La prima volta che ho letto la centoventotto rossa (si scrive così, senza maiuscole) ho pensato Che libro strano. Quando l'autrice, l'elena (si scrive con l'articolo e la minuscola), mi ha chiesto cosa ne pensassi, io le ho risposto Non lo so, non so neanche farti delle critiche, ti conosco troppo bene, come faccio? Poi l'ho chiuso e sono andato alla finestra. Che strano, ho pensato. Non bello, non brutto, non un qualsiasi altro aggettivo che potesse passarmi per la testa, no, mi veniva in mente solo quella cosa lì, che era un libro strano.
La centoventotto rossa è un frattale. Dopo le sue centoventidue pagine ti sembra di avere in testa una forma, diciamo un quadrato, tanto per capirci e farci un'idea visiva. Poi ci ripensi, e quel quadrato ti accorgi di averlo trovato, nella sua interezza, in ognuno dei racconti del libro. E allora ti rimetti a pensare, e trovi ancora lo stesso quadrato in tutte le pagine, anche prese una per una, e scopri che ogni frase è lì a ribadire e rappresentare lo stesso quadrato. Non importa che a parlare o a pensare sia ora un personaggio maschile, ora uno femminile, ora una bambina, ora un non si sa chi. La centoventotto rossa è il libro ed è il quadrato, ma la centoventotto rossa, il quadrato, è anche ogni racconto, ogni pagina, ogni frase.
La mia capacità di analisi, come al microscopio, arriva fin lì, alle frasi, che sono la cosa più piccola che riesco ad analizzare. Con una raffinatezza ottica migliore, una cosa che io non ho, magari si può arrivare alle parole, all'inchiostro, ai pori della carta, alle molecole, agli atomi, alle particelle e così via, e secondo me, se uno riesce a farlo, dovrebbe trovare sempre quel quadrato che all'inizio avevamo preso per semplicità, per farci un'idea visiva. Insomma, trova sempre la centoventotto rossa.
La centoventotto rossa, quel quadarato frattale che si ripete nella sua interezza, è una ragazza che cammina sola per la strada, di sera; cammina lenta, pensierosa; è triste, è appena piovuto e lei non ha una gran voglia di tornare a casa, allora è lì che cammina; cammina lenta e pensa, si fa delle domande e si risponde. Alle domande che si fa, e sono tante, si risponde sempre Boh.
La prima volta che ho letto la centoventotto rossa ho pensato Che libro strano. Secondo me è un complimento.
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(Elena Marinelli, “la centoventotto rossa”, Autoprodotto, pagg. 122, 10 euro)
Bellissima questa recensione; mi trova in buona parte concorde, ma è scritta in una maniera che io non saprei. Complimenti.
RispondiEliminanel senso che non ti piace come è scritta? (recensione, comunque, è un parolone. Diciamo che è un ragionamento)
RispondiElimina...in ogni caso, strano, non vuol dire banale. E se qualcosa è strano di solito esercita una forza attrattiva. E se un libro è strano, probabilmente non si esaurisce una volta che lo hai chiuso. E onestamente la stranezza per uno scrittore, sarebbe quella di non essere strano e peculiare nell'esprimere il suo punto di vista, il quale proprio perchè è strano lo eleva dalle superfici. Hai reso interessante un libro con un solo aggettivo. Un saluto.
RispondiElimina(grazie)
RispondiEliminaNo no, nel senso che io non avrei saputo pensarla e strutturarla così. Era un complimento :) .
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