La prima volta che mi son trovato di fronte alle meccaniche sessuali avrò avuto otto o nove anni e ho imparato un verbo nuovo e dei nomi strani. Paolo, per la ricreazione, mi dice che dobbiamo vederci ai campetti, nel pomeriggio. Dal prete? gli domando. No, risponde Paolo, dal prete non possiamo, secondo me, andiamo ai campetti della polisportiva.
Erano tempi che un bambino di otto o nove anni lo lasciavano andare in giro randagio per le strade, con la bici – una bellissima bmx bianca che un anno dopo un bastardo mi ha rubato – su e giù per il paese senza problemi, bastava tornare a casa prima della mamma dal lavoro e tutto andava bene. Allora inforco il mio bolide e raggiungo Paolo al campetto.
Me l'hanno buttato in giardino dalla statale, mi dice Paolo mentre tira fuori dallo zainetto una rivista patinata e colorata come il Grandhotel della nonna, ma con delle persone nude. La sfogliamo tutta, in silenzio. Ci guardiamo e non ridiamo. Ripartiamo dalla prima pagina e la sfogliamo ancora tutta, in silenzio. Ci guardiamo e siamo perplessi.
Quella era la prima volta che vedevo una vagina, aperta, intendo, quella della mamma sotto la doccia non vale. Mi è sembrata brutta, subito, ma profumata, non so perché. Poi c'era quella specie di fotoromanzo, come il Grandhotel della nonna ma coi corpi nudi. C'era quella frase, me la ricordo come se fosse ieri, che diceva: Yvonne avviluppa la sua lingua sulla fava di Yves.
La prima volta che mi son trovato di fronte alle meccaniche sessuali, a otto o nove anni – poi le questioni logistiche, filosofiche, sentimentali e comportamentali sarebbero arrivate dopo, ora c'era solo la meccanica nuda e cruda, cosa si mette dove e cosa si fa come – la prima volta che ho avuto a che fare con la meccanica del sesso ho imparato un verbo nuovo, avviluppare, e dei nomi strani, Yvonne e Yves.
Mica male, come inizio.
(queste cose mi sono ripiombate in testa per via di quel saggio grand'uomo dello splendido quarantenne e quel mattacchione dello Sba. Allora le ho scritte. Scusate se ho turbato la sensibilità di qualcuno.)
Erano tempi che un bambino di otto o nove anni lo lasciavano andare in giro randagio per le strade, con la bici – una bellissima bmx bianca che un anno dopo un bastardo mi ha rubato – su e giù per il paese senza problemi, bastava tornare a casa prima della mamma dal lavoro e tutto andava bene. Allora inforco il mio bolide e raggiungo Paolo al campetto.
Me l'hanno buttato in giardino dalla statale, mi dice Paolo mentre tira fuori dallo zainetto una rivista patinata e colorata come il Grandhotel della nonna, ma con delle persone nude. La sfogliamo tutta, in silenzio. Ci guardiamo e non ridiamo. Ripartiamo dalla prima pagina e la sfogliamo ancora tutta, in silenzio. Ci guardiamo e siamo perplessi.
Quella era la prima volta che vedevo una vagina, aperta, intendo, quella della mamma sotto la doccia non vale. Mi è sembrata brutta, subito, ma profumata, non so perché. Poi c'era quella specie di fotoromanzo, come il Grandhotel della nonna ma coi corpi nudi. C'era quella frase, me la ricordo come se fosse ieri, che diceva: Yvonne avviluppa la sua lingua sulla fava di Yves.
La prima volta che mi son trovato di fronte alle meccaniche sessuali, a otto o nove anni – poi le questioni logistiche, filosofiche, sentimentali e comportamentali sarebbero arrivate dopo, ora c'era solo la meccanica nuda e cruda, cosa si mette dove e cosa si fa come – la prima volta che ho avuto a che fare con la meccanica del sesso ho imparato un verbo nuovo, avviluppare, e dei nomi strani, Yvonne e Yves.
Mica male, come inizio.
(queste cose mi sono ripiombate in testa per via di quel saggio grand'uomo dello splendido quarantenne e quel mattacchione dello Sba. Allora le ho scritte. Scusate se ho turbato la sensibilità di qualcuno.)
Che se si chiamavano Anna e Marco secondo me non si avviluppavano.
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