mercoledì 1 settembre 2010

King Kong

King Kong era mio compagno di classe alla Scuola Elementare Anna Frank di Novi di Modena ed era anche mio compagno di squadra nella Ciclistica Novese, quando iniziammo, a metà degli anni ’80, giovanissimi, a correre in bici. Eravamo in terza, lui correva già da un paio d’anni e io avevo appena cominciato. Se ci penso bene, forse, oltre al fatto che mio padre allenava i ragazzi grandi e mi portava sempre alle corse, e che fu lui, il babbo, a mettermi in sella la prima volta per vedere un po' se noi due si riusciva a condividere almeno una passione, se ci penso bene, forse, iniziai a correre perché King Kong portava i suoi trofei in classe, il lunedì, dopo le gare. Vinceva molto. E se non vinceva si piazzava sempre.

King Kong era basso, più basso della media di un bambino di terza elementare. Era così basso che avresti potuto pensare a dei problemi di crescita, cosa non vera, dopotutto, perché poi crebbe come tutti gli altri, anche se oggi è sempre un po’ basso, ma non troppo, non così tanto. Lo chiamavano King Kong per quel motivo, perché era basso. Era basso ma era anche un torello, tamugno, come si dice da noi, e quando c’era da fare delle volate, uno scatto, un colpo di reni, anche in tenera età, era sempre lì davanti, tra i primi, o addirittura davanti ad alzare le braccia.

King Kong era un casertano e portava gli occhiali da vista, da bambino, quando le lenti a contatto stavano solo nei libri di fantascienza e per pedalare dovevi legarti i piedi con i cinturini, che se cadevi eran tutti cavoli tuoi, coi piedi impigliati nella bici. Portava degli occhialetti tondi, King Kong, legati con l’elastico perché non cadessero, in gara e in allenamento, e noi ci chiedevamo come facesse a far fatica, a sudare, ad andare così forte portando quegli occhialetti tondi da vista.

Sono miope, ci diceva lui, e poi li porta anche a Fignonne, o’ professo’.

Laurent Fignon, il professore, come lo chiamavano, è morto ieri pomeriggio, era malato da tempo, un brutto male. Io a diciannove anni con la bici ho smesso, quando lo sport diventò fasullo, dopato, televisivo, antiagonistico. E non ho più toccato una bici da corsa, da allora. King Kong smise di correre un po’ più tardi, un paio d'anni dopo, aveva già moglie e figli e un lavoro da muratore per costruirsi una casa tutta sua, dove abita ancora. Lui, però, non ha mai smesso di andare in bici, anche se oggi lo fa per diletto, non per competere con qualcuno, non per i colpi di reni e per le volate e gli scatti. Lo fa perché gli piace.

Lo vedo, a volte, mentre torno dal lavoro in macchina. Vedo King Kong da solo, al sole, per la strada, tutto bardato e con la bici sempre pulita, la testa bassa a tagliare il vento. Ogni tanto ha gli occhiali da sole, ogni tanto le lenti a contatto, ogni tanto gli occhiali da vista, degli occhialetti tondi e legati con l’elastico per non farli cadere. Come a Fignonne, come o’ professo’.

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