Io non la conosco la più bella festa della mia vita, o almeno ancora non la saprei scegliere, conosco però quella di mio padre. E comincia con un funerale.
L'anno scorso, il 20 agosto è morto uno tra gli amici più cari di mio nonno Alfonso. Si chiamava Sergio Malavasi e mentre guardavo la sua salma, la tranquillità e la gentilezza di quell'uomo, sempre sorridente e cordiale, era presente anche lì, nella camera mortuaria.
Sergio, come ricorda questo articolo, era tra gli alpini che sono arrivati fino al Don, nel 1942. Uno di Carpi era andato fino là. Uno del mio paese, che se andiamo a nord per una dozzina di chilometri ci troviamo in un paesino talmente in basso che se non ci fossero gli arigini, il livello del mare sarebbe sopra il campanile della chiesa, uno della bassa, era finito là.
Sergio, dice sempre l'articolo, era stato imprigionato e trattenuto per tre anni in un campo per prigionieri di guerra in Siberia e poi, finita la guerra, firmata la pace, era stato liberato. Ma quel che l'articolo non dice, e che mio nonno Alfonso, mia nonna Mimma e mio padre mi han raccontato è che durante il ripiegamento, quando tutto andava a scatafascio e i sovietici stavano accerchiando gli invasori, Sergio e un romano conosciuto lì sul fronte si sono salvati. Si sono salvati aiutandosi, in quel momento pazzesco, in quella situazione di caos, in quella marcia che per chi si fermava significava morte. Si sono aiutati veramente, prendendosi in spalla a turni, alternandosi per il sonno e la veglia, nella ricerca del cibo o dei vestiti per combattere quel freddo più spietato degli avversari, prima uno e poi l'altro, prima uno e poi l'altro, condividendo tutto ciò che avevano e tutto ciò che sapevano. E poi sono stati imprigionati.
Dopo, tornati liberi e arrivati in Italia, Sergio e il romano, ciascuno riprende la propria vita ma nello stesso anno si ritrovano e fondano un'associazione culturale chiamata, credo, Italia-Russia, per promuovere lo scambio della cultura tra Italia e Russia, e siccome ci sono solo loro due come soci, di anno in anno fanno come durante la ritirata, presidente uno e segretario l'altro, poi segretario uno e presidente l'altro, sempre così. Vien poi da chiedersi perché due che son stati prigionieri per tre anni in un campo di prigionia nella Russia più fredda, appena tornati a casa fondano un'associazione che si dedica a costruire un legame con la nazione che ti ha imprigionato, ma queste sono cose che poi, se ci pensi un attimo di più le capisci.
Ma torniamo a mio padre. Mio padre dice che, quando per i venticinque anni dell'associazione (1970, mio padre aveva quattordici anni) erano andati a Roma, ospiti di quello che o era il presidente o era il segretario quell'anno, non se lo ricorda, avevano organizzato una festa che ancora oggi quando ne parla c'ha gli occhi che luccicano, non solo per le torte, i palloncini, i coriandoli, i giochi e la bellezza del posto ma più che altro per la gioia che vedeva e sentiva lì intorno, di tutte queste persone così felici di ritrovarsi e di ritrovare le proprie famiglie, e gli amici con le loro famiglie, tutti insieme a fare festa.
Ovviamente io non c'ero e quindi questa non è la più bella festa della mia vita. Ma è sicuramente la storia sull'amicizia più bella che abbia mai sentito.
Nessun commento:
Posta un commento