giovedì 1 maggio 2014

Lavoratori di tutto il mondo unitevi e amatevi gli uni con gli altri (e mangiate i cappelletti)

I socialisti italiani, vivamente consapevoli del fascino spontaneo della nuova Festa del lavoro agli occhi di una popolazione in gran parte cattolica e analfabeta, usarono l'espressione «Pasqua dei lavoratori» almeno a partire dal 1892, e simili analogie diventarono correnti in campo internazionale dalla seconda metà degli anni Novanta. È facile capirne il motivo. La somiglianza del nuovo movimento socialista con un movimento religioso e perfino, nei primi anni eroici della Festa del lavoro, con un movimento di rinascita religiosa a tinte messianiche, era evidente. E per certi versi, uguale era la somiglianza dei leader, attivisti e propagandisti di quel movimento con una gerarchia ecclesiastica, o almeno con un ordine missionario. Possediamo uno straordinario volantino del 1898 proveniente da Charleroi, in Belgio, riproducente quella che può essere solo definita una predica da Primo maggio; nessun'altra etichetta sarebbe adeguata. Fu stilato dai, o a nome dei, dieci deputati e senatori del Parti Ouvrier Belge - atei dal primo all'ultimo, senza dubbio - sotto il duplice motto «Lavoratori di tutto il mondo unitevi (Karl Marx)» e «amatevi gli uni con gli altri (Gesù)». Qualche citazione dà un'idea del contenuto:
È questo [così inizia] il tempo primaverile e festivo in cui la perpetua evoluzione della natura rifulge in tutta la sua gloria. Come la natura, riempitevi di speranza e preparatevi a una Nuova Vita.
Dopo qualche riga di raccomandazioni morali («Abbiate rispetto di voi stessi: guardatevi dalle bevande che ubriacano e dalle passioni degradanti», e così via) e buoni propositi socialisti, la predica si concludeva con un brano di sapore millenaristico:
Presto le frontiere si dissolveranno! Presto finirà il tempo di guerre ed eserciti! Ogni volta che praticherete le virtù socialiste della Solidarietà e dell'Amore, farete sì che questo futuro sia più vicino. E allora, nella pace e nella gioia, verrà un mondo in cui il socialismo trionferà, una volta compreso il dovere sociale di tutti di favorire il pieno sviluppo personale di ciascuno.
[...] Diversamente da altre ricorrenze, comprese molte manifestazioni più o meno ritualizzate del movimento operaio tenutesi in precedenza, il Primo maggio non commemorava niente, almeno al di fuori dell'influsso anarchico che mirava a collegarlo all'episodio degli anarchici di Chicago del 1886. Non verteva su niente fuorché sul futuro, che, al contrario di un passato che niente aveva avuto in serbo per il proletariato se non tristi esperienze («Du passé faisons table rase» cantava non per caso l'Internazionale), prometteva l'emancipazione. Inoltre «il movimento» non offriva, come invece la religione, ricompense dopo la morte ma una Nuova Gerusalemme su questa Terra.

(Eric J. Hobsbawm, Il Primo maggio: nascita di una ricorrenza, 1990; in Gente non comune, BUR Storia, 2007.)

***


I cappelletti, in Emilia, li mangiamo nei giorni di festa. Magari adesso li mangiamo anche nei feriali, soprattutto quando hai una nonna che fa una sfoglia di venticinque uova e per finire tutti i cappelletti che ne vengon fuori ci metti qualche mese, ma comunque, una volta, quando c'era la povertà, i cappelletti li mangiavamo solo nei giorni di festa.
Il fascismo aveva abolito il Primo Maggio. Qui in Emilia, come racconta mio nonno Corrado, giravano delle squadre che all'ora di pranzo irrompevano nelle case per vedere se qualcuno stava mangiando dei cappelletti. Quando trovavano una famiglia che li mangiava, i fascisti sbaraccavano la tavola e picchiavano e bastonavano i malcapitati.
Gli emiliani antifascisti, durante il fascismo, il Primo Maggio si erano abituati a mangiare i cappelletti di nascosto.

