[riceviamo e pubblichiamo la cicatrice di Chiara Tizian, conosciuta anche come, pensa te, "chiaratiz"]
(Posizione)
Il palmo delle mani, più la sinistra della destra, per la verità.
(Cause)
Ho dieci mesi e sono una bambina piccola e leggera e perciò cammino già da un mese: come camminano i bambini piccoli, barcollando un po', appoggiandosi quando trovano un appiglio, aggrappandosi alle gambe dei grandi quando serve.
Forse è domenica, anzi no, una festa nazionale, la mamma ha messo in forno una torta e probabilmente non è ancora abituata al pensiero che io cammino.
Quando la mamma è in cucina voglio stare in cucina anch'io, è naturale; sgambetto inopportuna, un giorno capirò cosa vuol dire avere un bambino che ti gironzola tra i piedi in cucina. A un certo punto forse perdo l'equilibrio, cerco un appoggio e l'appoggio lo trovo sullo sportello del forno.
Il forno è un forno a gas di quelli che lo sportello diventa incandescente. La pelle delle mani di un bambino si ustiona subito: il tempo di capire che brucia, di levare le mani dal forno, di piangere, ed è già tardi.
Poi passo qualche giorno in ospedale. Da sola. La mamma non può entrare - quegli incompetenti dicono che si guarisce più in fretta senza mamma - ma mi ha fatto avere una bambolina di gomma a cui mi stringo come fosse la mia unica amica. Io non posso saperlo che lei mi vede attraverso un vetro, che vorrebbe abbracciarmi ma non può: so solo che non viene a consolarmi e che mi sento sola e ho paura; che non capisco perché ho le mani fasciate e vorrei tornare a casa; che sono arrabbiata.
Quando la mamma viene a prendermi per riportarmi a casa non la saluto.
Presto le mani guariscono.
(Conseguenze)
Le mani sono state il mio primo incidente e mi hanno fatta soffrire tutta la vita, poi. Ho cambiato pelle mille volte e le cicatrici son rimaste sempre uguali. Le cicatrici sono dei segni piccolissimi che vedi solo da vicino. I polpastrelli della mano sinistra hanno delle impronte digitali buffissime, le righe interrotte da tanti puntolini, sotto il mignolo un segno un po' più spesso che ogni tanto accarezzo.
Ancora oggi se penso a un bambino in ospedale, oppure orfano, maltrattato, abbandonato: piango come se quel bambino fossi io. Piango anche adesso, a scriverne. Non ricordo niente di questa storia eppure so come ci si sente, so che il dolore è tanto più inconsolabile quanto incomprensibile.
Inspiegabilmente, non ho mai avuto paura del forno. Non ho mai dato la colpa a lui e anzi lo considero un alleato. D'altra parte poi son caduta tante volte in bicicletta e non è mai stata colpa della bicicletta.
Eva, la mia bambolina, è stata mia amica a lungo. Mi ricordo ancora il suo profumo gommoso.
La mamma l'ho perdonata. L'ospedale, no.
di Chiara Tizian "chiaratiz"
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