Giorni addietro mi è stato chiesto: "Direttore (?), tu che fai il giornalista più o meno serio, non potresti scrivere un pezzo sullo sciopero dei tuoi colleghi?".
Lo faccio ora, negli ultimi minuti di una sera di Natale, mentre le microcasse del mio computer mi mandano in anteprima il nuovo di Hanne Hukkelberg (maledetta, meravigliosa rete...).
Sciopero? Sì, sciopero. Come no.
Siamo seri, per favore. Non c'è nessuno sciopero da fare.
A meno di non voler chiamare questa farsa prenatalizia con un nome che non gli spetta.
"La lotta per il rinnovo del contratto è sacrosanta, soprattutto per la tutela del precariato e dei collaboratori esterni. "
Questi, i comunicati solenni dell'annunciatrice-in-sobrio-tailleur del TG1.
Ma, nella vita reale, le cose vanno diversamente.
Scrivo per un quotidiano locale della mia città, e nemmeno per il principale.
Un giornale che, quando c'è uno sciopero, esce regolarmente in edicola per guadagnare sulla concorrenza.
Un giornale che, quando sciopera, va comunque in edicola, chiedendo ai collaboratori (ed ecco la sovversione! l'atto che cambierà ogni cosa!) di non firmare i pezzi. Ed essendo noi collaboratori pagati per ogni pezzo a nostra firma che i redattori decidono di pubblicare, in pratica lavoriamo gratuitamente, una volta in più.
In pratica: uno sciopero contro il precariato dove i precari non vedono una lira del proprio lavoro.
E allora no. Scusate, ma per me sciopero non è rifiutarsi di firmare un pezzo.
É astenersi dal ticchettare furioso sui tasti, dalle telefonate agli inutili assessori comunali di turno, dalla ricerca di micro-notizie di irritante irrilevanza.
Ma NON É negare una firma. Questo è solo ridicolo.
Buon Natale, allora. A chi si affama pur di poter continuare a scrivere, sperando che, prima o poi, qualcuno voglia affrontare l'argomento in maniera seria.
E a voi che leggete, perchè sappiate che quello del giornalista è il mestiere più bello del mondo. O meglio, lo sarebbe, se solo si fosse posti nelle condizioni di farlo con dignità.
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