A Correggio, in provincia di Reggio Emilia, tutti gli anni, il Primo Maggio, è costume mettere delle gran tavolate sotto ai portici della piazza e tutti insieme fare una bella mangiata di cappelletti. Una volta si chiamavano proprio "i cappelletti antifascisti", solo che adesso, con l'aria di moderazione che c'è in giro, li hanno ribattezzati socialdemocraticamente "i cappelletti scendono in piazza".
Il Primo Maggio, quando siamo a casa e non in giro per l'Italia o per il mondo, noi barabbisti andiamo a Correggio, sotto i portici, a farci una bella mangiata di cappelletti antifascisti.
Scusateci se continuiamo a chiamarli così.
Ci siamo andati anche quest'anno.

Buon Primo Maggio.

domenica 20 aprile 2014

Il nulla

BARABBA (con voce tremante): Il regno dei morti?... Il regno dei morti?... Com'è! Tu che ci sei stato! Dimmi com'è!
IL RESUSCITATO (lo guarda interrogativo come se non avesse ben capito cosa intenda): Com'è?
BARABBA: Sì! Che cos'è! Quel posto dove sei stato!
IL RESUSCITATO (indugia a rispondere, si capisce che non gli piace la veemenza dell'altro): Io non sono stato in nessun posto. Sono solo stato morto. E la morte è il nulla.
BARABBA: Il nulla?
IL RESUSCITATO: E che cosa dovrebbe essere?
BARABBA lo fissa.
IL RESUSCITATO: Pensi che dovrei raccontarti qualcosa sul regno dei morti? Non posso. Il regno dei morti è il nulla. C'è... ma è il nulla.

(Pär Lagerkvist, Barabba - Dramma in due atti. Ed. Iperborea pagg. 46-47. Il Resuscitato è Lazzaro.)
Buona Pasqua.

venerdì 18 aprile 2014

Magari, Aureliano

di Fabrizio Gabrielli

Del mio rapporto con Cien años de soledad ricordo con sfavillante nitore ogni istante, da quando l’ho afferrato dal comodino di una ragazzetta e ne ho sfogliato la prima pagina a quando l’ho riposto sullo scaffale di una libreria che era già un’altra, in un’altra casa, e così via, un nichelino di memoria per ogni altra volta che l’ho preso, rigirato tra le mani, cercato questo passaggio del maiale che piove dal cielo, quell‘altro della lotteria.
Meno nitido, ma non per questo meno ficcante, è piuttosto il ricordo di dove, in che momento e soprattutto perché sono venuto a conoscenza di questa storiella, che vi racconto:
Nel 1950 il Gruppo di Barranquilla, questo congiunto di intellettuali nel quale milita, capintesta, Gabo, si riuniva al Café Colombia, al centro della cittadina caribègna, in calle San Blas all’incrocio tra 20 de Julio e Progreso. Il Café Colombia era il bar del Teatro Colombia, che aveva un borderò d’avangarde, teatrale e musicale. Il proprietario del Café Colombia - dove venivano serviti selz, uno dei migliori cebiche della città, caffè e alcolici - si chiamava Jorge el Chompi Henríquez. Era ecuadorègno e di mestiere giocava al pallone.
Gli anni a cavallo tra il ‘49 e il ‘53, in Colombia, li ricordano col nome di El Dorado, perché quello son stati: una Golden Age, calcisticamente parlando. La crisi del fútbol argentino aveva fatto sì che molte stelle dell’epoca, un po’ da tutte le parti del Rio de La Plata, qualcuno pure dall’Ungheria, si trasferissero a giocare col Santa Fe, con l’America de Cali, con i Millonarios di Bogotà. E pure con i clubes di Barranquilla: lo Sporting e lo Junior. (È di quell’epoca l’istantanea di Alfredo Di Stefano con la maglia blu dei Millonarios. E ad occhio mister Peregrino Fernández dev’essere passato per l’America de Cali proprio nello stesso periodo, ad occhio).
In un’intervista su El Tiempo, Gabriel García Márquez ha raccontato «Ci portavamo dietro i calciatori a bere rum bianco e a insegnargli la letteratura nell’estadero Las Almendras, di fronte allo stadio Romelio Martínez. Specialmente quelli dello Sporting, che non c’avevano quasi nessun intellettuale. Mi ricordo un calciatore di quella squadra: l’ecuadoregno Chompi Henríquez».
Poi uno dice il Nobel, il calcio, ma che c’entrano, ma com’è possibile.
C’è un pezzo abbastanza famoso, che si chiama El Juramento, che negli anni m’ha reso assai simpatico Gabo (oltre a un certo suo engagement politico, oltre la foto dell’occhio pisto per il cazzottone che gl’aveva ammollato Vargas Llosa): in quel pezzo racconta della prima volta in cui, già grandicello, è andato allo stadio, e dice mi sono trovato a mettere da parte il senso del ridicolo. Fa un’operazione, ne el juramento, Gabriel García Márquez, bellissima, parla di calciatori come fossero scrittori, e interpreta le loro azioni come potenzialità scrittoriali, predisposizioni a un genere letterario meglio che a un altro.
E quindi niente: ieri Gabo se n’è andato, il mondo è un posto un po’ meno bello, come si dice in questi casi, e io gli volevo bene davvero, tutti in Colombia gliene volevano, anche i calciatori, da quelli che aveva convertito alle lettere a quelli a cavallo tra uno ieri recente, tipo Valderrama, e l’oggi, come Radamel Falcao. Che poi i cafeteros si sono qualificati ai Mondiali del Brasile - dove partono pure da mezzi favoriti - giocando, nelle partite casalinghe, con un pallone variopinto e dal nome evocativo: Macondo.
La ragazzetta che lo teneva sul comodino, Cien años de soledad, e che me l’ha fatto leggere tipo quindici, sedici anni fa, io che amavo solo il rap e col tempo mi sarei fatto ammaliare da tante altre cose, tipo certi engagements politici, il realismo magico, il pallone, gli scrittori che parlano del pallone, quella ragazzetta stessa, poi, è diventata mia moglie, la madre di mia figlia; che se non fosse stata una figlia, ma un figlio, chissà, magari l’avremmo chiamata Aureliano, chi lo sa.

