L’impensabile si è avverato: Carlo Dulinizo ha vinto. Più che impensabile, impensato. Sennò mica andavamo a Milano con una panda. Mica ce lo aspettavamo – un pochino, io, sì; lui, invece, che è una persona brava e onestissima, no – mica ce lo aspettavamo, dicevo, di dover portare a casa una bici così. Solo che han cominciato a ritroso a chiamare i finalisti. E Carlo non era l’ottavo, neanche il settimo, il sesto no, nemmeno il quinto, poi non era il quarto e neppure il terzo, il secondo rullo di tamburi non era il suo, e niente: primo. Pensa te. Mi son girato a guardarlo e rideva isterico sotto barba e baffi, con le spalle che facevano su e giù e la testa scrollava e diceva Ma dài, ma non è vero.
Carlo Dulinizo è stato comunque integerrimo: è salito sul palco, ha ritirato il premio, si è caricato la bici sulle spalle e l’ha parcheggiata a casa di due amici registi che vivono al settimo piano di un palazzone di Milano dall’ascensore angusto e traballante. Scarpinata a piedi dalla FNAC oltre la Darsena, poi i Navigli, eccetera, fino all’ascensore angusto. Però eravamo contenti e dopo abbiamo bevuto delle gran birre.
Non vi racconto com’è andata: ve lo faccio vedere. Nessuno dei due tizi che legge è il Dulinizo. Il filmato della premiazione non è ancora pronto, ma sappiate che, per l’occasione, Carlo Dulinizo ha usato il nome anagrammato con il quale ama spacciarsi nella vita reale. Però non so se posso dirvelo. Ci penserà poi lui.
(update: la premiazione)
Son qua che faccio la ola!!!
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