Genova, piazza caricamento.
Stiamo tutti correndo, e urlando. Forte, molto forte.
Il frastuono intorno è pazzesco.
Lungo la costa, al di là del porto, una collina va a fuoco. Ma sembra farlo con calma.
Ci chiamiamo, ci cerchiamo. Nella ressa, pigiati, urtati, strisciati, tentiamo l’impossibile: rimanere uniti.
Ci riusciremo, per tutta la notte.
Genova 2001 per me sono stati due giorni di lavoro con un caldo micidiale e tre sere in casa a sentire, col telefono a filo, i tuoi amici che sono andati a mettersi nei casini.
Di giorno sballavo, pulivo, incelofanavo TV da 30 chili in su, mentre continuavo a chiedermi se c’era un collegamento tra dialogo famigliare e diagonale in pollici dello schermo.
Alla sera ascoltavo, domandavo, sentivo pareri, trattenevo stupori. Ogni fonte era buona, ogni media era utile. Solo alla notte, nei tuoi sogni, brevi sogni afosi, tutto assumeva un senso, una direzione, una precisa definizione.
Di giorno, alle mie spalle, una parete di schermi sul canale satellitare mi rimandava le immagini dei disastri, degli scontri, degli incendi. Di sera le telefonate si chiudevano su dettagli, su particolari, su perquise approfondite, su maschere da carnevale sequestrate, sui tonfi di proiettili contro il muro di uno stadio tramutato in campeggio senza ombre.
Ma tutto era astratto, vago per me, che non avevo mai visto Genova, se non per la proverbiale gita all’Acquario in seconda media, dove ricordo benissimo le sale con gli squali, le mante e le razze ma nient’altro.
Genova, per me, è diventata vera nel 2005 barra 2006. Nei giorni intorno a capodanno.
Dodici amici imbucati in un appartamento a Camogli, tre per ogni stanza, cesso escluso.
Poi altrettanti che salivano al mattino per festeggiare tutta notte e poi dormire in treno per non perdersi il cenone del primo a casa. Più una manciata di autoctoni.
Sembravamo uno squadrone, in effetti. Una squadra di calcio in piena regola, con titolari, panchina, allenatore, dirigenti e personale sportivo. Ovviamente misti. Ma lo eravamo. Davvero. Però di calcetto.
Eravamo lo Spartaco 1905 Football Club di Correggio (RE) e i suoi aficionados.
Unici grandi assiomi della squadra: anarchismo solidale, confutazione recisa del mito della preparazione atletica, rifiuto dei tatticismi e delle strategie pre post e durante partita, nessun contenimento alimentare o sessuale. Un solo rituale scaramantico: prima della partita, durante il discorso d’incoraggiamento del Presidente, ingannare l’attesa sgranocchiando ciccioli, che per chi non lo sapesse, sono biscotti di maiale. Son bravi tutti a mangiare un bue intero dopo aver corso, ma quanta gente sa fare il contrario. Gli spartachisti Sì. Forse anche per questo non sono mai andati oltre il girone, ma se è per questo non sono mai nemmeno retrocessi. Perché loro, e noi con loro, credevamo strenuamente nell’idea romantica e spontaneista di genio e sregolatezza, nel gioco spumeggiante e nell’italiano misterioso e zoppicante di Zeman.
I cori ufficiali erano tre:
- il primo ripeteva in loop “Fate Gol” (x2) + bestemmia a scelta (x2) + “Fate Gol” / “Fate Gol” (x2) + bestemmia a scelta (x2) + “Fate Gol” (ogni strofa esigeva uno scatto d’originalità)
- il secondo sull’aria di Enola gay ripeteva “La Serie B / è un pianeta fantastico / io voglio stare qui / in serie B” (solo ritornello)
- il terzo sostituiva “Spartaco” al “Fate Gol”, le bestemmie non cambiavano.
