giovedì 9 giugno 2011

Doposcolari

No, prof, la tabellina del nove no.
Non è difficile la tabellina del nove, anzi. Lo conosci il trucco della tabellina del nove? La somma dei numeri è sempre nove: 1+8, 2+7, 3+6... aggiungi uno al primo, togli uno al secondo, e così via.
Ah.
Eh.

Irina non viene più al doposcuola. Sua madre mi ha chiamato dicendomi che tanto la bocciano, tanto non è fatta per studiare, tanto al massimo farà la badante come lei, “se non vuole usare la testa userà le mani”, dice. Da quando non è più iscritta passa tutti i giorni a trovarci. Le dispiace, e si vede, anche perché aveva trovato una nuova amica in Giulia, l’ultima arrivata. Se la intendevano bene insieme, ne combinavano di tutti i colori. Si chiudevano in bagno a truccarsi, si arrampicavano sugli alberi facendomi trasalire a ogni ramo. Erano diventate amiche nonostante la differenza d’età, forse proprio grazie alla differenza d’età. Irina ha quindici anni e fa la seconda media; Giulia ne ha nove e fa la quarta elementare. Si sedevano l’una di fianco all’altra e facevano gli stessi compiti. Gli esercizi di alfabetizzazione di Irina erano simili a quelli di grammatica di Giulia e si copiavano a vicenda. Arrivavo alle due e mezza e loro erano già lì a pocciarsi il diario o a disegnare vampiri. Poco dopo entrava Sabrina con lo zaino e la borsa del basket. Si sedeva di fronte a loro e disponeva in ordine quaderni, libri e astuccio. Poi, come al solito, cominciava a raccontarmi le evoluzioni della sua storia con Federico: “vedi, io ieri gli avevo mandato questo messaggio, e lui non mi ha risposto. Cosa devo fare?”. Irina e Giulia la ascoltavano senza il minimo coinvolgimento. Mentre Sabrina parlava, loro le guardavano il diario. “Chi è Justin Bieber? Ma tu ami Justin Bieber o Federico?”
“Justin Bieber è uno sfigato” sentenziava Andrea a capo chino e pennarello in mano, immerso a miniare la G di Guns’n’Roses sulla cartellina da disegno.

Lasciavo che per la prima mezzora circa parlassero tra loro, o con me, riguardo alla scuola in generale o ai loro problemi – di scuola, d’amicizia, di cuore - in particolare. Li ascoltavo e ricordavo quanto i loro fossero gli anni più difficili in assoluto nella vita di una persona. Se ripenso a me a dodici anni mi viene l’angoscia. Tutti ad aspettarsi qualcosa da te, i genitori, i professori, gli amici, e tu che vorresti te lo dicessero loro, gli altri, cosa sei, chi sei, con un apprezzamento, un voto, un messaggio sul telefono.
La prof aveva spostato Irina in banco da sola e lei era arrivata al doposcuola piangendo e stracciando i compiti. “Basta, io non faccio più niente. Torno in Moldova”. Mi dispiace, Irina, ma non puoi tornare in Moldova. Non sei tu che decidi. “Allora non faccio più i compiti, non faccio più niente”. “Così ti bocciano e te li fanno rifare daccapo”. Il non poter prendere decisioni è frustrante e loro convivono ogni giorno con questa frustrazione. Per come la metti, Irina, sei fregata ugualmente. La guerra tra alunno e insegnante è persa in partenza. Io ci vado anche, a parlare con i professori, durante l’orario di ricevimento: “Guardi io le provo tutte ma... Guardi qui la verifica, legga le domande, mi dica lei cosa devo fare, io meno di così non posso pretendere... ce ne sono venticinque e lei vuole sempre essere al centro dell’attenzione, non è possibile...”. Io annuisco, fingo di capire, a volte capisco davvero. Ma soprattutto li invidio. Invidia pura e semplice. Sì, sono quelli i problemi, già, è il tuo lavoro, il tuo mestiere, la tua professione. La puoi pure chiamare professione. È un eufemismo chiamarlo lavoro, il mio.

Finiti i compiti sono liberi di decidere cosa fare durante l’ora successiva, prima che li vengano a prendere per andare a casa. Da ‘operatrice’ dovrei coinvolgerli in un qualche ‘laboratorio creativo’. Credo anche di averci provato, a volte, ma con scarsi risultati. In fondo hanno ragione, non ne possono più di fare o non fare quello che dicono gli adulti, e un’ora libera in una giornata programmata da mattino a sera è un lusso che non tutti i loro coetanei possono permettersi. In estate li porto al parco qua a fianco, in inverno hanno una palestra e uno stereo per sfogarsi. Spesso, però, preferiscono rimanere lì a chiacchierare, di qualsiasi cosa: cosa faranno la domenica pomeriggio o quale film sono andati a vedere al cinema, Giulia spesso ci fa vedere un balletto nuovo imparato al corso di hip hop. Io sto lì e li guardo, li ascolto, dico la mia. Non chiedono molto altro. I genitori, quando arrivano, vogliono sapere se si comportano bene e se hanno fatto tutti i compiti. Il resto conta poco. Il padre di Chiara è indeciso se portarla o no al doposcuola perché “c’è quella ragazza che ride sempre, la distrae mentre fa i compiti”. Però vede, signore, Chiara è venuta un solo pomeriggio, non è sempre così. Poi qui imparano anche a stare insieme, a socializzare con ragazzi di altre classi, altre scuole. “Non pago una retta perché si faccia degli amici. Deve recuperare storia e scienze e non ripetere l’anno”. Ma sì, certo, ho controllato i compiti, l’ho interrogata anche, mi sembra abbia capito. “Vedremo”. Eh, già. Loro vedranno se vale la pena o no portarli qui, e valuteranno il mio operato dalla loro pagella. Come diceva la psicologa del corso di formazione? L’efficacia e la soddisfazione possono essere viste come la risultante del rapporto tra le risorse che abbiamo a disposizione e i compiti da affrontare. Tutto sta nel suddividere gli obiettivi in micro-obiettivi... Sì, vabbè. Tutto sta nell’essere promossi o bocciati. Purtroppo. Sabri ce la farà, eccome se ce la farà, ha alzato la media in tutte le materie, anche in matematica. Teme solo la chiusura del doposcuola. “Perché se me le spieghi tu le cose le capisco e se me le spiega la prof no?”. “Forse, Sabri, dai solo più retta a me che alla prof”. “Può darsi. Ma, scusa, perché non fai tu la prof?”. Eh. Perché? Non posso, Sabri. Non sono mica io che decido.

__________
Questo è il mio contributo all'ebook Voci di corridoio uscito ieri, potete scaricarlo qui nel formato che vi pare. Grazie a Peppe Liberti e allo scorfano.

Nessun commento:

Posta un commento