 1. Miglior Sito: Diecimila.me, ché della lista sono forse gli unici paladini dell'indipendenza. Finché dura.
  • 2. Miglior Personaggio: Zoro, che quest'anno ha vinto tutto portando l'internet in tv senza mandare in vacca nessuno dei due (l'internet e la tv). (Cosa che, per esempio, non è riuscita a Lia Celi nonostante Guido Catalano.)
  • 4. Miglior Articolo: Ma pensarci domenica? per due semplici motivi: primo, dove c'è Leonardo, vota Leonardo; secondo, vorrei che lo rileggeste, e se doveste sentirvi un pochino in colpa, dopo averlo letto, o anche durante, dovreste, per favore, battervi forte una mano sulla fronte e produrre uno "s-ciàf!" udibile dai vostri colleghi o familiari o animali domestici. Grazie.
  • 7. Miglior sito di Satira: Diecimila.me, cioè un voto controculturale against Spinoza (without rancore).
  • 8. Miglior Battuta: Basta fannulloni. Ambasciator porti anche pene. (Casalegglo), perché è universale. Oppure: Se continua così, questo papa finirà per far sembrare un pezzo di merda pure Gesù Cristo. (Azael), perché, indicativamente, dove c'è Azael dovreste votare Azael.
  • 9. Miglior Disegnatore-Vignettista: Zerocalcare, così vediamo se riprende a disegnare davvero, come millanta, dal 22 settembre.
  • 12. Miglior sito Cinematografico: I 400 calci, per svariati miliardi di motivi tra i quali la partigianeria e la Ragione, o anche soltanto per lo Speciale Bruce Lee.
  • 13. Miglior sito Musicale: Bastonate, perché la musica è finita e loro, sovente, ve ne elencano, argomentandoli, i motivi. E poi c'è che spaccano.

  • 14. Miglior sito Letterario: Barabba.

  • 19. Miglior sito Tecnico-Divulgativo: Il Disinformatico, che linkiamo sempre con soddisfazione e il ditino puntato verso l'interlocutore scimmiotto o complottista.
  • 20. Miglior sito Politico-d'Opinione: Leonardo, ché dove c'è Leonardo, mi pare d'averlo già detto, dovete votare Leonardo.
  • 22. Miglior sito di Viaggi e Turismo: No Borders Magazine che sono nostri amici.
  • 28. Miss Internet: La paolina, perché dal vivo è addirittura meglio che in avatar.
  • 29. Mister Internet: Azael, ché dove c'è Azael, eccetera. E poi secondo me è un bell'uomo.
  • 31. Miglior Fake: Casalegglo, così sono addirittura 15 categorie e possiamo dire d'aver strafatto con orgoglio.
Ecco.
Allora voi adesso votate, votate bene, votate Barabba.
Si vota qui.

giovedì 29 agosto 2013

La gente si dividono in due (5)

Quelli che escono di casa, guardano in su, conoscono le nuvole e prendono la bici anche se minaccia pioggia; e quelli che escono di casa, guardano in su e cercano il sole.

