Un giorno del 1984 stavo guardando le olimpiadi di Los Angeles. Io mi ricordo che le olimpiadi di Los Angeles furono bellissime. È vero che mancavano i paesi del blocco comunista, ma erano le prime olimpiadi che vedevo con un po' di coscienza di quel che stavo guardando e quindi a me sembravano bellissime.
Una notte (perchè a Los Angeles sono su un fuso orario diverso, se non lo sapete) sono lì con mio fratello che guardo le finali dell'Atletica Leggera e ci sono i 400 ostacoli femminili. Mancano quelle dell'est, che sono le più forti, però ci sono diverse atlete che possono fare una bella gara. C'è anche una marocchina che si chiama Nawal El Moutawakil, sembra una di quelle che son lì per miracolo, che vedrai scomparire dopo la prima curva. Invece, con una delle più grandi sorprese della storia dell'Atletica, la signorina El Moutawakil vince. Vince e scoppia a piangere. Fa un giro di campo con la bandiera del Marocco in mano, è in trance agonistica, completamente immersa dentro la felicità per un'impresa incredibile. È la prima donna marocchina ed è la prima donna musulmana a vincere una medaglia olimpica. Personalmente ricordo che in famiglia eravamo tutti contentissimi e il giorno dopo non parlavamo d'altro che di questa ragazza marocchina che aveva vinto e che piangeva di gioia, un'immagine bellissima che ci aveva letteralmente strapazzato il cuore.
Non me la dimenticherò mai, Nawal El Moutawakil. Anche se oggi non so neanche cosa faccia (a dire il vero, prima di scrivere questo post ci ho guardato. Ma così non vale. Comunque sta bene).
L'altro giorno, alle tre, arriva un camionista marocchino che carica un container di piastrelle e che oramai vedo da quindici anni perché inizia a essere un vecchio del mestiere. È un signore di mezza età sempre molto affabile e gentile. Di quelle gentilezze che commuovono, mai volgare, mai arrabbiato, sempre con il sorriso sulle labbra che tra i camionisti è cosa rarissima, ve lo assicuro.
Lo saluto e mi accorgo che in quindici anni che ci si vede con alterna frequenza non so nemmeno come si chiami, ragion per cui sbircio nella sua lettera di vettura in alto a destra, dove c'è scritto il nome dell'autista.
Leggo un cognome: EL MOUTAWAKIL.
Mi metto a ridere perché mi viene subito in mente l'ostacolista marocchina di cui sopra. Mi dico che ora gli chiedo se è un parente o la conosce, ma poi penso "Ma chissà quanti ce ne sono in Marocco, magari è un cognome come da noi Ferrari o comunque molto comune... Ma cosa vado a pensare, ma no dai".
Poi non resisto. "EL MOUTAWAKIL? Come quella che ha vinto i 400 ostacoli a Los Angeles? Sei un parente?"
Il signore di mezza età, che io già mi aspetto che mi risponda con un "EH?" e con una faccia come a chiedermi "Che cacchio sta dicendo questo?" Il signore di mezza età, dicevo, sgrana quegli occhioni verdi e quasi si commuove. Fa il sorriso più grande del mondo e dice "Sì, È UNA MIA CUGINA."
L'autista che è di fianco a lui, un suo collega italiano, non capisce e chiede lumi. "Questo conosce una tua cugina?" Il Sig. El Moutawakil gli spiega in un minuto la storia della finale di Los Angeles 1984, poi dice "Sono vent'anni che sto in Italia. Ti giuro che è la PRIMA VOLTA che qualcuno conosce questa storia del mio cognome" e ride. Gli offro il caffè e ci salutiamo. Lo vedo che si allontana piano piano verso il container, sulle strisce pedonali. La prossima volta sulle strisce ci metto anche degli ostacoli bassi. Tanto li salta sicuro.
Guardate qui.
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