lunedì 5 novembre 2012

Zecche - Meraviglie dalla campagna (7)

Mi piacciono sia i gatti che i cani (che tenero).
Però, chiedetelo a chiunque mi conosca un po’, non appena mi arriva un gatto o un cane sotto tiro, la prima cosa che mi viene spontaneo fare è controllare lo stato delle zecche sul suo corpo.
Se i proprietari degli animali mi conoscono paleso senza paura le mie intenzioni, - Bruno! Vieni qua: controllo zecche -
Se invece sono animali di gente che non conosco abbastanza simulo il mio interesse verso i parassiti fingendo di accarezzare con uno zelo chiaramente eccessivo i loro felini et similia.
Il difficile arriva quando ne trovo una.

Prima di trasferirmi in montagna avevo una paura fortissima delle zecche.
Le storie che si raccontavano erano pazzesche: che le zecche penetravano sotto la carne, facevano una covata e depositavano le uova, poi queste si schiudevano e avevi un’intera famiglia di zecche che ti camminava sotto la pelle fino al cervello e ti uscivano dal naso e dalle unghie e impazzivi e ti facevano rinchiudere al manicomio di Reggio come Antonio Ligabue, che in tanti conoscevano come Laccabue.
La mia prima zecca mi ha tolto il respiro. Non la trovai su di me, ma su uno dei miei gatti, quando ne avevamo solo due e abitavamo a Monterenzio sulle colline di Bologna vicino a un forno che di notte sventagliava un irresistibile odore di bomboloni.
Quindi posso capire il disagio e il terrore che prende certuni dinanzi alla scoperta di avere una zecca addosso, o di trovarne una sul proprio animale domestico.
Tranquilli. Son qua.

Quando trovo una zecca su un animale che non mi è familiare, magari in salotto a casa di amici di amici, e io ho – per dire – questo gatto che si trastulla sulle mie ginocchia, mentre con una mano flirto con lui nei sui punti G, e con l’altra sondo il terreno in cui le zecche sogliono installarsi (solitamente sulle tempie, le orecchie, dietro le orecchie, lungo il collo fino al mento e per lo più nella zone della nuca), ecco, quando ne trovo una faccio così: apro lo spazio attorno alla zecca scostando i peli e lasciando il suo culo rosso all’aria, avvicino pollice e indice alla zona in cui la zecca e il suo diabolico rostro sono conficcati nella carne, premo verso il basso, saldo la presa, colpo di tosse, stacco.

Ho una dote naturale, me lo dice anche Agnese.

Solitamente il gatto di amici di amici che ho sulle ginocchia, felino domestico disabituato ad essere preda di emotofagi, un attimo dopo che è stato epurato dal parassita emette un miagolio forte, un po’ per la paura e un po’ per il dolore, e gli occhi di tutti si voltano. Il gatto mi ficca gli artigli nelle cosce e spicca un balzo. Io sorrido alla platea, alzo un po’ le spalle e fingo di togliermi infastidito i peli dai pantaloni, e nel mentre nascondo la zecca appena estirpata - bloccata tra indice e pollice - verso il palmo della mano, tecnica che mi aveva insegnato il mio compaesano Marco B. quando alle medie fumavamo di nascosto.

Se la zecca appena tolta sbatacchia le sue otto zampette in cerca di libertà, allora hai vinto.
Cioè: se l’hai tolta viva, hai vinto di sicuro.
Anche se l’hai tolta ed è morta puoi aver vinto, ma devi controllare.
In media ho la meglio sulle zecche il 90% delle volte.
Se hai avuto la peggio significa che un pezzo di zecca è rimasto nella pelle dell’animale.
Questo sì che, oltre al fatto che una zecca si nutra di sangue fino a crescere a dismisura e procreare, può diventare un problema. Nel senso che potrebbe fare infezione. Un po’ di tintura madre di calendula nella zona infetta ha fatto sì che i miei animali non abbiano mai subito conseguenze da un mio intervento malriuscito. Tante altre volte non è servita neppure la disinfezione: dopo un paio di giorni non c’era più nulla.
Se il tuo gatto è morto perché gli hai tolto male una zecca non so che dire.
Mi spiace molto. La prossima volta portalo da me.

