venerdì 11 maggio 2012

La passione considerata come corsa in salita

Barabba, invocato, dichiarò la resa.
Lo starter Pilato, azionando il suo cronometro ad acqua o clessidra – fu così che si bagnò le mani, a meno che non vi avesse semplicemente sputato – diede il via.
Gesù partì a tutta birra.
A quei tempi usava, stando al buon redattore sportivo san Matteo, flagellare alla partenza gli sprinter ciclisti, come i nostri cocchieri fanno con i loro ippomotori. La frusta è nel contempo uno stimolante e un massaggio igienico. Quindi Gesù, in buona forma, partì, ma l’incidente al pneumatico avvenne subito. Un tappeto di spine perforò tutt’intorno la ruota anteriore.
Ai giorni nostri si può constatare come somigliasse a una vera e propria corona di spine presso i fabbricanti di cicli, che la affiggono come pubblicità dei pneumatici indistruttibili. Di certo non lo era quello di Gesù, un semplice tubolare del tutto ordinario.
I due ladroni, che se la intendevano, presero terreno.
È falso che vi fossero chiodi. I tre che figurano in certe immagini sono gli attrezzi per smontare i pneumatici, detti «un minuto».
Occorre però, innanzi tutto, dar conto delle cadute. Per cominciare, dedichiamo dunque qualche parola alla descrizione della macchina.
Il telaio è un’invenzione relativamente recente. Fu nel 1890 che comparvero le prime biciclette dotate di telaio. Prima di allora il corpo della macchina era composto da due tubi incrociati perpendicolarmente l’uno sull’altro. Si trattava della cosiddetta bicicletta a corpo retto o a croce. Quindi Gesù, dopo l’incidente del pneumatico, scalò il pendio a piedi, prendendo in spalla il suo telaio o, se si vuole, la sua croce.
Incisioni dell’epoca, basate su documenti fotografici, riproducono la scena. Sembra però che lo sport ciclistico – in seguito al ben noto incidente che pose sgradevolmente fine alla corsa della Passione e che, quasi in coincidenza dell’anniversario, l’incidente simile del conte Zborowski riporta agli onori della cronaca – sembra che questo sport sia stato vietato per un certo periodo, con decreto prefettizio. Il che spiega come mai nelle riproduzioni della celebre scena che si trovano nei giornali illustrati figurino biciclette di pura fantasia. Si confuse la croce del corpo della macchina con quell’altra croce, la forcella dritta. Gesù fu rappresentato con le braccia aperte e le mani sul manubrio. Osserviamo a tale proposito che Gesù peda­lava disteso sul dorso, al fine di contrastare la resistenza dell’aria.
Osserviamo anche che il telaio, ovvero la croce della macchina, come certi cerchioni moderni, era di legno.
Si insinua da parte di certuni, a torto, che la macchina di Gesù fosse un velocipede, strumento piuttosto inverosimile in una corsa di montagna, in salita. Secondo gli antichi agiografi ciclofili, santa Brigida, Gregorio di Tours e Ireneo, la croce era munita di un dispositivo detto «suppedaneum». Non è certo necessario un esperto per tradurre: «pedale».
Giusto Lipsio, Giustino, Bosius e Erycius Puteanus descrivono un altro accessorio che ritroviamo ancora nel 1634, come riporta Cornelius Curtius, in certe croci del Giappone: una parte prominente della croce, ovvero del telaio, di legno o cuoio, che il ciclista inforca: evidentemente il sellino.
Queste descrizioni, peraltro, non sono più infedeli di quelle che i cinesi dànno oggi della bicicletta: «piccolo mulo che si conduce per le orecchie e procede a suon di pedate».
Abbrevieremo il racconto della corsa, riportato nei dettagli in varie opere specialistiche, ed esposto dalla scultura e dalla pittura in monumenti ad hoc: sul durissimo pendio del Golgota ci sono quattordici curve. Fu alla terza che Gesù cadde per la prima volta. Sua madre, in tribuna, si allarmò.
L’ottimo gregario Simone di Cirene, la cui funzione sarebbe stata, se non si fosse verificato l’incidente delle spine, quella di «tirare» e di prendere il vento, portò allora la sua macchina.
Gesù, benché non portasse niente, sudava. Non è sicuro che una spettatrice gli abbia deterso il volto, ma è certo esatto che la reporter Veronica abbia preso un’istantanea con la sua kodak.
La seconda caduta avvenne alla settima curva, su un pavé sdrucciolevole. Gesù scivolò per la terza volta, su un paracarro, all’undicesima.
Le cortigiane d’Israele agitarono i fazzoletti all’ottava.
Il deplorevole incidente che sappiamo avvenne alla dodicesima curva. Gesù era, in quel momento, testa a testa con i due ladroni. Sappiamo anche che continuò la corsa come aviatore… ma questo ci porta fuori tema.

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Questo brano è un estratto da Scritti Patafisici di Alfred Jarry, edito da :duepunti edizioni e da poco disponibile nella neonata sezione Hypercorpus in cui trovate alcuni titoli della loro casa convertiti e visualizzabili in versione digitale e integrale. Un progetto sperimentale al quale speriamo di riuscire a dare un valido contributo. Come dicono loro:
Non si tratta di un e-store, non è una trovata commerciale, non è l’ennesima provocazione, è un progetto articolato che vuole chiamare lettori, autori, studiosi, istituzioni e anche gli altri editori a riflettere sulle pratiche, i diritti, i doveri, le strategie e gli obiettivi che danno senso al nostro lavoro. Che è fare libri. E i libri non sono di carta, sono libri.

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