Stamattina ho finito di leggere "Non libro Più disco" di Cesare Zavattini. E insomma. Un gran bel zavai (italianizzato: zavaglio, sinonimo di lavoro, affare, oggetto ingombrante). Bello davvero. Scritto nel 1969 ti lascia addosso tutta l'inquietudine e la bizzarra fantasia di un baldo vecchio sporcaccione nel turbinio delle rivolte studentesche, quando la rivoluzione sembrava fatta e lui ci aveva 67 anni e poteva ormai permettersi di dire qualsiasi cosa. Ci sono frasi che meriterebbero ore di meditazione, stupore per il fatto che gli son finite adosso (con una d sola, perché così sembra un planare dolce che poi rimane lì, attaccato al corpo), come:
Non so ma sono.
Ho raggiunto il vertice dell'esattezza e della volgarità.
Se fossi nato un secolo prima, la montagna di parole che ho sopra sarebbe stata meno greve di un secolo?
Sperma Tricolore.
Proviamo una grande tristezza anche senza pubblicarla.
Ambivo inventare un numero tra l'uno e il venti.
Rumore di piedi collettivi.
Se abbiamo sbagliato pagheremo, paghiamo anche se non si sbaglia.
Di alcune persone esiste solo il contrario.
È il tempo dell'odio e col nasconderlo lo perpetuate.
Come amo le cose a una a una.
Fra cento anni patiremo in cifre.
Conoscere o non conoscere le vittime, di minuto in minuto la differenza si affievolisce.
Noi siam diventati più cort delle parol scritte.
Non riconosco che lo spavento dei libri è più assoluto di quello delle cose.
Purtroppo mentre leggevo tutto questo uno sgradevole prurito mi saliva, qualcosa d'irritante, sottocutaneo, un'irritazione montante, una scartavetrata sui nervi che a un certo punto mi son dovuto fermare e scrivere scattoso: C'è poi da dire che se ti vengo a parlare lo scopriamo subito quanti secoli d'ingiustizia fatta e patita c'hai sotto la lingua...
Non so perché ma dopo mi son sentito meglio.
Anche se anche adesso continuo a grattarmi un po'.
proprio bravi che siete diventati a scrivere
RispondiEliminafil