martedì 27 agosto 2013

L'(n+1)esimo libro della fantascienza: Giuro che non lo sapevo

“Quinn aveva già sentito parlare di casi simili a quello di Peter Stillman. Nei giorni della sua vita precedente, poco dopo la nascita del figlio, aveva recensito un libro che parlava del ragazzo selvaggio di Aveyron, e perciò si era documentato sull’argomento. A quanto ricordava, i primi resoconti di esperimenti del genere compaiono nelle opere di Erodoto: nel VII secolo a. C. il faraone egiziano Psammetico isolò due neonati ordinando allo schiavo cui erano affidati di non pronunciare mai una parola in loro presenza. Secondo Erodoto, cronista di famigerata inaffidabilità, i bimbi appresero a parlare: la loro prima parola fu «pane» in lingua frigia. Nel Medioevo l’imperatore Germanico Federico II ripeté l’esperimento con metodi analoghi nella speranza di scoprire il vero «idioma naturale» dell’uomo: ma i bambini morirono prima di avere detto una sola parola. Infine, nella prima metà del Cinquecento, il re di Scozia Giacomo IV asserì – senz’altro mendacemente – che dei bimbi scozzesi isolati in ugual modo avessero finito per parlare «in ottimo ebraico». Tuttavia non furono solo gli eccentrici e i filosofi a interessarsi dell’argomento. Anche un pensatore equilibrato e scettico come Montaigne esaminò attentamente la questione, e nel suo saggio più importante, l’Apologia di Raymond Sebond, scrisse: «Io credo che un fanciullo che sia stato allevato in completa solitudine, lontano da qualsiasi rapporto umano (e sarebbe un esperimento difficile a effettuarsi) avrebbe qualche sorta di linguaggio per esprimere le proprie idee. E non è credibile che la Natura abbia negato a noi quella risorsa che ha elargito a tanti altri animali… Ma è ancora da sapere quale lingua quel bimbo parlerebbe; e ciò che per congettura se ne è detto non appare probabile». A parte gli esperimenti, ci sono stati i casi di isolamento accidentale – bambini smarriti nei boschi o allevati dai lupi, naufraghi su un’isola deserta – oltre a quelli di genitori crudeli e sadici che segregavano i loro figli, li incatenavano al letto, li picchiavano dentro gli armadi, li torturavano senza altro motivo che la coazione della loro follia: e Quinn aveva compulsato la vasta letteratura dedicata a queste vicende. C’era stato il marinaio scozzese Alexander Selkirk (da alcuni ritenuto il modello di Robinson Crusoe) che visse quattro anni in solitudine su un’isola al largo della costa cilena e, secondo il capitano della nave che lo soccorse nel 1708, «per mancanza di pratica aveva scordato la sua lingua a tal punto che a stento riuscivamo a comprenderlo». Meno di vent’anni più tardi Peter di Hannover, un fanciullo selvaggio di circa quattordici anni, scoperto muto e ignudo in una foresta presso la cittadina tedesca di Hamelin, fu condotto alla corte d’Inghilterra sotto la speciale protezione di Giorgio I. Sia Swift sia Defoe ebbero la possibilità di avvicinarlo, e l’esperienza sfociò nell’opuscolo di Defoe Mere Nature Delineated (1726). Peter però non imparò mai a parlare, e alcuni mesi dopo fu mandato in campagna dove visse fino a settant’anni senza mostrare interesse né per il sesso, né per il denaro né per altri aspetti del mondo. Poi ci fu il caso di Victor, il fanciullo selvaggio di Aveyron scoperto nel 1800. Grazie alle cure pazienti e scrupolose del dr. Itard, Victor imparò alcuni rudimenti del linguaggio, ma mai oltre un livello infantile. Ancor più famoso di Victor fu Kaspar Hauser, che apparve a Norimberga un pomeriggio del 1828 con indosso un bizzarro costume, praticamente incapace di proferire alcun suono comprensibile. Sapeva scrivere il proprio nome, ma per il resto si comportava come un infante. Adottato dalla città e affidato alle cure di un insegnante locale, passava le giornate seduto sul pavimento a baloccarsi con i cavallini giocattolo, mangiando solo pane e acqua. Tuttavia Kaspar fece dei progressi. Diventò un ottimo cavallerizzo, diventò maniaco della pulizia, gli nacque una passione per i colori bianco e rosso, e a detta di tutti dimostrò una memoria eccezionale, specialmente per i nomi e per i volti. Tuttavia, preferiva rimanere in casa, fuggiva la luce troppo intensa e, come Peter di Hannover, non manifestò mai interesse per il sesso o per il denaro. A mano a mano che in lui riaffiorava il ricordo del passato, ricordò di avere trascorso molti anni sul pavimento di una stanza oscurata, nutrito da un uomo che non gli parlava mai né gli mostrava il volto. Non molto tempo dopo queste rivelazioni, Kaspar fu ucciso a coltellate da uno sconosciuto in un parco pubblico.”