Dei primi giorni a Camogli ricordo i terrazzamenti, l’odore del pino marittimo, il treno che quasi in bilico scivola a mezza costa, le passeggiate sul lungomare, i camogliesi, non gli abitanti, i dolci, poi l’orizzonte al mattino, il pesce arrostito, le lezioni di bocce al circolo della croce verde, le parolacce in stretto idioma locale del presunto maestro, il vino bianco leggero e fresco, i Camogliesi, stavolta gli abitanti, socievoli e tranquilli, e come regalo d’accoglienza, sei teglie di focaccia, larghe un metro per un metro ciascuna.
Poi è arrivato il 31, l’ultimo dell’anno. E sono arrivati anche gli altri. Tutti felici di rivederci, tutti eccitati per la serata. E alla fine è arrivata la notte, la notte di capodanno. C’eravamo organizzati bene: 3 panini a testa, 2 bottiglie di plastica da due litri con svariate combinazioni tra vino rosso, bianco, vodka, grappa e acqua. Chi portava l’acqua era ritenuto il migliore di tutti, il più affidabile. Le birre e i caffè li avremmo trovati sul posto.
Certo, non ricordo bene la serata, un po’ per gli anni passati, un po’ per il contenuto di quelle bottiglie ma ricordo benissimo di aver festeggiato l’anno in piazza caricamento, in mezzo a migliaia di persone mentre ragazzi neri suonavano musica africana e una collina alle nostre spalle, oltre il porto, ma molto timidamente, andava a fuoco. Poi ricordo una corsa infinita nei viottoli e a ogni svolta una piazzetta diversa che ci accoglieva e ci faceva ballare prima di scappare verso quella dopo. Hip-hop, balcanica, house, rock, ska, reggae, liscio,di tutto, abbiamo ballato e cantato di tutto, credo ci sia stato anche un tendone da circo gigante ma qui potrei sbagliare, e mentre eravamo tra le piazze, nella ressa infinita della festa, i nostri cori facevano eco nelle strettoie, un po’ edulcorati per tutelare i bambini, e c’avevamo una felicità addosso e dentro, e avevamo delle risate così forti che per un attimo ho pensato che eravamo dove molti (anche tra gli Spartachisti) erano stati quattro anni prima, e che eravamo tutti come Supermario quando è iridescente, quando diventa multicolore e indistruttibile, o qualcosa del genere e che con le nostre risate e le nostre corse stavamo restituendo a Genova lo spirito e la gioia che le avevano portato via.
Ovvio, è stato solo un pensiero, ma da quella notte, Genova mi piace ricordarla così.
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Oggi esce un ebook collettivo e collaborativo per i dieci anni dal G8 di Genova, promosso dall'Associazione 26x1, che pare essersi ispirata a noi sia nel nome che nell'iniziativa. Noi non possiamo che sentirci orgogliosi di tutto questo e quello qui sopra è il mio piccolo contributo.
Si può scaricare l'ebook (in pdf, epub e mobi) da qui.
E se la prossima settimana siete dalle parti di Varese, a Paesaggi Sonori, Festival di musica violenta, amore e autoproduzione promosso sempre dai 26x1, potreste anche incappare nella presentazione ufficiale con letture e musiche (e per chi non li ha mai visti dal vivo sarebbe anche la volta buona per beccarsi un live dei Gazebo Penguins).
Intanto li ringraziamo, perché anche grazie a loro, dieci anni dopo nessuno dimentica.
Io ho ricordi contrastati e contrastanti di Genova. E' sempre stata la "città del mio amico Matteo" ma dal 2001 solo il pensiero di scendere dal treno a Genova Principe mi mette la pelle d'oca.
RispondiEliminaDa quel luglio 2001 molte cose mi mettono addosso la pelle d'oca come gli assemblamenti di persone e la visione delle forze dell' (dis)ordine ai lati della strada.
Da quell'estate Genova è diventata "la città che mi fa paura" dove, ora che ci penso, non sono mai più tornata.
Magari dovrei farlo...
conosco un sacco di amici che dopo quella cosa han avuto reazioni complesse e problematiche, e son sicuro che non è facile affrontarle, ma credo che sì, Genova merita una nuova faccia, Genova non c'entra con le bestie e che per ritrovare un po' di gioia e di serenità dovresti re-incontrarla, se lo merita, però è ovvio, sempre senza dimenticare (ed è anche lì la difficoltà).
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