Sarà perché nella mia ormai trentennale esistenza di libri ne ho letti parecchi - e non è per farmene un vanto, più che altro è una nevrosi che mi impedisce di non leggere - ma, come accennavo tempo addietro, mi accorgo giornalmente degli incidenti a cui sta andando incontro la lingua italiana. Sarà anche perché leggo spesso libri un po' vecchiotti (altra nevrosi da non confondersi col vanto), che le differenze col parlato corrente mi saltano all'orecchio svegliandomi di soprassalto dai torpori interminabili delle riunioni in power-point, dalle chiacchierate in tecnicese, dai politicismi burocratici che sovrastano la produzione, eccetera. Lavoro nel terziario, d'altra parte. E non è né nevrosi né vanto, proporrei "malasorte" come termine appropriato.
Oggi voglio portare alla vostra attenzione un paio d'espressioni nuove, alle quali, come si diceva, volenti o nolenti dobbiamo abituarci.
1) la subordinata "come tu mi insegni" mi manda in bestia. Quando il collega dice "la tal cosa, come tu mi insegni, si fa così" sta magnificando in modo abbastanza subdolo la sua capacità di comprensione rispetto alla tua. Lo fa inconsciamente, s'intenda; lo fa con una giocosità intrinseca, una colloquialità informale, col sorriso sincero sulle labbra. Esempio lampante di come il terziario genera mostri.
2) frasi del tipo "ci vediamo settimana prossima", "come dicevamo settimana scorsa"... insomma "settimana scorsa" senza articolo, sono ormai uscite dal terziario fino a diventare telegiornalistiche. Si tratta di un declassamento dell'unità temporale settimanale che, rimanendo priva di introduzione, diventa una cosa da nulla, un lampo; come dire "poco fa", "tra poco", "presto". Aumentiamo le ore settimanali, detassiamo gli straordinari e aboliamo la timbratura del cartellino, ma dobbiamo renderlo sottile, perciò rendiamo le settimane veloci, indistinguibili l'una dall'altra, trascurabili in termini temporali. La scomparsa dell'articolo "la" davanti a "settimana scorsa" e "settimana prossima" è un evento socialmente preoccupante, di affermazione del terziario e di supremazia della politica legata al produrre. Strano che il manifesto non avesse detto niente (cit. colta).
Da par mio, e come sostiene forse troppo animosamente il signor Luigi Vernassa (qui, terzo commento), sono ben felice di rinominare la neolingua nostra in "Italiano da bere", perché è una definizione che va alla radice del problema. Tuttavia, a differenza del signor Vernassa, e me ne dolgo, io nel terziario ci sono dentro fino al collo e sono costretto all'abitudine. E non è né nevrosi né vanto, proporrei "malasorte" come termine appropriato.
La "radice del problema":
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Luigi Vernassa