Attorno a casa nostra è tipo il paradiso delle zecche.
Erba a non finire tagliata tre volte l’anno + bosco.
Inizio pippone. Solitamente sugli animali domestici, onde evitare il proliferare di parassiti, si innaffiano veleni. Quando qualcosa uccide degli animali, è mia convinzione che troppo bene non faccia neppure agli esseri umani che ne vengono a contatto. Il veleno anti parassiti più comune prende il nome di Front Line. Lo metti sul coppino, e spariscono pulci e zecche. Se però tieni gli animali in casa, e magari ti piace trastullarti, e ti piace che si trastulli la prole con loro, allora il trastullo potrebbe diventare venefico. Che poi, in un paio di casi estremi, l’abbiamo adottata anche noi la tecnica allopatica. Sempre per non essere estremisti, ecco.
La verità in verità è che il piacere di fare a mano è incommensurabilmente più gratificante che dare via libera a Front Line. Fine pippone.

Quando sono fuori a guardare il cielo stellato, o le lucciole che lucciolano sul frinire dei grilli, o la nuvole svelte che attraversano la vallata e medito sul senso della vita, arriva un gatto a strusciarsi contro le mie gambe (e avendone sei, un gatto arriva SEMPRE)(da come comincia a strusciarsi capisco anche quale dei sei è, senza guardarlo).
Allora mi chino, e in dieci secondi tasto le zone erogene delle zecche fingendo di volergli fare una carezza.
Se non ne ha, la coccola finisce lì.
Se ve lo state chiedendo la risposta è no: le galline non hanno le zecche.

I miei fallimenti con le zecche per lo più sono dovuti al fatto che ho smania.
Non sempre è il momento buono per togliere una zecca. L’animale preferito per la mia attività è in assoluto Gisella, il nostro primo cane (ora ne abbiamo due, il nuovo si chiama Gustavo). Gisella è stata abituata fin da piccola alle mie esplorazioni, e si presta con prona accondiscendenza alle mie mani che tastano. Che poi, avere le zecche, voglio dire, non credo sia come avere le unghie dipinte, immagino sia pure una discreta rottura di coglioni. Certe volte però la zecca non andrebbe tolta. Specialmente se si è infilata da poco, è ancora magra, e il suo corpicino di zecca non è abbastanza voluminoso da permettere una salda presa. Oppure si è ficcata in zone difficili. Ad esempio nell’incavo delle ascelle, dove la struttura cartilaginosa della carne le fa infossare nel morbido. O vicino all’ano. Se vi fa schifo ora, vi farà più schifo tra un paio di capoversi. In questi casi la zecca andrebbe lasciata lì, che si foraggi per un paio di giorni a scapito del parassitato, cresca, e diventi più prendibile. Ma io non ce la faccio. Ho smania. Allora ci provo lo stesso. Ma il rischio è alto. È più forte di me: se c’è una zecca, devo toglierla. Subito. Mi succede la stessa cosa con i brufoli. Se mi trovo anche solo l’alone di un brufolo, lo scoppio. Anche se è ancora rosso, se potrebbe non suppurare, anche se forse nemmeno esiste ancora. Se sento qualcosa di sospetto, non posso attendere. Fregola. Scoppierei brufoli anche a sconosciuti. Se qualcuno mi dice che ha un brufolo che non può raggiungere io mi offro sempre per scoppiarglielo. Nessuno ha mai accettato. Se sto guidando e sento che ho un brufolo devo accostare, togliermi i pantaloni (di solito sono sul culo, zona cintura o sulle cosce) e scoppiarlo. Ognuno ha le sue perversioni, ne convengo. Tra l’altro questa cosa che ad un certo punto senti che hai un brufolo mi ha sempre ammaliato: tre secondi prima il brufolo sicuramente era già lì, ma non si era palesato. E tre secondi dopo ecco che lo senti, ecco che si manifesta.
Ecco l’agnizione.
L’essere-percepibile, il suo essere in potenza e divenire in atto, è qualcosa di portentoso.
Il brufolo è qualcosa di portentoso.
A cena Ivan aveva detto una cosa abbastanza in antitesi con quanto sopra. Spiego.
Una volta si stava cenando a Cattolica, prima dello spettacolo serale nella piazza delle fontane, dopo un 10 ore di montaggio sotto l’inscalfibile sole agostano della riviera adriatica, e c’era questo tecnico che avevo chiamato che si chiamava Ivan ed era la prima volta che lavorava con noi. Dopo aver cazzeggiato un po’ sul fatto che nessuno di noi a parte lui aveva fatto la naja, infossammo la discussione sulle zanzare che non ci facevano cenare, e da lì si passò ai brufoli. Ivan disse che ad un suo amico che si era scoppiato un brufolo e aveva fatto infezione avevano dovuto amputare la gamba dal ginocchio in giù.
Alé.
Tra le altre cose Ivan era zoppo e nessuno aveva avuto il coraggio di sindacare sulla sua affermazione. Fu l’ultima volta che chiamai Ivan a lavorare, ma ci tengo a precisare che la decisione non dipese né dal fatto che fosse zoppo né dalla storia dei brufoli.
Visto che son saltate fuori le zanzare: ho capito che il mio odio prepotente verso questa specie di emotofaghe non dipende né dal prurito né dal ronzio attorno ai padiglioni auricolari: dipende dal fatto che il bubbone che procurano non puoi scoppiarlo. È un bubbone autoimmune alla mia pulsione esplosiva. Mi rende impotente, inerme, sconfitto. Le odio per questo, profondamente.