(Paul Auster, Città di vetro)
***
“Quand’ero piccolo, ma piccolo piccolo, diciamo in prima media, mia mamma m’aveva regalato di sua spontanea volontà un computer: era un Olivetti PC1, un 8086 senza disco fisso, con 512Kb di RAM, lo schermo monocromatico verde e due porte per i dischetti da tre pollici e mezzo. Ero il bambino più felice della Terra. Non che immaginassi che quel computer m’avrebbe poi condizionato la vita, le passioni, le scelte e, insomma, il futuro. Ma questa è un’altra storia. [...] con quel computer lì, con l’Olivetti PC1, ci facevo di tutto; e in particolare è sul quel computer lì che ho cominciato a scrivere. Mi ricordo che avevo un dischetto, con l’etichetta “RACCONTI”, in cui raccoglievo tutto quello che scrivevo nella mia stanzetta, davanti allo schermo monocromatico verde, dove avevo anche imparato a scrivere usando quasi tutte le dita e senza guardare la tastiera, che è una cosa che è come andare in bicicletta, poi uno non si dimentica più come si fa.
Chissà dov’è andato a finire, il dischetto “RACCONTI”, anche se, comunque, nel caso in cui saltasse fuori adesso, improvvisamente, non saprei davvero come fare a leggerlo. Però di due racconti che c’eran dentro mi ricordo qualcosa, non i titoli, ma mi ricordo che erano entrambi incompiuti.
In uno si parlava di un bambino che veniva strappato alla madre subito dopo il travaglio e veniva chiuso in una stanza buia da un gruppo di ricercatori; poi questi ricercatori l’hanno sfamato e lavato fino all’adolescenza, e tutte le volte che entravano nella stanza buia in cui l’avevano chiuso, gli parlavano a caso, con delle parole che non esistono, senza senso, le prime combinazioni di suoni che passavan per la testa, tipo “asdurubala scuri scalavateri” o “sberfi maraviona patori” o “pleburi tani tuttidrugini bibbi” e così via; e il bambino, arrivato a quindici o sedici anni, si era creato un linguaggio tutto suo, nella sua testa, ed era anche riuscito a scappare non ricordo come. Poi il racconto si interrompeva lì, immagino che fosse perché non sapevo come andare avanti.”

(Io, dalla prefazione a L’ennesimo libro della fantascienza)
***

Ho cominciato a scrivere con l’Olivetti PC1 nel 1990, avevo undici anni.
Paul Auster ha pubblicato Città di vetro nel 1985, ho iniziato a leggerlo qualche giorno fa.

Voi, invece, avete poco più di una settimana, cioè fino alla data stellare -310071.2347792999 (le 23:59 del 5 settembre 2013), per mandarci un racconto, un saggio, un ragionamento, una foto, una poesia, un disegno o quello che vi pare sul tema della fantascienza all'indirizzo marcomncrd [chiocciola] gmail [punto] com.
Le cose che ci manderete, le pubblicheremo il 19 settembre 2013 in un libro elettrico e gratuito dal titolo L'(n+1)esimo libro della fantascienza.

Dovete rispettare una sola regola: NO FANTASY.
Dài. Ripensate al futuro.

lunedì 26 agosto 2013

La gente si dividono in due (4)

Quelli che al cinema comprano il popcorn per mangiarlo e quelli che lo spargono ben benino davanti al sedile così ci fanno la pedicure.

venerdì 23 agosto 2013

Miglior sito letterario?

Incomprensibilmente, visto il calo di almeno due terzi nella quantità e forse anche nella qualità dei post su Barabba, anche quest'anno, e per il terzo anno di fila, siete diventati matti e avete candidato questo bizzarro blogghetto ai Macchianera Italia Awards 2013, nella categoria Miglior sito letterario (insieme a gente del calibro di Paolo Nori, minima et moralia e al nostro amico Stefano Amato de L'Apprendista libraio al quale auguriamo tutto il bene del mondo).



