In ogni caso questi tre giorni, come ogni anno, hanno momentaneamente ma radicalmente modificato la popolazione che frequenta il centro storico; d’un tratto si parlava di ermeneutica e di Spinoza laddove si sentivano abitualmente elogi del doping e dell’evasione fiscale; ci si interrogava sull’ontologia, l’episteme e sul rapporto uomo-tecnica e non sul magnamagna dei politici e lo scandalo Ferrari-McLaren (quantunque un certo nesso col rapporto antropos-tekné, qui fosse plausibile). Ma più di tutto ha stupito profondamente i barabbisti lo scenario bucolico degli “alunni” placidamente distesi nei giardinetti dietro il teatro come in un celebre quadro di Manet, con somma onta del centro storico in attesa di shopping compulsivo. Riguardo alle lezioni, ancora oggi non abbiamo compreso la sicumera con cui Stefano Rodotà ha affibbiato del “gran reazionario” a Giuseppe Gioachino Belli e la timida vergognosità con cui Anthony Appiah ritiene che sia un dispiacere “parlare del crollo dell’impero romano qui in Italia” - all’estero ci ritengono ancora dei nostalgici di Roma Caput Mundi? -
Maurizio Ferraris invece ci ha mostrato un nuovo modo per guardare alla santità: “abbiamo capito che per diventare santi non servono le opere di bene, ora ci dicono che anche la fede non è necessaria, persino i laici possono assurgere a quella soglia…Ora, io sono ateo dall’età di 5 anni e da poco ho scoperto di esser stato credente più a lungo di Madre Teresa di Calcutta…”
Assodato che “la conoscenza è inseparabile dall’uso che se ne fa”, abbiamo molto apprezzato le nette eppure esaustive risposte di sapor schiettamente stoico e/o epicureo di Umberto Galimberti ed Emanuele Severino alle domande di qualcuno del pubblico che fin dai termini e dalle metafore scelte olezzava di sagrestia ed ansia di redenzione. A quanto pare “qualcuno” ha dichiarato guerra non solo al terrorismo islamico ma anche al libero pensiero umano…
Maurizio Ferraris invece ci ha mostrato un nuovo modo per guardare alla santità: “abbiamo capito che per diventare santi non servono le opere di bene, ora ci dicono che anche la fede non è necessaria, persino i laici possono assurgere a quella soglia…Ora, io sono ateo dall’età di 5 anni e da poco ho scoperto di esser stato credente più a lungo di Madre Teresa di Calcutta…”
Assodato che “la conoscenza è inseparabile dall’uso che se ne fa”, abbiamo molto apprezzato le nette eppure esaustive risposte di sapor schiettamente stoico e/o epicureo di Umberto Galimberti ed Emanuele Severino alle domande di qualcuno del pubblico che fin dai termini e dalle metafore scelte olezzava di sagrestia ed ansia di redenzione. A quanto pare “qualcuno” ha dichiarato guerra non solo al terrorismo islamico ma anche al libero pensiero umano…
Abbiamo inoltre appreso che persino le grandi menti, esperte nelle più complesse cogitazioni, come Sergio Moravia, hanno "435 quesiti ed inquietudini sul futuro partito democratico".
Infine, tanto per ridimensionare le sublimi vette del pensiero umano e ricordarci che la filosofia oggigiorno viene racchiusa in un festival, cioè in un evento sovversivo ma temporaneo, come il carnevale medievale, ed in quanto tale tollerato dalla grigia quotidianità che regna, chiudiamo queste considerazioni con due autentiche perle-domande, orgogliosamente poste come capofila di quelle che sono seguite nel dibattito, tratte dal pubblico sempre attento e desideroso d’interloquire con i portatori di saggezza:
1- (rivolta ad Umberto Galimberti): “Le volevo chiedere perché non è venuto all’incontro di Roma di due settimane fa; sa, noi eravamo tutti lì in attesa e lei…”( i filosofi più attesi delle rockstar, stranisce un po’ tanta idolatria).
2- (rivolta a Sergio Moravia): “ Premesso che vorrei sapere dov’è la mia classe…” (piccoli studenti disorientati crescono)
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