giovedì 8 luglio 2010

Piccolo

«Ciao Marco, sei contento di fare il ciclista?»
«Sì.»
«Quanto tempo è che corri in bici?»
«Cinque anni.»
«Hai mai vinto delle gare?»
«No.»
«Ti sei mai piazzato?»
«No.»
«Come mai?»
«Perché sono piccolo.»
«Sei piccolo?»
«Oppure, insomma, gli altri son più grandi.»
«E come mai?»
«Non lo so. È la natura.»
«E non vorresti vincere?»
«Boh.»
«E non puoi impegnarti di più per vincere?»
«Ce la metto tutta, ma arrivo fin lì.»
«E come mai?»
«Sono piccolo.»

Il ciclismo te lo vendono come uno sport di squadra, come effettivamente è, dai sedici anni in su. Prima, fino ai quindici, è uno sport individuale, per la maggior parte. Vincono sempre quelli che fanno lo sviluppo prima degli altri, quelli che diventano grandi. E io ero piccolo.

L'ultima volta che sono stato alla radio avrò avuto dodici o tredici anni, era una radio indipendente nel reggiano, una radio locale che la sera faceva delle trasmissioni sul ciclismo e intervistava i giovani delle squadre della zona. Eravamo andati là molto contenti, con tutta la squadra e il direttore sportivo, che era mio padre, per giunta, e quando siamo usciti eran tutti contenti tranne me e l'intervistatore, diceva che con me avevamo fatto una brutta figura. Lui, l'intervistatore, un certo Morselli, mi fece quelle domande lì. Penso ancora, dopo tanti anni, che ci fosse una certa dignità nelle mie risposte. Anche se ero piccolo.

Stasera torno in radio, a Bologna, con Schegge di Liberazione. Sono cresciuto, nel frattempo.

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