martedì 29 gennaio 2013

In Russia c'è da morir dal ridere (5)

Ogni volta che esce un film di Tarantino, s'innalza implacabile e funesto il livello dello scontro sulla visione del cinema straniero e dei film in lingua originale. Adesso che ci sono i socialcosi, le polemiche di questo tipo son diventate decisamente delle guerre di religione. Per quanto mi riguarda, sono d'accordissimo con quello che ha scritto oggi il dottor Mario Fillioley sul Post. Ma non era di questo che volevo parlare.

Quello che volevo dire è che la lettura del post di Fillioley mi ha fatto venire in mente di quella sera in cui ce ne stavamo spaparanzati sul lettone, io e la mia signora, in un hotel a costo bassissimo di Volgograd, cioè Stalingrado, sfiancati da una giornata di camminate tra le statue gigantesche di Mamaev Kurgan e il museo della Grande Guerra Patriottica - dove, tra le altre cose, abbiam visto il vero fucile del sempiterno Vasilij Grigor'evič Zajcev, il cecchino ritratto in quel film tutto sommato godibile dal titolo Il nemico alle porte.
E niente, eravamo lì spaparanzati sul lettone e abbiam deciso di guardare la televisione. Zappando un po' tra i notiziari, le soap slave e i film sovietici - c'è un canale che dà SOLO film sovietici, che sono bellissimi anche quando non si capisce niente - ci salta all'occhio Pulp Fiction.
Oplà. Ci siamo guardati, io e la mia signora, abbiamo annuito senza dire niente, e ci siamo messi comodi.
Da quello che abbiamo capito, il doppiaggio in Russia funziona così: si mette il film, si abbassa moltissimo il volume della pellicola, ma non così tanto da perdere i rumori di fondo, gli effetti, la colonna sonora e soprattutto le voci in lingua originale dei protagonisti, poi un omaccione che dalla voce avrà avuto una quarantina d'anni e un fisico ben piazzato, semplicemente, senza nessunissimo problema morale, e senza seguirne la lunghezza e men che meno il labiale, si prende in carico tutti i dialoghi di tutti i personaggi e li pronuncia più o meno sempre con la stessa intonazione neutra.

È una cosa molto bella perché, oltre alla sospensione dell'incredulità, ti sospende anche la capacità di giudizio, catapultandola al di fuori della guerra di religione di cui sopra. E quindi non so cosa dirvi, a parte che è stato bellissimo.

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(In Russia c'è da morir dal ridere googletradotto diventa В России есть умереть, смеясь, che rigoogletradotto diventa La Russia deve morire dal ridere.)

mercoledì 16 gennaio 2013

Tra una cotoletta e l'altra

La barista del posto in cui vado in pausa pranzo, oggi, mentre ero lì alla cassa a pagare il mio panino con la cotoletta, mi ha chiesto, prendendomi completamente alla sprovvista, se avessi mica un libro da consigliarle. Mi ha detto che mi vede sempre leggere («perché con quel coso lì si leggono i libri, giusto?», indicando il kindle che mi spuntava dalla tasca). Mi ha detto che anche a lei piace molto leggere, ma che adesso non ha mai tempo, o ne ha molto poco, per via del bar, che ci deve stare tutto il giorno, tutti i giorni, anche la domenica; e per via del mutuo, che è un'ossessione, e dopo il terremoto ancor di più; e perché adesso ha un figlio piccolo, la sera, che ha bisogno della mamma, e ha ragione lui. Mi ha detto che a lei piacciono soprattutto i romanzi, ma «non quelli come Camilleri o le cinquanta sfumature, mi piacciono quelli che quando li hai finiti ti lasciano qualcosa.»

Mentre contavo le monete sulla mano per pagare il mio panino con la cotoletta, ci ho pensato un po', e poi le ho dato la mia risposta, il mio consiglio: Guerra e pace.
Mi ha guardato con una faccia del tipo «diciotto bobine!»