mercoledì 9 aprile 2014

Ultimate

Ci sono dei momenti, quando hai 11 anni, sei magrolino, un po' più basso degli altri, e vieni sempre scelto per ultimo quando si fanno le squadre per giocare a pallone lungo la via, ci sono dei momenti che ti segnano, che ti insegnano, e che concorrono a formare il metro dei valori che ti porterai dietro negli anni a venire.
Uno di quei momenti è indimenticabile. Il giorno dopo, durante la ricreazione, non si parlava d'altro, e così per una settimana intera. D'altra parte siamo qui a parlarne anche adesso, di quella sera in cui davanti alle nostre bocche spalancate Hulk Hogan perse il titolo in favore del Guerriero più figo che avessimo mai visto in televisione (anche più figo di Kenshiro, perché il Guerriero era vero, gli luccicavano i muscoli, gli brillavano gli occhi).
Non so spiegare cosa fu, vederlo in diretta (o, insomma, in leggera differita ma sempre al centro dello zeitgeist), però l'aggettivo "formativo", che non mi piace molto come parola, mi sembra abbastanza adatto, questa volta.

Ultimate Warrior è morto ieri, mentre camminava per la strada. Non so chi fosse nella vita vera e sinceramente non mi frega granché, perché nella mia vita vera è stato fondamentale il suo io fittizio. E mentre il '900 pian piano finisce, e la mia gioventù si affievolisce nella memoria, quella scala di valori che mi sono costruito un po' da solo un po' con l'aiuto di qualcuno quand'ero bambino è ancora lì che mi fa mettere un passo davanti all'altro. Un "grazie" postato qui pubblicamente mi sembrava il minimo.
Poi quando morirà Hulk Hogan saremo daccapo.

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Se volete vederlo, l'incontro lo trovate sull'internet, in tre parti: la Prima, la Seconda e (soprattutto) la Terza (nel finale, che mi viene ancora la pelle d'oca).

giovedì 13 marzo 2014

La Fantascienza spiegata ai miei cyborg

Giovedì prossimo accadrà una cosa un po' strana.
Abbiamo calcolato il radiante Peelman e abbiamo chiesto lumi ai tecnici della psicostoria e pare che, se le analisi geodetiche della World Enterprises sono corrette, giovedì 20 marzo alle ore 21 (secondo il nostro vecchio e caro calendario terrestre) si aprirà un varco e per un paio di ore, forse tre (dipende anche dal passaggio di Solaris in allineamento) sulla terra, e più precisamente a Campogalliano (Modena), in via Mattei 13, dentro il salone di Villa Barbolini - La Pausa Caffé (noto luogo di ritrovo per autostoppisti galattici) entreremo in contatto con gli esseri della Zona: un mondo dove le donne sono pneumatiche, gli uomini cadono sulla terra o saltano nello spaziotempo, i cristalli tremano, i neuromanti volano, l'Eternità ha una fine e le pecore elettriche, forse, a loro volta, sognano gli androidi.

