venerdì 9 dicembre 2011

Hanno ucciso Barbapapà o Io per me vorrei essere una rana (8)

di Sara Parravicini (ottava parte)

è maria che mi ha insegnato a respirare sott’acqua.
e io non l’ho neanche ringraziata.
è lei che mi ha insegnato a fingermi morta.
a fare il gioco della lucertola, come dice lei,
o del mago, come dico io.
perché io ho imparato bene a fingermi morta.
io, quando voglio, so saltare fuori da me,
io sono capace di sfilarmi dal mio corpo.
la mia vera me, intendo,
si stacca dalla mia parte di carne
e se ne scivola via,
si tuffa nei pensieri più vari
che cosa regalo a natale alla zia?
miii, che crepa nel muro!
mi piacerebbe fare un viaggio in patagonia
che palle il traffico a quest’ora!

e poi
quando tutto si fa gelo
e silenzio
e morte
quando da fuori poi dall’alto mi osservo
vedo solo
un corpo spezzato
un corpo piegato
un corpo da usare
staccata la testa dal corpo
oh-oh-sì
godo
ancora, sì
ti faccio godere, sì
vieni

io muoio
sono morta
scopati un cadavere
fai a lei quello che vuoi
io non ci sono
sono il mago, io
salto fuori dal mio corpo
e mi vedo da fuori
così non sento niente
poi mi taglio i capelli
da maschio me li taglio
a zero me li taglio
ma fa niente.

è maria che in fondo mi ha permesso di sopravvivere
ma questa vita sul pelo dell’acqua non è vita, perdio,
questa vita è non-morte
e io non sento più niente
in questa sacca di gomma
tutto è bianco
e la mia voce non si sente
mi rimbomba dentro
non sento più niente
dentro
fuori
niente
.
non sono più io
sono una nessuna centomila
devo aver esagerato col trucco del mago
mi sono sparpagliata
scrivi scrivi
tieniti insieme.

aiuto.

***

So ormai riconoscere quando si alza la marea tossica del mio ieri. Me ne accorgo perché il momento che precede la scarica di flashback dal mio passato si dilata all’infinito cristallizzandosi in un istante di solenne silenzio.
Un silenzio colloso, apneico. Il silenzio terrifico delle profondità del mare.
Un silenzio imperfetto, che si insinua nelle crepe dei ghiacci e rompe l’equilibrio tra la montagna e la neve, il silenzio irreale che segue lo spaccarsi del bianco e annuncia il rombo sordo della valanga.
Un silenzio che ti pietrifica e ti concede un unico pensiero: quello di non avere scampo.

Silenzio.
Il silenzio è d’oro, dicono.
Io il silenzio lo associo alla neve che è bianca e bianco è il colore della purezza. Per alcuni popoli invece, il bianco è il colore della morte.
Bianco e morte. Gli occhi scivolano all’indietro, l’anima svapora, rimane un guscio vuoto, in tutto questo bianco, in tutto questo freddo. Scivoli giù giù giù.
Ci sono vite che solo in apparenza sono chiassose: in realtà, è il silenzio che le contraddistingue. Un silenzio imposto o comprato: con le minacce, le bambole, i ricatti, le botte.
Soprattutto il silenzio dei più piccoli è facile da ottenere perché i bambini sono molto bravi a sentirsi responsabili, e ciò genera un sentimento di colpevolezza che a sua volta produce vergogna che è il ventre fertile del silenzio.
Silenzio.
Da piccoli è un senso obbligato, il più delle volte. Poi da grandi… perché non si parla, da grandi? Rimane addosso quel marchio ributtante, come bava di lumaca: una luce un po’ più diretta è sufficiente a evidenziarne la scia. E allora è meglio stare nell’ombra.
E poi, perché parlare? Perché creare e crearsi altri problemi? Perché spargere altro dolore, dolore inutile?

***

ho la bocca piena di vetro.
mi sento tutta di vetro io, adesso.
di vetro le mani, di vetro la pancia, di vetro la faccia.
di vetro non mi vede nessuno.
neanche io mi vedo.
ma io vorrei che mi vedessero.
o forse no.
io penso di essere pazza.
gli occhi miei sempre sbarrati
non riesco più a chiuderli
io che ero così brava a non guardare
per una strana legge del contrappasso in vita
sono costretta a uno sguardo continuo sul mondo
persa
in questa spirale verso l’abisso,
in continua caduta
non dormo più
e la notte e il giorno
ovunque
maiali sgozzati
vedo
corpi e carne
sento
il caldo del sangue – in gola -
l’odore e il calore
del sesso
che sfrega
duro
tra le gambe.

di vetro rotto sono.
la luce mi passa attraverso
illumina
le mie crepe
irraggia
le mie ferite.

vorrei
al sole
evaporare.

***

Ma la volete sapere un’altra cosa sulla lucertola? Sul libro delle ricerche si dice che la sua particolarità è “l’autonomia”. Vuol dire che la lucertola, se la prende un gatto, per esempio, è in grado di staccarsi la coda DA SOLA per fregarlo. Cioè, è troppo furba, la lucertola! Io credevo che fosse il gatto a staccarle la coda e che poi la coda le ricrescesse, invece no! È lei che sceglie di staccarsela: la lucertola rinuncia una parte di sé per rimanere libera.

Poi, dopo, si fa crescere un’altra coda, ma la lucertola non è proprio precisissima come sua cugina la salamandra in questo genere di lavori: infatti la coda ogni tanto le cresce doppia, alla lucertola.

Invece, la salamandra può rigenerare PERFETTAMENTE alcune parti del corpo. È una specie di supereroe degli anfibi, la salamandra. Il suo unico punto debole è il fuoco. Quindi la salamandra, prima che la uccidi ce ne vuole! La puoi colpire tante volte, e farla sanguinare, e farla piangere assai, ma lei resiste e continua la sua corsa nel sottobosco di rugiada tutta ricostruita tipo Frankestein, ma tutta allegra.

La salamandra deve proprio amare la vita, io credo.

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(qui ci sono le altre parti, dalla prima alla settima)

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