Charles Marie Joseph Bédier (28 gennaio 1864 - 29 agosto 1938) nasce a Parigi, ma vive fino ai diciassette sull’Isola di Reunion, nel bel mezzo dell’Oceano Indiano. Così, beato lui, legge la sua prima Chanson de Roland a mille miglia dalle fredde pinete di Carlo Magno, all’ombra di un mango.
Tornato in città eccolo col suo maestro Gaston Paris e un manipolo di altri filologi francesi partecipare alla campagna più patriottica e bellicosa che uno nato con il fisico da filologo potesse affrontare. Trincerati in biblioteca, armati di pennino, i nostri eroi sfidano il primato teutonico in materia di edizioni critiche e di studi medievali. Panzer-kritik-ausgaben-divisionen. Possibile che i vicini mangia patate si prendessero tutto il merito di far conoscere tesori della letteratura come il Tristan di Béroul (pubblicato dal teutonicissimo Friedrich Heinrich von der Hagen già nel 1823)?
Bédier fa la sua parte e issa la bandiera blubiancaerossa proprio sul cucuzzolo della leggenda di Tristano e Isotta, dove Herr Wagner l’aveva piazzata prima di lui. Il best-seller Roman de Tristan e Iseut (1900), una traduzione-riscrittura dei tanti frammenti della leggenda, non solo farà decollare la sua carriera accademica – alla faccia di Paul Meyer, ‘l’infallibile’, che di lui aveva detto: ‘è un buon diavolo, ma è davvero troppo poco filologo’ –, ma contribuirà a far appassionare alla storia dei due innamorati di Cornovaglia il pubblico francese, che su Wagner non doveva pensarla diversamente da Woody Allen. Pazienza che ci sia più invenzione che filologia. Lo stesso Bédier, segno dei tempi, nel 1891 si era sposato nella più disneyana delle chiese di Parigi, quella Sainte-Clotilde – settimo arondissement – che è la prima chiesa neo-gotica della città, classe milleottocentocinquanta.
Del Bédier professore al prestigioso Collège de France si dice che come oratore fosse una schiappa. Un ex allievo, malevolo, ricorda come un giorno il maestro avesse parlato degli asperges di un violinista virtuoso, ripetendosi tre o quattro volte prima di raddrizzare gli ‘asparagi’ in arpèges ‘arpeggi’. Quello che conta per un filologo, comunque, sono le idee e di queste Bédier ne ha parecchie, una più controversa dell’altra.
Così per prima cosa si dedica a riscrivere le origini dell’epica, con i quattro volumi delle Légendes épiques (1908-1913), che possono vantare uno degli incipit più belli di sempre, Au commencement était la route (‘In principio era la strada’, apertura del quarto volume) e sono zeppi di immagini poetiche come questa: Le vieilles pierres n’auraient pas d’histoire, si les clercs n’y prenaient peine (‘Le vecchie pietre non avrebbero avuto una storia, se i chierici non se ne fossero presi la briga’). Geniale opera vacanziera, nata sul retro delle cartoline che Bédier spedisce agli amici, durante i suoi viaggi sulle tracce degli antichi eroi, e che per prima mette in relazione le chansons de geste con il fenomeno dei pellegrinaggi.
Continua.
Fantastico... biografie di filologi! Questa non è male affatto...
RispondiEliminaBene, a presto il seguito. Capiterà magari di riconciliare qualcuno con il famigerato esame di Filologia romanza...
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