Ricapitolando:
Giovedì prossimo il sottoscritto e il Many saremo i vostri Stalker e vi leggeremo piccoli brani trafugati dai grandi prodigi della letteratura Fantascientifica (tratti da W. Tevis, A. Huxley, K. Vonnegut, D. Adams, I. Asimov, W. Gibson e P. K. Dick), accompagnati sonoramente dall'intergalattica band di Matteo Cincopan.

Per ogni evenienza, portatevi una pistola laser... e naturalmente un asciugamano.

Questa serata è la prima di tre che nelle prossime settimane si susseguiranno in tre comuni aderenti alla Festa del Racconto di Carpi.
Si comincia appunto da Campogalliano con la Fantascienza (20 marzo 2014), si prosegue a Novi di Modena con il Sogno Americano (28 marzo 2014) e si conclude a Soliera con il Noir (23 aprile 2014).
Queste letture pubbliche sonorizzate dal vivo sono presentazioni del filone/genere letterario che ogni biblioteca ha pensato di proporre ai propri cittadini (e non, alieni siete benvenuti!) per creare un gruppo di lettura sui libri che hanno fatto la storia del genere scelto.
Maggiori info qui.

lunedì 10 marzo 2014

Trucchi della borghesia (101 e 101bis)

Le stampanti a inchiostro alimentare, credo si chiamino (quelle cose che stampano qualsiasi immagine su un foglio di ostia e che oggigiorno si vedono ovunque).
E in generale il Cake Design avanzato, toh.

(di Stefano Amato)

martedì 4 marzo 2014

Trucchi della borghesia (99)

Le cover variant dei fumetti americani (per non parlare di quelle olografiche, metallizzate, con le paillettes, eccetera che mi fanno stramaledire gli anni '90, adesso che son vecchio, ma, oh, con l'adolescenza son capitato lì, non è stata colpa mia).

lunedì 24 febbraio 2014

Biografie essenziali (151, aggiornamento)

Il 27 gennaio 2010, il nostro buon simone rossi scrisse un pezzo che finiva così:
Alice Herz-Sommer ha 106 anni, vive a Praga ed è l’ultima persona vivente ad aver conosciuto personalmente Franz Kafka. Ogni giorno suona il pianoforte per tre ore.
Il 15 aprile 2012 inserimmo quel pezzo nel nostro libro elettrico E far l'amore anche se il mondo muore, e modificammo la frase così:
Alice Herz-Sommer ha 108 anni, vive a Praga ed è l’ultima persona vivente ad aver conosciuto personalmente Franz Kafka. Ogni giorno suona il pianoforte per tre ore.
Il 18 aprile 2013 ci è capitato di leggerlo dal vivo, e l'abbiamo letto così:
Alice Herz-Sommer ha 109 anni, vive a Praga ed è l’ultima persona vivente ad aver conosciuto personalmente Franz Kafka. Ogni giorno suona il pianoforte per tre ore.
Oggi, che è il 23 febbraio 2014, bisogna che aggiorniamo la biografia, così:
Alice Herz-Sommer aveva 110 anni, viveva a Londra ed è stata l’ultima persona vivente ad aver conosciuto personalmente Franz Kafka. Ogni giorno suonava il pianoforte per tre ore.

lunedì 17 febbraio 2014

Biografie essenziali (154)

Se provate a chiedere in giro chi sia Robert Recorde a rispondervi saranno in pochi, forse solo i matematici e neanche tutti. Wikipedia in italiano gli dedica solo una biografia essenziale, una riga in italiano stentato (per ora): «Famoso per aver nel 1557 per primo utilizzato il segno grafico = (uguale); fino ad allora doveva essere utilizzata la frase “uguale a”». Basta.