Una volta il mio amico Andreas mi disse di avere quasi sicuramente una zecca sulla natica sinistra. “Te la tolgo io boss”, “Sicuro?”, “Certo, vieni qui”.
Fu curioso. Ancora non si era diffusa la nomea che ero il migliore in materia. Andreas non poteva saperlo. Fu una coincidenza che lo disse proprio a me. Le coincidenze, secondo me, hanno un fascino non in quanto somma-di-probabilità-che-convergono. Hanno un fascino in quanto potrebbe tranquillamente essere che le coincidenze che vediamo coincidere siano solo una piccolissima parte delle coincidenze che invece accadono, e non siamo stati capaci di percepire. Potrebbe essere che le cose coincidano ininterrottamente, e non lo sappiamo. E la coincidenza che chiamiamo tale in realtà sia solo una delle tante. Il senso potrebbe essere che le coincidenze a quel punto non esistono più. Parole sante.
Io e Andreas - che è tedesco, ma la cosa non influisce sull’intreccio - ci sistemiamo sotto la luce della mia cucina (eravamo a casa nostra), lui si abbassa i pantaloni e la individuo subito. Una classica Ixodes Ricinus. Gli faccio una domanda per distrarlo, del tipo “Ma da quanto te la senti?” oppure “Ma te da che zona della Germania provieni?” e nel mentre la afferro premendo leggermente le due dita nella natica. In quel frangente entra sua moglie, dice una cosa tipo “Ah, ok”, lui la guarda, si fanno un sorriso anomalo, io estraggo. È viva. Capra wins. Loro poi hanno divorziato e non li ho più rivisti.

Il rumore che fa una zecca quando la estrai con tutti i crismi è splendido.
È come uno stack!, uno schiocco secco di lingua sul palato, una bolla di pluriball che premi tra le dita, un legnetto di betulla che si frange, lo scoppiettio di un lapillo che prende il volo, un incanto, una droga.

Io abito a Zocca. C’è un paese in provincia di Catanzaro che si chiama Zecca.

Una volta che ero stato via una settimana da casa, sono tornato di notte e ho tolto 35 zecche a Gisella. Era tardi, ero stanco, e fallii in 3 casi. Ma fu bellissimo ugualmente.
Fu sempre Gisella a regalarmi uno dei momenti più memorabili del settore: la zecca gigante.
Agevolo un contributo fotografico:


So che su Barabba è vietato postare fotografie. Ma ho avuto il via libera dall'ingegner Manicardi con le seguenti parole: "Violare le regole è punk". Al di là del fatto che questa foto sia ENORME.

