Lo zio di mio nonno non l’ho mai conosciuto. Ora come ora non saprei nemmeno dire quale fosse il suo nome, ma so che era il fratello di mia bisnonna, quella Galavotti Angiolina, cognome e nome, detta Bionda detta Scelba, della quale abbiam già parlato qualche tempo fa. Lo zio di mio nonno lo chiamavano Al Màgnagàt, il mangiagatti, e non era una gran bella persona, era un sadico.
A quel tempo, prima e durante la guerra, non è che fosse così insolito mangiare i gatti. Al Màgnagàt però non si limitava al pasto, lui era un sadico. Li prendeva e li bolliva vivi. Ci toglieva magari la pelle che loro erano ancora in vita e poi li lasciava correre per casa, e alla fine li buttava nella pignatta bollente così come capitava. Mia bisnonna, la Bionda, gli diceva sempre Te sé c’at faré ‘na bruta fein, cajoun (Te sì che farai una brutta fine, coglione).
Al Màgnagàt non gliene fregava niente di quello che gli dicevano, era un sadico. Gli piaceva ogni tanto prendere un topino e scuoiarlo dal collo in giù. E il topino dolorante si dibatteva senza pelle nel corpo, rimaneva solo un po’ di pellicina sulla testa a mo’ di criniera. E infatti Al Màgnagàt metteva il topino sul tavolo e diceva Biònda, veh chè, veh che bel liunsein (Bionda, guarda qua, guarda che bel leoncino). E mia bisnonna, la Bionda, esausta gli gridava sempre Guerda c’at faré ‘na brota fein, te, cajoun d’un cajoun (Guarda che farai una brutta fine, te, coglione d’un coglione).
Lo zio di mio nonno, Al Màgnagàt, l’han mandato in Jugoslavia a combattere. Solo che sul finire della guerra gli jugoslavi non volevano un granché bene agli italiani, erano anche un po’ dei sadici. Così lo zio di mio nonno, il mangiagatti, stava morendo di fame e di freddo da solo in mezzo alla Jugoslavia. E mi hanno raccontato che ha tagliato in due la pancia del suo cavallo per scaldarcisi dentro, come Luke Skywalker sul pianeta Hoth, solo che il cavallo era anche lui denutrito e talmente malato che non serviva nemmeno più per quello scopo. Allora lui, a piedi, bussava di porta in porta chiedendo un po’ d’acqua, magari del cibo, ma niente, gli jugoslavi con gli italiani ce l’avevano proprio a morte, eran dei sadici.
Lo zio di mio nonno, Al Màgnagàt, il mangiagatti, è morto di fame, così, da solo in mezzo alla Jugoslavia, non si sa neanche dove l’hanno sepolto. Quando mia bisnonna l’ha saputo, che gliel’avrà comunicato un appuntato dell’esercito o non so chi, quando l’ha saputo ha detto Ecco mo, al saijva me, al saijva c’al fèva na bruta fein, c’al cajoun d'un cajoun d'un cajoun (Ecco, lo sapevo io, lo sapevo che faceva una brutta fine, quel coglione d'un coglione d'un coglione). E non ha versato una lacrima.
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