(Peppe Liberti, Più meno per diviso, 40k, 2013; un librino molto bello uscito da qualche mese e che costa molto poco)

venerdì 14 febbraio 2014

Pirata

Il 2 agosto del 1998, visto che ci eravamo appena diplomati e avevamo da passare quella meravigliosa estate di nulla che ci separava dal primo anno di università o dal lavoro a vita, avevamo pensato bene di fare un bell’interrail in Francia, Belgio e, ovviamente, che eravamo giovani, Olanda. Mi ricordo che avevo fatto di tutto perché il 2 agosto si passasse per Parigi, e nessuno capiva il perché, ma appena scesi dal treno e trovata una camera per dormirci in sei, abbiamo preso la metro e siamo arrivati sugli Champs-Élysées. C’era molto trambusto, nessuno capiva perché, solo io, dopo aver tirato fuori una bandiera italiana dallo zainetto, mi son messo a correre verso le transenne zampettando come un matto. Allora anche gli altri hanno capito: quel giorno lì arrivava il Tour de France, e c’era uno con la maglia gialla e un pizzetto giallo che arrivava a Parigi vittorioso. Sportivamente parlando, fu uno dei giorni più belli della mia vita.

Qualche anno prima, il 12 luglio del 1995, avevo 16 anni, è stata la prima volta che ho versato delle lacrime di gioia per un evento sportivo televisivo. Non sono state tante, dopo, le volte che l’ho fatto, ma se ci penso, credo che siano sempre state per colpa sua.

Il 14 febbraio del 2004 non mi ricordo dov'ero e cosa stavo facendo. Forse me l'ha detto qualcuno, forse l'ho letto su internet, forse l'ho sentito alla tv o alla radio. Boh. Non mi ricordo niente. Ma non dev'essere stata una bella giornata. Non avevo neanche la morosa.

mercoledì 12 febbraio 2014

Assolutamente no

La prima volta che ho visto Freak Antoni, lui era insieme a Dandy Bestia, voce e chitarra, al Parco della Resistenza di Novi di Modena. Era il millenovecentonovanta-e-qualcosa, avrò avuto quattordici o quindici anni, non di più. In qualche modo quel concerto, uno dei primi che vedevo, ha cambiato o iniziato a cambiare il mio modo di ascoltare le cose.
Ho visto gli Skiantos due o tre volte, nella vita, l'ultima è stata alla Festa del PD di Carpi, tipo nel 2004. A volte mi son piaciuti, altre meno, dipende da cosa mi passava per la testa o da chi mi credevo di essere in quel momento.
Freak Antoni capitava spesso di vederlo tra il pubblico di qualche concerto, a fine anni '90, inizio anni zero, soprattutto se c'era una reunion di gruppi vecchi e scassoni.
Non ho neanche un disco degli Skiantos, in casa. Era tutto su cassettine perse nei traslochi o stipate in qualche scatolone in qualche soffitta. Ho solo un CD con Freak Antoni che legge delle poesie e canta delle cose. L'ho preso l'ultima volta che l'ho visto, un paio di anni fa, credo, alla Salumeria del Rock di Arceto di Scandiano, in provincia di Reggio Emilia, dove recitava le sue poesie e canticchiava le sue canzoni accompagnato da una pianista che, mi ha detto poi chi ne sapeva, suonava musica contemporanea anche abbastanza cazzuta. Io e la morosa siamo arrivati presto, c'erano solo altre due o tre persone in sala, ci siamo messi a un tavolino e abbiamo ordinato due hamburger e della birra. Freak Antoni e la pianista hanno finito di sistemare i microfoni e le cose, e poi, nella sala semivuota, sono venuti al nostro tavolo. «Possiamo sederci a mangiare con voi?» E così abbiamo chiacchierato amabilmente per una mezz'ora, dopo si sono alzati e sono andati a prepararsi per lo spettacolo. Lui era magrissimo, smuntissimo, esausto, ma faceva morir dal ridere, a tavola e sul palco.

All'inaugurazione del Bonvi Parken, a Modena, un pomeriggio di due o tre anni fa, ero in fila dietro di lui al gazebo della Protezione Civilen per accaparrarmi un hot dog. La morosa mi raggiunge, glielo indico, lo vede, dice «Freak Antoni!»
Lui si gira, serissimo, sta zitto due secondi, e poi risponde: «Assolutamente no.»

lunedì 10 febbraio 2014

Il giorno prima dell'Amore

Capita, a Carpi, che basta che il tuo libraio di fiducia ti dica Facciamo una bella serata di letture ad alta voce? Delle letture romantiche, d'amore, per San Valentino... e poi, dopo una certa ora, magari anche un po' erotiche... che subito noi, a Carpi, diciamo Sì, dai!

