Ventesima puntata
All'aperto. Cielo sgombro. Sole forte e pieno. L'aria drizza ancora i peli delle braccia, ma era proprio ora. Prima le docce, che per quanto passi il tempo uno non ci si abitua mai. Devono averci un ingegnere che giorno per giorno calcola la temperatura ottimale per intirizzire la gente. E poi l'acqua della vasca, fredda. L'unione di tutti questi elementi ti farebbe gridare di animalesco entusiasmo, se non fosse che prima di tutto vuoi nuotare.
I riflessi delle onde sul fondo della piscina sembrano strani rombi gialli in movimento oppure le sinapsi di un cervello liquido e perpetuo: la memoria dell'acqua. Il movimento delle mani a rana, quel doppio cerchio, visto sull'ombra del fondo diventa qualcosa di mistico, come aprirsi alla contemplazione del mondo.
Il dorso invece diventa finalmente lo stile più bello del mondo, devo ammetterlo. Mi tolgo pure gli occhialini, io, che odio il cloro e che rendo inutile qualsiasi collirio, pur di stare in faccia al mondo. A Tenerli, gli occhialini, in questi momenti, mi sembrerebbe di avere una maschera di plastica su tutta la faccia. Son così contento che faccio le bracciate del dorso in simultanea, come un calamaro o un cavatappi.
Così, tra rana e dorso, dimentico quasi lo stile libero. Lo impiego stupidamente solo quando voglio superare un egotico delfinante.
La vasca adesso è raddoppiata rispetto a quella interna. Ora è una vasca olimpionica, da quel che ho capito. Fosse per me, adesso, potrebbe andare avanti all'infinito. Mentre sono così, a dorso.
Oggi il mio nuoto è una danza. All'aperto.
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