Se incontro qualcuno che non vedo da tempo, da mesi o da anni addirittura, la prima cosa che mi dice è: «Come sei dimagrita!» E può succedere che, in caso di maschi, finisca qui, mentre, in caso di femmine, scatti lo sguardo solidale o quello felice o quello, più profondo, celebrativo, uno di quelli che brilla solo se ci conosciamo da almeno dieci anni.
Il maschio certifica un avvenuto cambiamento, se ne compiace o rallegra, ma non fa altre domande, poiché è stato cresciuto con la certezza che alle donne bisogna sempre dire che stanno bene, non sono grasse, sono solo rotonde e va bene anche qualche chilo in più, se non riescono a dimagrire. Spesso lo dicono proprio se non riesci, va bene così (anche quando una parte in quarta con il pan di spagna a tre piani e sì e no arriva a farne uno solo e pure terremotato, le dicono se non riesci, va bene così); è un po' come quando provavo a saltare la corda, a scuola, incespicavo prima di tutti e la maestra arrivava con una palla rossa tonda e sbiadita dalle pedate, dicendomi: «Prova con questa, prova a farla rimbalzare al muro, se non riesci con la corda.»
La metà delle persone, soprattutto donne, che sono a dieta si rammarica di non esserci mai riuscita prima.
La pretesa è tutta lì: riuscirci. Provare poche volte e subito riuscirci.
La metà delle persone, soprattutto donne, che sono a dieta, è riuscita a risolvere problemi di matematica molto difficili, a fare traduzioni di greco complicatissime, a risolvere quesiti di fisica in pochissimo tempo, si è diplomata, perfino laureata, magari più di una volta, va al mare nonostante tutto, digiunando la sera prima, continua a comprare riviste di moda e guardare i cartelloni pubblicitari, sapendo di non avere i soldi per quella gonna, non di essere troppo rotonda per indossarla; molto spesso si dice felice, va a fare l'aperitivo e si fotografa nei camerini mentre fa le compere, sbagliando quasi sempre la prospettiva. Ma, se glielo chiedete, si rammarica del fatto che non riesce a dimagrire. Si rabbuia in un secondo, inarca i sopraccigli o aggrotta la fronte o ancora abbassa la testa, come se avesse preso un brutto voto.
Il problema è tutto lì. Riuscirci.
Quando ho iniziato questo lungo patimento che ha un nome così breve - dieta - da farmi innervosire tutte le volte, pensavo che sarei stata felice di indossare la taglia 42 o meglio: la 41, come quando ero giovane, e sarei riuscita a comprarmi tutti i modelli di vestiti che per più di dieci anni non ho potuto mettere.
Invece no.
Oggi, 20 chili e quasi due anni dopo, sono felice solo di esserci riuscita. Nemmeno avessi scansato per un millimetro fortunato il pericolo più grosso. Riuscirci è una delle cose che fa stare meglio in assoluto.
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