mercoledì 2 marzo 2011

Cicatrici: Niente

(Posizione)
Ginocchio destro.

(Cause)
Non ero uno scalatore, non ero un passista, non ero uno furbo a entrare nelle fughe, non ero quasi niente, ero solo un po' velocista. E fin che si è ragazzini, fino alla categoria Allievi, qualche coppa la si portava anche a casa. Ogni tanto, in volata, la si spuntava. Ma quando sei Juniores, che il ciclismo diventa improvvisamente una cosa seria, niente, anche se sei velocista, ma non sei IL velocista della squadra, l'unica cosa che puoi fare nelle poche gare in cui si arriva in volata è il treno per IL velocista della squadra, provare a far vincere lui, sudare per un altro ed esser contenti lo stesso.

E allora qual è l'unico modo per portare a casa una coppa da Juniores se uno è un velocista, per far contenta la mamma che sta in pensiero tutto il giorno, tutte le settimane? Le corse in pista, il velodromo, in notturna. Al velodromo c'è la corsa a punti, sessanta giri di pista e una volata ogni due o tre, cinque punti al primo, tre al secondo, uno al terzo, e non è importante chi arriva primo alla fine: vince quello con più punti. Meglio: vince quello con più punti che arriva alla fine.

Bella lì. Sono le dieci di sera, è buio, ci sono le zanzare che turbinano compatte nelle luci dei fari e ci siamo noi, una cinquantina, più in basso, compatti a turbinare per la pista, ognuno con la sua tutina attillata, col suo body, il mio è giallo fosforescente e da vedere sono un gran figo.

Al via partiamo come degli schioppi, sessanta giri a tutta, quasi senza respirare, la pista è lunga qualche centinaio di metri e se non ci ubriachiamo a forza di girare in tondo ai cinquanta sessanta all'ora è un miracolo, ci tocchiamo i gomiti, ci sputiamo addosso senza accorgercene, niente borracce, niente freni - le bici da pista non hanno i freni, se freni muori - e senza poter smettere di pedalare - le bici da pista hanno il pignone fisso, se smetti di pedalare la bici scatta in avanti e fai un volo che poi muori.

Al decimo giro mi son già piazzato in due volate, e una l'ho vinta, sono in testa alla classifica. Al quindicesimo giro son lì tra i primi tre, come punteggio; sudiamo come dei disgraziati e i polmoni iniziano a smettere di capire cosa debbano fare. Al ventesimo giro sono secondo in classifica e l'allenatore sorride, non lo vedo ma lo sento, lo sento nel senso che grida continuamente DAI MARCO DAI. Al trentesimo giro la situazione è più o meno la stessa, siamo in quattro o cinque a contenderci il primato, per gli altri non c'è gara, vaccaboia, ho la soddisfazione che mi fa salire l'adrenalina e vado ancora più forte nella mia tutina gialla, il body, da gran figo. Al quarantacinquesimo giro, o giù di lì, senza capirlo e senza saperlo, nella curva parabolica destra del velodromo di Cavezzo, non chiedermi perché, non chiedermi percome, smetto di pedalare.

Volo.

Raggiungo il turbine compatto di zanzare sotto i lampioni. È un attimo ma è lunghissimo.

Ricado sul cemento e sfrego tutto il corpo, il body si strappa, mi sfregio completamente, scivolo giù come corpo morto scivola dalla curva parabolica. Arrivo sul prato centrale e apro gli occhi.

Boia d'un ladro, dico, ma tanto non respiro e non si sente niente. Mi guardo le mani e sono a posto, avevo i guantini; mi tocco la faccia e sono a posto, avevo il casco; mi guardo le gambe e dal ginocchio destro esce uno zampillo di sangue che anche metterci un dito non conta. Mi giro e vedo che arrivano gli infermieri, stanno lì sul prato a medicarmi per dei quarti d'ora, mentre la gara va avanti e poi finisce, e vince quel tanghero di Tolomelli della Ciclistica 2000 di Rubiera, secondo Veronesi della Paletti Bici S.r.l. di Spilamberto, terzo non mi ricordo.

Io ho buco nel ginocchio che ci mette due mesi a cicatrizzarsi, con un crostone nero e tamugno che pian piano tiro via con acqua e amuchina, tre volte al giorno.

(Conseguenze)
Se mi guardi il ginocchio, adesso, c'è un circoletto più scuro di tre centimetri di diametro, sembra abbronzato e invece è la pelle che ha tenuto quel colore lì quando si è riformata. Se mi guardo il ginocchio, adesso, mi viene una tristezza addosso che non so, e penso che, vacca d'un cane, anche quell'anno lì non ho vinto niente.

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