Quando il buon Angelo M. entrò nella vecchia costruzione, che forse, un tempo, era stata una fabbrica, di preciso non si capiva, forse di bambole, la cosa che più lo lasciò interdetto, lui, che del suo bigottismo aveva fatto una bandiera, erano quei graffiti blasfemi. Lui li odiava, i writers. Ecco la cupidigia, pensò.
E la fabbrica, se era stata fabbrica, di preciso non si capiva, era vuota come lo è un alveare che muore, senza l'ape regina. Le api non volano come nelle arnie viventi. Nelle arnie viventi ci sono gli operai, nelle arnie morenti i writers. L'apicoltore non sente né lo stesso odore, né lo stesso suono. A un batter di nocche sulla parete dell'arnia malata, invece della subitanea, concorde risposta di prima, del ronzio di decine di migliaia di api, che inarcano minacciosamente l'addome e con un rapido battito d'ali producono un suono aereo e vitale, ode dei mormorii dispersi che echeggiano sordamente nei vari angoli dell'arnia vuota. Dalla portella non esala più come prima una fragranza spiritosa di miele e di propoli, non si effonde il tepore della plenitudine, ma con l'odore del miele si confonde un sentore di vuoto e di putrido. Da essa emana un odore di morte. L'apicoltore apre il foro superiore e osserva il sommo dell'alveare. Tutto è trascurato e insozzato. Le api nere saccheggiatrici vanno e vengono rapide insieme a calabroni, pecchioni, tarme della cera. Così l'apicoltore chiude il foro dell'arnia malata, la segna col gesso e, colto il momento, la rompe e la brucia.
Perché al buon Angelo M. venisse in mente un tale ragionamento, di preciso non si capiva. Si capiva solo come lui, che del suo bigottismo aveva fatto una bandiera, odiasse profondamente i writers e la loro cupidigia. Tornato a casa, ancora ricoperto dal lezzo della putredine della vecchia fabbrica di bambole, se era stata una fabbrica di bambole, si fece apicoltore e scrisse stizzito una lettera alla Gazzetta locale. La firmò “Angelo M.”. Diceva così:
“Papa Benedetto giustamente ha indicato nella cupidigia la radice di tutti i mali. I writers sono l'icona perfetta della cupidigia. Vogliono invadere tutto e lasciare il loro segno ovunque. Ultimamente, per potere avere spazi da colonizzare, si appellano ai buoni sentimenti e addirittura alla difesa dell'ambiente ('combattiamo il degrado', 'coloriamo la città grigia'). Ma questi sono solo pretesti ipocriti per giustificare la loro sete di invadenza, esibizionismo e controllo del territorio. Un esempio eclatante di come la cupidigia possa rovinare il mondo e corrompere tutto. Anche e soprattutto i ragionamenti.”
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Questo pezzo l'ho scritto per gli Spazi Indecisi. Loro, gli Spazi indecisi, mi avevano inviato tre foto di un posto abbandonato senza dirmi che cosa fosse. Nelle foto, oltre alle immagini di una fabbrica abbandonata pittata dai writers, c'era un bambolotto smembrato e io mi sono immaginato una fabbrica di bambole. Solo che ieri, durante i Cicli Indecisi, ho scoperto che si trattava dell'ex Zuccherificio Eridania, e così, quando m'han chiesto di leggere il mio pezzo ad alta voce, in mezzo a trecento persone, davanti all'ex zuccherificio, ecco, io, mentre leggevo, invece di "bambole" ho detto "zucchero". Non so perché, ma ogni tanto sono un po' un imbelle, son fatto così.
Poi va anche detto che questo pezzo è sostanzialmente un montaggio: la parte delle arnie, delle api e dell'apicoltore è di Tolstoj, nel terzo libro di Guerra e pace, ho trascritto un pezzettino dell'effetto che fa Mosca a Napoleone quando questi ci arriva davanti e i russi si son ritirati; anche la lettera di Angelo M., l'ha scritta davvero un certo Angelo M. a un giornale, l'han pubblicata sull'Accalappicani numero cinque e io l'ho presa pari pari. Ora mi rendo conto che la spiegazione del pezzo sia diventata quasi più lunga del pezzo stesso, ma certe cose bisognava dirle, altrimenti non ero tranquillo. Perché ogni tanto, cosa volete che vi dica?, ogni tanto sono un po' un imbelle. Son fatto così.
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