Gregory Samson, svegliandosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nella sua branda, in un piccolo vietnamita immondo. Riposava sulla schiena, magra e dolorante, e sollevando un poco il capo vedeva il suo ventre smunto, giallognolo e diviso da costole ricurve, in cima a cui la coperta della branda, vicina a scivolar giù tutta, si manteneva a fatica. Le gambe, nodose e sottili da far pietà, rispetto alla sua corporatura ben tornita, tremolavano senza tregua in un confuso luccichio dinanzi ai suoi occhi.
Cosa m'è avvenuto? pensò. Non era un sogno. La sua stanza, una baracca di giuste proporzioni, soltanto un po' piccola, se ne stava tranquilla fra le quattro ben note lamiere. Sul comodino, la pistola, l'elmetto e le sigarette – Samson era un marine – e sopra, appeso alla parete, un ritratto, ritagliato da lui – non era molto – da una rivista illustrata e messo dentro una bella cornice di legno: raffigurava una pin-up seduta, ma ben dritta sul busto, con addosso soltanto un berretto e un boa di pelliccia; essa levava incontro a chi guardava due labbra rosse e socchiuse, in cui si leggeva un minuscolo iloveyou.
Lo sguardo di Gregory si rivolse allora verso la finestra, e il solito cielo grigiastro indocinese (si sentivano battere le gocce di pioggia sul vetro) lo immalinconì completamente. Che avverrebbe se io dormissi ancora un poco e dimenticassi ogni pazzia? pensò; ma ciò era assolutamente impossibile, perché Gregory era abituato a dormire sulla destra, ma non voleva che lo vedessero i commilitoni, nelle sue attuali condizioni, in quella posizione. Per quanto si gettasse con tutta la sua forza da quella parte, ce n’era sempre uno che dormiva intorno a lui: provò per cento volte, chiuse gli occhi per non veder le sue manine giallastre, e rinunciò soltanto quando cominciò a sentire che qualcuno smetteva di russare, qualcuno che avrebbe potuto alzare la testa e vederlo.
O mio Dio, pensava, che grandissima sfiga mi è capitata! Ogni giorno su e giù per questo paese di merda. L'affanno nella jungla è molto più intenso che alla base, e v'è per giunta questa piaga della fanteria, le preoccupazioni per le imboscate, la nutrizione irregolare e cattiva; le relazioni cogli uomini poi cambiano ad ogni momento e non possono mai diventare durature né cordiali, qui si muore facile. Al diavolo ogni cosa! Sentendo un leggero prurito nella parte più alta del ventre, si spinse lentamente sulla schiena verso una colonnetta della branda per poter alzar meglio il capo: il punto che pizzicava era tutto coperto di puntini neri, di cui non sapeva che pensare; si provò a toccarlo con una mano, ma subito la ritrasse perché al primo contatto lo aveva percorso un brivido.
Così sdrucciolò di nuovo nella posizione di prima: queste levatacce, pensava, istupidiscono completamente. L'uomo deve avere il suo sonno. Gli alti ufficiali vivono come donne in un harem. Quando io, per esempio, durante la mattinata vado all'adunata con l’elmetto già in testa e una rasatura veloce, quegli ufficiali stanno appena facendo colazione. Dovrei provare a farlo io, con il colonnello! Volerei via in un baleno. Chi sa, del resto, potrebbe essere un vantaggio per me! Se non fossi di leva, se fossi un volontario, mi sarei congedato da un pezzo: me ne sarei andato dal colonnello e gli avrei detto il mio parere dal profondo del cuore. Sarebbe sceso allora dalla sua scrivania! Anche quella è una bella invenzione, mettersi dietro una scrivania a parlare dall'alto in basso col sottoposto, il quale poi gli si deve avvicinare sempre di più a causa della sua sordità. Be', ogni speranza non è perduta: una volta che io abbia accoppato abbastanza vietcong e finito il mio anno qui nella jungla – ancora cinque o sei mesi – questo lo farò senz'altro. Allora avverrà il gran distacco. Intanto bisogna che io mi alzi in ogni modo perché l'adunata è alle cinque.
(è stato pubblicato qui, insieme agli altri brani in concorso, quel concorso vinto da carlo dulinizo)
Nessun commento:
Posta un commento