Potete esprimere il vostro voto per Barabba a questo indirizzo fino al 19 settembre. Nel rendere grazie a tutti quelli che hanno candidato il blog, vi chiediamo di nuovo un piccolo sforzo: o popolo, fai come un paio di migliaia d'anni fa, VOTA BARABBA.

venerdì 2 agosto 2013

L'(n+1)esimo libro della fantascienza: «Porta le chiappe su Marte!»

Vi piacerebbe sciare nell'Antartico ma siete sepolti sotto una valanga di lavoro? Sognate una vacanza sul fondo del mare ma il prezzo vi manderebbe a fondo? Avete sempre desiderato scalare le montagne di Marte ma al momento vi trovate in una valle di lacrime? Allora venite alla Rekall Incorporate, dove potrete acquistare le memorie della vostra vacanza ideale meno cara, più sicura e migliore di una vacanza normale! Non lasciate che la vita vi lasci indietro, chiamate la Rekall, per le memorie di tutta una vita!
Mentre noi partiamo per le ferie, voi avete tempo fino alla data stellare -310071.2347792999 (cioè le 23:59 del 5 settembre 2013) per mandarci un racconto, un saggio, un ragionamento, una foto, una poesia, un disegno o quello che vi pare sul tema della fantascienza all'indirizzo marcomncrd [chiocciola] gmail [punto] com.

Le cose che ci manderete, se siete di quelli che ancora non lo sanno, le mettiamo il 19 settembre 2013 dentro a un libro elettrico e gratuito dal titolo L'(n+1)esimo libro della fantascienza, che è il seguito de L'ennesimo libro della fantascienza che abbiamo pubblicato il 19 settembre dell'anno scorso.

Ci teniamo MOLTO a sottolineare l'unica regola che dovete rispettare: NO FANTASY.
Ovunque voi siate, ripensate al futuro.

sabato 27 luglio 2013

Il ritorno de La scala senza cima

"paura eh?" (cit.)

Questo martedì che viene, martedì 30 luglio, a Carpi, in un posto dove anni fa ci proiettavo i film del cinema estivo all'aperto e che da ieri sera, venerdì, ospita una rassegna cittadina per tutti quelli che non sanno dove andare mentre lottano con l'afa e delle ferie ne parlano come di miraggi nel deserto, rimetteremo in scena una versione accorciata ma sempre completa de La Scala senza cima: un breve discorso con lunghe letture sul Noir.
Il posto è il Chiostro di San Rocco, la rassegna si chiama Coccobello.
Cominciamo alle 22 e andiamo avanti per un'oretta circa.
(sul sito del comune c'è scritto 21 ma si son confusi)
Il programma delle serata lo trovate sul sito del comune di Carpi che si chiama Carpidiem.
Come la prima volta, lettori ufficiali della serata saranno il compare Many e l'attrice Stefania Delia Carnevali, alle musiche saremo supportati dall'eccellente Filippo Bergonzini, vecchia conoscenza e veterano di Barabba, mentre il sottoscritto cercherà di imbastire la storia e le biografie dei migliori autori del genere.

Non possiamo darvelo per certo (suspance) ma potrebbe anche arrivare nel corso della serata un super ospite d'onore...

domenica 21 luglio 2013

Come si dice

"D'accordo, c'è di mezzo la morte in quest'impresa della caccia alle balene - una indicibilmente rapida, caotica spedizione di un uomo nell'Eternità, ma che importa? Ci siamo profondamente ingannati a proposito della Vita e della Morte. Io credo che ciò che chiamiamo «la mia ombra» qui, sulla terra, sia la nostra vera sostanza. Penso che, nel considerare le cose spirituali, assomigliamo troppo alle ostriche che guardano il sole attraverso l'acqua, e ritengono quell'acqua densa la più trasparente delle atmosfere.
Credo che il mio corpo non sia altro che la scoria del mio essere migliore. E allora, il mio corpo, se lo prenda chi vuole, se lo prenda pure, quello non sono io. E poi, tre hurrà per Nantucket, e venga la lancia sfondata e un corpo sfondato, quando vogliono, poiché, di sfondarmi l'anima, chi è capace?"

