[riceviamo e pubblichiamo la cicatrice di Peppe Liberti, fisico di riferimento]
(Posizione)
Sopracciglio destro, vicino alla tempia.
(Cause)
Volevo essere un saltatore, facevo di tutto per dimostrarlo e una sera innaffiata dal vino ci provai ancora. Il cancello che mi si para di fronte ha l’altezza giusta, prendo la rincorsa, poggio la mano sul metallo umido, salto, perdo la presa, cado.
(Conseguenze)
Mi risveglio steso a terra circondato da gente che mi dà per morto. Non sono morto, penso io, mi sono appena svegliato, che ci fate tutti qua nella mia stanza? Ma il mio letto è l’asfalto, mi sollevano, mi portano in ospedale, ché il taglio al sopracciglio destro fa impressione. Mi sistemano come possono, come lo consento, niente ago, niente filo, please. Il giorno dopo mi sveglio davvero, un mostro per metà viola con una ferita che non si può nascondere. Mi faccio coraggio, vado a lezione lo stesso ed è lì, in Università, che incontro il professore di Biofisica. Si ferma, mi guarda bene, studia ogni poro del mio viso e dichiara: “L’ho sempre detto che devi smetterla di andare alle manifestazioni, lo sapevo che prima o poi sarebbe finita così”. Io restituisco lo sguardo e sorrido, non dico nulla, mi diverte che lo pensi, che mi regali una bella cicatrice da battaglia.
Ma io volevo essere un saltatore e ne porto ancora il segno, una striscia senza peli sopra l’occhio destro. In quegli anni c’era una canzone che cominciava così: “Volevo essere un tuffatore. Con l'altezza sotto il naso e il gonfio del costume”. Mi piaceva parecchio quella canzone. Pure Nino Castelnuovo, per dire.
di Peppe Liberti
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