La maestra di terza elementare, che in questi giorni va in pensione, ha trovato un quaderno di religione tra le sue cose. Ha pensato bene di consegnarlo al proprietario legittimo, dopo così tanti anni pensava che gli avrebbe fatto piacere; e infatti io, che sono il proprietario legittimo, ho cominciato subito a sfogliarlo con un sorriso sulle labbra che non non vi dico.
Verso la fine del quaderno, in data 4-5-88, si parla del perdono a partire dalla famosissima frase Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Dopo la maestra di religione collega con questo un altro episodio di perdono, quello dove Pietro chiede a Gesù: Signore quante volte dovrò io perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte? (“volte”, nel quaderno, stava sopra il testo in bella calligrafia scritto con la penna rossa. Insomma, me l'ero dimenticato e la maestra ha corretto.) Gesù, a Pietro, gli risponde: Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Ora, a pensarci bene, a quasi trentunanni suonati, settanta volte sette è un numero finito, quindi prima o poi si finisce anche di perdonare il fratello che pecca. Ma intanto continuavo a sfogliare il quaderno con una contentezza che non sapete.
Poi la maestra di religione ha voluto darci un compito per casa dal titolo Racconta di quando hai saputo perdonare. Un bel compito, mi vien da pensare, proprio bello. Devo essere arrivato a casa da scuola tutto eccitato e devo averlo scritto d'un fiato. Ho scritto:
Verso la fine del quaderno, in data 4-5-88, si parla del perdono a partire dalla famosissima frase Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Dopo la maestra di religione collega con questo un altro episodio di perdono, quello dove Pietro chiede a Gesù: Signore quante volte dovrò io perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte? (“volte”, nel quaderno, stava sopra il testo in bella calligrafia scritto con la penna rossa. Insomma, me l'ero dimenticato e la maestra ha corretto.) Gesù, a Pietro, gli risponde: Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Ora, a pensarci bene, a quasi trentunanni suonati, settanta volte sette è un numero finito, quindi prima o poi si finisce anche di perdonare il fratello che pecca. Ma intanto continuavo a sfogliare il quaderno con una contentezza che non sapete.
Poi la maestra di religione ha voluto darci un compito per casa dal titolo Racconta di quando hai saputo perdonare. Un bel compito, mi vien da pensare, proprio bello. Devo essere arrivato a casa da scuola tutto eccitato e devo averlo scritto d'un fiato. Ho scritto:
Alberto continuava a insultarmi tutti i giorni; io mi arrabbiavo ma era troppo forte. Un giorno decisi di perdonarlo e da quel giorno siamo stati sempre amici.
La seconda parte era palesemente una bugia per prendere Bravo, come voto, e farlo vedere alla mamma. Ma la prima parte è tutta vera. Alberto era troppo forte, mi insultava, ma se rispondevo mi menava. Alla maestra dev'essere sembrato strano quel “era troppo forte” buttato lì alla fine di una frase. Troppo forte in che senso? mi deve aver chiesto, Come mai era troppo forte? E io gli avrò risposto una cosa del tipo Maestra, Alberto mi mena se gli rispondo quando mi insulta. Un impeto di violenza che nell'ora di religione non andava mica bene, secondo lei, non era un bell'esempio per gli altri. Allora ha preso la penna rossa e ha aggiunto delle parole, con la sua calligrafia; parole non mie: io scrivevo in blu. Il compito è diventato:
Alberto continuava a insultarmi tutti i giorni; io mi arrabbiavo ma era troppo forte la sua insistenza. Un giorno decisi di perdonarlo e da quel giorno siamo stati sempre amici.
Adesso, che ho quasi trentunanni, a leggere quella correzione con la penna rossa tra le mie verità blu mi son sentito tradito. No, maestra, non è vero, non è l'insistenza: Alberto mi mena. Alberto se vuole mi mena anche adesso, che siamo quasi trentunenni suonati. E penso che in così tanti anni avrò sicuramente già perdonato Alberto almeno settanta volte sette, come minimo. Adesso poi basta. C'ho un nervoso che non potete neanche immaginare.
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