(Herman Melville, Moby Dick, cap. VII; 1851)

***

"Perre si sollevò tra i suoi nuovi compagni e camminò tra i fuochi verso l'altro lato della strada, dove, così gli avevano detto, stavano i soldati prigionieri. Aveva voglia di parlare con loro. Sulla strada una sentinella francese lo fermò e gli intimò di tornare indietro.
Pierre tornò, non però verso il fuoco, verso i compagni, ma verso un carro staccato vicino al quale non c'era nessuno. Piegando le gambe e abbassando il capo, sedette sulla terra fredda presso a una ruota del carro e lungo tempo rimase seduto, immobile, pensando. Passò più di un'ora. Nessuno lo disturbava. Ad un tratto si mise a ridere col suo riso grosso e bonario, così forte che da varie parti taluni si voltarono con meraviglia verso quella strana, evidentemente solitaria allegria.
«Ah, ah, ah!» Pierre rideva. E disse ad un tratto ad alta voce a sé stesso: «Il soldato non mi ha lasciato passare. Mi hanno preso, mi hanno rinchiuso, mi tengono prigioniero. Chi tengono prigioniero? Me? Me - la mia anima immortale? Ah, ah, ah!... Ah, ah, ah!...» Rideva con le lacrime agli occhi."

(Lev Tolstoj, Guerra e Pace, Volume Quarto, Parte Seconda, cap. XIV; 1869)

Great minds think alike, come si dice.

giovedì 18 luglio 2013

martedì 16 luglio 2013

Ricordi dall'epoca del monoscopio: L'amore e la moneta

Una volta, quando ero piccolo, c'era un cantante che si chiamava Cristian. Non mi ricordo se fosse Christian con l'acca o Cristian e basta. Mi ricordo che si chiamava così, senza cognome. Me lo ricordo perché è stato il primo che ho sentito che avesse soltanto il nome, roba che oggi non si distinguerebbe per niente, dato che tutti quelli che adesso escono dalla tv non hanno il cognome.
Cristian (lo scriverò senz'acca) era un cantante che cantava le canzoni d'amore. Un cantante confidenziale, un "crooner", si direbbe oggi. All'epoca, o meglio a quell'età lì, era uno che cantava le canzoni d'amore e le canzoni di Cristian erano tutte canzoni d'amore melense e sdolcinate, e lui era sempre vestito bene con dei completi, oppure con una camicia e un maglioncino a tracolla, come i bravi ragazzi.
Cristian, quando cantava, sorrideva sempre. Poteva anche fare una faccia preoccupata nella strofa, però nel ritornello, di colpo, sorrideva e dava buone notizie alla tipa di turno. Perché Cristian quando cantava faceva sempre una serenata, non è che cantasse del più e del meno. Lui cantava rivolgendosi in prima persona a una donna, e le diceva le parole d'amore.

Cristian era una specie di Iugliglesias all'italiana, e quando nelle trasmissioni dove andava ospite a cantare in playback gli facevano notare la somiglianza, lui non si arrabbiava, anzi diceva che era un complimento, però poi ci teneva a dire che lui era italiano e quindi era principalmente Cristian, e poi solo dopo era una specie di Iugliglesias.
Con Iugliglesias aveva anche in comune l'aver giocato a pallone, questa cosa la raccontò una volta a Domenica In, dove poi cantava mentre in sovraimpressione andavano i risultati delle partite con gli aggiornamenti. Roba che mentre uno cantava di quanto era bella la sua donna e dio mio quanto ti amo amore mio, poi ci veniva scritto "ROMA - AVELLINO 1-0 - Pruzzo" e un po' si perdeva la poesia.