Allora l'ho rassicurata, le ho detto che sì, è lungo, ma è perfetto se uno ha poco tempo, ché i capitoli sono corti ed esaustivi, che c'è la storia, e c'è la Storia, che tutto sommato è fatto in un modo che è come i telefilm di adesso, a puntate, che si segue benissimo, che è scritto in maniera semplice e diretta, che puoi lasciarlo lì per un po' e poi riprenderlo e capire subito dov'eri rimasto, che c'è da innamorarsi dei personaggi, letteralmente, che poi quando l'hai finito hai la testa che ti sembra che si sia spalancata, e che secondo me fa anche bene alla salute.
«C'è solo una difficoltà,» le ho detto alla fine, «ci sono delle parti in francese, e allora devi scegliere un'edizione dove sia tradotto o ci siano delle note.»

Lei ha sorriso, come a voler marcare una superiorità naturale su qualcuno che ha in grande considerazione, e mi ha detto: «ma io il francese lo so molto bene, sai?»
«Wow, parti già in vantaggio su un sacco di lettori!» ho detto io.
«Allora ci penserò,» ha detto lei. E ci siamo salutati

Ho pagato e sono uscito, e mi sono incamminato verso la macchina per tornare in ufficio. Mi sembrava di volare.
E se un giorno la barista del posto in cui vado in pausa pranzo, magari mentre mi porta un panino con la cotoletta e un po' di maionese, il mio preferito, dovesse dirmi che ha letto Guerra e pace e che mi ringrazia di averglielo consigliato, ecco, io, davvero, da quel momento lì in poi, penserò che è stato totalmente appagato, per me, nella mia testa, tra una cotoletta e l'altra, il senso della vita.

lunedì 14 gennaio 2013

Trucchi della borghesia (80)

[...] Un'altra cosa contribuì ad offendermi: il modo arrogante, tipico dell'alta società, col quale invece di rispondere alla mia domanda e fingendo anzi di non averla sentita, l'aveva interrotta con un'altra, come per farmi notare che m'ero spinto troppo in là, mi ero preso troppa confidenza osando rivolgergli simili domande. Per questa tattica dell'alta società nutrivo un'avversione che rasentava l'odio.

Fëdor Dostoevskij, Umiliati e offesi (Einaudi tascabili, pagina 224)

(di Lofa)

giovedì 10 gennaio 2013

Accademia della semola: Alimortis o Arimortis

Non ricordo bene ma io, quando qualcuno sbraitava Alimortis, mi fermavo, bloccato. Che fosse calcetto, nascondino, rubabandiera, palla avvelenata, tutto: mi congelavo. E così facevamo tutti.
Tutti di pietra.
Col cuore che pompava a mille, gli occhi gonfi e gli sforzi per rallentare il fiato, per diventare una statua meglio degli altri. Tutti immobili, in quella piazzetta piccola baciata dal sole, col porfido più rosso del vino, così rosso che se cadevi e ti sbucciavi e usciva sangue, non lo vedevi. Lo scoprivi poi a casa.
E poi cominciavi a pregare che chi aveva detto Alimortis, che era lui in quel momento a comandare questo momento di gioco, di metagioco, di gioco nel gioco, si stancasse di star fermo. Che gli venisse un prurito, un grattamento, gli arrivasse addosso una bestiola in volo che lo costringesse a farci uscire tutti da questo momentaneo museo di statue viventi.

La variante Arimortis invece era la versione più perfida, perché noi ci siamo sempre immaginati che se i romani dicevano arimortacci tua, era nel senso che dovevi stare più fermo, perché eri morto due volte e che non potevi muoverti assolutissimamente e chi l'aveva lanciato, l'Arimortis, poteva muoversi e girare e vedere com'eravamo tutti belli fermi e immobili. Poi però doveva decretare il migliore e passare a lui, al migliore, il potere di lanciare l'Arimortis, che a sua volta avrebbe trasmesso al prossimo e al prossimo ancora e così via.

Questo per dimostrare che a uno il latino glielo insegnano troppo tardi e non quando gli serve davvero, a sei anni.

mercoledì 9 gennaio 2013

Nel nome del padre (13)

Quattro anni fa, nella notte che sta per arrivare
- quella tra il 9 e il 10 gennaio -
succedevano queste cose.
Domani sarà il compleanno di Ester.
E quella notte andò così:

http://piovonopietre.rockit.it/2012/03/21/parto/

martedì 8 gennaio 2013

Trucchi della borghesia (79)

Il caldo cotone. (E poi, è inutile che mettano l'aggettivo prima, per convincermi. Il cotone non è caldo manco se lo premetti.)

(di Cristiano Micucci "Mix")