Capita, però, che dopo pensiamo Eh no! San Valentino uno deve essere libero di trascorrerlo col proprio amore! Quindi? Quindi che si fa? Si fa la sera prima. A posto.

Capita, dopo, che la serata la volevamo chiamare MA L'AMORE NO oppure LA VERITA', VI PREGO, SULL'AMORE, ma ci son venute in mente troppo tardi e un bel Dante riadattato ha vinto ogni indugio: GALEOTTO FU IL LIBRO, E CHI LO SCRISSE (E NOI CHE QUESTO E MILLE ALTRI LIBRI LEGGIAMO!)

Capita, infatti, che la serata sia aperta a tutti, a chiunque abbia voglia di cimentarsi con letture sul tema ma con l'unico limite, anche se "il piacere vuole eternità", di non eccedere i cinque minuti, per dare spazio a ciascuno.
(se volete partecipare mandate una mail a: fenicelibreria [chiocciola] libero [punto] it o partecipate e scrivete sulla bacheca della serata su faccialibro e vi inseriamo in scaletta)

Capita, poi, che abbiamo anche trovato amici e amiche che suoneranno in acustico per allietare la serata, e noi siamo un po' in imbarazzo e non sapremo mai come ringraziarli bene a modo, ma amore e amicizia la man si danno.

Capita, così, a Carpi, nella libreria indipendente La Fenice, che giovedì tredici febbraio, dalle 21 in poi, si legga e si parli e si declami l'Amore.

Capita,
come il colpo di fulmine.

lunedì 3 febbraio 2014

Dialettica (16)

Mangio il fritto misto, me ne pento subito, mangio le patatine, bevo il solito vino cattivo da sagra e faccio il solito giro per la festa che finisce, come al solito, alla pista da ballo dove c’è l’orchestrina e i nonni che ballano.
Mi metto a guardare i ballerini abbronzati, le ballerine in paillette, i capelli cotonati anche al mare [...] Guardo le coppie che sono sempre le stesse e quelle che cambiano, certi settantenni coi sorrisi così sicuri e i denti così bianchi che non sembra neanche che li mettano nel bicchiere prima di dormire, guarda come li fissano le signore della prima fila di sedie, quelle col ventaglio e i mariti che non ballano, guarda come se li litigano le ballerine sole, quelle che non si capisce se sono sempre state signorine o se lo sono ritornate da poco, e guarda come fanno finta di niente, loro, con quei pantaloni beige e quelle polo color aragosta.
Fanno tutti i valzer, le polke, le mazurke, e tutti quegli altri balli che non si capisce com’è che li sanno fare tutti, quando li hanno imparati, se è una cosa che facevano anche da giovani o che è arrivata con le rughe e l’ingrossamento della prostata, e come tutte le altre volte mi chiedo se anch’io, un giorno, mi sveglierò coi fianchi più larghi e le tette più grosse, con le calze contenitive e un armadio di grembiali e maglie con le paillette, e andrò dal parrucchiere una volta a settimana a farmi cotonare i capelli e saprò la differenza tra una polka, una mazurka e una polka-mazurka.

(kumquat su FriendFeed)
Mio nonno dice che per ballare la mazurka devi ripeterti in testa "131, 131, 131" (sèintrentùn, sèintrentùn, sèintrentùn). La mazurka è in 3/4. La polka in 2. Non serve neanche la musica, per ballare: basta contare.

Noi che siamo venuti su a punk e rock'n'roll (se ci è andata bene), e balliamo da soli anche quando siamo in tanti i nostri quattro-quarti sparati a volume alto, e non siamo tanto a nostro agio col dialetto, dopo i trent'anni abbiamo anche il coraggio di dire che non abbiamo più l'età per andare in pista.

Quando sono in casa da soli, delle volte, che si incrociano in corridoio, lei magari con uno straccio o un mattarello in mano, lui che è appena rientrato dal giardino dove ha fumato una mezza sigaretta, si vede che gli parte in testa il sèintrentùn, sèintrentùn, sèintrentùn, allora mio nonno prende mia nonna, così, senza dirle una parola, e comincia a prillarla di qua e di là, due o tre giri. Sèintrentùn, sèintrentùn, sèintrentùn.
Dura finché dura il corridoio. Poi si staccano, non si sono ancora detti niente. In casa c'è silenzio. Lei va a finire di dar giù la polvere o di tirare la sfoglia, lui va a leggere il giornale, o a mettere a posto le cose nell'orto.