Iugliglesias, sempre a proposito di calcio, aveva giocato portiere nel Real Madrid, però poi non mi ricordo ma credo che avesse fatto un incidente in macchina e allora basta calcio, e poi era diventato un cantante della madonna. Cristian invece aveva giocato nel Palermo, non aveva avuto nessun incidente, credo.
Però aveva sposato una valletta di Domenica In che forse aveva conosciuto dopo un gol di Pruzzo. Si chiamava Dora Moroni e lei sì, aveva avuto un incidente grave in macchina che le aveva stroncato la carriera e l'aveva lasciata con qualche problema, poveretta.

Cristian cantava tre canzoni che mi ricordo. Una era "Un'altra vita, un altro amore" che nel ritornello diceva "Un'altra vita un altro amore ti darò..." e quando partiva il ritornello negli studi televisivi partiva l'applauso. E allora Cristian sorrideva.
Un'altra era una canzone che si chiamava "Cara" e che nel ritornello diceva "Cara, la prima sera, non c'era più l'innocenza della scuola, quella bambina ormai sta diventando donna sempre più..." e un mio compagno di classe la cantava parodiandola "Cara, la prima sega", e tutta la classe rideva, che eravamo piccoli e si rideva con poco.
Poi c'era la canzone che ho sentito per prima di Cristian, si chiamava "Daniela" e nel ritornello si concludeva con "Presto da te ritornerò perché da solo non ci sto, sei sempre tu che amo di più, Daniela". Nel testo diceva "Daniela" circa centomila volte e noi in classe avevamo una compagna che si chiamava Daniela e ogni volta che la chiamavamo per qualcosa non dicevamo il suo nome con la voce normale, ma lo dicevamo come Cristian nella canzone. Lei non ne poteva più, una volta si arrabbiò molto e due di noi presero una nota sul diario. Non ricordo cosa scrisse la maestra, ma mi piace pensare una cosa del tipo "Tiziano prende in giro una compagna cantandogli "Daniela" di Cristian".

Una volta Cristian fece "Daniela" da Mike Bongiorno, penso che la trasmissione fosse Flash ma non ne sono sicuro. Poi dissero che Cristian era andato in uno stato estero, mi sembra uno stato africano, dove la figlia del capo di stato si chiamava "Daniela". Lui le aveva cantato la canzone e il capo di stato aveva fatto coniare una moneta con la faccia di Cristian.
Non ho poi mai avuto conferma di questa cosa, se oggi vedessi Cristian mi piacerebbe chiederglielo.

Perché poi Cristian fu uno che andò a cantare per il Papa, un giorno. Oggi non se lo ricorda nessuno, ma credo che sia stato il primo cantante pop a cantare per il Papa. E dopo di lui lo hanno fatto in tanti, da Battiato a Bob Dylan.

A meno che non mi ricordi male e che Daniela fosse la figlia del Papa. Ma non direi.

domenica 14 luglio 2013

La gente si dividono in due (2)

Quelli che la domenica si svegliano tardi, tipo a mezzogiorno, o che comunque concepiscono che uno abbia poi anche il diritto la domenica di svegliarsi tardi; e quelli che rimproverano quelli che la domenica si svegliano tardi, tipo a mezzogiorno, o che comunque non concepiscono che uno abbia poi anche il diritto la domenica di svegliarsi tardi.

martedì 9 luglio 2013

Schegge di Liberazione

Una specie di ritorno dal vivo, in formato ridotto, per il "campo scout" dell'ARCI.
Precisamente: sabato 13 luglio, alle 22:00, in mezzo al Parco della Resistenza di Monte Santa Giulia a Monchio di Palagano (MO), che è anche un posto molto bello.
C'è scritto tutto qui.

(L'ingresso, ci siamo informati, è gratuito e aperto a tutti.)