Ieri ero in una boutique milanese a provare quattro abiti bianchi.
Ci sono andata dopo il lavoro: jeans, scarpe da ginnastica, niente trucco e gli occhiali da vista. Eh, oh.
In effetti non ero molto credibile come sposa, mi hanno pure domandato quattro volte quanti anni avessi. Ad ogni modo, sono salita sulla pedana quattro volte, indossavo pure dei sandali che stavano benissimo attaccati alle mie caviglie e la shop assistant continuava a dirmi: «No ma non preoccuparti, lo troviamo un vestito. Lo troviamo di sicuro, eh.» E io a tranquilizzarla: «Non si preoccupi, ho tempo, va bene anche se non lo trovo stasera o domani mattina. Va bene così.»
E poi, mentre mi infilava gli abiti - rigorosamente dall'alto, mani in alto - mi diceva: «Dovrò farti bellissimissima.»
Bellissimissima, se ci pensate, è una parola agghiacciante: è molto più di bella e bellissima, ma soprattutto nasconde tutta una serie di dolore e sacrifici, vitini da vespa, gambe snelle e tacchi alti, strascichi, menu di matrimonio che non si possono ingurgitare; per dire bellissimissima bisogna stringere la parola bella in vita, proprio, e trattenere il respiro.
Allora le ho detto: «Ma scusi, ma non son le damigelle quelle che devono rimorchiare?»
A me, d'altronde, l'han raccontata così.
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