mercoledì 29 gennaio 2014

Son fatto così (22)

Son fatto che sono nato in una casa dove non c'era neanche un libro, e per questo, forse, penso di avere una malattia: voglio leggere tutto, dalla prima all'ultima riga. Tutto, cioè tutto quello che è stato scritto nel mondo e tradotto nella mia lingua, o magari in inglese, che è l'altra lingua che un po' conosco, anche se sarebbe meglio che qualcuno avesse il mio stesso tipo di malattia ma rivolto alla traduzione. Si farebbe prima.
La mia paura più grande è di diventare cieco, e so che un giorno lo diventerò, perché sono convinto che se uno ha paura di qualcosa quella cosa prima o poi gli viene. Va sempre a finire così. Hai paura del cancro? Ti viene il cancro. Hai paura del parkinson? Quando hai l'età ti viene il parkinson. Hai paura dell'ipertensione? Diventi iperteso. Hai paura di prender freddo? Prendi freddo anche se hai quattro maglioni uno sopra l'altro. E così via, vale per tutti. Un giorno mi son visto una macchia gialla allo specchio, esattamente sopra la pupilla, è ancora lì, i dottori dicono che non è niente.
Diventerò cieco. Non credo che sia una questione fisica o parapsicologica come quelli che dicono che è il cervello a farci ammalare o eventualmente guarire, che la testa comanda il corpo, che l'omeopatia, che lo stile di vita, eccetera. No. Credo piuttosto nella Sfiga. Son fatto così.

lunedì 27 gennaio 2014

Trucchi della borghesia (97)

Riflettevo, e allargando il pensiero dalla puttanOOPS del film in questione [Carrie - NdR] ai remake in generale m'è parso che dietro questa cosa dei rifacimenti ci sia lo zampino della borghesia.

(di Massimiliano Calamelli "mc")

mercoledì 15 gennaio 2014

venerdì 10 gennaio 2014

Barabba Elettrolibri: Mix - M1CR0RACC0NT1 D1G1TAL1

Mi dispiace ma non capirete. Non che siate stupidi, certo. Cioè, alcuni di voi magari lo sono, ma non è quello il problema, con questo libro. Il problema è che anche il più intelligente tra voi è e resta una creatura analogica. Siete schiavi delle sfumature, delle variazioni infinitesimali, del continuo. Potete apprezzare un buon vino, una sinfonia, un romanzo scritto a parole. Questo libro però no. Non è per voi. Il mio consiglio, infatti, è quello di non leggerlo. Passate al prossimo. Mi ringrazierete.

(Cristiano "Mix" Micucci, dalla prefazione ai M1CR0RACC0NT1 D1G1TAL1)
Il libro binario di Mix esce oggi, che è il 10-01, per la nostra collana inesistente che non pubblica niente chiamata Barabba Elettrolibri. Si scarica gratis alla vecchia maniera in pdf, o alla nuova in epub e in mobi.

Se ci fosse una fascetta come per i libri di carta, direbbe una cosa del tipo: «Finora, il libro più di nicchia della Storia.»

Buona lettura.

giovedì 9 gennaio 2014

La gente si dividono in due (8)

«Tra i continui lampi caddero alcune gocce, esitanti, dividendo così i porteños in quei due partiti che, diceva Bruno, si formano sempre nelle soffocanti giornate d'afa estiva: quelli che, con espressione scettica e amareggiata, già un po' stereotipata dall'esperienza di cinquant'anni, affermano che non succederà niente, che le imponenti nuvole finiranno per sciogliersi e che il giorno dopo il caldo sarà ancora peggiore e molto più umido; e quelli, ingenui e speranzosi a cui basta un inverno per dimenticare l'oppressione di quelle giornate atrioci, i quali annunciano che le nuvole faranno piovere subito stanotte o, nella peggiore delle ipotesi, non oltre domani.
[...]
Insomma, i temporali estivi di Buenos Aires dividono gli abitanti, come in qualsiasi altra grande città del mondo, in pessimisti e ottimisti. Divisione, come spiegava Bruno a Martín, che esiste a priori, ci siano o meno temporali, ma che si rivela solo a certe condizioni, come un'immagine quando si sviluppa una lastra. E, diceva anche, se questo vale per qualsiasi regione del mondo dove esistono esseri umani, è indubbio che in Argentina, e soprattutto a Buenos Aires, la proporzione dei pessimisti è molto più alta, per la stessa ragione che il tango è più triste della tarantella o della polca o di qualsiasi altro ballo di qualunque altra parte del mondo.»

