Se devo dire cos'è Lamerica, per come l'ho capita io in dieci giorni che sono stato là, è come girare l'angolo di una stradina silenziosa e deserta di Brooklyn, sbucare sulla 4th Avenue e vedere due nastri gialli che separano il marciapiede dalla strada dove sta passando la coda della Maratona di New York, sono le nove e qualcosa del mattino, ci sono due agenti di polizia al centro della carreggiata, due o tre disabili corrono sulle sedie a rotelle, il viso affaticato, le braccia che mulinano sulle ruote, la pettorina bianca mostrata con fierezza tra due ali di folla che incita, e di fronte, sull'altro angolo della strada, una band di cinquantenni, due chitarre, basso e batteria, sta suonando Take It Easy. Quello è il momento esatto in cui sorrido uno dei sorrisi più sinceri della mia vita, e gli occhi mi si bagnano d'imbarazzo. Faccio una foto, ma non la guardo nemmeno: non serve a niente.
Dopo un paio di minuti prendo la cartina della metropolitana, dobbiamo andare via, degli amici ci aspettano dall'altra parte della città.
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Il primo numero di quella rivista mai nata chiamata Barabba, per come l'avevamo pensata nel 2006, doveva intitolarsi Lamerica. Nessuno di noi, allora, ci era mai stato. Per me, la prima volta è stata la settimana scorsa. Avremo forse modo di parlarne.
nn ci sono mai stato ma credo che prima o poi ci andrò. Amici che ci vivono mi hanno sempre detto che l'America è varia, ogni stato differente e New York ancora una cosa a parte...
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