“Talvolta un solecismo, una forma linguistica che la grammatica definisce scorretta, può essere giustificato se il suo uso risulta continuo e radicato in una determinata area geografica” (TULLIO DE MAURO)Una specialità antica è presentata a un buon secondo posto – e con ben 23 variazioni – nel ricettario della signora Gilberta Fivizzani da Riolunato, tenutaria della trattoria di Santa Croce. E’ il gnocco fritto, al quale, superando vecchie norme grammaticali, vorremmo rivendicare il diritto di non dipendere dall’articolo “lo” come fosse uno gnòmmero (un garbuglio, un informe groviglio).
Dire “lo gnocco”, con quella cupa nota iniziale “in battere”, è come privare il nostro rispettabile fritto di parte della sua fragranza, è come appesantirgli la vita breve di cibo conviviale, tanto gustoso quanto provvidenziale, ancora oggi, a riempire gli stomachi. L’articolo “il”, al contrario, gli conserva un ritmo “in levare” cònsono con i suoi allegri sfrigolii in padella, moderno come un tempo di jazz o un attacco di reggae.
Con il senso di questa nostra leggera divagazione immaginiamo sarebbe d’accordo anche un caro amico che qui ricordiamo con affetto, il dottor Ignazio Contri, il quale ci lasciò giovanissimo, tradito da un “maledetto chiodo” (come si espresse dolente all’epoca il sindaco di Carpi Cigarini che lo aveva scelto come suo segretario particolare e cerimoniere). Un chiodo staccatosi da una parete delle alpi dolomitiche, proprio contro di lui originario degli Appennini, e proprio del paese di Riolunato. Per giunta Ignazio era parente non lontano degli stessi gestori della “taverna” di Santa Croce. “Val più la prassi che la grammassi” amava dire nelle più diverse occasioni: per amore di calembour e soprattutto per esprimere il suo spirito materialistico sì ma molto dialettico.
Il cantautore nonché recuperante Carlo Alberto Contini (detto Nina) si ostina invece a usare per il gnocco l’articolo “lo”, anche quando parla con i paesani. Viene da pensare che voglia mostrarsi più sintatticamente corretto del dovuto, oppure che intenda aggiungere un che di nobilitante a una sua originale invenzione di qualche anno fa, che lui denominò il “Pittofritto”. “Questa idea – racconta la Nina – mi è venuta perchè in casa si rimaneva troppe volte senza pane per la cena e la mia Carlotta (la moglie, autrice di musiche in cucina ben più accattivanti degli estri del marito paroliere) per sopperire si metteva a preparare lo (il) gnocco fritto, avendo cura di aggiungere all’impasto una presa di bicarbonato a salvaguardia del mio epigastrico cagionevole. Lo (il) gnocco durava poco, al massimo veniva mangiato, già raffermo, la mattina presto del giorno dopo nel caffelatte dal figlioletto Andrea, impaziente di correre verso i banchi di scuola. Allora – prosegue e conclude la Nina – strologai la maniera di allungare la vita allo (al) gnocco. Ideai uno (un) gnocco da freezer, congelato, surgelato, da vendere, sotto vuoto spinto, in busta di plastica biodegradabile. Lo chiamai Pittofritto così, per dargli un nome che potesse imporsi sul mercato, ispirandomi alle Patatine Pai”.
Sono oscuri i motivi dell’insuccesso di quella lontana, sfortunata iniziativa imprenditoriale di Carlo Alberto Contini, ma bisogna dire che si inscrive a buon diritto nella natura stessa delle secolari carpensi pulsioni. Uscire dalla miseria e scongiurarla, guardarsi intorno, annusare (ammusare) quel poco che l’eterna natura onnipossente “che ci fece all’affanno” ci lascia come residuo o scaglia. E adoperarlo, lavorandolo, o facendolo lavorare, con cura, dedizione e intelligenza. Fino a trarne, perché no?, qualche lustrino di illusorio benessere.
Non ricordiamo bene in quale saggio o prolusione o intervento accademico, o semplice conversazione intercettata, il professor Mario Bizzoccoli (musicologo e qualcosa di più) espresse un giorno un pensiero illuminante: questa nostra città ha saputo e soprattutto dovuto gloriosamente inventarsi, per secoli, di tutto: la scagliola surrogato del marmo, il truciolo dai nostri pioppeti salvo poi…, e la maglieria, camiceria pigiami e mutande. Il punto era questo: il carpigiano ha sollevato la testa rispetto a quando la chinava, la povertà lo spingeva a tutto tranne che alla ribellione. E più poveri di lui erano i materiali e i rapporti di produzione.
Per ritornare all’amato gnocco fritto, alle indigeribili tigelle, ai semisconosciuti borlenghi, o crescioni e piade e piadine che dir si voglia, elenchiamo qui sotto quanto è nostro dovere di rimarcare:
MUP, I buoni sapori di casa, TIGELLE, GNOCCO FRITTO & BORLENGHI autrice Marzia Lodi
MUP, I buoni sapori di casa, PIADE, PIADINE & CRESCIONI
autrice Marzia Lodi
Basterebbe chiamare il/lo gnocco fritto con il nome piacentino di chisolini, per evitare problemi grammaticali. Placentia docet.
RispondiElimina...hai perfettamente ragione, e personalmente ho sempre trovato il proferire dalle labbra, lo gnocco, seppur corretto grammaticalmente come in sostanza dici tu, scorretto e al limite del cacofonico con quel'articolo, lo, che strozza quasi un desiderio di beatitudine palatale e dunque innaturale e foriero di chiusure per conto mio, assai più vaste. Epperò discettando di articoli corretti e scorretti, ce n'è uno che trovo ancora più insopportabile e bisogna spostarsi in riviera e nella stagione dell'estate per sentirlo nelle orecchie, ed è. La sdraio. Quando sento qualcuno dire, la sdraio, sarei già pronto per una rissa verbale. Un saluto
RispondiEliminaLa sedia a sdraio = la sdraio!
RispondiEliminaPer tornare alla riviera, ancora più dissacrante è udire a tavola: "...passami la forma..." intendendo il formaggio grattugiato. Non tralascio nemmeno il fatto che i romagnoli non compiono gli anni, "li fanno" (es. mia sorella ha fatto gli anni ieri...).
RispondiEliminaPer tornare allo gnocco, loro lo chiamano "spianata", almeno nella zona di Rimini-Riccione.