(da Sopra eroi e tombe, Ernesto Sábato, Giulio Einaudi editore, Parte seconda - capitolo sesto, versione ebook)

sabato 4 gennaio 2014

il verbo rubare: l'inesistente quarto libro di simone rossi

Quattro giorni fa, che per noi che viviamo alla velocità dell'internet è come dire l'anno scorso, è uscito il verbo rubare, l'inesistente quarto libro di simone rossi.
Il testo integrale del libro è stato pubblicato on line sul sito ilverborubare.tumblr.com nell’ottobre 2013 (serve una password per entrare, ci sono tanti modi per venirla a sapere).

Il verbo rubare è un libro elettronico a offerta libera, nel senso che non esiste la versione cartacea e puoi pagarlo quanto ti pare, anche niente (il coso con il paypal è da qualche parte sul sito di cui sopra).
In ogni caso, puoi rubare il verbo rubare gratuitamente in epub e in mobi, che chissà, magari per Natale ti hanno regalato un robo per leggere i libri elettronici e non sai ancora come sfoggiarlo.

In copertina c’è un quadro che Monk ha rubato a Rousseau per fare un disco in cui ruba i pezzi a Ellington. Il quadro si chiama il pasto del leone.

Buon appetito.

venerdì 3 gennaio 2014

Finalmente

Se incontro qualcuno che non vedo da tempo, da mesi o da anni addirittura, la prima cosa che mi dice è: «Come sei dimagrita!» E può succedere che, in caso di maschi, finisca qui, mentre, in caso di femmine, scatti lo sguardo solidale o quello felice o quello, più profondo, celebrativo, uno di quelli che brilla solo se ci conosciamo da almeno dieci anni.
Il maschio certifica un avvenuto cambiamento, se ne compiace o rallegra, ma non fa altre domande, poiché è stato cresciuto con la certezza che alle donne bisogna sempre dire che stanno bene, non sono grasse, sono solo rotonde e va bene anche qualche chilo in più, se non riescono a dimagrire. Spesso lo dicono proprio se non riesci, va bene così (anche quando una parte in quarta con il pan di spagna a tre piani e sì e no arriva a farne uno solo e pure terremotato, le dicono se non riesci, va bene così); è un po' come quando provavo a saltare la corda, a scuola, incespicavo prima di tutti e la maestra arrivava con una palla rossa tonda e sbiadita dalle pedate, dicendomi: «Prova con questa, prova a farla rimbalzare al muro, se non riesci con la corda.»

La metà delle persone, soprattutto donne, che sono a dieta si rammarica di non esserci mai riuscita prima.
La pretesa è tutta lì: riuscirci. Provare poche volte e subito riuscirci.
La metà delle persone, soprattutto donne, che sono a dieta, è riuscita a risolvere problemi di matematica molto difficili, a fare traduzioni di greco complicatissime, a risolvere quesiti di fisica in pochissimo tempo, si è diplomata, perfino laureata, magari più di una volta, va al mare nonostante tutto, digiunando la sera prima, continua a comprare riviste di moda e guardare i cartelloni pubblicitari, sapendo di non avere i soldi per quella gonna, non di essere troppo rotonda per indossarla; molto spesso si dice felice, va a fare l'aperitivo e si fotografa nei camerini mentre fa le compere, sbagliando quasi sempre la prospettiva. Ma, se glielo chiedete, si rammarica del fatto che non riesce a dimagrire. Si rabbuia in un secondo, inarca i sopraccigli o aggrotta la fronte o ancora abbassa la testa, come se avesse preso un brutto voto.
Il problema è tutto lì. Riuscirci.

Quando ho iniziato questo lungo patimento che ha un nome così breve - dieta - da farmi innervosire tutte le volte, pensavo che sarei stata felice di indossare la taglia 42 o meglio: la 41, come quando ero giovane, e sarei riuscita a comprarmi tutti i modelli di vestiti che per più di dieci anni non ho potuto mettere.
Invece no.
Oggi, 20 chili e quasi due anni dopo, sono felice solo di esserci riuscita. Nemmeno avessi scansato per un millimetro fortunato il pericolo più grosso. Riuscirci è una delle cose che fa stare meglio in assoluto.