venerdì 7 maggio 2010

Case d'Altri: tra i tetti

R. è una nostra amica. Qualche mese fa, in perfetto stile collettivo e comunitario, l’abbiamo aiutata a traslocare in una casa dove finalmente era da sola, in santa pace, senza amiche e/o conviventi casiniste. La casa era un appartamento al 2° piano nel centro storico di Carpi, dove oramai trovi solo botteghe d’artigiani, artigiani, antiquari, pizzicagnoli e fruttivendoli, anziani e immigrati che accettano di vivere in stanze che hanno l’età e l’arredamento degli anziani. Le strade sono strette e la sensazione di essere in un piccolo borgo o in un quartiere ghetto ti prende subito, una volta che glielo permetti.
Al piano terra di quella palazzina, poco distante dal portone d’ingresso, con uno stencil e una bomboletta rossa, un genio ha scritto: l’unica chiesa che illumina è quella che brucia. Sinceramente mi sembrava un segno ben augurante. Nell’angolo destro basso della scritta qualcuno, con pennarello indelebile nero, aveva aggiunto figo, qualcun altro con un coltello aveva raschiato il commento e scritto a sua volta schifo, un altro ancora, con pennarello rosso, aveva scritto Dio e creato una piccola linea di congiunzione tra Dio e schifo. Conclusione: Atei 3 – Credenti 1.
Ma torniamo al nostro trasloco e alla nuova vita di R. Solo il trasloco meriterebbe una epopea a parte, forse un domani… R. è una persona speciale, come per fortuna capita d’incontrarne nella vita, e poi ti chiedi come fa la gente senza persone così, come fa il mondo. R. è piccolina di statura, mora con la pelle chiara, mediterranea, più precisamente partenopea. Potete quindi immaginarla in stranito contrasto con un appartamento mansardato di sei ambienti arredato in perfetto stile tirolese, con cassapanche e tavoli di legno giallo grissino stantio, credenze larghe e spesse che odorano di aghi di pino e marmellate, parquet ovunque, letti matrimoniali in mogano scuro la cui testiera è in grado di schiacciare persino Ercole. Tutto in quell'appartamento era legno, comprese le travi del tetto. E qui comincia il dramma.
Dopo pochi giorni R. scopre che non solo il tetto è rinomato luogo di ritrovo di numerosi piccioni (cari amici degli animali, difendete pure balenottere, gorilla, panda e tigri, i piccioni sono una battaglia persa…) ma che i simpatici volatili sono portatori di zecche in grado di attecchire e proliferare nelle assi oblique sottostanti. Subito R. s’informa e da nuova entomologa ci addita, nei giorni successivi, l’invasione costante e sgocciolante degli esserini, che pare proprio inarrestabile. Qualsiasi disinfestazione, qualsiasi trattamento, che è già stato prenotato e reclamato con forza, non avrà effetto risolutivo e definitivo. Le care piattoline grigie e trasparenti, tonde e alte quanto un piccolo bottone di camicia, non si possono sterminare. L’unica soluzione è la ritirata: ripiegare da Mammà, sopportare per qualche settimana la dolce catena degli orari comuni di veglia e pasti, riprendere la spinta e ritornare a caccia di un nuovo appartamento, sempre nel centro di Carpi, che ormai svela edifici rossi e simmetrici degni della Toscana rinascimentale e tuguri irregolari, evoluzioni stratigrafiche di antenate sorte in pieno medioevo.
La fortuna non aiuta solo gli audaci, aiuta anche i perseveranti, forse molto di più. R. trova una nuova soluzione, sempre nel cuore centenario e nascosto della cittadina di provincia che è ancora distratta e guarda fuori, guarda le villette e accarezza le tangenziali che s’allungano verso il mondo, come se il mondo fuori potesse offrire di meglio a ciò che lei, piccola città dell’Emilia, ha nel seno…
Il trasloco stavolta è stato fatto da professionisti, esperti nel ramo. Sottolineo che noi la volta prima non avevamo rotto niente, quindi tacciano le malelingue. R. è persona speciale, gentile e premurosa. Umanamente non se la sentiva di disturbarci nuovamente. Disturbo che ovviamente per noi non era. Ma la decisione spetta a lei. Forse un pizzico di scaramanzia avrà forzato la scelta. E forse a ben vedere è stato meglio così.
La casa nuova è sempre al secondo piano, è sempre mansardata. Ma l’appartamento è nuovo, l’edificio ristrutturato da poco. Il tetto è altissimo sopra le teste ed è fatto di mattoni. Addio zecche e piccioni. L’arredamento è minimale, ma a tutti piace così. Soprattutto alla padrona di casa che così potrà arredarla con calma, senza timore di rimanere soffocata sotto scelte di mobilio non sue.
Ieri, in preda ancora a questo effetto novità, stavamo bevendo birre e crodino (a R. non piace la birra né il vino, che vi dicevo, è speciale). La casa è piena di finestre sul tetto che si aprono al suo tele-comando. Ovviamente R. si diverte molto ad aprirle tutte, inondando di luce tutte le pareti bianche che così sembrano ancora più alte e grandi. Ma una è ancora vecchio stile.
La si trova in fondo alla zona soggiorno, vicino al tavolo, di fianco a noi, ad altezza ideale per persone sedute. È una finestrella bassa e larga, tipica da sottotetto, larga meno di 2 metri per meno di 1 metro d’altezza. È coperta da una piccola griglia, una sorta di zanzariera, ma fissa, non riavvolgibile. R. vorrebbe toglierla, ma non ha fretta. Tanto si vede lo stesso quello che c’è di là. Dietro a quella griglia c’è uno dei paesaggi urbani più belli che abbia mai visto. Tegole rosse e pietra grigia, pareti cieche e mura a gradoni, rientri e prospettive, angoli storti e cortili interni, rampicanti e qualche antenna. Una sinfonia casuale e perfetta. Con le nuvole di ieri, nuvole grosse e scure, sembrava Praga, cupa e intensa. Scommetto che quando piove ricorderà Dublino, felice sotto le gocce, e che quando c’è il sole diventerà Lisbona, orgogliosa del suo verde oro.
«Quando ho visto questo paesaggio ho scelto». Non avevo dubbi.

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