giovedì 21 febbraio 2013

In Russia c'è da morir dal ridere (6)

Dieci minuti esatti dopo aver prenotato via internet due posti sul treno in terza classe per un viaggetto rilassante di diciotto ore da Mosca a Volgograd e altrettante per tornare indietro da Volgograd a Mosca, mi telefona la consum.it e mi dice che secondo loro devono bloccarmi la carta di credito, ché gli risulta una transazione di un centinaio di euro con le ferrovie russe.
«Tutto a posto, sono stato io.»
«Davvero?» Mi chiedono.
«Davvero.» Gli dico.
«Ah va bene. Allora scusi e arrivederci.»
Ma si sentiva che ci erano rimasti male.

***

«Ma cosa ci andate a fare a Volgograd?» Mi chiede esterrefatta la signorina della compagnia di viaggi mentre ci aiuta a fare il visto, ché di andare in ambasciata a Milano per due visti non avevamo né tempo né voglia e allora siamo andati in una agenzia.
«Be’,» le rispondo, «è Stalingrado.»
«Ah, siete i primi, in tanti anni.»
«C’è la statua umanoide più grande del mondo,» le dico (al netto dei Buddah cinesi, che però sono solo dei parallelepipedi con la testa, ma questo alla signorina della compagnia di viaggi non lo dico).
Prendo l’aicoso e le faccio vedere delle foto su internet della statuona di Mamaev Kurgan.
«Porca vacca.» Dice la signorina esterrefatta della compagnia di viaggi.

***

Quando siamo alla stazione Paveletskij di Mosca, cogli zainoni sulle spalle, vedo che la mia signora mi guarda e in testa ha le stesse due domande che girano nella mia: «Cosa stiamo facendo? Ma siamo matti?»
Dopo qualche minuto siamo già sul treno, non ci pensiamo più e siamo gasatissimi, mentre il paesaggio, fuori dai finestrini, dopo i palazzoni Chruščëviani a settordici piani della periferia di Mosca – e quando dico “periferia di Mosca” mi riferisco a un territorio che si fa fatica a spiegarne le dimensioni – diventa tutto di un verde sconfinato, con qualche villaggio di baracche sperso nel nulla, dei cimiteri piccolini che se hai letto Padri e figli di Turgenev son proprio quelli lì, con neanche una strada asfaltata, del gran pattume al limitare delle baracche, ma soprattutto steppe o praterie o, insomma, dei gran chilometri di niente a perdita d’occhio.

***

Sul treno, appena sentono che siamo stranieri – perché siamo gli unici stranieri sul treno, sia all’andata che al ritorno – ci chiedono da dove veniamo. I giovani ce lo chiedono in inglese, gli altri ce lo chiedono in russo che capiamo a gesti, perché dai quarant’anni in su l’inglese là non lo sa nessuno.
Quando rispondiamo che siamo «italianskij» ci guardano sempre con degli occhioni e ci domandano se hanno capito bene: «italianskij?»
«Da.» Rispondiamo noi.
E allora borbottano tra loro delle frasi in russo che, senza sapere il russo, ho proprio l’impressione che dicano «Mo pensa te.»
Poi sorridono e ci offrono dei cetrioli – i russi mangiano DAVVERO, continuamente, intere piantagioni di cetrioli, crudi o sott’olio – e dei filetti di pesce che tirano fuori dalla stagnola.

***

Sul treno del ritorno a Mosca, il tipo di fronte a noi, che abbiamo soprannominato “il fruttivendolo” visto che alla stazione di Volgograd è salito da solo con due cassette di pomodori e una di peperoni e le ha messe nello scaffale alto dove gli altri mettono le valigie, vedendo che tutti mangiavano qualcosa e noi ancora niente, semplicemente perché non avevamo fame, si è messo a ciappinare con un traduttore automatico del suo smartphone e ci chiedeva ogni dieci minuti «se posso fare qualcosa chiedi pure» e «voi non mangiato, fame?» e «pesce?» finché non abbiamo aperto un sacchetto di taralli volgogradesi e ci siamo messi a sgranocchiarli solo per placare la sua gentilezza esasperata. Lui, tutto contento, ha fatto tre segni della croce alla rovescia come fanno gli ortodossi e sorridendo si è messo a pasteggiare col suo cetriolo e il suo filetto di pesce tirato fuori dalla stagnola.

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Prima di partire, le ferrovie russe mi avevano già iscritto volente o nolente alla loro newsletter, e in una c’era scritto così:
New York is famous for Broadway shows, Russia is famous for its opera and ballet. Its best theaters - the Bolshoi in Moscow, the Mariinsky and Mikhailovsky in Saint Petersburg - had been established by tsar families. Since then, it's become a tradition for every foreign leader visiting Russia to attend their performances.
Not all foreign visitors appreciate the high art. When Joseph Stalin took Mao Zedong to the Bolshoi, Mao left in the middle of the show & said that he didn't get it why people are dancing on their toes.
***

Per il resto, sono dei mesi che ho in testa di scrivere del viaggio di diciotto ore all’andata e diciannove al ritorno da Mosca a Volgograd e viceversa, in treno, in terza classe, senza dolore e senza spavento, ma niente, non mi viene bene.
Però ho trovato questo articolo di Paolo Simbolotti (o anche questo) e se lo leggete, e sorvolate sul Comic Sans, quello che c’è scritto è tutto vero.

3 commenti:

  1. Complimenti per la scelta inusuale del vostro viaggio. Il viaggio è sempre una scoperta.

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  2. Mi piace moltissimo il racconto del vostro viaggio, peccato che debba passare così tanto tempo tra un episodio e l'altro.
    E Volgograd non la racconti o me la sono persa io?
    Quanto a statue certo questa leggiadria supera di molto quella della sua omologa di Tbilisi...

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    1. (grassie!)

      volgograd la racconto a spizzichi e bocconi. non linearmente. quando mi viene in mete qualcosa, lo scrivo. :)

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