mercoledì 27 novembre 2013

In Russia c'è da morir dal ridere (12) | Lamerica (2)

Stai camminando su una passeggiata di legno lunga un chilometro, da un lato ti arriva il rumore della risacca insieme a un vento che ti gela la barba e ti fa stringere gli occhi, è il primo giorno davvero freddo di novembre e sulla spiaggia non c'è nessuno, solo dei gabbiani grossi come oche che si contendono resti di chele di granchio; dall'altra parte un luna park è in via di dismissione, le cabine della ruota panoramica sono state rimosse, c'è una torre rossa molto alta fatta di travi intrecciate e ti chiedi chissà com'è bella quando è in funzione; ci sono le montagne russe senza i trenini, sono montagne russe costruite negli anni venti o trenta, di legno, da far paura, davanti a grappoli di palazzi che poi sono dei gran parallelepipedi con le finestre, e ti ricordi i quartieri dismessi che hai incontrato mentre gironzolavi a caso a piedi o in treno per le vie periferiche di Mosca e di San Pietroburgo; sulla passeggiata di legno è pieno di donne anziane o di mezza età che non si curano del freddo e chiacchierano tra loro in russo, e ti viene da sorridere perché le riconosci, sono familiari, sono loro, le babushke; ci sono addirittura babushke che fanno da badanti ad altre babushke; ti fermi un minuto e fai un giro su te stesso, osservi il panorama in un colpo solo e potresti essere sulla riva del Volga o davanti al Mar Baltico, o chissà in quale luogo possibile o impossibile ai bordi della Russia. E invece sei a Coney Island.

giovedì 21 novembre 2013

martedì 12 novembre 2013

Lamerica

Se devo dire cos'è Lamerica, per come l'ho capita io in dieci giorni che sono stato là, è come girare l'angolo di una stradina silenziosa e deserta di Brooklyn, sbucare sulla 4th Avenue e vedere due nastri gialli che separano il marciapiede dalla strada dove sta passando la coda della Maratona di New York, sono le nove e qualcosa del mattino, ci sono due agenti di polizia al centro della carreggiata, due o tre disabili corrono sulle sedie a rotelle, il viso affaticato, le braccia che mulinano sulle ruote, la pettorina bianca mostrata con fierezza tra due ali di folla che incita, e di fronte, sull'altro angolo della strada, una band di cinquantenni, due chitarre, basso e batteria, sta suonando Take It Easy. Quello è il momento esatto in cui sorrido uno dei sorrisi più sinceri della mia vita, e gli occhi mi si bagnano d'imbarazzo. Faccio una foto, ma non la guardo nemmeno: non serve a niente.
Dopo un paio di minuti prendo la cartina della metropolitana, dobbiamo andare via, degli amici ci aspettano dall'altra parte della città.

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Il primo numero di quella rivista mai nata chiamata Barabba, per come l'avevamo pensata nel 2006, doveva intitolarsi Lamerica. Nessuno di noi, allora, ci era mai stato. Per me, la prima volta è stata la settimana scorsa. Avremo forse modo di parlarne.

lunedì 11 novembre 2013

Biografie essenziali (153)

Quando Vladimir Nabokov, con sguardo sornione, diceva "Vuoi venire a vedere la mia collezione di farfalle?", diceva sul serio.