Una zecca gigante difficilmente prolifera fino a quel punto su uno dei miei animali, che controllo quasi quotidianamente (sì, l’ho detto: perversione). Più probabilmente gli finisce addosso già ad uno stadio avanzato, e sceglie Gisella o uno dei felini per portare a termine la propria conquista di spazio. Le zecche giganti, diversamente da quanto si potrebbe pensare, sono le più facili a staccarsi. È come se fossero consce del proprio stadio terminale. Stanno lì, goffamente nascoste tra i peli come quando ci si nasconde per scherzo dietro ad un rametto, non si capisce nemmeno se – microcefale come sono diventate - siano ancora confitte nella pelle, basta sfiorarle e si spanciano. Il momento topico della libido del rumore in questi casi arriva quando devi schiacciarle, scegliendo accuratamente due pietre sottili, e rimirando la chiazza di sangue di cane di cui si sono imbibite allargarsi sulla selce.

Le teorie su come sbarazzarsi delle zecche una volta staccate è varia: se le schiacci e basta potresti non sterminare le uova che stanno ‘covando’. Una zecca può farne fino a 500. (Sticazzi). Andrebbero bruciate. Io non sempre ne ho voglia. Specialmente d’estate.
Fine paragrafo.

Le più famose epidemie di peste nella storia dell’umanità non furono colpa delle zecche. Tutt’al più le zecche possono trasmettere qualche tipo di peste prettamente animale (peste equina o peste suina). La peste nera e le sue sorelle furono trasmesse dai topi o dai ratti alla specie umana per mezzo delle pulci. La peste sterminava i ratti e, in mancanza di un pasto caldo, le pulci passavano agli esseri umani, che coi ratti e i topi condividevano una buona percentuale dell’habitat quotidiano
La prima pestilenza nella storia della letteratura è quella dell’Edipo Re di Sofocle.
E non c’è traccia pulci.
Stanare le pulci è tutta un’altra storia rispetto alle zecche.
Se con le zecche si tratta di un thriller psicologico, con le pulci è un inseguimento à la Justin Lin.
La vedi per un attimo, poi si infossa nel pelo, tenti di precederne la traiettoria, scosti un ciuffo sperando di scovarla, quella è già su un orecchio, afferri l’orecchio, ne isoli una porzione, speri sia rimasta nella zona delimitata dai tuoi polpastrelli, ecco che spunta, le prendi, ce l’hai, apri le dita, avvicini due unghie rapidissimo prima che ti salti sui vestiti, la schiacci, prendi fiato, ti accasci. Una roba.
A tal pro hanno inventato dei pettini con i denti di metallo, nei cui interstizi le pulci si incastrano, e che puoi comodamente schiacciare una volta finita la pettinata. Ma insomma. Il gusto perde mordente. Delle pulci mi frega il giusto. I focolai di peste endemici sono sempre più rari. Zocca per ora non è segnalata. Chiamami se hai bisogno.

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4 commenti:

  1. Per riuscire a togliere una zecca intera, senza che una parte resti attaccata all'animale e possa suppurare, occorre prima intontirla con una goccia d'alcool (con i gatti non si riesce, scappano quando sentono l'odore) o meglio ancora, come mi ha insegnato la veterinaria, con un cottonfioc far loro cadere sopra una goccia d'olio, che al gatto non dispiace: a quel punto non riescono a respirare (sempre a detta della veterinaria) e si sganciano dalla pelle. A ogni buon conto noi le buttiamo nel caminetto e le bruciamo.

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  2. Quella di imbibire la zecca con alcol o olio è una pratica (che ha anche i suoi detrattori, tra cui il sottoscritto) che potrebbe anche funzionare.
    Sta di fatto che l'urgenza spesso impedisce di adottare sistemi tanto sofisticati.
    Specialmente quando l'attività estrattoria viene svolta in posti tipo: il bosco, case d'altri, balconi, automobile.

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  3. Un'attività invero nobile questa di scovare ed eliminare l'iniqua zecca, o rincorrere la sfuggente pulce. Adesso che ci penso, non ho proprio letto quest'articolo, quanto piuttosto l'ho spulciato distratto, curioso fin dove si sarebbe spinto; direi che in tal senso l'immagine della gamba persa per il brufolo è stato l'apice dell'orrore ^^

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  4. Ma tenere una pinzetta da ciglia in tasca, anzichè usare le mani nude? Io uso suddetta pinzetta e teatree oil. Antibiotico disinfettante, sempre in tasca.

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